Capitolo 3

Ranger aveva fatto parte dei Corpi Speciali dell’esercito, e ne conservava ancora la corporatura e il portamento. Stava in piedi vicino a me, costringendomi a inclinare la testa leggermente all’indietro per guardarlo negli occhi.

«Appena alzata dal letto?» domandò.

Abbassai lo sguardo. «Vuoi dire per via della camicia da notte?»

«La camicia da notte, i capelli… lo stupore.»

«Sei tu la ragione dello stupore.»

«Già» disse Ranger. «Mi accade spesso. Io stupisco le donne.»

«Che cosa è successo?»

«Ho incontrato Homer Ramos e qualcuno lo ha ucciso quando me ne sono andato.»

«E l’incendio?»

«Non sono stato io.»

«Sai chi ha ucciso Ramos?»

Ranger mi fissò per un istante. «Ho qualche idea.»

«La polizia pensa che sia stato tu. Ti hanno ripreso con la telecamera.»

«La polizia spera che sia stato io. È difficile credere che davvero pensino che sono stato io. Non ho la reputazione di uno stupido.»

«No, ma hai la reputazione di uno che… be’, uccide la gente.»

Ranger mi sorrise. «Pettegolezzi.» Vide le chiavi che tenevo in mano. «Stai andando da qualche parte?»

«La nonna è venuta a stare da me per un paio di giorni. Voleva il giornale, e pensavo di andare a comprarglielo al 7-Eleven.»

Il sorriso si allargò sul suo volto. «Tu non possiedi una macchina, bambina.»

Maledizione! «Me ne ero dimenticata.» Lo guardai stringendo gli occhi. «Come lo sai?»

«Non è nel parcheggio.»

Be’, certo.

«Che cosa ne è stato?» domandò.

«È andata nel paradiso delle auto.»

Lui premette il pulsante del terzo piano. Le porte si aprirono, Ranger diede un colpo al bloccaporte, fece un passo fuori e afferrò il giornale che giaceva sul pavimento davanti all’appartamento 3C.

«Quello è il giornale del signor Kline» dissi. Ranger mi porse il giornale e premette il pulsante del secondo piano. «Devi un favore al signor Kline.»

«Per quale motivo non ti sei presentato all’udienza in tribunale?»

«Non era il momento. Devo trovare qualcuno e non ci posso riuscire se sono agli arresti.»

«O se sei morto.»

«Già» disse Ranger «anche quello, certo. Non credo che un’apparizione pubblica programmata e preannunciata sarebbe nel mio interesse in questo preciso momento.»

«Sono stata avvicinata da due tizi del genere “molestatori”, ieri. Mitchell e Habib. Il loro piano è di seguirmi dappertutto finché non li porto da te.»

«Lavorano per Arturo Stolle.»

«Arturo Stolle il re dei tappeti? Che legame ha con tutto questo?»

«Non occorre che tu lo sappia.»

«Come dire che se tu me lo dicessi dopo dovresti uccidermi?»

«Se te lo dicessi qualcun altro potrebbe volerti morta.»

«Mitchell non sembra provare molta simpatia per Alexander Ramos.»

«Proprio per niente.» Ranger mi porse un cartoncino con scritto un indirizzo. «Vorrei che tu facessi per me un po’ di sorveglianza part-time. Hannibal Ramos è il figlio primogenito e la seconda autorità dell’impero dei Ramos. Risulta residente in California, ma trascorre sempre molto tempo qui nel New Jersey.»

«Adesso si trova qui?»

«C’è stato per tre settimane. Possiede una casetta in un complesso residenziale dalle parti della Route 29.»

«Non penserai che sia stato lui a uccidere il fratello, vero?»

«Non è in cima alla mia lista» disse Ranger. «Farò in modo che uno dei miei uomini ti procuri un’auto.»

Ranger aveva assoldato in modo del tutto informale un piccolo esercito di uomini che lo aiutassero nelle sue varie imprese. Perlopiù si trattava di ex militari e molti erano persino più folli di lui.

«No! Non è necessario.» Ho una grande sfortuna con le auto, il loro decesso si risolve spesso con l’intervento della polizia, e le auto di Ranger hanno origini ignote.

Fece un passo indietro per tornare dentro l’ascensore. «Non avvicinarti troppo a Ramos» disse. «Non è un bel tipo.» Le porte si chiusero e lui sparì.


Riemersi dal bagno fresca di doccia indossando la mia solita uniforme, jeans, stivali e T-shirt, pronta a cominciare la giornata. La nonna era seduta al tavolo della sala da pranzo intenta a leggere il giornale, e il Luna era di fronte a lei e mangiava panini dolci. «Ehi, piccola» disse «tua nonna mi ha preparato qualche panino dolce. Sei davvero, come dire, parecchio fortunata ad avere tua nonna che vive con te. È veramente una bomba, piccola.»

La nonna sorrise: «Non è un bel tipo?».

«Mi è dispiaciuto proprio molto per la faccenda di ieri» disse il Luna «così ti ho portato un’auto. È, come dire, un prestito. Ti ricordi che ti ho raccontato di questo mio amico, il “Commerciante”? Bene, era sconvolto quando gli ho raccontato dell’incendio, e ha detto che puoi usare tranquillamente una delle sue auto finché non ti fai un’altra quattro ruote.»

«È un’auto rubata, vero?»

«Ehi, piccola, per chi mi hai preso?»

«Ti ho preso per uno che sarebbe capace di rubare un’auto.»

«Be’, certo, ma non sempre. Questo è veramente un prestito.»

E io avevo veramente bisogno di un’auto. «Sarà solo per un paio di giorni» dissi. «Solo finché riscuoto i soldi dell’assicurazione.»

Il Luna si allontanò dal piatto vuoto e mi lasciò cadere in mano un mazzo di chiavi. «Lucidati gli occhi: è una macchina cosmica, piccola. L’ho scelta io stesso perché fosse compatibile con la tua aura.»

«Che genere di auto è?»

«È una Rollswagen. Una macchina del vento color argento.»

Mmm. «Bene, allora grazie. Posso darti un passaggio fino a casa?»

Lui si avviò lentamente verso il corridoio. «Mi farò una camminata. Ho bisogno di riflettere un po’.»

«Ho programmato tutta la giornata» disse la nonna. «Stamattina lezione di guida. Poi, nel pomeriggio, Melvina mi porterà un po’ in giro a vedere degli appartamenti.»

«Puoi permetterti un appartamento tuo?»

«Ho messo da parte un po’ di soldi quando ho venduto la casa. Li avevo risparmiati per andare in una di quelle case di riposo quando fossi stata vecchia, ma forse a quel punto sarà meglio che usi la pistola.»

Feci una smorfia.

«Be’, non è che abbia intenzione di riempirmi di piombo domani» disse la nonna. «Mi restano ancora un bel po’ di anni. E poi ci ho pensato bene: vedi, se tu metti la pistola in bocca quel che succede è che sfondi la nuca. In questo modo Stiva non deve lavorare molto per restituirti un bell’aspetto quando ti compone nella bara, visto che nessuno vede comunque il retro della testa. Bisogna solo stare attenti a non muovere troppo la pistola per non rovinare tutto e farsi saltare un orecchio.» Mise via il giornale. «Tornando a casa mi fermerò al supermercato e prenderò qualche costoletta di maiale per cena. Adesso devo andare a prepararmi per la lezione di guida.»

E io dovevo andare a lavorare. Il problema era che non avevo voglia di fare nessuna delle cose che mi aspettavano: non avevo voglia di spiare Hannibal Ramos, e sicuramente non avevo voglia di incontrare Morris Munson. Avrei potuto tornare a letto, ma questo non mi avrebbe procurato i soldi dell’affitto. E inoltre non avevo più un letto: il mio letto ce l’aveva la nonna.

E va bene, tanto valeva dare un’occhiata all’incartamento Munson. Presi la documentazione e la sfogliai rapidamente. A parte le percosse, lo stupro e la tentata cremazione Munson non sembrava poi così cattivo: non aveva precedenti, non si era fatto tatuare una svastica sulla fronte. Aveva indicato come suo domicilio un indirizzo di Rockwell Street. Conoscevo Rockwell, era giù verso la fabbrica dei bottoni. Non certo la migliore zona della città, ma neppure la peggiore. Perlopiù piccole casette unifamiliari e villette a schiera abitate da operai o disoccupati.

Rex dormiva nella sua gabbietta e la nonna era in bagno, perciò me ne andai senza tante cerimonie. Arrivata al parcheggio cercai la macchina del vento color argento. E la trovai, naturalmente. Ed era anche una Rollswagen, certo. La carrozzeria era quella di un vecchio maggiolino Volkswagen, e il muso quello di una Rolls Royce d’epoca. Era di un colore argento iridescente, con volute celesti disegnate lungo tutta la fiancata e punteggiate di stelle.

Chiusi gli occhi e sperai che riaprendoli l’auto sarebbe sparita. Contai fino a tre e li riaprii. La macchina era ancora lì.

Tornai a casa di corsa, presi un cappello e un paio di occhiali scuri, e ritornai all’auto. Mi infilai al volante, sprofondai il più possibile nel sedile e, tra sbuffi e scoppiettii, uscii dal parcheggio. Questo non era compatibile con la mia aura. La mia aura non era un mezzo maggiolino della Volkswagen.

Venti minuti dopo ero in Rockwell Street, a leggere i numeri civici in cerca della casa di Munson. Quando la trovai mi sembrò abbastanza normale. A un solo isolato dalla fabbrica, comoda per andare a lavorare a piedi, meno comoda se si voleva ammirare il paesaggio. Era una villetta a schiera a due piani, molto simile a quella del Luna. La facciata era rivestita con listelli di fibrocemento color marrone.

Parcheggiai accanto al marciapiede e percorsi il breve tratto fino alla porta d’entrata. Non c’erano molte possibilità che Munson fosse in casa: era mercoledì mattina e lui probabilmente si trovava in Argentina. Suonai il campanello e fui presa alla sprovvista quando la porta si aprì e Munson mise fuori la testa.

«Morris Munson?»

«Sì?»

«Pensavo che fosse… a lavorare.»

«Ho preso un paio di settimane di permesso. Ho avuto qualche problema. Chi è lei, in ogni caso?»

«Io rappresento l’agenzia Vincent Plum di garanzie per cauzioni. Lei non si è presentato all’udienza e vorremmo fargliene fissare un’altra.»

«Oh. Certo. Faccia pure, me ne fissi un’altra.»

«Per farlo devo accompagnarla giù in città.»

Lui guardò oltre la mia spalla, in direzione della Macchina del Vento. «Non si aspetterà che salga con lei su quel coso, vero?»

«Be’, sì.»

«Mi sentirei un cretino. Cosa penserebbe la gente?»

«Stia a sentire, amico, se ci posso salire io, ci può salire anche lei.»

«Voi donne… tutte uguali» disse. «Schioccate le dita e vi aspettate che gli uomini saltino nel cerchio.»

Io avevo la mano dentro la borsa a tracolla e rovistavo in cerca dello spray urticante.

«Rimanga qui» disse Munson. «Vado a prendere la mia auto, è parcheggiata sul retro. Non mi importa di fissare un’altra udienza, ma non ho intenzione di salire su quella macchina che sembra drogata. Faccio il giro dell’isolato e poi la seguo in città.» Sbam. Chiuse la porta a chiave.

Dannazione. Tornai in macchina e girai la chiavetta dell’accensione, aspettando Munson in folle e domandandomi se lo avrei mai rivisto. Controllai l’ora. Gli avrei dato cinque minuti di tempo. E poi? Avrei fatto irruzione in casa? Avrei sfondato la porta e sarei entrata ad armi spianate? Guardai nella borsetta. Niente pistola. Mi ero dimenticata di portare la pistola. Cristo, questo voleva dire che avrei dovuto tornare a casa e rimandare la faccenda di Munson a un altro giorno.

Alzai lo sguardo e vidi arrivare un’auto che svoltava l’angolo: era Munson. Che bella sorpresa, pensai. Vedi, Stephanie, non devi giudicare troppo in fretta, a volte la gente si rivela molto migliore. Ingranai la marcia e lo osservai mentre si avvicinava. Ma, un momento, stava accelerando anziché rallentare! Riuscivo a vedere il suo viso teso per la concentrazione: il maniaco aveva intenzione di venirmi addosso! Ingranai precipitosamente la retromarcia e pestai forte sul pedale dell’acceleratore. La Rolls fece un salto indietro. Non tanto da evitare la collisione, ma abbastanza per non finire completamente distrutta. Nell’impatto presi un colpo di frusta, niente di grave per una donna nata e cresciuta al Burg: veniamo su guidando le macchinine degli autoscontri sulla spiaggia di Jersey, sappiamo come incassare un colpo.

Il problema era che adesso Munson si stava accanendo su di me con quella che sembrava l’auto di un poliziotto in pensione, una Crown Victoria, molto più grande della Rollswagen. Mi venne addosso di nuovo facendomi arretrare di circa quattro metri, e il motore della mia Macchina del Vento si spense. Mentre cercavo di riavviarlo, lui caracollò fuori dall’auto e corse verso di me con un cric in mano. «Volevi vedermi saltare nel cerchio» gridò. «Te lo faccio vedere io il cerchio.»

Cominciava a emergere un comportamento rituale. Investire qualcuno con l’auto, colpirlo con il cric. Non volevo pensare a quello che sarebbe venuto dopo. Il motore della Rolls finalmente partì e io fui proiettata in avanti, a malapena evitando Munson.

Lui lanciò il cric e colpì il paraurti posteriore. «Ti odio!» gridò. «Voi donne siete tutte uguali!»

Passai da zero a cinquanta chilometri all’ora nel giro di mezzo isolato e svoltai l’angolo su due ruote. Percorsi quattrocento metri senza guardarmi indietro, e quando finalmente lo feci non c’era nessuno dietro di me. Mi costrinsi a lasciar andare un po’ l’acceleratore e inspirare profondamente. Il cuore mi batteva furiosamente nel petto, e le mani stringevano il volante fino a far diventare le nocche bianche come quelle di un cadavere. D’improvviso mi trovai davanti a un McDonald’s e l’auto automaticamente svoltò nel vicolo di accesso. Ordinai un frappé alla vaniglia e domandai al ragazzo al banco se stavano cercando personale.

«Certo» disse «cerchiamo sempre personale. Vuole fare domanda di assunzione?»

«È un lavoro molto duro?»

«Non molto» disse passandomi il modulo di richiesta insieme con la cannuccia. «A volte capita qualche pazzo, ma di solito si riesce a calmarli con una porzione di sottaceti in più.»

Parcheggiai nell’angolo più riparato dello spiazzo e bevvi il frappé leggendo il modulo. Non deve essere tanto male, pensai. Probabilmente si possono anche avere patatine fritte gratis.

Uscii dall’abitacolo e osservai la carrozzeria. La griglia frontale della Rollswagen era accartocciata, il paraurti posteriore aveva una profonda ammaccatura sulla sinistra e un fanalino era rotto.

La Lincoln nera attraversò lo spiazzo e venne a fermarsi accanto a me. Il finestrino si abbassò e Mitchell sorrise guardando la Rollswagen.

«Che diavolo è questa roba?»

Gli rivolsi uno dei miei sguardi di circostanza.

«Ti occorre una macchina? Possiamo procurartene una. Qualunque tipo di auto tu voglia» disse Mitchell. «Non hai bisogno di guidare questa… questa cosa imbarazzante.»

«Io non sto cercando Ranger.»

«Certo» disse Mitchell «ma forse lui sta cercando te. Forse ha bisogno di inzuppare un po’ il biscotto, e immagina che con te sarebbe al sicuro. Capita, sai? Un uomo ha questo genere di necessità.»

«Nel vostro Paese non si va in un bar per avere latte e biscotti?» domandò Habib a Mitchell.

«Cristo» disse Mitchell. «Non quel genere di biscotti. Sto parlando della solita vecchia faccenda del salsicciotto-nascosto-laggiù.»

«Non riesco a capire questa cosa del “salsicciotto nascosto”» rispose Habib. «Cosa intendi per salsicciotto?»

«Coglione di un vegetariano, non sai proprio niente» esclamò Mitchell. Si afferrò il cavallo dei pantaloni e diede una bella scrollata. «Hai presente: il salsicciotto.»

«Ah» disse Habib. «Capisco. Questo tipo, Ranger, ficca il suo salsicciotto in questa figlia di una scrofa.»

«Figlia di una scrofa? Prego?» reagii.

«Proprio così» annuì Habib. «Lurida baldracca.»

Dovevo proprio decidermi a portare sempre la pistola con me: avevo davvero voglia di sparare a quei due tizi. Non una cosa grave, magari soltanto fargli saltare via un occhio.

«Devo andare» dissi. «Ho da fare.»

«Va bene» replicò Mitchell «ma non sparire. E pensa a quell’offerta per l’automobile.»

«Ehi» gridai. «Come avete fatto a trovarmi?» Ma ormai erano già fuori dallo spiazzo.

Me ne andai in giro per un po’ in macchina, assicurandomi che nessuno mi stesse seguendo, poi mi diressi alla casa di Ramos. Presi la Route 29 e proseguii in direzione nord verso la Ewing Township. Ramos viveva in un quartiere ricco con grandi alberi secolari e giardini diligentemente disegnati da professionisti. Sulla Fenwood, ma abbastanza arretrato da rimanere nascosto, c’era un piccolo gruppo di casette residenziali di mattoni costruite di recente, ognuna con annesso garage a due posti auto e cortile privato circondato da muri. Davanti alle case si trovava un prato ben curato con sentieri sinuosi e aiuole, non ancora fiorite in quella stagione. Molto grazioso, molto rispettabile. Proprio il posto giusto per un trafficante internazionale di armi di contrabbando.

Con l’auto che mi ritrovavo sarebbe stata dura appostarsi in quel quartiere. In realtà sarebbe stata dura appostarsi dovunque: un’auto così insolita parcheggiata lì troppo a lungo sarebbe stata di certo notata. Lo stesso valeva per una strana donna che fosse rimasta troppo a lungo a bighellonare sul marciapiede.

Tutte le finestre della casa di Ramos avevano le tende tirate, perciò era impossibile dire se c’era qualcuno. Quella di Ramos era la penultima in una schiera di cinque villette. Da dietro spuntavano le cime degli alberi: il costruttore aveva lasciato una cintura di verde tra le varie sezioni del complesso.

Feci il giro del quartiere per farmene un’idea, poi passai nuovamente davanti alla casa di Ramos. Non era cambiato niente. Chiamai Ranger sul cercapersone e ricevetti la sua telefonata cinque minuti dopo.

«Che cosa vuoi che faccia esattamente?» domandai. «Sono davanti a casa sua, ma non c’è niente da vedere e non posso rimanere qua troppo a lungo. Non c’è modo di nascondersi.»

«Torna questa sera quando farà buio. Guarda se riceve visite.»

«Che cosa fa tutto il giorno?»

«Varie cose» disse Ranger. «A Deal c’è il quartier generale della famiglia e quando Alexander è in sede gli affari vengono condotti là, sulla costa. Prima dell’incendio Hannibal trascorreva gran parte del tempo nell’edificio giù in città. Aveva un ufficio al quarto piano.»

«Che genere di auto guida?»

«Una Jaguar verde scuro.»

«È sposato?»

«Solo quando è a Santa Barbara.»

«C’è altro che devi dirmi?»

«Sì» disse Ranger. «Sta’ attenta.»

Ranger chiuse la comunicazione e il telefono suonò di nuovo.

«Tua nonna è con te?» domandò mia madre.

«No. Sto lavorando.»

«Be’, allora dov’è? Ho telefonato a casa tua e non ha risposto nessuno.»

«La nonna aveva una lezione di guida stamattina.»

«Santa Maria madre di Dio.»

«E poi doveva uscire con Melvina.»

«Tu dovresti badare a lei. Che cosa credi? Quella donna non è capace di guidare! Ucciderà centinaia di innocenti.»

«È tutto a posto. È con un istruttore.»

«Un istruttore! A che serve un istruttore con tua nonna? E che mi dici della pistola? Ho cercato dappertutto e non sono riuscita a trovarla.»

La nonna ha una calibro .45 a canna lunga che tiene sempre nascosta. L’ha avuta dalla sua amica Elsie che se l’era procurata a una vendita all’ingrosso. Probabilmente in quel momento si trovava nella borsetta della nonna. Lei dice che dà un po’ di consistenza alla borsa nel caso dovesse usarla per colpire un assalitore. Sarà anche vero, ma sono convinta che più che altro alla nonna piaccia far finta di essere Clint Eastwood.

«Non voglio che vada in giro per strada con una pistola!» disse mia madre.

«Va bene» risposi «le parlerò io. Ma lo sai quanto è affezionata a quella pistola.»

«Perché capitano tutte a me?» domandò mia madre. «Perché tutte a me?»

Non conoscevo la risposta alla domanda, perciò riagganciai. Parcheggiai l’auto, andai a piedi fino alla fine del complesso di casette e mi inoltrai lungo una pista ciclabile lastricata. La pista attraversava la cintura alberata che si trovava sul retro della casa di Ramos e mi permise di avere una buona visuale delle finestre del secondo piano. Sfortunatamente non c’era niente da vedere perché le tende erano tirate. La recinzione di muratura impediva la vista delle finestre del primo piano, e io avrei scommesso qualunque cifra che quelle finestre erano spalancate. Non c’era motivo di tirare le tende lì, nessuno avrebbe potuto guardare dentro. A meno che, naturalmente, qualcuno fosse così maleducato da scavalcare il muro di mattoni e sedercisi in cima come un avvoltoio, ad attendere che accadesse il finimondo.

Decisi che il finimondo sarebbe arrivato più lentamente se l’avvoltoio avesse scavalcato il muro di notte, col buio, in modo che nessuno potesse vederlo, perciò proseguii lungo il sentiero fino all’estremità opposta del complesso di case, tagliai attraverso il prato per tornare alla strada e risalii in macchina.


Quando parcheggiai davanti all’ufficio, Lula stava sulla soglia. «E va bene, ci rinuncio» disse. «Che roba è?»

«Una Rollswagen.»

«È un po’ ammaccata.»

«Morris Munson era leggermente nervoso.»

«È stato lui? Lo hai preso?»

«Ho pensato di rimandare per prolungare il piacere.»

Lula aveva l’aria di una che sta per farsi venire l’ernia per non scoppiare a ridere. «Be’, dobbiamo andare a prenderlo e fargli il culo. Deve essere stato davvero molto nervoso per ammaccare così una Rollswagen. Ehi, Connie» gridò «vieni fuori a vedere che razza di macchina ha Stephanie. È una vera Rollswagen.»

«È un prestito» dissi. «Finché non mi danno i soldi dell’assicurazione.»

«Che cosa sono quei disegni a spirale sulle fiancate?»

«Vento.»

«Oh, già» disse Lula. «Dovevo immaginarlo.»

Una jeep Cherokee nera, lucidissima, accostò al marciapiede dietro la Macchina del Vento e ne scese Joyce Barnhardt. Indossava un paio di pantaloni di pelle nera, un bustino di pelle nera che a malapena conteneva i seni tondi, una giacca di pelle nera e stivali neri con i tacchi alti. I capelli erano di un rosso sgargiante, con un’acconciatura alta e riccioluta, gli occhi truccati di nero e le ciglia coperte di uno spesso strato di mascara: sembrava la versione sadomaso di Barbie.

«Ho sentito dire che mettono peli di topo in quei mascara allungaciglia» disse Lula a Joyce. «Spero che tu legga la lista degli ingredienti quando li compri.»

Joyce osservò la Macchina del Vento. «È arrivato il circo in città? Questa è una di quelle automobiline dei clown, vero?»

«È un modello unico di Rollswagen» disse Lula. «C’è qualcosa che non va?»

Joyce sorrise. «L’unica cosa che non va è che non riesco a decidere come spenderò i soldi per la cattura di Ranger.»

«Oh, certo» disse Lula. «È una decisione che può prendere un sacco di tempo.»

«Vedrete» disse Joyce. «Io riesco sempre ad avere l’uomo che cerco.»

E il cane, la capra, l’ortaggio e l’uomo di un’altra, anche.

«Bene, ci piacerebbe tanto stare qui a parlare con te, Joyce» disse Lula. «Ma abbiamo di meglio da fare. Dobbiamo occuparci di una cattura molto importante. Stavamo giusto andando a prendere un bastardo stupratore che è fuori su una cauzione altissima.»

«E ci andate con l’automobilina dei clown?» domandò Joyce.

«Ci andiamo con la mia Firebird» disse Lula. «Prendiamo sempre quella quando abbiamo in programma delle faccende rognose.»

«Devo parlare con Vinnie» disse Joyce. «Qualcuno deve aver commesso un errore nel compilare l’incartamento di Ranger. Ho controllato l’indirizzo e corrisponde a un terreno non edificato.»

Lula e io ci guardammo e sorridemmo.

«Gesù, ma pensa» disse Lula.

Nessuno sa dove viva Ranger. L’indirizzo segnato sulla sua patente corrisponde a un ostello per soli uomini in Post Street: non molto credibile per uno che possiede interi palazzi di uffici a Boston e che tutti i giorni parla con il suo consulente finanziario. Di tanto in tanto Lula e io facevamo qualche tentativo poco convinto di scoprire il suo segreto, ma non avevamo mai avuto successo.

«Allora, che cosa ne dici?» domandò Lula quando Joyce fu sparita dentro l’ufficio. «Vuoi andare a fargliela pagare a Morris Munson?»

«Non lo so. È una specie di pazzo.»

«Mmm» disse Lula. «Non mi fa paura. Credo che sarei capace di metterlo in riga. Non ti ha sparato, vero?»

«No.»

«Allora è molto meno pazzo di gran parte della gente che vive nel mio isolato.»

«Sei sicura di voler rischiare la tua Firebird per dargli la caccia, dopo quello che ha fatto alla Macchina del Vento?»

«Tanto per cominciare, anche ammettendo che io riesca a entrare in quell’auto tutta intera, credo che dopo avresti bisogno di un apriscatole per tirarmi fuori. E poi, visto che ci sono solo due posti e che li occuperemo noi, immagino che dovremmo legare Munson al tetto per portarlo in tribunale. Non che sia una cattiva idea, ma credo che ci rallenterebbe parecchio.»

Lula andò verso lo schedario, diede un calcio al cassetto in basso a destra che si aprì, lei ne estrasse una Glock calibro .40 e se la mise nella borsetta a tracolla.

«Niente sparatorie!» dissi io.

«Certo, lo so» rispose Lula. «Questa è soltanto l’assicurazione della macchina.»


Quando arrivammo in Rockwell Street avevo lo stomaco in subbuglio e il cuore che mi batteva come un tamburo nel petto.

«Non hai un bell’aspetto» disse Lula.

«Credo di soffrire il mal d’auto.»

«Non ti ha mai dato fastidio.»

«Solo quando do la caccia a un tizio che mi ha appena aggredita con un cric.»

«Non ti preoccupare: se lo fa di nuovo, gli pianto una pallottola nel culo.»

«No! Te l’ho già detto: niente sparatorie.»

«Sì, certo, ma questa è un’assicurazione sulla vita.»

Cercai di guardarla con durezza, invece sospirai.

«Qual è la casa?» domandò Lula.

«Quella con la porta verde.»

«Difficile dire se ci sia dentro qualcuno.»

Passammo davanti all’edificio due volte, poi imboccammo il vialetto di servizio che portava sul retro e ci fermammo presso il garage di Munson. Io scesi e diedi un’occhiata attraverso la finestra sudicia, su un lato del garage. La Crown Victoria era lì. Merda.

«Il piano è questo» spiegai a Lula. «Tu vai alla porta principale. Lui non ti ha mai vista, non sospetterà niente. Digli chi sei e digli che vuoi che venga giù in città con te. A quel punto lui sgattaiolerà fuori dalla porta sul retro per raggiungere l’auto e io lo prenderò di sorpresa e lo ammanetterò.»

«Mi sembra che vada bene. E se c’è qualche problema non devi far altro che gridare e io verrò ad aiutarti.»

Lula se ne andò con la Firebird, io mi avvicinai in punta di piedi alla porta di servizio di Munson e mi schiacciai contro la parete della casa in modo che non potesse vedermi. Provai a scuotere la bomboletta di spray urticante per assicurarmi che funzionasse e tesi l’orecchio per sentire Lula che bussava alla porta principale. La sentii dopo pochi minuti; poi ci fu il rumore ovattato di una conversazione e quindi quello di passi che si avvicinavano alla porta di servizio e toglievano il catenaccio. La porta si aprì e Morris Munson fece un passo fuori.

«Fermo» dissi, dando un calcio alla porta per chiuderla. «Rimani dove sei. Non muoverti o ti spruzzo con lo spray urticante.»

«Tu! Mi hai fregato!»

Tenevo la bomboletta di spray nella mano sinistra e le manette nella destra. «Voltati» dissi. «Tieni in alto le mani e appoggia i palmi contro la casa.»

«Ti odio!» strillò. «Sei proprio come la mia ex moglie. Una puttana prepotente, bugiarda e traditrice. Le assomigli anche: gli stessi capelli ricci da tossica.»

«Capelli da tossica? Prego?»

«Vivevo benissimo finché non è arrivata quella puttana a rovinare tutto. Avevo una grande casa e una bella macchina. Avevo anche l’impianto stereo.»

«E poi che cosa è successo?»

«Mi ha lasciato. Diceva che ero noioso. Il noioso vecchio Morris. Così un giorno ha preso ed è andata dall’avvocato, poi è venuta con un furgone fino alla veranda e mi ha ripulito: si è presa ogni stramaledetto mobile, tutte le dannate stoviglie e tutte quelle cazzo di posate.» Gesticolò in direzione della casa. «Questo è tutto quello che mi resta. Questa merda di casa e una Crown Victoria usata con rate da pagare ancora per due anni. Dopo quindici anni alla fabbrica di bottoni a consumarmi le dita fino all’osso, mangio cereali per cena in questa trappola per topi.»

«Cristo.»

«Aspetta un minuto» disse. «Lascia almeno che chiuda a chiave la porta. Questo posto non è un granché, ma è tutto quello che ho.»

«Va bene. Solo non fare movimenti bruschi.»

Lui mi voltò la schiena, chiuse a chiave la porta, si girò su se stesso e mi diede una spinta. «Ops» disse. «Scusa. Ho perso l’equilibrio.»

Io feci un passo indietro. «Che cos’hai in mano?»

«Un accendino. Non ne hai mai visto uno prima d’ora? Lo sai come funziona?» Lo accese e quello fece una fiammata.

«Gettalo via!»

Lui lo agitò avanti e indietro. «Guarda com’è grazioso. Osserva l’accendino. Lo sai che tipo di accendino è? Scommetto che non indovini.»

«Ti ho detto di buttarlo via.»

Lui lo tenne davanti al viso. «Brucerai. Non puoi fermarmi, adesso.»

«Che cosa dici? Cazzo!» Indossavo un paio di jeans con una T-shirt bianca infilata dentro e una camicia di flanella verde e nera sopra, come una giacca. Guardai giù e vidi che i lembi della camicia avevano preso fuoco.

«Brucia!» mi gridò. «Brucia all’inferno!»

Lasciai cadere le manette e lo spray urticante e aprii la camicia strappandola. Mi dimenai per toglierla, la gettai a terra e la calpestai per spegnere il fuoco. Quando ebbi finito mi guardai attorno e Munson era sparito. Provai ad aprire la porta di servizio. Chiusa a chiave. Udii il rumore di un motore che veniva avviato. Guardai il vialetto di accesso e vidi la Crown Victoria che andava via accelerando.

Raccolsi la camicia e me la rimisi addosso. La metà inferiore destra non c’era più.

Lula era appoggiata contro la macchina quando svoltai l’angolo.

«Dov’è Munson?» domandò.

«Andato.»

Lei guardò la mia camicia e alzò le sopracciglia. «Avrei giurato che quando siamo partite la tua camicia fosse tutta intera.»

«Non ho voglia di parlarne.»

«Sembra che sia stata messa sulla griglia. Prima la macchina, adesso la camicia: questa potrebbe diventare una settimana da record per te.»

«Io non ho bisogno di questo lavoro, sai?» dissi a Lula. «Ce ne sono tanti altri che potrei fare.»

«Per esempio?»

«Il McDonald’s sulla Market cerca personale.»

«Ho sentito dire che ti danno anche le patatine gratis.»

Provai a entrare dalla porta principale di Munson. Chiusa a chiave. Guardai attraverso la finestra a livello strada. Munson aveva tirato la tenda a fiori sbiadita, per oscurarla, ma c’era una fessura sul lato: la stanza che si vedeva era desolante. Il pavimento di legno rovinato, un divano sfondato coperto con un copriletto di ciniglia giallo tutto liso, un vecchio televisore su un carrello di metallo da poco prezzo, un tavolinetto da tè in legno di betulla davanti al divano: persino a quella distanza riuscivo a vedere che la vernice si stava sfaldando.

«Quel pazzo di Munson non se la passa troppo bene» disse Lula. «Ho sempre creduto che un maniaco sessuale omicida vivesse in condizioni migliori di questa.»

«È divorziato» dissi. «La moglie lo ha ripulito.»

«Accidenti, che ci sia di lezione. Bisogna sempre stare dalla parte di quello che arriva per primo con il furgone del trasloco.»

Quando tornammo in ufficio, l’auto di Joyce era ancora parcheggiata lì.

«Credevo che ormai se ne fosse andata» disse Lula. «Deve essere là dentro a fare a Vinnie un servizietto pomeridiano.»

Involontariamente arricciai il labbro superiore contro i denti. Correva voce che una volta Vinnie si fosse innamorato di una papera, e si diceva che Joyce avesse un debole per i cani molto grandi. Ma per qualche motivo il pensiero di quei due insieme era persino più orribile.

Con mio grande sollievo, Joyce era seduta sul divano dell’anticamera quando Lula e io passammo come turbini oltre la soglia.

«Lo sapevo che voi due perdenti non sareste state via a lungo» disse Joyce. «Non lo avete preso, vero?»

«Stephanie ha avuto un piccolo incidente con la camicia» disse Lula. «Perciò abbiamo deciso di non andare a prendere il nostro uomo.»

Connie era seduta alla scrivania a dipingersi le unghie. «Joyce crede che voi sappiate dove abita Ranger.»

«Certo che lo sappiamo» disse Lula. «Solo che non glielo diremo perché sappiamo anche quanto le piacciono le sfide.»

«Sarà meglio che me lo diciate» disse Joyce «oppure dovrò dire a Vinnie che state coprendo le spalle a Ranger.»

«Accidenti» disse Lula «questo sì che mi fa ripensare alla cosa.»

«Io non so dove abita» dissi. «Nessuno sa dove abita. Ma una volta l’ho sentito parlare al telefono con sua sorella, a Staten Island.»

«Come si chiama la sorella?»

«Marie.»

«Marie Manoso?»

«Non lo so, potrebbe essere sposata. Ma non dovrebbe essere difficile trovarla. Lavora alla fabbrica di rivestimenti in Macko Street.»

«Io ho finito, qui» disse Joyce. «Se vi viene in mente qualcos’altro chiamatemi sul telefono dell’auto. Connie ha il numero.»

Ci fu un lungo silenzio nell’ufficio finché non vedemmo la sua jeep partire e scomparire lungo la strada.

«Quando viene qui, giuro che sento odore di zolfo» disse Connie. «È come avere l’anticristo seduto sul divano.»

Lula mi guardò di traverso. «Ranger ha veramente una sorella a Staten Island?»

«Tutto è possibile.» Ma non probabile. In effetti, ora che ci pensavo, la fabbrica di rivestimenti poteva non trovarsi affatto in Macko Street.

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