Capitolo 8

Mia nonna ha una Corvette rossa, mentre io ho una Buick blu del ’53 e un grosso brufolo sul mento. Potrebbe andare peggio, pensai. Il brufolo potrebbe essere sul naso.

«E poi» disse la nonna «so quanto ti piace la Buick. Non volevo portartela via.»

Annuii e cercai di sorridere. «Scusami» dissi. «Devo lavarmi le mani prima di cenare.»

Con calma andai nel bagno, chiusi la porta a chiave, mi guardai nello specchio sul lavandino e tirai su col naso. Una lacrima scese dall’occhio sinistro. Trattieniti, mi dissi. È solo un brufolo. Andrà via. Sì, ma la Buick? mi domandai. La Buick era più preoccupante. Quella non dava alcun segno di volersene andare. Un’altra lacrima scese. Sei troppo emotiva, dissi alla persona nello specchio. Stai facendo una tragedia per nulla. Probabilmente si tratta soltanto di uno squilibrio ormonale temporaneo dovuto alla carenza di sonno.

Mi gettai un po’ d’acqua sul viso e mi soffiai il naso. Perlomeno stanotte avrei potuto dormire sapendo che avevo un sistema di allarme alla porta. Non mi importava tanto che Ranger venisse a farmi visita alle due del mattino… ma odiavo il fatto che sgattaiolasse dentro a mia insaputa. E se avessi parlato nel sonno e lui fosse stato lì a guardarmi? E se fosse stato lì a fissare il mio brufolo?


Il Luna se ne andò dopo cena e la nonna si coricò presto, non prima di avermi mostrato l’auto nuova.

Morelli telefonò alle nove e cinque. «Scusami ma non ho potuto farmi sentire prima» disse. «È stata una di quella giornate! E tu?»

«Ho un brufolo.»

«Non posso competere con questo.»

«Conosci una donna di nome Cynthia Lotte? Si dice che fosse la fidanzata di Homer Ramos.»

«Per quel che so di Homer, cambiava ragazza come gli altri uomini cambiano i calzini.»

«Hai mai incontrato suo padre?»

«Gli ho parlato un paio di volte.»

«E la tua opinione?»

«Il tipico vecchietto greco contrabbandiere di armi. Non l’ho visto di recente.» Ci fu una pausa. «Nonna Mazur è ancora lì?»

«Già.»

Morelli tirò un lungo sospiro.

«Mia madre vuole sapere se ti piacerebbe venire a cena domani sera. Farà l’arrosto di maiale.»

«Certo» disse Morelli. «Tu ci sarai, vero?»

«Io, la nonna e Bob.»

«Oddio» disse Morelli.

Riagganciai, portai Bob a fare una passeggiata attorno all’isolato, diedi a Rex un chicco di uva passa e poi guardai la televisione per un po’. Mi addormentai più o meno a metà della partita di hockey e mi svegliai in tempo per vedere la seconda parte di un programma dedicato ai serial killer e agli avvocati. Quando il programma fu terminato controllai tre volte le serrature della porta d’ingresso e appesi il rilevatore di movimento alla maniglia: se qualcuno avesse aperto la porta l’allarme sarebbe scattato. Speravo davvero che questo non succedesse, perché dopo il programma sugli avvocati mi sentivo un po’ scossa: Ranger che fissava il mio brufolo non sembrava una cosa tanto preoccupante se paragonata a qualcuno che mi tagliava la lingua e se la portava a casa per completare la sua collezione di lingue congelate. Tanto per stare tranquilla andai in cucina e nascosi tutti i coltelli, non aveva senso facilitare le cose a un pazzo che volesse infilarsi in casa e tagliuzzarmi con il mio stesso coltello. Poi presi la pistola dal vaso dei biscotti e la ficcai sotto uno dei cuscini del divano nel caso avessi bisogno di usarla rapidamente.

Spensi le luci e mi infilai sotto la coperta del mio giaciglio di fortuna, sul divano. La nonna russava nella camera da letto. Il freezer, durante il ciclo di scongelamento, ronzava in cucina. Udii il rumore lontano della portiera di un’auto che veniva sbattuta, nel parcheggio. Tutti rumori normali, mi dissi. Allora perché il cuore mi batteva con tanta preoccupante forza? Perché avevo guardato quello stupido programma sui serial killer in televisione, ecco perché.

D’accordo, dimentica il programma. Dormi. Pensa a qualcos’altro.

Chiusi gli occhi e pensai ad Alexander Ramos, che probabilmente non era tanto diverso da quei killer perversi che mi stavano provocando le palpitazioni. Quale problema aveva Ramos? L’uomo che controllava il flusso di armi clandestine in tutto il mondo era costretto a chiedere un passaggio a una sconosciuta per comprarsi qualche sigaretta. La voce che correva sosteneva che Ramos fosse malato, ma non mi era parso né vecchio né pazzo, mentre era con me. Un po’ aggressivo, forse, non tanto paziente. Suppongo esistano luoghi dove il suo comportamento sarebbe ritenuto stravagante, ma questo era il New Jersey e mi sembrava che Ramos fosse perfetto per questo Stato.

Ero attonita al punto che a malapena gli avevo parlato, ma adesso che era trascorsa qualche ora avevo un milione di domande da fargli. Non era soltanto il desiderio di parlargli ancora un po’: avevo la bizzarra curiosità di vedere l’interno della sua casa. Quando ero bambina i miei genitori mi avevano portata a Washington a vedere la Casa Bianca. Rimanemmo lì in fila per ore, e poi fummo accompagnati in tutte le stanze aperte al pubblico. Una colossale delusione: a chi interessa la sala da pranzo del capo dello Stato? Io volevo vedere la cucina. Volevo vedere il bagno del presidente. E ora volevo vedere il tappeto del soggiorno di Alexander Ramos. Volevo esplorare la suite di Hannibal e dare un’occhiata nel frigorifero. Voglio dire, tutti loro erano stati sulla copertina del «Newsweek» perciò dovevano essere personaggi interessanti, giusto?

Questo mi fece pensare ad Hannibal, che non mi era sembrato per nulla interessante. E a Cynthia Lotte, che a sua volta non mi era parsa granché. E Cynthia Lotte nuda con Homer Ramos? Ancora niente di interessante. Bene, e allora Cynthia Lotte e Batman? Andava meglio. Un momento: Hannibal Ramos e Batman? Orrore! Corsi in bagno e mi lavai i denti. Non credo di avere una particolare fobia per l’omosessualità, ma Batman è oltre il limite.

Quando uscii dal bagno qualcuno stava armeggiando alla porta d’ingresso e grattava rumorosamente la serratura. La porta si aprì di scatto, subito bloccata dalla catenella di sicurezza, e l’allarme entrò in funzione. Quando arrivai nell’ingresso vidi il Luna che mi guardava dalla fessura tra la porta e lo stipite.

«Ehi, piccola» disse quando spensi l’allarme. «Come va?»

«Che stai facendo qui?»

«Ho dimenticato di dare a tua nonna la chiave di riserva dell’auto. Ce l’avevo in tasca. Così l’ho portata.» Mi lasciò cadere la chiave in mano. «Ragazzi, è forte questo allarme. So che ce ne sono alcuni che suonano la musica della sigla di Bonanza. Ti ricordi di Bonanza? Ragazzi, quello era un grande telefilm.»

«Come hai fatto ad aprire la porta?»

«Ho usato uno stuzzicadenti. Non volevo disturbare così tardi.»

«È stato premuroso da parte tua.»

«Il Luna cerca sempre di essere premuroso.» Mi salutò col segno della pace e se ne andò tranquillo lungo il corridoio.

Chiusi la porta e riprogrammai l’allarme. La nonna stava ancora russando in camera mia e Bob non si era mosso di un millimetro dal suo posto vicino al divano. Se il serial killer della televisione si fosse fatto vedere nel mio appartamento sarei stata completamente sola.

Cercai Rex nella gabbia e gli spiegai la faccenda dell’allarme. «Niente di cui preoccuparsi» dissi. «Lo so che è rumoroso ma almeno tu eri già sveglio e pronto a correre.» Rex era seduto in equilibrio sul suo culetto di criceto, con le zampine anteriori che gli pendevano davanti, i baffi che vibravano, le piccole orecchie di pelle sottile tese e gli occhi scuri e tondi spalancati. Lasciai cadere un pezzetto di cracker nella sua mangiatoia e lui si precipitò a ficcarselo nella tasca della guancia, poi sparì dentro la tana fatta con una lattina di zuppa. Rex sa come affrontare un momento di crisi.

Tornai al divano e mi tirai la coperta fino al petto. Niente più pensieri su Batman, mi dissi. E basta sbirciare sotto la sua tutina gommata. E basta con i serial killer. E anche con Joe Morelli visto che avrei potuto avere la tentazione di chiamarlo e chiedergli di sposarmi… o qualcosa del genere.

E allora a che cosa dovevo pensare? Per esempio, alla nonna che russava? Il rumore era abbastanza forte da compromettere il mio udito per il resto della vita. Mi sarei messa il cuscino sulla testa, ma in questo modo non avrei sentito l’allarme e il serial killer sarebbe potuto entrare e avrebbe potuto tagliarmi la lingua. Oh, merda, ecco che ricominciavo a pensare al serial killer!

Ci fu ancora rumore alla porta. Cercai di guardare l’orologio al buio. Doveva essere l’una. La porta si aprì con uno scatto e l’allarme si azionò. Senza dubbio Ranger. Mi passai una mano tra i capelli e mi assicurai che il cerotto fosse sempre al suo posto. Indossavo pantaloncini di flanella e una T-shirt bianca e all’ultimo momento fui presa dal panico che i capezzoli potessero vedersi attraverso la maglietta. Maledizione! Avrei dovuto pensarci prima. Mi affrettai ad andare nell’ingresso per spegnere l’allarme, ma prima che potessi raggiungere la porta un paio di tenaglie spuntò tra l’anta e lo stipite, fece saltare la catenella di sicurezza e la porta si spalancò.

«Ehi» dissi a Ranger «questo è barare!»

Ma non era Ranger quello che entrò dalla porta scassinata. Era Morris Munson. Strappò via il congegno antifurto dalla maniglia della porta e lo colpì con le tenaglie. L’allarme emise un ultimo gemito e morì. La nonna stava ancora russando. Bob era sempre pacificamente sdraiato vicino al divano. E Rex era in piedi sull’attenti a recitare la sua imitazione dell’orso grizzly.

«Sorpresa» disse Munson, chiudendo la porta e inoltrandosi nell’ingresso. La scacciacani, lo spray urticante, la torcia a manganello e la limetta per le unghie erano tutti nella borsa appesa a un gancio, fuori portata, alle spalle di Munson. La pistola era da qualche parte sotto i cuscini del divano, ma in realtà non volevo davvero usare la pistola: le armi mi spaventano a morte… e ammazzano la gente. Ammazzare la gente non è tra le prime voci nella lista delle mie cose preferite.

Forse avrei dovuto essere felice di vedere Munson. Voglio dire, in fin dei conti io avrei dovuto cercarlo, no? Ed eccolo qui, che si presentava spontaneamente a casa mia.

«Fermati dove sei» dissi. «Hai violato le regole della libertà su cauzione e sei sotto mandato di arresto.»

«Tu hai rovinato la mia vita» disse. «Io ho fatto di tutto per te, e tu hai rovinato la mia vita. Ti sei presa tutto. La casa, la macchina, i mobili…»

«Quella era la tua ex moglie, stupido! Assomiglio forse alla tua ex moglie?»

«Più o meno.»

«Per niente!» Specialmente visto che la sua ex moglie era morta, con le impronte degli pneumatici disegnate sulla schiena. «Come mi hai trovata?»

«Un giorno ti ho seguita fino a casa. È difficile perdere le tue tracce con quella Buick.»

«Non pensi veramente che io sia tua moglie, vero?»

Le sue labbra si tesero in un sorriso ambiguo. «No, ma se faccio credere di essere veramente fuori di testa posso reclamare l’incapacità di intendere e volere. Un povero marito sconvolto che diventa pazzo. Con te ho gettato tutte le basi, ora non mi resta che massacrarti e darti fuoco, e tornerò a casa libero.»

«Sei pazzo!»

«Lo vedi, sta già funzionando.»

«Be’, non ti andrà bene, perché sono una professionista ben allenata nella difesa personale.»

«Non dire balle. Ho chiesto in giro: tu non sei allenata a niente. Vendevi biancheria intima per signora finché non sei stata licenziata.»

«Non sono stata licenziata. Sono stata sospesa dall’incarico.»

«Qualunque cosa sia.» Aprì la mano, tenne il palmo verso l’alto e mi mostrò un coltello a serramanico. Premette il bottone e la lama scattò fuori. «Ora, se tu collabori non farà troppo male. Non ti voglio uccidere. Ho pensato di accoltellarti un paio di volte perché la scena venga bene. Magari tagliarti via un capezzolo.»

«Non pensarci neanche!»

«Ascoltami, signorina, lasciami in pace, d’accordo? Devo affrontare un’accusa per omicidio.»

«È una stupidaggine. Non funzionerà mai! Hai parlato col tuo avvocato di questo?»

«Non posso permettermi un avvocato! Mia moglie mi ha fottuto tutto, mi ha ripulito.»

Un centimetro dopo l’altro stavo arretrando verso il divano mentre parlavamo. Ora che conoscevo il suo piano di tagliarmi via un capezzolo, usare la pistola non mi sembrava una cattiva idea.

«Ferma lì» disse. «Non vorrai che ti dia la caccia in giro per tutto l’appartamento, vero?»

«Volevo solo sedermi, non mi sento tanto bene.»

E questo non era poi molto lontano dalla verità. Il cuore mi batteva all’impazzata nel petto, e avevo cominciato a sudare freddo. Mi lasciai cadere sul divano e affondai le dita nella fessura tra i cuscini. Niente pistola. Frugai con la mano sotto il cuscino accanto a me. Ancora niente.

«Che cosa stai facendo?» domandò lui.

«Sto cercando una sigaretta» dissi. «Ho bisogno di un’ultima sigaretta per calmare i nervi.»

«Scordatelo. È arrivata l’ora.» Mi si scagliò contro con il coltello, io mi scansai e lui conficcò il coltello nel cuscino del divano.

Gridai e arrancai a quattro zampe in cerca della pistola finché la trovai sotto il cuscino centrale. Munson mi venne addosso di nuovo, e io gli sparai a un piede.

Bob aprì un occhio.

«Figlia di puttana!» strillò Munson, lasciando cadere il coltello e afferrandosi il piede. «Figlia di puttana!»

Io arretrai tenendolo sotto tiro. «Sei in arresto.»

«Sono ferito. Sono ferito. Morirò. Morirò dissanguato.»

Entrambi abbassammo lo sguardo sul suo piede. Il sangue non stava esattamente sgorgando fuori. C’era una macchiolina sul mignolo.

«Devo averti colpito solo di striscio» dissi.

«Gesù» disse «che tiro maldestro. Eri proprio su di me. Come puoi aver mancato il mio piede?»

«Vuoi che ci riprovi?»

«Ormai è tutto rovinato. Hai rovinato tutto come al solito. Ogni volta che io ho un piano tu lo mandi all’aria. Avrebbe funzionato tutto alla perfezione. Dovevo venire qui, tagliarti un capezzolo e darti fuoco. Ma adesso è andato tutto a puttane.» Gettò le braccia in aria pieno di disgusto. «Donne!» Si voltò e cominciò a zoppicare in direzione della porta.

«Ehi» strillai «dove stai andando?»

«Me ne vado. Il dito del piede mi fa un male da morire. E guarda la scarpa. C’è un gran buco. Pensi che le scarpe crescano sugli alberi? Lo vedi, è questo che voglio dire. Tu non hai rispetto per nessuno se non per te stessa. Voi donne siete tutte uguali. Prendete, prendete, prendete. Dammi, dammi, dammi.»

«Non preoccuparti per la scarpa. Lo Stato provvederà a fartene avere un paio nuove.» Insieme con un bel maglione arancione e un paio di catene per le caviglie.

«Scordatelo. Io non tornerò in galera finché non saranno tutti convinti che sono pazzo.»

«Io ne sono già convinta. E inoltre ho una pistola e ti sparerò di nuovo se mi costringerai.»

Lui tenne le mani in alto. «Avanti, spara.»

Non soltanto non riuscivo a sparare a un uomo disarmato, ma avevo anche finito le munizioni. Erano sulla mia lista di cose da comprare. Latte, pane, pallottole.

Gli passai accanto, presi la borsetta dal gancio a muro e rovesciai tutto sul pavimento, poiché era il modo più veloce per trovare le manette e lo spray urticante. Sia io sia Munson ci gettammo sulle cianfrusaglie sparse per terra e vinse lui: si prese lo spray urticante e fece un salto verso la porta. «Se mi segui ti spruzzo» disse.

Lo guardai mentre se ne andava a una specie di galoppo lungo il corridoio, facendo attenzione al piede ferito. Si fermò all’ascensore e mi mostrò la bomboletta di spray urticante, agitandomela davanti al naso. «Tornerò» disse. Poi entrò in ascensore e scomparve.

Chiusi la porta a chiave. Fantastico… per quello che contava. Andai in cucina a cercare qualcosa che mi fosse di conforto. La torta era finita. Negli oscuri recessi della credenza non era nascosta nessuna barretta al cioccolato. Nessuna bevanda alcolica. Niente snack al formaggio. Il vasetto di burro di arachidi era vuoto.

Bob e io provammo con un paio di olive, ma non erano affatto ciò che la situazione richiedeva. «Avrebbero bisogno quanto meno di una glassatura» dissi a Bob.

Raccolsi alla meglio le cianfrusaglie sparse sul pavimento dell’ingresso e le gettai di nuovo dentro la borsa. Misi l’allarme distrutto sul mobile, spensi le luci e tornai al divano. Giacqui così nel buio, ma la minaccia con cui Munson se n’era andato mi risuonava in testa. Davvero non importava se fosse pazzo intenzionalmente o realmente; di base c’era il fatto che ero andata molto vicina a rimanere senza capezzoli. Probabilmente non sarei più riuscita a dormire finché non avessi messo una porta blindata. Aveva detto che sarebbe tornato, e non sapevo se fosse una questione di ore o di giorni.

Il problema era che a malapena riuscivo a tenere gli occhi aperti. Provai a cantare, ma scivolai nel sonno più o meno a metà di Novantanove bottiglie di birra sul muro. L’ultima cosa che ricordavo era di aver contato fino a cinquantasette bottiglie di birra, e poi fui svegliata di soprassalto dalla sensazione di non essere sola nella stanza.

Rimasi sdraiata, immobile, con il cuore che batteva furiosamente e i polmoni bloccati come in un fermo immagine. Non avevo sentito rumore di passi sul tappeto. Nell’aria attorno a me non sentivo l’odore del corpo di un uomo impazzito e sconvolto. C’era solo l’irrazionale consapevolezza che qualcuno si trovava nel mio spazio. E poi, senza preavviso, delle dita si posarono sul mio polso, e io fui improvvisamente in azione. L’adrenalina ebbe un’impennata e mi catapultai giù dal divano addosso all’intruso.

Entrambi fummo colti di sorpresa e inciampammo sul tavolino del salotto, finendo per terra in un groviglio di braccia e gambe. E in un attimo io mi ritrovai bloccata sotto di lui, la qual cosa non fu un’esperienza del tutto spiacevole non appena mi resi conto che si trattava di Ranger. Eravamo bacino contro bacino, petto contro petto, le sue mani allacciate ai miei polsi. Passò un istante durante il quale non facemmo altro che respirare.

«Bel placcaggio, bambina» disse. E poi mi baciò. Nessun dubbio sull’intenzione, questa volta. Non il tipo di bacio che si darebbe a una cugina, per esempio. Più il genere di bacio che un uomo darebbe a una donna quando muore dalla voglia di strapparle di dosso i vestiti e darle una buona ragione per cantare l’Alleluja.

Mi baciò ancora più profondamente e infilò le mani sotto la mia T-shirt, appoggiando i palmi aperti sulla pancia. Una scarica di calore elettrico mi contrasse i capezzoli. Grazie a Dio li avevo ancora tutti e due!

La porta della camera da letto si aprì rumorosamente e la nonna mise fuori la testa. «Va tutto bene, qui?»

Grandioso. Adesso si sveglia!

«Sì. Tutto perfetto» dissi.

«È Ranger quello sopra di te?»

«Mi stava mostrando una mossa per la difesa personale» tentai di giustificarmi.

«Non mi dispiacerebbe imparare un po’ di difesa personale» disse la nonna.

«Be’, abbiamo quasi finito.»

Ranger rotolò giù da me, sdraiandosi sulla schiena. «Se lei non fosse sua nonna le sparerei.»

«Accidenti» disse la nonna «mi perdo sempre la parte migliore.»

Balzai in piedi e misi a posto la T-shirt. «Non ti sei persa molto. Stavo giusto per fare un po’ di cioccolata calda, ne vuoi?»

«Certo» disse la nonna. «Vado a mettermi la vestaglia.»

Ranger sollevò lo sguardo su di me. Nella stanza era buio, solo una lama di luce veniva dalla porta aperta della camera da letto. E tuttavia c’era abbastanza illuminazione perché potessi vedere che la sua bocca sorrideva ma gli occhi erano seri. «Salvata dalla nonna.»

«Vuoi della cioccolata calda?»

Mi seguì in cucina. «Passo.»

Gli diedi il foglietto con il disegno della casa. «Qui c’è lo schizzo che volevi.»

«C’è nient’altro che vuoi dirmi?»

Sapeva di Alexander Ramos. «Come lo sai?»

«Stavo sorvegliando la casa sulla spiaggia. Ti ho vista far salire Ramos in macchina.»

Versai il latte in due tazze e le misi nel forno a microonde. «Che cos’è questa faccenda? Mi ha fermato per mendicare una sigaretta.»

Ranger sorrise. «Hai mai provato a smettere di fumare?»

Scossi la testa.

«Allora non puoi capire.»

«Tu fumavi?»

«Io ho fatto di tutto.» Prese il rivelatore di movimento dal mobile e se lo rigirò in mano. «Ho visto che la catena di sicurezza è rotta.»

«Non sei stato l’unica visita di stanotte.»

«Che cosa è successo?»

«Uno che non si era presentato all’udienza in tribunale ha fatto irruzione nel mio appartamento. Gli ho sparato a un piede e se n’è andato.»

«Evidentemente non hai letto il Manuale del cacciatore di latitanti. Noi dovremmo soltanto prendere i brutti ceffi e trascinare il loro fottuto culo in galera.»

Mescolai il cacao al latte caldo. «Ramos vuole che io ritorni oggi. Mi ha offerto un lavoro come contrabbandiere di sigarette.»

«È un lavoro che non devi accettare. Alexander può essere molto impulsivo, e stravagante. E paranoico. È sotto cure mediche, ma non sempre le segue. Hannibal ha assunto delle guardie del corpo per tenere d’occhio il vecchio, ma lui le sta facendo sembrare dilettanti: sgattaiola via sotto il loro naso ogni volta che ne ha la possibilità. Tra lui e Hannibal si sta svolgendo una battaglia molto dura e tu non devi rimanere intrappolata in mezzo al fuoco.»

«Non è bellissimo?» disse la nonna, entrando in cucina e prendendo la sua tazza di cioccolata. «È molto più divertente vivere con te. Noi non ricevevamo mai visite di uomini nel bel mezzo della notte, quando vivevo da tua madre.»

Ranger ripose l’allarme sul mobile. «Devo andare. Godetevi la cioccolata calda.»

Lo accompagnai alla porta. «C’è altro che devo fare? Controllare la tua posta? Dar l’acqua alle piante?»

«La mia posta viene rispedita all’avvocato e a dar l’acqua alle piante ci penso io stesso.»

«Perciò ti senti al sicuro nella tua tana?»

Gli angoli della bocca gli si curvarono in un accenno di sorriso. Si chinò e mi baciò alla base del collo, proprio sopra il bordo della T-shirt. «Sogni d’oro.»

Prima di andarsene salutò la nonna, che era rimasta in cucina.

«Che bel giovane educato» disse la nonna. «E ha un eccellente involucro.»

Andai dritta all’armadio, trovai la bottiglia di alcolico e ne versai un po’ nella cioccolata calda.


La mattina successiva la nonna e io avevamo i postumi di una sbornia.

«Devo smetterla di bere cioccolata calda nel bel mezzo della notte» disse la nonna. «Mi sembra che gli occhi mi stiano per esplodere. Forse dovrei andare a fare un controllo per il glaucoma.»

«Meglio ancora, perché non fai un controllo per il livello di alcol nel sangue?»

Presi un paio di aspirine e mi trascinai fino al parcheggio. Habib e Mitchell erano là, seduti ad aspettare, in un piccolo furgone verde con due seggiolini per bambini sul sedile posteriore, ma non c’era alcun bambino.

«È un’ottima auto per un pedinamento» dissi. «Proprio adatta.»

«Non cominciare» replicò Mitchell. «Non sono di buon umore.»

«È l’auto di tua moglie, vero?»

Mi gettò un’occhiata tetra.

«Giusto per rendervi la vita più semplice, in modo che non vi perdiate, tanto vale dirvi che per prima cosa andrò in ufficio.»

«Odio quel posto» disse Habib. «È maledetto! Porta male!»

Mi diressi in ufficio e parcheggiai giusto davanti all’ingresso. Habib rimase un isolato più indietro e tenne il motore acceso.

«Ehi, ragazza» disse Lula. «Dov’è Bob?»

«È con la nonna. Oggi dormono fino a tardi.»

«Sembra che anche tu avresti avuto bisogno di dormire ancora un po’. Hai un aspetto orribile: se il resto della tua faccia fosse nero come i cerchi sotto gli occhi potresti trasferirti nel mio quartiere. Certo, c’è di buono che con le occhiaie scure e gli occhi iniettati di sangue a mala pena si nota quel grosso e brutto brufolo.»

E ciò che c’era davvero di buono era che in quel momento non me ne fregava niente del brufolo. È curioso il modo in cui una cosa da nulla come rischiare la vita possa far guardare a un brufolo da una prospettiva completamente diversa. Quello di cui mi importava quel giorno era inchiodare Munson. Non volevo affrontare un’altra notte insonne, a preoccuparmi di andare a fuoco.

«Ho la sensazione che Morris Munson questa mattina sia di nuovo a casa sua» dissi a Lula. «Ci sto andando e ho intenzione di saltargli addosso una volta per tutte.»

«Vengo con te» disse Lula. «Non mi dispiacerebbe mettere le mani su qualcuno oggi. In effetti, sono proprio dell’umore giusto.»

Presi la pistola dalla borsa. «Sono un po’ giù di munizioni» dissi a Connie. «Ne hai qualcuna di scorta in giro?»

Vinnie fece capolino dall’ufficio. «Metti munizioni nella pistola? Ho sentito bene? È un’occasione speciale?»

«Mi capita spesso di avere la pistola carica» dissi, stringendo gli occhi inviperita. «In effetti, proprio la notte scorsa ho sparato a qualcuno.»

Ci fu un sobbalzo collettivo.

«A chi hai sparato?» domandò Lula.

«A Morris Munson. È entrato in casa mia.»

Vinnie si precipitò nella stanza. «Dov’è? È morto? Non lo hai colpito alla schiena vero? Non faccio che ripetere a tutti: non colpite mai alle spalle!»

«Non gli ho sparato alla schiena. Gli ho sparato a un piede.»

«E allora? Dov’è?»

«Santo cielo» disse Lula. «Gli hai sparato a un piede con l’ultima pallottola, vero? Spari a vuoto e finiscono le munizioni.» Scosse la testa. «Non è odioso quando succede?»

Connie tornò dalla stanza sul retro con una scatola di munizioni. «Sei sicura di volerle?» mi domandò. «Non hai davvero un bell’aspetto. Non so se sia una buona idea dare a una donna una scatola di munizioni quando ha un brufolo.»

Misi quattro pallottole nel caricatore e gettai la scatola nella borsa. «Sto benissimo.»

«Ecco una donna che ha un piano in mente» disse Lula.

Ecco una donna che ha i postumi di una sbornia e che vuole soltanto arrivare alla fine della giornata.

A metà strada verso la casa di Munson, in Rockwell Street, accostai al marciapiede e vomitai. Habib e Mitchell ridacchiarono alle mie spalle.

«Deve essere stata una notte speciale» disse Lula.

«Non ho voglia di pensarci.» Ed era più di un semplice modo di dire: davvero non volevo pensarci. Voglio dire, che diavolo era questa cosa tra me e Ranger? Dovevo essere pazza! E non riuscivo a credere di essere rimasta lì a sedere e a bere bourbon e cioccolata calda con la nonna. Non sono una buona bevitrice, mi ubriaco con due bottiglie di birra. Mi sentivo come se il cervello fosse stato sparato nell’iperspazio e il corpo fosse rimasto indietro.

Guidai per altri cinquecento metri e svoltai nel vialetto di accesso del McDonald’s per il mio infallibile rimedio contro i postumi della sbornia: patatine fritte e Coca Cola.

«Già che siamo qui potrei prendere qualcosa anch’io» disse Lula. «Uova, dolcetti, patatine, frullato al cioccolato e un Big Mac» disse ad alta voce sporgendosi davanti a me.

Sentii che stavo diventando verde. «Questo sarebbe uno spuntino?»

«Già, proprio così» disse. «Be’, lasciamo perdere le patatine.»

Il ragazzo che serviva le auto mi allungò il sacchetto del cibo e guardò il sedile posteriore della Buick. «Dov’è il suo cane?»

«A casa.»

«Peccato. È stato davvero grandioso la volta scorsa. Dio, era proprio una montagna di…»

Pestai sull’acceleratore e volai via. Quando arrivammo a casa di Munson il cibo era finito e io mi sentivo molto meglio.

«Che cosa ti fa pensare che quel pazzo sia ritornato?» domandò Lula.

«È solo una sensazione. Avrà avuto bisogno di medicarsi il piede e di prendere un altro paio di scarpe. Al suo posto, io sarei tornata a casa per fare queste cose. Ed era notte inoltrata. Trovandomi già lì avrei voluto dormire nel mio letto.»

Dall’aspetto esteriore della casa non era possibile dedurre niente. Le finestre non erano illuminate. Non c’era segno di vita all’interno. Feci il giro dell’isolato e presi il vialetto che conduceva al garage. Lula balzò fuori e guardò attraverso la finestra del garage.

«C’è! Bene» disse risalendo in auto. «O almeno, quel catorcio di macchina c’è.»

«Hai la scacciacani e lo spray urticante?»

«Un elefante ha la proboscide? Potrei invadere la Bulgaria con l’attrezzatura che tengo nella borsa.»

Tornai davanti alla casa e lasciai lì Lula per sorvegliare la porta principale, poi parcheggiai l’auto in un vicolo due abitazioni più avanti, fuori dalla vista di Munson. Habib e Mitchell parcheggiarono dietro di me con la macchinina per bambini, chiusero le portiere con la sicura e aprirono i loro sacchetti con la colazione di McDonald’s.

Superai due cortili, arrivai sul retro della casa di Munson e con cautela guardai attraverso la finestra della cucina. Tutto tranquillo. Una scatola di cerotti e un pacchetto di fazzoletti di carta si trovavano sul tavolo da pranzo. Sono un genio o no? Feci un passo indietro e guardai in alto verso il secondo piano. Si udiva un rumore molto attutito di acqua che scorreva. Munson stava facendo la doccia. Accidenti, le cose non potevano mettersi meglio di così.

Provai ad aprire la porta. Chiusa. Tentai con le finestre. Chiuse. Stavo per romperne una quando Lula venne ad aprire la porta posteriore dall’interno.

«Non era una gran serratura quella dell’ingresso principale.»

Evidentemente dovevo essere l’unica persona al mondo incapace di scassinare una porta.

Rimanemmo in cucina in ascolto. L’acqua scorreva ancora al piano di sopra. Lula teneva lo spray urticante in una mano e la scacciacani nell’altra. Io ne avevo una libera e nell’altra le manette. Salimmo le scale con cautela e ci fermammo sul pianerottolo. La casa era piccola. Due camere da letto e un bagno al secondo piano. Le porte delle camere erano aperte e le stanze erano vuote. Il bagno era chiuso. Lula si mise con la schiena al muro, a un lato della porta, pronta a spruzzare con la bomboletta. Io mi appostai all’altro lato. Entrambe sapevamo esattamente come muoverci perché avevamo guardato i film polizieschi in televisione. Sembrava che Munson non avesse mai armi con sé ed era improbabile che facesse la doccia armato, ma un po’ di cautela non guastava.

«Al tre» bisbigliai a Lula, con la mano sulla maniglia della porta. «Uno, due, tre!»

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