Capitolo 11

Il primo piano era vuoto, e così pure il seminterrato. Qui c’era una piccola stanza di servizio e un’ampia sala da gioco con un televisore a schermo gigante, un tavolo da biliardo e un mobiletto bar. Mi venne in mente che nel seminterrato poteva esserci qualcuno che guardava la televisione e la casa sarebbe comunque apparsa scura e disabitata dall’esterno.

C’erano tre camere da letto al primo piano, anch’esse senza traccia di vita umana. Una stanza era chiaramente quella principale. Un’altra era stata trasformata in ufficio, con librerie a muro e una grande scrivania dal ripiano ricoperto di pelle. E la terza camera da letto era quella degli ospiti. Fu quella a catturare il mio interesse; sembrava che ci vivesse qualcuno: le lenzuola erano in disordine, vestiti da uomo erano appoggiati su una delle sedie, un paio di scarpe era stato gettato in un angolo della stanza.

Perquisii i cassetti e gli armadi, controllando le tasche degli abiti in cerca di qualcosa che potesse identificare l’ospite. Non c’era niente. Gli abiti erano costosi. Immaginai che il loro proprietario dovesse essere di statura media e di media costituzione, al di sotto del metro e ottanta e probabilmente sugli ottanta chili. Confrontai i pantaloni con quelli che si trovavano nella camera principale: Ramos aveva un giro vita maggiore e un gusto più classico. Il bagno di Hannibal era adiacente alla camera da letto principale, quello degli ospiti era in fondo al corridoio: nessuno dei due riservava sorprese, con la sola eccezione di alcuni preservativi nel bagno degli ospiti. L’ospite si aspettava un po’ di movimento.

Passai nell’ufficio, controllai prima di tutto la libreria. Biografie, un atlante, un po’ di narrativa. Mi sedetti alla scrivania. Non c’erano agende né rubriche di indirizzi. C’era solo un blocchetto per appunti e una penna. Nessun messaggio. Un computer portatile. Lo accesi. Niente sul desktop. Tutto ciò che trovai sull’hard disk appariva innocuo. Hannibal era molto cauto. Spensi il computer e rovistai nei cassetti. Anche qui, niente. Hannibal era ordinato. La sua presenza lasciava un disordine minimo. Mi domandai se la sua suite nella villa sulla spiaggia fosse nelle stesse condizioni.

La persona che stava nella stanza degli ospiti non era altrettanto ordinata. La sua scrivania, dovunque si trovasse, doveva essere un vero disastro.

Non avevo trovato armi nelle stanze al piano superiore. Poiché sapevo con certezza che Hannibal aveva almeno una pistola, questo significava probabilmente che la teneva con sé. Non sembrava il tipo di persona che lascia la propria arma nel vaso dei biscotti.

Subito dopo tornai nel seminterrato. Non c’era molto su cui investigare laggiù.

«Che delusione» dissi a Lula chiudendomi la porta della cantina alle spalle. «Non c’è niente qui.»

«Non ho trovato niente neppure a questo piano» confermò lei. «Nessuna scatola di fiammiferi con l’indirizzo di qualche bar, niente armi nascoste sotto i cuscini del divano. C’è qualcosa da mangiare nel frigorifero. Birra, succo di frutta, qualche fetta di pane e qualche piatto freddo. C’è anche qualche lattina di gazzosa. E questo è tutto.»

Andai al frigorifero e osservai l’involucro dei piatti freddi. Erano stati acquistati allo Shop Rite due giorni prima. «Questo è davvero inquietante» dissi a Lula. «Qualcuno vive in questa casa.» Ciò che pensai ma non dissi fu che chiunque fosse poteva tornare in qualsiasi momento.

«Già, e non se ne intende molto di piatti freddi» disse Lula. «Ha comprato petto di pollo e formaggio svizzero quando avrebbe potuto avere salame e provolone.»

Eravamo in cucina, a guardare dentro al frigorifero, e non prestavamo molta attenzione a ciò che succedeva davanti alla casa. Si udì il rumore di una serratura che scattava e Lula e io ci irrigidimmo.

«Oh-oh» disse Lula.

La porta si aprì. Cynthia Lotte mosse qualche passo all’interno e socchiuse gli occhi per guardarci nella luce tenue. «Che cosa diavolo state facendo qui?» domandò.

Lula e io eravamo senza parole.

«Diglielo» fece Lula, dandomi di gomito. «Dille che cosa stiamo facendo qui.»

«Non preoccuparti di che cosa ci facciamo noi» dissi. «Che cosa ci fai tu

«Non sono affari vostri. E comunque io ho una chiave, perciò è ovvio che sono di casa, qui.»

Lula tirò fuori una Glock. «Bene, io ho una pistola, perciò credo che siamo due a uno per noi.»

Cynthia tirò fuori dalla borsetta una calibro .45. «Anche io ho una pistola. Siamo pari.»

Entrambe si voltarono a guardare me.

«Io ho una pistola a casa» dissi. «Ho dimenticato di portarla.»

«Questo non conta» fece Cynthia.

«Qualcosa conta» replicò Lula. «Non è come se non avesse affatto una pistola. E inoltre lei è terribile quando ha la pistola. Una volta ha ucciso un uomo.»

«Mi ricordo di averlo letto sul giornale. A Dickie è quasi venuto un infarto, pensava che potesse avere una pessima ripercussione su di lui.»

«Dickie è gradevole come le emorroidi» dissi.

Cynthia sorrise senza allegria. «Tutti gli uomini fanno quest’effetto.» Si guardò attorno. «Di solito venivo qui con Homer, quando Hannibal era fuori città.»

Questo spiegava la chiave. E forse anche i preservativi nel bagno. «Homer teneva i propri vestiti nella stanza degli ospiti?»

«Un paio di camicie. Un po’ di biancheria.»

«Ci sono degli abiti di sopra, nella stanza degli ospiti. Forse potresti dare un’occhiata e dirmi se sono di Homer.»

«Prima voglio sapere che cosa state facendo qui.»

«Un mio amico è un possibile sospetto per l’incendio e per l’assassinio di Homer. Sto cercando di chiarire che cosa è successo davvero.»

«E tu che cosa pensi? Che Hannibal abbia ucciso il fratello?»

«Non lo so. Sto andando a tentoni.»

Cynthia si diresse verso le scale. «Lasciate che vi dica qualcosa di Homer: tutti volevano ucciderlo. Compresa la sottoscritta. Homer era un bugiardo, un verme traditore. La sua famiglia non faceva altro che pagare cauzioni per tirarlo fuori di galera. Se io fossi stata nei panni di Hannibal, avrei sparato a Homer molto tempo prima, ma i legami familiari dei Ramos sono molto forti.»

La seguimmo su per le scale fino alla stanza degli ospiti e aspettammo sulla soglia mentre entrava e dava un’occhiata in giro.

«Alcuni di questi sono certamente abiti di Homer» disse, esaminando il contenuto dei cassetti. «Altri non li ho mai visti prima d’ora.» Diede un calcio a un paio di boxer di seta a disegni fantasia che giacevano sul pavimento. «Avete visto questi?» Prese la mira e sparò cinque colpi contro i boxer. «Questi erano di Homer.»

«Dannazione» disse Lula «non risparmiarli.»

«Sapeva essere davvero affascinante» disse Cynthia. «Ma la sua attenzione durava poco quando si trattava di donne. Pensavo fosse innamorato di me. Speravo di poterlo cambiare.»

«Che cosa è successo che ha fatto cambiare idea a te, invece?»

«Due giorni prima che fosse ucciso mi ha detto che la nostra storia era finita. Mi ha detto cose molto sgradevoli, mi ha detto che se gli avessi creato qualche problema mi avrebbe fatta fuori, e poi mi ha svuotato il cofanetto dei gioielli e ha preso la mia auto. Ha detto che aveva bisogno di soldi.»

«Lo hai denunciato alla polizia?»

«No. Gli ho creduto quando ha detto che mi avrebbe ammazzata.» Ripose la pistola nella tasca della giacca. «Comunque, a un certo punto ho pensato che forse Homer non aveva avuto tempo di rivendere i miei gioielli… che forse li aveva nascosti qui.»

«Ho perlustrato tutta la casa» dissi «e non ho visto gioielli da donna, ma se vuoi guardare tu stessa sei la benvenuta.»

Lei si strinse nelle spalle. «È passato troppo tempo. Avrei dovuto venire a controllare prima.»

«Non avevi paura di incontrare Hannibal?» chiese Lula.

«Contavo sul fatto che Alexander fosse venuto per partecipare ai funerali, e Hannibal fosse perciò nella residenza sulla costa.»

Scendemmo tutte al piano terra.

«E in garage?» domandò Cynthia. «Ci avete guardato? Non credo che abbiate trovato la mia Porsche argentata.»

«Dannazione» disse Lula, molto impressionata. «Tu hai una Porsche?»

«Homer me l’aveva regalata per l’anniversario dei nostri primi sei mesi insieme.» Sospirò. «Come ho detto, Homer sapeva essere davvero affascinante.»

In quel caso «affascinante» stava per «generoso».

Hannibal aveva un box a due posti adiacente alla casa. La porta del garage si trovava subito fuori dall’ingresso ed era chiusa con un catenaccio. Cynthia l’aprì e accese la luce. Ed eccola lì… la Porsche argentata.

«La mia Porsche!» strillò Cynthia. «Non avrei mai creduto di rivederla.» Smise di strillare e arricciò il naso. «Che cos’è questo odore?»

Lula e io ci guardammo. Conoscevamo quell’odore.

«Oh-oh» disse Lula.

Cynthia corse verso l’auto. «Spero che mi abbia lasciato le chiavi. Spero…»

Si interruppe bruscamente e guardò dentro l’auto attraverso il finestrino. «C’è qualcuno che dorme nella mia macchina.»

Lula e io facemmo una smorfia e Cynthia cominciò a urlare. «È morto! È morto! È morto nella mia Porsche!»

Lula e io ci avvicinammo e guardammo dentro.

«Già. È morto stecchito» confermò Lula. «La causa sono quei tre buchi nella fronte. Sei fortunata» disse a Cynthia «sembra che questo tizio abbia avuto a che fare con una calibro .22. Se gli avessero sparato con una .45 ci sarebbe cervello sparso dappertutto. Un proiettile calibro .22 entra e va un po’ in giro per il cranio, come Pacman.»

Difficile dirlo con il corpo accasciato sul sedile, ma pareva alto circa un metro e settanta, forse in sovrappeso di una ventina di chili. Capelli scuri tagliati corti, sui quarantacinque anni. Indossava una camicia di maglina e un cappotto sportivo. Al dito mignolo un anello di diamanti. Tre fori nella testa.

«Lo riconosci?» domandai a Cynthia.

«No. Non l’ho mai visto prima. È terribile. Com’è potuto accadere? C’è del sangue sui rivestimenti.»

«Non è così grave, considerando che si è preso tre pallottole in testa» disse Lula. «Un consiglio: non usare acqua calda per toglierlo. L’acqua calda fa coaugulare il sangue.»

Cynthia aprì la portiera e cercò di trascinare il tizio morto fuori dall’auto, ma il cadavere non collaborava.

«Mi farebbe comodo un po’ d’aiuto» disse Cynthia. «Qualcuno vada dall’altra parte e lo spinga.»

«Ehi, aspetta un minuto» dissi. «Questa è la scena del delitto. Dovresti lasciare tutto come sta.»

«Col cavolo» disse Cynthia. «Questa è la mia auto e io me ne andrò con lei. Lavoro per un avvocato, so quello che succede: requisirebbero l’auto fino al giorno del giudizio universale. E poi probabilmente la consegnerebbero a sua moglie.» Aveva tirato fuori il corpo per metà, ma le gambe erano rigide e non si piegavano.

«Avremmo bisogno di quei due tizi che ho visto in televisione» disse Lula. «Tagliavano in due un uomo e non facevano neanche tanto disordine.»

Cynthia aveva afferrato la testa, sperando di far leva in qualche modo. «Il piede si è incastrato nella leva del cambio. Qualcuno gli dia un calcio.»

«Non guardare me» disse Lula. «La gente morta mi fa venire i brividi. Non ho intenzióne di toccare nessun cadavere.»

Cynthia afferrò la giacca dell’uomo e tirò. «È impossibile. Non riuscirò mai a tirare fuori questo idiota dalla mia auto.»

«Forse potremmo lubrificarlo» disse Lula.

«Forse potreste aiutarmi» disse Cynthia. «Vai dall’altra parte e metti un piede contro il suo sedere mentre Stephanie mi aiuta a tirare.»

«Finché si tratta solo di un piede» disse Lula. «Suppongo di poterlo fare.»

Cynthia prese la testa di quell’uomo e io afferrai saldamente il davanti della camicia, mentre Lula lo spingeva fuori con un colpo assestato a dovere.

Lo lasciammo cadere immediatamente e facemmo un passo indietro.

«Chi pensi che lo abbia ucciso?» domandai. Senza aspettarmi una risposta, in realtà.

«Homer, naturalmente» disse Cynthia.

Scossi la testa. «È morto da troppo poco tempo per essere stato ucciso da Homer.»

«Hannibal?»

«Non penso che Hannibal lascerebbe un cadavere nel suo stesso garage.»

«Be’, non mi interessa chi lo ha ucciso» disse Cynthia. «Adesso ho la Porsche e me ne vado a casa.»

Il tizio morto giaceva raggomitolato sul pavimento con le gambe piegate in modo innaturale, i capelli spettinati, la camicia fuori dai pantaloni.

«Che ne facciamo di lui?» domandai. «Non possiamo semplicemente lasciarlo qui in questo modo. Sembra che stia così… scomodo.»

«È per via delle gambe» disse Lula. «Si sono irrigidite mentre era seduto.» Prese una sedia da giardino da una pila in fondo al garage e la mise accanto al tizio morto. «Se lo mettiamo su una sedia sembrerà più naturale, come se stesse aspettando un passaggio o qualcosa del genere.»

Così lo sollevammo, lo mettemmo sulla sedia e ci scostammo un po’ per dare un’occhiata. Quando ci allontanammo, però, lui cadde dalla sedia. Faccia a terra.

«Meno male che è morto» disse Lula «altrimenti si sarebbe fatto un male del diavolo.»

Lo mettemmo di nuovo a sedere sulla sedia e questa volta lo avvolgemmo con una corda elastica. Il naso era leggermente schiacciato e un occhio si era chiuso a causa dell’impatto dopo la caduta» così che uno era aperto e l’altro no, ma a parte questo aveva un discreto aspetto. Ci allontanammo nuovamente e lui rimase al suo posto.

«Me ne vado» disse Cynthia. Abbassò tutti i finestrini dell’auto, premette il pulsante di apertura del garage, fece retromarcia e partì.

La porta del garage si richiuse e Lula e io rimanemmo con il morto.

Lula si dondolava da un piede all’altro. «Pensi che dovremmo dire qualche parola di commiato per il defunto? Non mi piace mancare di rispetto ai morti.»

«Penso che dovremmo andarcene alla svelta da qua.»

«Amen» disse Lula, e si fece il segno della croce.

«Credevo che tu fossi battista.»

«Già, ma noi non abbiamo alcun gesto rituale per occasioni come questa.»

Uscimmo dal garage, sbirciammo dalla porta sul retro per assicurarci che non ci fosse nessuno in giro, e ce la svignammo dalla porta sotto il patio. Ci chiudemmo il cancello alle spalle e percorremmo la pista ciclabile fino all’auto.

«Non so tu» disse Lula «ma io ho intenzione di tornare a casa e rimanere sotto la doccia per un paio d’ore, poi mi sciacquerò con un detergente al cloro.»

Sembrava una buona idea, specialmente perché una doccia mi avrebbe dato l’opportunità di rimandare a più tardi la visita a Morelli. Voglio dire, che cosa gli avrei raccontato? «Indovina un po’, Joe, oggi sono entrata in casa di Hannibal Ramos scassinando la porta. Poi ho manomesso la scena del delitto, aiutato una donna a cancellare delle prove e infine me ne sono andata. Perciò, se mi troverai ancora attraente dopo dieci anni di galera…» Per non parlare del fatto che questa era la seconda volta che Ranger veniva visto allontanarsi dal luogo di un omicidio.

Quando tornai nel mio appartamento avevo tutti i sintomi di un pessimo umore. Ero andata a casa di Hannibal per cercare informazioni, e ora ne avevo più di quante ne desiderassi e non volevo pensare al loro significato. Chiamai Ranger sul cercapersone e pranzai il che, nello stato di distrazione mentale in cui mi trovavo, si ridusse a qualche oliva. Di nuovo.

Portai il telefono in bagno con me prima di fare la doccia. Poi mi cambiai d’abito, asciugai i capelli e diedi alle ciglia un paio di colpetti di mascara. Stavo considerando la possibilità di usare anche l’eye-liner quando Ranger telefonò.

«Voglio sapere che cosa sta succedendo» dissi. «Ho appena trovato un tizio morto nel garage di Hannibal.»

«E allora?»

«E allora voglio sapere chi è. E voglio sapere chi lo ha ucciso. E voglio sapere che cosa stavi facendo ieri notte, quando sei sgattaiolato fuori dalla casa di Ramos.»

Riuscivo a percepire la forza della personalità di Ranger dall’altro capo del filo. «Non occorre che tu sappia nessuna di queste cose.»

«Col cavolo, non occorre. Sono appena rimasta invischiata in un omicidio.»

«Sei capitata sulla scena di un delitto. È diverso dall’essere coinvolti in un omicidio. Hai già chiamato la polizia?»

«No.»

«Sarebbe una buona idea chiamare la polizia. E potresti rimanere vaga sulla parte che riguarda l’ispezione e la serratura scassinata.»

«Dovrei rimanere vaga su un mucchio di cose.»

«È una tua scelta» disse Ranger.

«Sei perfido!» gli strillai al telefono. «Sono stufa di questa faccenda del Misterioso Ranger. Tu hai qualche problema, te ne rendi conto? Un giorno mi infili le mani sotto la maglietta e il giorno dopo mi dici che non sono affari miei. Non so neppure dove vivi.»

«Se non sai niente, non puoi rivelare niente.»

«Grazie per il voto di fiducia.»

«Le cose stanno così» disse Ranger.

«E c’è dell’altro, Morelli vuole che tu lo chiami. Sta sorvegliando qualcuno da molto tempo e ora tu sei in qualche modo collegato con questo qualcuno, e Morelli pensa che tu potresti essergli di aiuto.»

«Più tardi» disse Ranger. E riagganciò.

Ottimo. Se questo era quello che voleva, allora andava benissimo anche a me.

Mi precipitai in cucina, presi la pistola dal vaso dei biscotti, afferrai la borsa e attraversai a grandi passi il corridoio, scesi le scale, uscii dall’ingresso e andai alla Buick. Joyce era parcheggiata in cortile, nella fuoristrada con il paraurti accartocciato. Mi vide uscire dal palazzo e mi fece un gestaccio. Glielo restituii e partii per andare a casa di Morelli. Joyce mi seguiva a un’auto di distanza. Benissimo. Poteva seguirmi quanto voleva, a quel punto. Per quello che mi riguardava, Ranger doveva cavarsela da solo. Io mi tiravo fuori dalla scena.


Morelli e Bob erano seduti fianco a fianco sul divano a guardare la televisione, quando entrai. C’era una scatola vuota della pizzeria Pino sul tavolino del salotto, un contenitore da gelato vuoto e un paio di lattine di birra accartocciate.

«Pranzo?» domandai.

«Bob aveva fame. E non preoccuparti, non ha bevuto birra.» Morelli mi indicò il posto accanto a sé battendo leggermente la mano sui cuscini. «C’è posto per te, qui.»

Quando Morelli era un poliziotto, i suoi occhi marrone scuro erano duri e determinati, il volto asciutto e spigoloso, e la cicatrice che gli attraversava il sopracciglio destro dava la giusta impressione che Joe non avesse mai vissuto una vita prudente. Quando si sentiva sexy, gli occhi castani erano come cioccolato fuso, la bocca si ammorbidiva e la cicatrice dava l’errata impressione che avesse bisogno di amorevoli cure materne.

E in quel preciso momento Morelli si sentiva molto sexy. E io mi sentivo molto poco sexy. In realtà mi sentivo assolutamente scontrosa. Mi lasciai cadere sul divano e gettai un’occhiata torva alla scatola di pizza vuota, ricordandomi del pranzo a base di olive.

Morelli fece scivolare il braccio attorno alle mie spalle e mi solleticò il collo. «Finalmente soli» disse.

«Devo dirti qualcosa.»

Morelli si irrigidì.

«Mi sono imbattuta in un tizio morto, oggi.»

Lui sprofondò nel divano. «Ho una ragazza che trova tizi morti. Perché proprio a me?»

«Sembri mia madre.»

«Mi sento come se lo fossi.»

«Be’, non farlo» lo rimbeccai. «Non mi piace nemmeno quando è mia madre a sentirsi mia madre.»

«Immagino che tu voglia parlarmene.»

«Ehi, se non vuoi ascoltare non c’è problema. Posso semplicemente telefonare alla stazione di polizia.»

Lui si drizzò a sedere. «Non li hai ancora chiamati? Oh merda, fammi indovinare: sei entrata in casa di qualcuno e hai inciampato in un omicidio.»

«La casa di Hannibal.»

Morelli si alzò in piedi. «La casa di Hannibal?»

«Ma non sono entrata con la forza. La porta sul retro era aperta.»

«Che cosa diavolo stavi facendo in casa di Ramos?» strillò. «Che cosa credevi di fare?»

Mi alzai in piedi anch’io e gli gridai di rimando. «Stavo facendo il mio lavoro.»

«La violazione di domicilio con scasso non è il tuo lavoro.»

«Ti ho detto che non è stata una violazione. Sono soltanto entrata.»

«Ah, una differenza sostanziale. E chi è il morto che hai trovato?»

«Non lo so. Qualcuno è stato fatto fuori nel garage.»

Morelli andò in cucina e compose rapidamente un numero al telefono. «Ho un’informazione anonima» disse. «Perché non mandate qualcuno a casa di Hannibal Ramos a Fenwood e date un’occhiata in garage? La porta sul retro dovrebbe essere aperta.»

Morelli riagganciò e si voltò verso di me. «Bene, questa è sistemata» disse. «Andiamo di sopra.»

«Sesso, sesso, sesso» dissi. «È tutto quello a cui sai pensare.» Anche se, ora che mi ero riposata e mi ero tolta di dosso il peso di quel tìzio morto, un orgasmo non sembrava una cattiva idea.

Morelli mi spinse contro la parete e si chinò su di me. «Penso anche ad altre cose oltre al sesso… ma non di recente.» Mi baciò più profondamente del solito, e l’idea dell’orgasmo sembrava sempre migliore.

«Solo un’ultima domanda a proposito del tizio morto» domandai. «Quanto tempo pensi che ci vorrà prima che lo trovino?»

«Se c’è un’auto nei paraggi, ci vorranno solo cinque o dieci minuti.»

C’erano ottime possibilità che avrebbero chiamato Morelli, non appena avessero dato un’occhiata al tizio nel garage. E anche nei miei giorni migliori mi occorrono più di cinque minuti. Ma forse ci sarebbe voluto un po’ più di tempo per far arrivare un’auto alla casa e poi perché i poliziotti andassero sul retro ed entrassero nel garage. Perciò, se non perdevo tempo a togliermi tutti i vestiti di dosso e arrivavamo direttamente al punto, sarei riuscita a portare a termine la cosa.

«Perché non lo facciamo qui?» dissi a Morelli, slacciandogli il bottone dei jeans. «La cucina è un posto così sexy.»

«Solo un minuto» disse. «Chiudo le tendine.»

Mi liberai delle scarpe e dei jeans. «Non c’è tempo.»

Morelli mi rivolse una lunga occhiata. «Non che voglia lamentarmi, ma non posso fare a meno di pensare che tutto questo è troppo bello per essere vero.»

«Hai mai sentito parlare di fast food? Questo è fast sex.»

Lo accarezzai e lui rimase senza fiato. «Quanto vuoi che sia rapido?» domandò.

Il telefono squillò.

Dannazione!

Morelli prese la cornetta con una mano mentre con l’altra mi teneva stretto il polso. Rimase al telefono un momento, poi mi guardò. «È Costanza. Era nei paraggi, perciò ha preso la chiamata ed è andato a controllare la casa di Ramos. Dice che devo andare là a vedere con i miei occhi. Ha accennato qualcosa a proposito di un tizio tutto spettinato, come se avesse avuto una pessima giornata e stesse aspettando l’autobus. Almeno è quello che mi è parso di capire, tra le sue risate.»

Mi strinsi nelle spalle e alzai le mani in segno di resa. Come dire: Be’, ecco, non so di che cosa stai parlando. A me era sembrato un normalissimo tizio morto.

«C’è nient’altro che vuoi dirmi su questa faccenda?» domandò Morelli.

«Non senza la presenza del mio avvocato.»

Ci rimettemmo i vestiti, raccogliemmo le nostre cose e andammo alla porta. Bob era ancora seduto sul divano a guardare la televisione.

«È buffo» disse Morelli «ma giurerei che sta seguendo il programma.»

«Forse dovremmo lasciarlo qui.»

Uscimmo e Morelli chiuse la porta a chiave. «Ascolta, dolcezza, racconta a qualcuno che ho lasciato un cane a guardare la televisione e mi arrabbio sul serio.» Guardò la mia auto e poi quella parcheggiata dietro. «È Joyce, quella?»

«Mi sta seguendo.»

«Vuoi che te ne liberi?»

Diedi un rapido bacio a Morelli, presi l’auto e mi diressi al negozio di alimentari con Joyce incollata al mio paraurti. Non avevo molti soldi con me e la carta di credito era esaurita, perciò mi limitai all’essenziale: burro di arachidi, palatine, pane, birra, latte e due gratta-e-vinci.

Subito dopo mi fermai alla ferramenta, dove comprai una serratura per la porta di casa, per sostituire la catenella di sicurezza rotta. L’idea era di offrire una birra, in cambio dell’installazione della serratura, al mio ottimo ed eccezionale vicino di casa Dillan Rudick, un esperto in queste cose.

Uscita dalla ferramenta tornai a casa. Parcheggiai nel cortile, chiusi a chiave la Buick e salutai con la mano Joyce. Mi rispose con un gestaccio tipicamente italiano.

Mi fermai da Dillan, che abitava in un appartamento nel seminterrato, e gli spiegai di che cosa avevo bisogno. Lui prese la cassetta degli attrezzi e salimmo insieme. Aveva la mia età e viveva come una talpa nelle viscere del palazzo. Era un tipo veramente a posto, ma non faceva mai niente e per quel che ne sapevo non aveva una ragazza… perciò, come era da immaginare, beveva moltissima birra. E poiché non guadagnava troppi soldi, una birra gratis era sempre la benvenuta.

Controllai la segreteria telefonica mentre Dillan installava la serratura. Cinque telefonate per nonna Mazur, nessuna per me.

Dillan e io ci stavamo riposando davanti alla televisione quando la nonna rientrò.

«Ragazzi, è stata davvero una grande giornata» disse la nonna. «Ho guidato tutto il tempo e ho quasi imparato anche a frenare.» Diede un’occhiata a Dillan. «E chi è questo bel giovanotto?»

Le presentai Dillan e poi, visto che era ora di cena, preparai per tutti sandwich al burro di arachidi e patatine. Mangiammo davanti al televisore e, tra la nonna e Dillan, in qualche modo la confezione da sei lattine di birra sparì. Entrambi erano piuttosto allegri, ma io cominciavo a essere preoccupata per Bob. Me lo immaginavo da solo a casa di Morelli senza niente da mangiare a parte la scatola vuota di pizza. E il divano. E il letto. E le tende e il tappeto e la poltrona preferita di Morelli. Poi immaginai Morelli che rientrava e sparava a Bob, e non era un bel pensiero.

Telefonai a Morelli ma nessuno rispose. Maledizione. Non avrei mai dovuto lasciare Bob in casa da solo. Avevo in mano le chiavi e mi stavo infilando la giacca quando Joe arrivò con Bob al seguito.

«Vai da qualche parte?» domandò Joe osservando le chiavi e la giacca.

«Ero preoccupata per Bob. Stavo per venire da te a vedere se era tutto a posto.»

«Credevo che avessi intenzione di lasciare il Paese.»

Gli rivolsi il più fasullo dei sorrisi.

Morelli tolse il guinzaglio a Bob, salutò la nonna e Dillan e mi trascinò in cucina. «Ho bisogno di parlarti.»

Sentii Dillan esclamare e immaginai che Bob stesse facendo conoscenza.

«Sono armata» dissi a Joe «perciò è meglio che tu stia attento. Ho una pistola nella borsetta.»

Morelli prese la borsa e la gettò dall’altra parte della stanza.

Oh-oh.

«Quello nel garage di Hannibal era Junior Macaroni» disse Morelli. «Lavora per Stolle. Molto strano trovarlo nel garage di Hannibal. E c’è qualcosa di ancora più strano.»

Feci una smorfia, ma solo col pensiero.

«Macaroni era seduto su una sedia da giardino.»

«È stata un’idea di Lula» dissi. «Be’, d’accordo, anche mia, ma sembrava che stesse così scomodo, sdraiato sul pavimento di cemento.»

Morelli finalmente sorrise. «Dovrei arrestarti per manomissione della scena del delitto, ma quello era un tale schifoso bastardo, e aveva un’aria così fottutamente stupida, seduto lì a quel modo…»

«Come sai che non sono stata io a ucciderlo?»

«Perché tu hai una calibro .38 e lui è stato ucciso con una .22. E oltre a questo, non saresti capace di centrare un elefante neanche a cinque passi di distanza. L’unica volta che hai sparato a qualcuno è stato grazie a un intervento divino.»

Vero.

«Quanta gente sa che l’ho messo a sedere su una sedia da giardino?»

«Non lo sa nessuno, ma almeno un centinaio di persone se lo sono immaginato. Nessuno ne farà parola.» Morelli guardò l’orologio. «Devo andare. Ho un appuntamento fissato per stasera.»

«Non si tratta di un appuntamento con Ranger, vero?»

«No.»

«Bugiardo.»

Morelli tirò fuori un paio di manette dalla tasca della giacca e prima che mi rendessi conto di quello che stava succedendo mi ammanettò al frigorifero.

«Che cosa stai facendo?» dissi.

«Avevi intenzione di seguirmi. Lascerò la chiave nella cassetta della posta giù da basso.»

Ma questa è una storia d’amore o cosa?


«Sono pronta» disse la nonna.

Indossava la tuta da ginnastica viola e scarpe da tennis bianche. I capelli erano accuratamente arricciati e aveva messo un rossetto rosa. Teneva sotto braccio la sua grande borsa di pelle nera. Quello che temevo era che dentro ci fosse la pistola e che potesse minacciare l’esaminatore durante la prova di guida, se non le avesse concesso la patente.

«Non c’è la pistola lì dentro, vero?» domandai.

«Certo che no.»

Non le credetti neppure per un istante.

Quando scendemmo nel parcheggio, la nonna si diresse verso la Buick. «Suppongo di avere più possibilità di ottenere la patente se guido la Buick» disse. «Ho sentito dire che i giovani alla guida di macchine sportive li preoccupano.»

Habib e Mitchell entrarono nel parcheggio. Avevano di nuovo la Lincoln.

«Sembra nuova» dissi.

Mitchell si illuminò. «Già, hanno fatto un gran lavoro. L’abbiamo ritirata questa mattina. Abbiamo dovuto aspettare che la vernice si asciugasse.» Guardò la nonna, seduta al volante della Buick. «Che cosa c’è in programma oggi?»

«Sto accompagnando la nonna a fare l’esame di guida.»

«Molto gentile da parte tua» disse Mitchell. «Sei una brava nipote, ma lei non è un po’ troppo vecchia?»

La nonna digrignò la dentiera. «Vecchia?» strillò. «Te lo faccio vedere io se sono vecchia.» Sentii il rumore della borsa che si apriva, la nonna ci infilò una mano e la estrasse con la pistola. «Non sono tanto vecchia da non poterti sparare in un occhio» disse, puntando l’arma.

Mitchell e Habib sprofondarono nei sedili, nascondendosi.

Gettai un’occhiataccia alla nonna. «Credevo avessi detto che non avevi portato la pistola.»

«A quanto pare mi sbagliavo.»

«Mettila via. E sarà meglio che tu non minacci nessuno durante l’esame, altrimenti ti arresteranno.»

«Vecchia pazza» disse Mitchell dal fondo della Lincoln.

«Così va meglio» si acquietò la nonna. «Mi piace essere pazza.»

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