Capitolo 4

«Oh-oh» disse Lula, gettando un’occhiata oltre la mia spalla. «Non ti voltare, ma sta arrivando tua nonna.»

Gli occhi mi schizzarono dalle orbite. «Mia nonna?»

«Merda» disse Vinnie dal fondo del suo ufficio. Ci fu un tramestio, lo schianto della sua porta chiusa con violenza, quindi il rumore dello scrocco della serratura.

La nonna entrò e si guardò in giro. «Ragazzi, questo posto è una vera schifezza» disse. «Proprio degno del lato Plum della famiglia.»

«Dov’è Melvina?» domandai.

«È nella gastronomia qui a fianco, a prendere un po’ di carne per il pranzo. Ho pensato che già che mi trovavo nei paraggi potevo parlare con Vinnie per un lavoro.»

Automaticamente ruotammo tutte la testa in direzione della porta chiusa di Vinnie.

«A che genere di lavoro pensavi?» domandò Connie.

«Cacciatrice di latitanti» disse la nonna. «Voglio occuparmi delle cose grosse. Ho una pistola e tutto.»

«Ehi Vinnie!» strillò Connie. «Hai visite.»

La porta si aprì, Vinnie mise fuori la testa e diede un’occhiata malvagia a Connie. Poi guardò la nonna. «Edna» disse, sforzandosi di sorridere ma senza riuscirci molto bene.

«Vincent» disse la nonna, con un sorriso zuccheroso.

Vinnie si dondolò da un piede all’altro cercando di darsi un contegno e sapendo che era del tutto inutile. «Che cosa posso fare per te, Edna? Hai bisogno che ti tiri fuori qualcuno su cauzione?»

«Niente affatto» disse la nonna. «Pensavo di trovarmi un lavoro e credo che mi piacerebbe fare la cacciatrice di latitanti.»

«Oh, pessima idea» disse Vinnie. «Davvero una pessima idea.»

La nonna drizzò il pelo, pronta all’attacco. «Non penserai che sono troppo vecchia, vero?»

«No! Gesù, niente affatto. È per tua figlia, monterebbe un gran casino. Voglio dire, non per parlar male di Ellen, ma non le piacerebbe l’idea.»

«Ellen è una persona meravigliosa» disse la nonna «ma è priva di fantasia. È come suo padre, che riposi in pace.» Strinse le labbra. «Era un gran rompipalle.»

«Tanto per dire pane al pane» disse Lula.

«E allora?» disse la nonna a Vinnie. «Mi dai il lavoro?»

«Non posso proprio, Edna. Non che non voglia darti una mano, ma fare la cacciatrice di latitanti richiede parecchia abilità ed esperienza.»

«Ho tutto quel che serve» disse la nonna. «So sparare e bestemmiare e sono una vera ficcanaso. E poi conosco i miei diritti: ho diritto a un impiego.» Guardò Vinnie maliziosamente. «Non mi pare che tu abbia persone anziane impiegate qui, e non mi sembra che questo sia dare pari opportunità: tu discrimini gli anziani. Ho una mezza idea di sguinzagliarti dietro la ANP.»

«La ANP è l’Associazione Nazionale dei Pensionati» disse Vinnie. «P come Pensionati: questo significa che non gliene frega niente degli anziani che lavorano.»

«Va bene» disse la nonna «che ne dici di questo: se tu non mi dai un lavoro io mi siedo su quel divano e ci rimango finché non sono morta di fame.»

Lula fischiò ammirata. «Caspita, è una dura.»

«Ci penserò» disse Vinnie. «Non ti prometto niente, ma magari, se capita l’occasione giusta…» Si ritirò dentro l’ufficio e chiuse nuovamente a chiave la porta.

«Be’, almeno è un inizio» disse la nonna. «Adesso devo andare a vedere che cosa combina Melvina. Abbiamo programmato un gran pomeriggio: dobbiamo andare a vedere alcuni appartamenti e poi ci fermeremo un po’ da Stiva per la veglia del pomeriggio. Madeline Krutchman è appena stata composta nella bara, e ho sentito dire che ha un gran bell’aspetto. È stata Dolly a farle i capelli, ha usato una tintura per dare un po’ di colore attorno al viso e ha detto anche che se mi piace potrà fare lo stesso per me.»

«In gamba» disse Lula.

La nonna e Lula si esibirono in una di quelle complicate strette di mano, poi la nonna se ne andò.

«Niente di nuovo su Ranger e Homer Ramos?» domandai a Connie.

Lei aprì una boccetta di smalto per unghie. «Ramos è stato ucciso con un colpo a distanza molto ravvicinata. Qualcuno dice che ha l’aria di essere un’esecuzione.»

Connie viene da una famiglia che ne sa qualcosa in fatto di esecuzioni, Jimmy il Sipario è suo zio: non so quale sia il suo vero cognome, tutto ciò che so è che se Jimmy ti sta dando la caccia, cala il sipario. Sono cresciuta con le storie di Jimmy il Sipario come gli altri bambini crescono con le storie di Peter Pan: è una celebrità nel mio quartiere.

«E la polizia? Come la pensa adesso?» domandai.

«Stanno cercando Ranger, ci si sono messi sul serio.»

«Come testimone?»

«Per quel che ne so, come qualunque cosa.»

Connie e Lula mi guardarono.

«Allora?» disse Lula.

«Allora cosa?»

«Lo sai, che cosa.»

«Non sono sicura, ma non credo che sia morto» dissi. «È solo una sensazione.»

«Ah!» disse Lula. «Lo sapevo! Eri nuda quando hai avuto questa sensazione?»

«No!»

«Peccato» disse Lula. «Io avrei preferito essere nuda.»

«Devo andare» dissi. «Devo dare al Luna la brutta notizia sulla Macchina del Vento.»


Il bello del Luna è che è quasi sempre a casa. Il brutto è che anche se è dentro casa è quasi sempre fuori di testa.

«Oh, accidenti» disse, venendo ad aprirmi. «Non avrò di nuovo dimenticato il giorno dell’udienza?»

«La tua udienza è fissata fra due settimane a partire da domani.»

«Grandioso.»

«Ho bisogno di parlarti a proposito della Macchina del Vento. È, come dire, un po’ ammaccata. E si è rotto uno dei fanalini posteriori. Ma la farò sistemare.»

«Ehi, piccola, non ti preoccupare. Sono cose che succedono.»

«Forse dovrei parlare con il proprietario.»

«Il Commerciante?»

«Già, il Commerciante. Dove sta?»

«È nell’ultima casa della schiera. Lui ha un garage, piccola. Capito che roba? Un garage.»

Avendo passato tutto l’inverno a grattare via il ghiaccio dal parabrezza, capivo bene l’entusiasmo del Luna per il garage: ero convinta anch’io che il garage fosse davvero una cosa meravigliosa.

L’ultima casetta della schiera era a circa quattrocento metri da lì, e ci andammo in auto.

«Pensi che sarà in casa?» domandai al Luna quando arrivammo alla fine del caseggiato.

«Il Commerciante è sempre in casa. Deve esserci per commerciare.»

Suonai il campanello e Dougie Kruper aprì la porta. Io e Dougie eravamo stati compagni di scuola ma erano anni che non lo vedevo. In realtà avevo sentito dire che si era trasferito in Arkansas ed era morto.

«Gesù, Dougie» dissi «pensavo fossi morto.»

«Nooo, ho solo desiderato di essere morto. Mio padre era stato trasferito in Arkansas, e io sono andato con lui, ma ti dico una cosa: l’Arkansas non è il posto per me. Non succede niente, capisci cosa voglio dire? E per andare sull’oceano occorrono giorni interi.»

«Sei tu il Commerciante?»

«Sissignora, sono io. Proprio io. Tu hai bisogno di qualcosa, io ce l’ho, si fa l’affare.»

«Cattive notizie, Dougie. La Macchina del Vento ha avuto un incidente.»

«Ragazza, quella macchina è un incidente. All’inizio sembrava una buona idea, ma non riuscivo a rifilarla a nessuno. L’avrei spinta giù da un ponte non appena tu me l’avessi riportata. A meno che, naturalmente, tu non volessi comprarla.»

«Non fa esattamente al caso mio. È troppo appariscente. Ho bisogno di una macchina che non si noti.»

«Un’auto mimetica. Il Commerciante probabilmente ha qualcosa del genere» disse Dougie. «Vieni sul retro e diamo un’occhiata veloce.»

Il retro era completamente stipato di automobili. Ce n’erano sulla strada, ce n’erano nel cortile e un’auto stava nel garage.

Dougie mi condusse a una Ford Escort nera. «Ecco qui, questa è una vera macchina mimetica.»

«Quanti anni ha?»

«Non lo so con precisione, ma ha fatto pochi chilometri.»

«Sul libretto non c’è l’anno d’immatricolazione?»

«Questa macchina in particolare non ha il libretto di circolazione.»

Mmm.

«Se ti serve un’auto con il libretto, questo farà sensibilmente salire il prezzo» disse Dougie.

«Quanto sensibilmente?»

«Sono sicuro che ci metteremo d’accordo. Dopo tutto, io sono il Commerciante.»

Durante l’ultimo anno delle superiori, Dougie Kruper era il peggiore degli sfigati. Non usciva con le ragazze, non faceva sport, e non mangiava come un essere umano. L’unica cosa che gli riusciva bene a scuola era succhiare bibite dalla cannuccia con il naso.

Il Luna andava in giro a posare la mano sulle automobili per percepirne il karma. «Questa» disse, fermandosi vicino a una piccola jeep color cachi. «Questa macchina ha capacità protettive.»

«Come un angelo custode, vuoi dire?»

«Voglio dire che ha le cinture di sicurezza.»

«Questa ha il libretto di circolazione?» domandai a Dougie. «E funziona?»

«Sono abbastanza sicuro che funzioni» disse Dougie.


Mezz’ora dopo possedevo due nuove paia di jeans e un nuovo orologio, ma non una nuova auto. Dougie avrebbe voluto vendermi anche un forno a microonde, ma ne avevo già uno.

Il pomeriggio era appena iniziato, e il tempo non era troppo male, perciò feci una passeggiata fino a casa dei miei genitori e presi in prestito la Buick del ’53 dello zio Sandor. Era gratis, funzionava e aveva il libretto di circolazione: dissi a me stessa che era una gran bella macchina. Un classico. Lo zio Sandor l’aveva acquistata nuova ed era ancora in ottime condizioni, cosa che non si poteva dire dello zio Sandor, il quale si trovava qualche metro sotto terra. Blu con scintillanti cromature alle portiere e un potente motore a otto valvole. Mi auguravo di riuscire a incassare i soldi dell’assicurazione prima che la nonna ottenesse la patente e avesse bisogno della Buick. Mi auguravo soprattutto che i soldi dell’assicurazione arrivassero in fretta perché odiavo quell’auto.

Quando finalmente arrivai a casa il sole era ormai basso. Il parcheggio del mio palazzo era pieno e la grande Lincoln nera era ferma vicino a uno dei pochi spazi ancora liberi. Parcheggiai la Buick e il finestrino del passeggero della Lincoln si aprì.

«E questa cos’è?» domandò Mitchell. «Un’altra auto? Non starai cercando di confonderci, vero?»

Ah, se solo fosse stato così semplice. «Ho avuto qualche problema.»

«Se non ti sbrighi a trovare quel Ranger avrai altri problemi che potrebbero esserti fatali.»

Probabilmente Mitchell e Habib erano due tipi molto duri, ma io avevo qualche difficoltà a farmi spaventare da loro. Non sembravano fatti della stessa pasta dello psicotico Morris Munson.

«Che cosa è successo alla tua camicia?» domandò poi Mitchell.

«Qualcuno ha cercato di darmi fuoco.»

Lui scosse la testa. «La gente è pazza. Bisognerebbe avere cento occhi oggigiorno.»

Non male, detto da uno che aveva appena finito di minacciarmi di morte.

Entrai nell’ingresso tenendo gli occhi ben aperti nel caso ci fosse Ranger. Le porte dell’ascensore si aprirono e sbirciai all’interno. Vuoto. Non sapevo se essere sollevata o delusa. Anche il corridoio era vuoto. Nell’appartamento non ebbi la stessa fortuna. La nonna sbucò fuori dalla cucina nel momento stesso in cui aprivo la porta.

«Giusto in tempo» disse. «Le bistecche di maiale sono pronte da servire. E ho anche preparato la pasta col formaggio. Solo che non abbiamo insalata perché ho pensato che, non essendoci tua madre, possiamo mangiare quello che vogliamo.»

Il tavolo nella sala da pranzo era apparecchiato con piatti veri, posate vere e i tovaglioli di carta ripiegati a triangolo.

«Accidenti» dissi. «È carino da parte tua preparare la cena in questo modo.»

«Avrei potuto fare anche di meglio, ma hai soltanto una pentola. Che cosa è successo a quella batteria che ti hanno regalato per il matrimonio?»

«L’ho buttata via quando ho trovato Dickie… be’ lo sai, con Joyce.»

La nonna portò in tavola la pasta col formaggio. «Sì, posso capire.» Si sedette e prese una bistecca di maiale. «Devo darmi una mossa. Con Melvina non abbiamo avuto tempo di andare alla veglia questo pomeriggio, così ci andremo stasera. Se vuoi venire anche tu, sei la benvenuta.»

A parte ficcarmi una forchetta in un occhio, la cosa che mi piace di più al mondo è far visita ai morti. «Grazie, ma stasera devo lavorare. Devo sorvegliare qualcuno per conto di un amico.»

«Peccato davvero» disse la nonna «sarà una gran bella veglia.»


Dopo che la nonna fu uscita guardai una replica dei Simpson, una replica della Tata e un’altra mezz’ora di televisione, cercando di distogliermi dal pensiero di Ranger. In uno sgradevole angolino della mia mente albergava un dubbio sulla sua innocenza nell’assassinio di Ramos. E il resto del cervello era occupato dall’ansia che potesse essere ucciso o arrestato prima che saltasse fuori il vero colpevole. Per complicare ulteriormente le cose avevo accettato di fare quel pedinamento per lui. Ranger era il miglior cacciatore di latitanti di Vinnie, ma aveva anche un’altra quantità di attività imprenditoriali, alcune delle quali erano persino legali. Avevo lavorato per Ranger in passato, con risultati alterni, e alla fine avevo deciso di cancellare il mio nome dalla lista dei suoi collaboratori, pensando che non fosse nell’interesse di nessuno dei due lavorare insieme. Ora sembrava arrivato il momento di fare un’eccezione. Ciò nonostante non capivo bene perché volesse il mio aiuto. Non avevo particolare competenza. Tuttavia ero leale e fortunata, e probabilmente ero anche l’unica persona disponibile.

Quando fu ormai buio mi cambiai d’abito. Un paio di calzoncini da ginnastica elasticizzati, maglietta nera, scarpe da ginnastica, una maglia nera col cappuccio e, per completare il tutto, una bomboletta di spray urticante tascabile. Se fossi stata scoperta mentre andavo in giro a spiare avrei potuto fingere di essere lì per fare jogging. Qualunque guardone perverso usava la stessa scusa e funzionava tutte le volte.

Diedi a Rex un pezzetto di formaggio e gli spiegai che sarei rientrata nel giro di un paio d’ore. Fuori, nel parcheggio, cercai la mia Honda Chic e poi mi ricordai che era andata arrosto. Poi cercai la Macchina del Vento, sbagliando di nuovo. Finalmente, con un sospiro di sconforto, adocchiai la Buick.

Fenwood Street era graziosa di notte. Le finestre delle case illuminate e i lampioni lungo la strada punteggiavano i sentierini che conducevano alle abitazioni. Non c’era nessuno per la strada.

La casa di Hannibal Ramos aveva ancora le tende tirate, ma la luce filtrava da dietro le finestre. Feci un giro dell’isolato e parcheggiai la Buick proprio vicino alla pista ciclabile che avevo percorso quella mattina.

Feci un po’ di esercizi di stretching e qualche minuto di corsa sul posto nel caso qualcuno mi stesse osservando, domandandomi se avessi un’aria sospetta. Cominciai a correre a passo lento e subito raggiunsi il sentiero che si snodava attraverso il terreno comune dietro le case. Qui c’era meno luce, filtrata dagli alberi. Aspettai che i miei occhi si adattassero all’oscurità. Tutte le staccionate delle proprietà avevano una porticina sul retro e con attenzione feci l’intero percorso contando le porte, fino a ritrovarmi dietro quella che ritenevo essere la casa di Hannibal. Le finestre del piano superiore erano buie, ma sulla recinzione si proiettava la luce di quelle al piano terra sul retro della casa.

Provai ad aprire la porticina sul retro. Chiusa. La recinzione di mattoni era alta più di due metri. I mattoni lisci e impossibili da scalare: non c’era presa per le mani né per i piedi. Mi guardai attorno in cerca di qualcosa su cui arrampicarmi. Niente.

Adocchiai l’albero di pino che cresceva accanto alla recinzione la quale, facendo pressione su alcuni dei rami più bassi, lo aveva leggermente deformato. I rami più alti si allungavano sul cortile interno: se avessi potuto arrampicarmi, mi avrebbero offerto riparo e avrei potuto spiare Hannibal. Afferrai uno dei rami più bassi e mi sollevai. Arrancai fin quasi a un metro di altezza e fui ricompensata dalla vista del cortile posteriore della casa di Hannibal. La recinzione era bordata con aiuole di fiori ricoperte di pacciame. Una veranda in muratura di forma irregolare proteggeva le entrate sul retro della casa e il resto del cortile era a prato.

Proprio come sospettavo, le tende nella parte posteriore della casa non erano tirate e da una doppia finestra si riusciva a vedere dentro la cucina. Le porte che davano sulla veranda conducevano a un soggiorno, oltre il quale era visibile una piccola porzione di un’altra stanza: probabilmente il salotto, ma era difficile dirlo con certezza. Non vedevo nessuno in giro.

Rimasi lì a sedere per un po’, osservando, ma non accadde nulla. Tutto era immobile nella casa di Hannibal. E anche nelle case dei suoi vicini. Molto noioso. Nessuno sulla pista ciclabile. Nessuno che portasse a spasso il cane. Nessuno che andasse a fare jogging. Troppo buio. È questo che mi piace degli appostamenti. Non succede mai niente. Poi devi andare al bagno e ti perdi un duplice omicidio.

Dopo un’ora avevo il sedere addormentato e le gambe indolenzite per l’immobilità. Può bastare, pensai. Non sapevo che cosa avrei dovuto cercare, comunque.

Mi voltai per ridiscendere, persi l’equilibrio e caddi rovinosamente al suolo. Sdraiata sulla schiena. Nel cortile di Hannibal.

La luce della veranda si accese e Hannibal uscì e mi guardò. «Che diavolo succede?» domandò.

Provai ad articolare le dita e a muovere le gambe. Tutto sembrava ancora funzionante.

Hannibal mi venne vicino, le mani sui fianchi, scrutandomi come se aspettasse una spiegazione.

«Sono caduta dall’albero» dissi. Piuttosto ovvio, visto che c’erano aghi di pino e ramoscelli sparsi tutto intorno a me.

Hannibal non mosse un muscolo.

Faticosamente mi alzai in piedi. «Stavo cercando di far scendere il mio gatto. È sull’albero da questo pomeriggio.»

Lui alzò lo sguardo sull’albero. «È ancora lassù, il gatto?» Sembrava che non credesse a una sola parola.

«Penso che sia saltato giù quando sono caduta.»

Hannibal Ramos aveva il colorito tipico della California e la mollezza del pantofolaio teledipendente. Avevo visto alcune sue foto, perciò la cosa non mi stupì; quello che non mi aspettavo era l’espressione devastata sul suo viso, ma tutto sommato aveva appena perso un fratello e doveva essere stato un duro colpo. I capelli castani erano sottili e tendenti a diradare, un paio di occhiali con la montatura di tartaruga gli nascondeva gli occhi. Indossava un completo grigio che aveva un gran bisogno di essere stirato e una camicia bianca con il colletto aperto, anch’essa spiegazzata: un qualunque uomo d’affari dopo una dura giornata in ufficio. Doveva aver superato da poco i quaranta e da un paio d’anni un intervento di by-pass quadruplo.

«E immagino che sia scappato via?» disse Ramos.

«Oddio, spero di no. Sono stufa di dargli la caccia.» Sono una grande bugiarda. A volte mi stupisco di me stessa.

Hannibal aprì la porta della recinzione e diede un’occhiata veloce alla pista ciclabile. «Cattive notizie. Non vedo gatti.»

Guardai oltre la spalla di Hannibal. «Qui, micio, micio» chiamai. Mi sentivo abbastanza stupida ora, ma non c’era altro da fare che andare avanti.

«Sa che cosa penso?» disse Hannibal. «Penso che non ci sia nessun gatto. Penso che lei fosse su quell’albero a spiarmi.»

Gli lanciai un’occhiata di assoluta incredulità, del tipo: Oh, davvero? «Senta» dissi, girandogli attorno precipitosamente in direzione dell’uscita. «Devo andare. Devo trovare il gatto.»

«Di che colore è?»

«Nero.»

«Buona fortuna.»

Guardai sotto un paio di cespugli lungo il bordo della pista ciclabile. «Qui, micio, micio.»

«Forse dovrebbe lasciarmi il suo nome e il numero di telefono, nel caso io lo trovi» disse Hannibal.

I nostri occhi si incrociarono per un breve istante, e il cuore mi fece un tuffo nel petto.

«No» gli risposi. «Non penso sia necessario.» E poi me ne andai camminando nella direzione opposta a quella dalla quale ero venuta.

Abbandonai la pista ciclabile e feci il giro attorno all’isolato per tornare all’auto. Attraversai la strada e rimasi nell’ombra per qualche minuto osservando la casa di Hannibal e fantasticando su di lui. Se lo avessi incontrato per strada lo avrei etichettato come un venditore di polizze assicurative. O forse un dirigente di medio livello in qualche società americana. Che fosse il principe ereditario del mercato nero delle armi non mi sarebbe mai venuto in mente.

Al piano superiore si accese una luce: il principe ereditario stava probabilmente cambiandosi d’abito per stare più comodo. Troppo presto per andare a letto, e poi le luci erano ancora accese al piano terra. Stavo quasi per andarmene quando lungo la strada passò un’auto, e svoltò nel vialetto che conduceva alla casa di Hannibal.

C’era una donna al volante. Non riuscivo a vedere il suo volto. La portiera dal lato guidatore si aprì e ne uscì una gamba lunga, avvolta in una calza velata, seguita da un corpo mozzafiato in abito nero. Capelli biondi e corti. Un portadocumenti sotto il braccio.

Annotai il numero di targa sul blocchetto che tenevo nella borsa, presi il binocolo tascabile dal cassetto portaoggetti dell’auto, e rapidamente tornai verso il retro della casa di Hannibal. Di nuovo. Tutto pareva silenzioso. Hannibal probabilmente era certo di avermi spaventata a sufficienza. Voglio dire, che razza di idiota sarebbe così pazzo da cercare di spiarlo due volte nella stessa notte?

L’idiota che sono io, ecco chi.

Salii sull’albero il più silenziosamente possibile. Più facile questa volta, conoscevo la strada. Ritrovai il ramo di prima e tirai fuori il binocolo. Sfortunatamente non c’era molto da vedere: Hannibal e la sua ospite erano nella stanza sul davanti. Riuscivo solo a catturare una porzione della schiena di Hannibal, ma la donna era fuori portata. Dopo pochi minuti ci fu in lontananza il rumore della porta principale che si chiudeva e di un’auto che ripartiva e se ne andava.

Hannibal entrò in cucina, prese un coltello da un cassetto e se ne servì per aprire una busta. Tirò fuori una lettera e la lesse. Non ebbe alcuna reazione particolare. Con cura ripose la lettera nella busta e la mise nella credenza della cucina.

Poi guardò fuori dalla finestra apparentemente perso nei propri pensieri. Si spostò verso la porta che conduceva alla veranda, l’aprì e guardò fuori in direzione dell’albero. Mi immobilizzai senza neppure avere il coraggio di respirare. Non può vedermi, pensavo. Tra le fronde dell’albero è troppo buio. Non muoverti e vedrai che tornerà dentro. Errore, errore, errore. La sua mano scivolò lungo il fianco, una torcia elettrica si accese e mi colse con le mani nel sacco.

«Qui, micio, micio» dissi, proteggendomi gli occhi con la mano per vedere controluce.

Lui alzò l’altro braccio e vidi la pistola.

«Scendi» ordinò, camminando verso di me. «Lentamente.»

Già, giusto. Io precipitai dall’albero, rompendo rami nella caduta e atterrando in piedi già pronta a correre.

Zing. L’inconfondibile rumore di una pallottola sparata con un silenziatore. Di solito non mi considero un tipo sportivo, ma percorsi il sentiero alla velocità della luce. Andai dritta alla macchina, saltai dentro e partii in quarta.

Controllai nello specchietto retrovisore parecchie volte per assicurarmi di non essere inseguita. Quando fui vicina a casa proseguii lungo la Makefield, svoltai l’angolo, spensi le luci e attesi.

Nessun’auto in vista. Riaccesi le luci e vidi che le mani avevano quasi smesso di tremare. Decisi che era un buon segno e mi diressi a casa.

Quando svoltai per entrare nel parcheggio, il fascio di luce dell’auto illuminò Morelli. Stava appoggiato mollemente contro la sua 4x4, con le braccia conserte sul petto, le gambe incrociate all’altezza della caviglia. Chiusi a chiave la Buick e lo raggiunsi. La sua espressione mutò dalla tranquillità un po’ annoiata alla curiosità divertita.

«Di nuovo con la Buick?» domandò.

«Solo per un po’.»

Mi squadrò da capo a piedi e mi tolse un ciuffo di aghi di pino dai capelli. «Non oso domandare» disse.

«Appostamento.»

«Sei tutta appiccicosa.»

«Resina. Ero su un albero di pino.»

Lui sorrise. «Ho sentito dire che cercano personale alla fabbrica di bottoni.»

«Che cosa sai di Hannibal Ramos?»

«Oh, santo cielo, non dirmi che stavi spiando Ramos. È davvero un brutto ceffo.»

«Non ha l’aria di essere cattivo. Sembra un tipo’normale.» Almeno finché non mi aveva puntato contro la pistola.

«Non sottovalutarlo. È lui che governa l’impero dei Ramos.»

«Pensavo che fosse suo padre.»

«Hannibal si occupa dell’amministrazione giorno per giorno. Corre voce che il vecchio sia malato: è sempre stato piuttosto inafferrabile, ma una fonte sicura mi riferisce che il suo comportamento da vagabondo va peggiorando, e la famiglia ha assunto delle baby sitter per assicurarsi che non se ne vada una volta per tutte.»

«Alzheimer?»

Morelli si strinse nelle spalle. «Non lo so.»

Guardai giù e mi resi conto che avevo le ginocchia sbucciate e sanguinanti.

«Potresti rimanere coinvolta in qualcosa di brutto aiutando Ranger» disse Morelli.

«Chi, io?»

«Gli hai detto di mettersi in contatto con me?»

«Non ne ho avuto l’occasione. E poi se gli lasci un messaggio sul cercapersone lo troverà. È solo che non vuole rispondere.»

Morelli mi tirò a sé e mi strinse forte. «Odori come un pino della foresta.»

«Deve essere la resina.»

Mi mise le mani attorno alla vita e mi baciò alla base del collo. «Molto sexy.»

Morelli pensava che qualunque cosa fosse sexy.

«Perché non torni a casa con me?» disse. «Ti bacerò le ginocchia sbucciate e starai subito meglio.»

Era una tentazione. «E che mi dici della nonna?»

«Non se ne accorgerà. Probabilmente dorme già profondamente.»

Una finestra al secondo piano dell’edificio si aprì. La mia finestra. E la nonna mise fuori la testa. «Sei tu, Stephanie? E chi c’è con te? È Joe Morelli, quello?»

Joe le fece un cenno di saluto. «Salve, signora Mazur.»

«Perché rimanete lì fuori?» domandò la nonna. «Perché non venite dentro a mangiare un po’ di dolce? Ci siamo fermate al supermercato, tornando a casa dalla veglia, e ho comprato una torta a strati.»

«Grazie» disse Joe «ma devo tornare a casa. Sono di turno molto presto domani mattina.»

«Accidenti» dissi «rinunciare a una torta a strati!»

«Non è della torta che ho fame.»

Sentii una contrazione ai muscoli pelvici.

«Va bene, ne taglierò una fetta solo per me» disse la nonna. «Sto morendo di fame, le veglie mi mettono sempre appetito.» La finestra si chiuse e la nonna sparì.

«Non hai intenzione di venire a casa con me, vero?» disse Morelli.

«Tu hai una torta?»

«Ho di meglio.»

Era vero. Lo sapevo con certezza.

La finestra si aprì di nuovo e ancora una volta la nonna mise fuori la testa. «Stephanie, c’è una telefonata per te. Vuoi che gli dica di richiamare più tardi?»

Morelli sollevò le sopracciglia. «Un uomo?»

Entrambi stavamo pensando a Ranger.

«Chi è?» domandai.

«Un certo Brian.»

«Deve essere Brian Simon» dissi a Morelli. «Ho dovuto implorarlo per ottenere un’indulgenza per Carol Zabo.»

«Vorrà parlarti di lei?»

«Oddio, me lo auguro.» O si trattava di quello, oppure Brian Simon voleva reclamare la propria ricompensa. «Vengo subito» gridai alla nonna. «Fatti dare il numero e digli che lo richiamo io.»

«Mi stai spezzando il cuore» disse Morelli.

«La nonna rimarrà soltanto un altro paio di giorni, e poi potremo festeggiare.»

«Tra un paio di giorni sarò arrivato fino al gomito, a forza di mordermi le mani.»

«È una faccenda seria.»

«Non dubitarne» disse Morelli. Mi baciò e non dubitai di nulla. Aveva la mano sotto la mia maglietta e la lingua nella mia bocca… e io sentii qualcuno fischiare, come un richiamo per bestie selvatiche.

La signora Fine e il signor Morgenstern erano affacciati alle finestre, richiamati dagli schiamazzi fra me e la nonna, e fischiavano. Entrambi cominciarono ad applaudire e a lanciare grida di incoraggiamento.

La signora Benson aprì la finestra. «Che cosa succede?» domandò.

«Sesso nel parcheggio» disse il signor Morgenstern.

Morelli mi guardò con l’aria di riflettere su qualcosa. «È anche possibile.»

Io mi voltai, mi precipitai all’entrata e feci uno scatto su per le scale. Presi una fetta di torta e poi telefonai a Simon.

«Che cosa c’è?» dissi.

«Ho bisogno di un favore.»

«Non faccio sesso telefonico» dissi.

«Non si tratta di quello. Caspita, perché pensi una cosa del genere?»

«Non lo so. Mi è venuta così.»

«Si tratta del mio cane. Devo andare fuori città per un paio di giorni e non ho nessuno che se ne occupi. Perciò, visto che tu mi devi un favore…»

«Vivo in un appartamento! Non posso tenere un cane.»

«Si tratta solo di un paio di giorni. Ed è davvero un cane buonissimo.»

«Hai pensato a un canile?»

«Lui odia i canili. Non mangia. Si deprime.»

«Che genere di cane è?»

«È piccolo.»

Dannazione. «Solo per un paio di giorni?»

«Te lo porto domattina presto e lo vengo a riprendere domenica.»

«Non lo so. Non è un buon momento. Mia nonna è venuta a stare da me.»

«Lui adora le anziane signore, giuro. Tua nonna se ne innamorerà.»

Gettai un’occhiata a Rex. Non avrei potuto sopportare di vederlo depresso o inappetente, perciò credevo di capire come si sentisse Simon per il proprio cane. «D’accordo» dissi. «A che ora, domani?»

«Verso le otto?»


Aprii gli occhi e mi domandai che ore fossero. Ero sul divano, fuori era buio pesto e sentivo odore di caffè. Per un attimo fui presa dal panico del disorientamento. Posai gli occhi sulla poltrona di fronte a me e mi resi conto che c’era qualcuno seduto. Un uomo. Difficile da vedere in quell’oscurità. Mi si mozzò il respiro di colpo.

«Com’è andata?» disse lui. «Hai scoperto qualcosa di interessante?»

Ranger. Inutile domandarsi come aveva fatto a entrare visto che le porte e le finestre erano chiuse a chiave. Lui aveva i suoi sistemi. «Che ore sono?»

«Le tre.»

«Ti è mai capitato di pensare che la gente dorme a quest’ora della notte?»

«C’è odore di pino della foresta qui» disse Ranger.

«Sono io. Ero appollaiata sull’albero di pino dietro la casa di Hannibal, e non sono riuscita a togliere la resina. Mi si è appiccicata tutta ai capelli.»

Vidi Ranger sorridere nell’oscurità. Lo udii ridere sommessamente.

Mi drizzai a sedere. «Hannibal ha un’amica. È arrivata in auto alle dieci in punto con una BMW nera. È stata con Hannibal per circa dieci minuti, gli ha dato una lettera e se n’è andata.»

«Che tipo era?»

«Bionda, coi capelli corti. Magra. Elegante.»

«Hai preso il numero di targa?»

«Certo. Me lo sono segnato. Non ho avuto ancora modo di controllarlo.»

Lui sorseggiò il caffè. «Nient’altro?»

«Lui mi ha vista, più o meno.»

«Più o meno?»

«Sono caduta dall’albero dritta nel suo cortile.»

Il sorriso scomparve. «E poi?»

«E poi gli ho detto che stavo cercando il gatto, ma non penso che mi abbia creduto.»

«Se ti conoscesse meglio…» disse Ranger.

«Poi, la seconda volta, mi ha beccata mentre stavo sull’albero, ha tirato fuori una pistola, e io sono saltata giù e sono scappata.»

«Bella presenza di spirito.»

«Ehi» dissi, battendomi un dito sulla testa «non ci cresce l’erba, qui.»

Ranger stava di nuovo sorridendo.

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