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Ho bisogno di sapere se ciò che provo è quello che le persone normali provano quando sono innamorate. Quando andavo a scuola, durante le lezioni di lettere abbiamo letto alcune storie su persone innamorate, ma gli insegnanti dicevano sempre che non erano realistiche. Io non ho mai capito in che senso erano poco realistiche, tuttavia non ho mai chiesto spiegazioni perché la cosa non m’interessava. Secondo me erano sciocchezze. Il signor Nelson, che insegnava igiene, diceva che era tutta una questione di ormoni e che non dovevamo fare stupidaggini. Le sue descrizioni dell’incontro sessuale, poi, mi facevano desiderare di non aver nulla fra le gambe, come i bambolotti. Non riuscivo a immaginare di dover mettere questo in quella. Inoltre i termini usati per indicare gli organi sessuali erano brutti, sia quelli colloquiali sia quelli scientifici. E la descrizione dell’atto somigliava più che altro a qualcosa di penoso. L’idea di quella vicinanza così intima, di dover respirare il fiato di un’altra persona, di sentirsi addosso l’odore del suo corpo… era disgustosa. Le docce in comune erano già abbastanza sgradevoli. Tutto l’argomento mi faceva venir voglia di vomitare.

Allora era repellente. Adesso… il profumo dei capelli di Marjory, quando ci incontriamo, mi fa desiderare di avvicinarmi di più a lei. Anche se lei usa un detersivo profumato per i suoi indumenti, anche se usa un deodorante con un odore di cipria, c’è qualcosa… però l’idea continua a sembrarmi spaventosa. Ho visto fotografie, so com’è fatto un corpo femminile. Quando ero a scuola, i ragazzi si scambiavano piccoli video di donne nude che danzavano e di uomini e donne che facevano sesso. Diventavano tutti rossi e sudati mentre lo facevano, e le loro voci cambiavano, diventavano simili a quelle degli scimpanzè nei documentari sulla natura. In principio volevo vedere quei video, per imparare qualcosa (i miei genitori non avevano niente di simile a casa), ma erano noiosi e tutte le donne avevano un’aria piuttosto incollerita o spaventata. Io pensavo che se si fossero divertiti avrebbero dovuto avere un’espressione felice.

Io non vorrei mai far diventare qualcuno spaventato o incollerito; la paura e la collera sono emozioni molto sgradevoli. Il signor Neilson diceva che era normale avere impulsi sessuali, ma non spiegava cosa fossero, o almeno non in modo che io potessi capire. Il mio corpo si sviluppava come quello degli altri ragazzi; ricordo come rimasi sorpreso quando vidi i primi peli neri crescermi sul basso ventre. Il nostro insegnante ci aveva parlato dello sperma e delle uova e di come le cose crescono dai semi. Quando vidi quei peli, pensai che qualcuno avesse piantato dei semi per farli crescere, ma non capivo come potesse essere accaduto. Mia madre mi spiegò che era la pubertà e mi esortò a non fare sciocchezze.

Non mi è mai stato chiaro di quale genere di sentimenti mi parlavano: sembrava quasi che un corpo potesse essere insieme freddo e caldo o una mente sentirsi felice e triste. Quando vedevo le foto delle ragazze nude, certe volte il mio corpo provava impulsi, ma l’unica sensazione della mia mente era disgusto.

Ho visto Marjory tirare di scherma e so che le piace, ma non sorride sempre. Dicono che un viso sorridente è un viso felice… ma forse non è vero? Forse a lei quello piacerebbe?

Arrivo a casa di Tom e Lucia e lei dalla cucina mi dice di uscire in cortile. Ancora non è arrivato nessuno.

Tom sta rifacendo il filo a una delle sue spade. Io comincio i miei stiramenti. Da quando i miei genitori sono morti, lui e Lucia sono l’unica coppia che conosco che sia stata sposata per tanto tempo, e siccome i miei genitori non ci sono più non posso chiedere a loro cos’è il matrimonio.

— A volte tu e Lucia sembrate arrabbiati l’uno con l’altro — dico, spiando il viso di Tom per capire se questo discorso non gli piace.

— Le persone sposate ogni tanto litigano — dice lui. — Non è facile star vicino a qualcuno per tanti anni.

— Però… — Non so come esprimermi. — Se Lucia è in collera con te… e se tu sei in collera con lei… questo vuol dire che non vi amate più?

Tom sembra esterrefatto, ma poi ride… di un riso un poco nervoso. — No, Lou, ma è difficile da spiegare. Noi ci amiamo, e continuiamo ad amarci anche quando siamo in collera. L’amore è dietro la collera, come un muro dietro una tenda o la terra quando ci passa sopra un temporale. Il temporale si dilegua e la terra è sempre là.

— Ma se c’è un temporale — dico — talvolta la terra s’inonda o una casa viene trascinata via.

— Sì, e talvolta, se l’amore non è abbastanza forte o la rabbia è troppo grande, le persone smettono di amarsi. Ma a me e a Lucia questo non succede.

Mi chiedo come fa a esserne sicuro. Lucia è sembrata in collera molte volte negli ultimi tre mesi. Tom allora come fa a sapere che lei lo ama ancora?

— Le persone a volte passano dei brutti momenti per un po’ di tempo — riprende Tom, come se mi avesse letto nel pensiero. — Ultimamente Lucia ha avuto noie sul lavoro; poi, la notizia che volevano costringerti a sottoporti a un trattamento l’ha irritata ancora di più.

Non avevo mai pensato che le persone normali avessero noie sul lavoro. Che tipo di noie possono avere? Non credo possano essere perseguitate da un signor Crenshaw che voglia far provare loro delle cure che non desiderano fare. E allora?

— È spiacevole quando Lucia è in collera — dico.

Tom esclama: — Lo puoi dire forte! — Io so che questo non significa che io devo urlare ciò che ho detto, però mi pare sempre sciocco usare questi termini invece di dire chiaramente "Hai ragione".

— Ho riflettuto sul torneo — cambio argomento. — E ho deciso…

Marjory esce in cortile. Lei attraversa sempre la casa, benché alcuni di noi usino invece la porticina laterale. Mi chiedo come mi sentirei se Marjory fosse arrabbiata con me. A me fa sempre male quando la gente va in collera con me, anche se si tratta di persone poco simpatiche. Però se Marjory andasse in collera con me mi sentirei ancora più male di quanto mi succedeva coi miei genitori.

— Cos’hai deciso? — chiede Tom. Poi alza gli occhi e vede Marjory. — Ah. Allora?

— Mi piacerebbe provare — dico.

— Oh, — dice Marjory — hai deciso di partecipare al torneo, Lou? Bravo!

— Certo, ma adesso Lou dovrà sentire la mia arringa numero uno — dice Tom. — Va’ a prendere la tua roba, Marjory, non devi distrarlo.

Infatti, ora che Marjory è rientrata in casa, è più facile ascoltare Tom.

— Prima di tutto, da adesso fino alla data del torneo, devi esercitarti più che puoi: ogni giorno, se possibile. Se non puoi venire qui, almeno fai gli stiramenti, la ginnastica e il controllo della punta a casa.

Non credo di poter venire ogni giorno a casa sua. Quando potrei fare il bucato o la spesa o lavare la macchina?

— Esercitati in ogni momento libero, però sta’ attento a non stancarti troppo — dice Tom. — Poi, una settimana prima, controlla tutto il tuo equipaggiamento. So che lo mantieni in buone condizioni, ma è bene controllare sempre. Lo faremo insieme. Hai una seconda spada?

— No… devo ordinarne una?

— Sì, se te la puoi permettere… altrimenti posso prestartene una delle mie.

— Posso ordinarla. — Non rientrava nelle mie previsioni, ma ho abbastanza denaro in questo momento.

— Bene. Il tuo equipaggiamento dev’essere controllato, pulito e pronto da trasportare. Il giorno prima del torneo ti riposerai, perché devi rilassarti. Va’ a passeggio, fa’ quello che ti pare.

— Non potrei rimanere a casa?

— Sì, ma un leggero esercizio ti farebbe meglio. Mangia bene e va’ a letto all’ora solita.

Sarà un po’ complicato seguire il programma esposto da Tom e fare tutte le altre cose che devo fare.

— Senti… qui tu terrai lezione anche altre sere oltre al mercoledì?

— Per gli studenti che intendono partecipare a un torneo, sì — dice Tom. — Vieni ogni giorno tranne il martedì, che è la serata speciale mia e di Lucia.

— Io il martedì faccio la spesa — dico, arrossendo. Mi chiedo cosa si prova ad avere una serata speciale.

Marjory, Lucia e Max arrivano dalla casa. — Basta con i consigli — ci interrompe Lucia. — Finirai col fargli paura. E non dimenticare il modulo d’iscrizione.

— Il modulo d’iscrizione! — esclama Tom dandosi uno schiaffo sulla fronte; lo fa ogni volta che dimentica qualcosa. Si precipita in casa. Dalla porticina laterale entrano Susan, Don e Cindy.

Tom ritorna con un modulo che devo riempire e firmare.

La prima parte è facile: nome, indirizzo, numero di telefono, età, altezza e peso. Non so cosa scrivere nello spazio che porta l’intestazione "personaggio".

— Oh, non te ne preoccupare — dice Tom. — Questo è per quelli che vogliono recitare una parte.

— In una commedia? — domando.

— No. Per un giorno fingono di essere un personaggio inventato da loro, un personaggio storico. Be’, direi più che altro pseudo storico.

Quando parlavo di personaggi inventati ai miei insegnanti loro si turbavano e facevano annotazioni nella mia cartella. Vorrei domandare a Tom se le persone normali fanno spesso di queste cose, ma non vorrei che si offendesse.

Lui continua: — Tu però non hai bisogno di assumere un travestimento, Lou, a meno che per un giorno non desideri essere qualcun altro.

Io non voglio essere qualcun altro. È già abbastanza duro essere Lou.

Salto tutti gli spazi relativi al personaggio che non desidero diventare e alla fine leggo lo Scarico di responsabilità. È un paragrafo che porta questo titolo, ma non so cosa significhi esattamente. Firmandolo dichiaro di rendermi conto che la scherma è uno sport pericoloso e che qualunque lesione io possa soffrire nel corso degli incontri non è colpa degli organizzatori del torneo; quindi essi non incorrono in alcuna responsabilità legale a tale proposito. Dichiaro inoltre di voler rispettare le regole dello sport e di attenermi al giudizio degli arbitri, il quale è inappellabile.

Firmo il modulo e lo consegno a Tom che lo dà a Lucia. Lei sospira e lo fa scivolare nel suo cestino da lavoro.


Il giovedì sera di solito guardo la TV, ma Tom mi ha detto di esercitarmi più che posso in vista del torneo, quindi mi cambio e vado a casa sua e di Lucia. Mi sembra strano percorrere questa strada il giovedì. Osservo il colore del cielo e delle foglie sugli alberi più acutamente di quanto faccia di solito. Tom mi conduce subito in cortile e mi dice di cominciare a fare gioco di gambe e poi esercizi di particolari combinazioni di assalti e parate. Ben presto inizio ad avere il respiro affannoso. — Bene così — dice lui. — Continua. Ti sto facendo fare esercizi che puoi ripetere a casa tua, dal momento che probabilmente non potrai venire qui tutte le sere.

Non viene nessun altro. Dopo mezz’ora Tom mette la maschera e cominciamo a esercitarci in ripetizioni lente e accelerate delle stesse figure, più e più volte. Non era questo che mi aspettavo, però capisco di quale utilità mi saranno questi allenamenti. Me ne vado alle 20.30 e sono troppo stanco per connettermi a Internet quando arrivo a casa. È molto più faticoso esercitarsi in continuazione piuttosto che fare incontri a turno.

Faccio una doccia e mi trovo addosso parecchi lividi nuovi. Sono esausto e irrigidito, ma sono anche contento. Il signor Crenshaw ancora non ha detto nulla di quel nuovo trattamento. Marjory ha detto "Bravo!" quando ha saputo che intendevo partecipare a un torneo. Tom e Lucia non sono arrabbiati l’uno con l’altro, o almeno non abbastanza da smettere di essere sposati.

Il giorno dopo faccio il bucato, ma il sabato dopo le pulizie vado di nuovo da Tom e Lucia per un’altra lezione. La domenica sono molto meno stanco e irrigidito di quanto fossi il venerdì. Lunedì ho un’altra lezione supplementare. Martedì vado a fare la mia spesa come al solito. Mercoledì vado normalmente a lezione. Marjory non c’è; Lucia dice che è andata fuori città e mi dà degli indumenti speciali per il torneo. Tom mi dice di non venire il giovedì perché sono abbastanza allenato.

Venerdì mattina alle 8.53 il signor Crenshaw ci convoca tutti e dice di avere un annuncio da fare. Sento lo stomaco contrarsi.

— Siete tutti molto fortunati — inizia. — Nella difficile congiuntura economica in cui ci troviamo, francamente io sono molto sorpreso che questo sia anche lontanamente possibile, ma in effetti… voi avrete la possibilità di provare una terapia d’avanguardia che non vi costerà nemmeno un centesimo. — Le sue labbra abbozzano un largo e falso sorriso e la sua faccia è lucida per lo sforzo a cui si sta sottoponendo.

Deve pensare che noi siamo davvero stupidi. Lancio un’occhiata a Cameron, poi a Dale, a Chuy, gli unici che posso vedere senza voltare la testa. Anche loro mi guardano.

Cameron dice: — Vuole alludere alla terapia sperimentale elaborata a Cambridge e di cui si parlava in "Nature Neuroscience" una settimana fa?

Crenshaw impallidisce e inghiotte. — Come fate a saperlo?

— Era su Internet — spiega Chuy.

— È… è… — Crenshaw s’interrompe e ci guarda accigliato, ma poi contorce la bocca di nuovo in un sorriso. — Comunque, c’è una nuova terapia che voi avete la possibilità di provare senza nessuna spesa.

— Io non la voglio — dice Linda. — Non ho bisogno di una terapia, sto bene come sto. — Mi volto a guardarla.

Crenshaw si fa rosso. — Voi non state bene — replica a voce più alta e più aspra. — Voi non siete normali. Siete autistici, handicappati, siete stati assunti con condizioni speciali…

Segue una pausa.

— Dovete adattarvi — riprende Crenshaw. — Non potete aspettarvi di godere di privilegi speciali per sempre, non quando esiste una terapia che può farvi diventare normali. La palestra, gli uffici individuali, la musica, e quelle decorazioni assurde… potete diventare normali e allora non ci sarà bisogno di quella roba. È antieconomica. È ridicola. — Si gira come per andarsene, poi torna a voltarsi. — Deve finire! — esclama, poi se ne va.

Ci guardiamo in silenzio e solo dopo qualche minuto Chuy dice: — Bene, ci siamo.

— Io non voglio quella terapia — dice Linda. — Non possono impormela per forza.

— Forse sì — osserva Chuy. — Non lo sappiamo con sicurezza.

Nel pomeriggio ognuno di noi riceve una lettera stampata su carta. La lettera dice che a causa della difficile congiuntura economica e della necessità di diversificarsi e rimanere competitivo, ogni reparto deve ridurre il personale. Gli impiegati che prendono parte attiva in protocolli di ricerca sono esenti da possibile licenziamento. Agli altri saranno offerte ottime buonuscite se si dimetteranno spontaneamente. La lettera non dice chiaro e tondo che dobbiamo accettare il trattamento o perdere il lavoro, ma io penso che il suo significato sia quello.

Il signor Aldrin viene nella nostra sede nel tardo pomeriggio e ci convoca nell’atrio.

— Non sono riuscito a fermarli — dice. — Ci ho provato. — Io ricordo di nuovo il commento di mia madre: "Provare non è fare". Il signor Aldrin sembra depresso. — Mi dispiace davvero — ripete, e se ne va.

— Dovremmo parlarne — dice Cameron. — Qualunque cosa vogliamo, dovremmo parlarne. E parlare anche con qualcun altro: un avvocato, per esempio.

— La lettera dice che non dobbiamo discuterne fuori dell’ufficio — obietta Bailey.

— La lettera è concepita per farci paura — ribatto io.

— Dobbiamo parlarne — ripete Cameron. — Stasera dopo il lavoro.

— Io faccio il bucato il venerdì sera — dico.

— Domani al Centro…

— Dovrò andare fuori, domani — dico. Tutti mi guardano e io distolgo gli occhi. — C’è un torneo di scherma — aggiungo. Resto un po’ sorpreso che nessuno mi domandi chiarimenti.

— Ne parleremo noi e domanderemo al Centro — decide Cameron. — Poi ti riferiremo.

— Io non voglio parlare — dice Linda. — Voglio essere lasciata in pace. — Se ne va. È turbata. Siamo tutti turbati.

Entro nel mio ufficio e guardo lo schermo del computer. È lì che sono racchiusi gli schemi che io devo analizzare o creare, ma oggi l’unico schema che vedo mi si sta chiudendo intorno come una trappola, è un mare di tenebra che si raduna da ogni parte più in fretta di quanto io possa analizzare.

Mi concentro su quanto devo fare oggi e domani. Tom mi ha detto come prepararmi e lo farò.


Tom fermò la macchina nel parcheggio della casa dove abitava Lou. Come aveva previsto, Lou era pronto e lo aspettava fuori, con tutto il suo equipaggiamento, tranne le spade, ordinatamente riposto in uno zaino. Appariva teso, ma riposato: evidentemente aveva seguito i suoi consigli, aveva mangiato e dormito normalmente. Portava il costume che Lucia aveva scelto per lui, e non sembrava trovarcisi molto a suo agio.

— Pronto? — disse Tom.

Lou si guardò intorno e rispose: — Sì, Buongiorno, Tom. Buongiorno, Lucia.

— Buongiorno a te — disse Lucia, e Tom le lanciò una rapida occhiata. Avevano già bisticciato a proposito di Lou: Lucia era pronta a fare a pezzi chiunque gli desse il minimo fastidio, mentre Tom pensava che Lou fosse capace di risolvere i piccoli problemi da solo.

Lou prese posto nel sedile posteriore e durante la strada non disse nulla. Un bel contrasto con i chiacchieroni ai quali lui era abituato, pensò Tom. A un tratto però Lou gli chiese: — Ti sei mai domandato quale sia la velocità del buio?

— Eh? — Tom stava pensando alla sua ultima pubblicazione, che forse aveva bisogno di qualche revisione.

— Vedi, noi abbiamo dei valori per la velocità della luce — spiegò Lou. — Ma la velocità del buio…

— Il buio non ha velocità — disse Lucia. — È solo un’assenza di luce, non esiste di per sé.

— Io credo… io credo che forse esista — azzardò Lou.

Tom guardò Lou nello specchietto retrovisore: sembrava un poco triste. — Hai idea di quanto potrebbe esser veloce? — Lucia gli lanciò un’occhiata: a lei non piaceva che Tom seguisse Lou nei meandri di certi suoi ragionamenti, ma lui non vedeva che male ci fosse.

— Siccome si trova dove la luce non è ancora arrivata, dovrebbe essere più veloce… visto che è sempre già lì quando si fa luce.

— Ma potrebbe anche non muoversi affatto, visto che è già lì — disse Tom.

— Tu credi davvero che il buio sia qualcosa di reale? — domandò Lucia girandosi a metà.

— "Il buio è un fenomeno naturale caratterizzato dall’assenza di luce" — citò Lou. — Lo diceva il mio testo di scienze quando andavo a scuola: ma come definizione in realtà non spiega molto. L’insegnante diceva che il cielo notturno sembra buio tra le stelle, ma che invece c’è luce… le stelle diffondono luce in tutte le direzioni, quindi la luce c’è o noi non potremmo vederle.

— Se per metafora noi assumessimo che la conoscenza è la luce e l’ignoranza è il buio, allora potrebbe sembrare che il buio, cioè l’ignoranza, abbia davvero un’esistenza reale, non sia solo una mancanza di conoscenza. Si potrebbe definirla una specie di volontà d’ignoranza. E questo aiuterebbe a capire certi politici.

— Se ricorriamo alle metafore — disse Lucia — potresti anche dire che una balena simboleggia il deserto o che qualunque cosa ne significa un’altra.

— Non ti senti bene? — chiese Tom.

— Sono irritata, e tu sai perché — rispose lei.

— Chiedo scusa — disse Lou da dietro.

— Perché? — domandò Lucia.

— Non avrei dovuto parlare della velocità del buio. Ti ho fatta irritare.

— Non sei stato tu a irritarmi, ma Tom.

La macchina continuò la sua corsa in un silenzio imbarazzato. Quando raggiunsero il parco dove si doveva tenere il torneo, Tom si affrettò ad accompagnare Lou alla convalida dell’iscrizione e poi al controllo dell’equipaggiamento. Lucia si allontanò per andare a parlare con certi suoi amici, e Tom sperò che le facessero passare il cattivo umore che deprimeva sia lui che Lou.

Dopo mezz’ora, però, Tom si rilassò in quell’atmosfera di cameratismo generale. Conosceva quasi tutti, lì, le conversazioni che si svolgevano intorno a lui vertevano su argomenti familiari. Lou sembrava abbastanza a suo agio e salutava senza imbarazzo le persone alle quali lo presentava. Tom gli fece fare qualche breve esercizio di riscaldamento e quasi subito arrivò il momento di andare alle pedane per il primo incontro.

— Adesso ricorda: il miglior modo di accumulare punti è attaccare subito — ricapitolò Tom. — Il tuo avversario non conosce il tuo stile di combattimento e tu non conosci il suo, ma tu sei rapido. Penetra nella sua guardia e toccalo, o almeno provaci. Come minimo, questo lo scombussolerà…

— Salve, gente — disse la voce di Don alle loro spalle. — Sono appena arrivato… lui non ha combattuto ancora?

Ci mancava solo Don per disturbare la concentrazione di Lou. — No, sta per cominciare adesso. Aspetta un momento e sono da te. — Tom tornò a rivolgersi a Lou. — Andrai benone, Lou. Ricorda anche questo: devi segnare tre punti su cinque, perciò non ti preoccupare se il tuo avversario ti toccherà. Potrai ancora vincere. E ascolta l’ar… — Ma era venuto il momento, e Lou si volse per entrare sulla pedana circondata da una corda. Di colpo Tom si sentì gelare dalla paura. E se aveva spinto Lou in un’impresa superiore alle sue capacità?

Lou appariva goffo come durante le prime lezioni. La sua posa tecnicamente era corretta, ma sembrava rigida e artificiale: non l’atteggiamento disinvolto di chi è pronto a battersi.

— Te lo avevo detto — commentò Don a voce abbastanza bassa. — È troppo difficile per lui… farà…

— Sta’ zitto — ordinò Tom. — Può sentirti.


Sono pronto anche prima che arrivi Tom. Ho indossato il costume che Lucia ha messo insieme per me, ma mi sento strano a portarlo in pubblico: non sembra un vestito normale. Le calze alte e aderenti mi arrivano al ginocchio e le larghe maniche della camicia si gonfiano alla brezza. Anche se i colori sono quieti, marrone, avana e verde scuro, non credo che il signor Aldrin o il signor Crenshaw mi approverebbero se mi vedessero.

Tom è puntuale come sempre e quindi non devo aspettare molto. Il viaggio fino al parco mi ha turbato, perché Tom e Lucia hanno di nuovo bisticciato. Anche se Tom dice che non c’è da preoccuparsene, io me ne preoccupo e ho l’impressione che il loro disaccordo sia in qualche modo colpa mia; però non so come o perché.

Arrivati al parco, Tom parcheggia sull’erba. Ci sono parecchie altre macchine e io ne conto i colori e i tipi. La maggior parte della gente porta costumi, e tutti sono strani come il mio o peggio. Un uomo porta un grande cappello piatto tutto coperto di piume. Vorrei contare i colori, ma i costumi ne hanno troppi. Mi piacciono i mantelli che sono di un colore fuori e di un altro all’interno. Quando si muovono danno l’impressione di una girandola.

Subito andiamo a un tavolo dove una donna con un abito lungo registra i nostri nomi e ci dà piccoli dischi di metallo con un buco nel mezzo. Lucia tira fuori di tasca un nastrino verde e me lo dà. — Infilalo in questo — dice — e appenditelo al collo. — Poi Tom mi conduce a un altro tavolo dove un uomo con calzoncini rigonfi controlla il mio nome su un’altra lista.

— Il tuo turno è alle dieci e un quarto — dice. — Il cartellone è lì. — Indica una tenda a righe gialle e verdi.

Il cartellone è composto di grossi pezzi di cartone tenuti insieme da nastro adesivo, con righe per scriverci i nomi, solo che per la maggior parte non c’è scritto niente. Solo le righe di sinistra sono tutte riempite e lì trovo il mio nome e quello del mio primo avversario.

— Adesso sono le nove e mezza — dice Tom. — Diamo un’occhiata in giro e poi troviamo un posto dove fare qualche esercizio.

Allorché arriva il mio turno ed entro nella pedana, ho il cuore che mi batte e le mani che tremano. Non so cosa sto facendo lì. Non dovrei esserci, non ne conosco lo schema. Intanto il mio avversario attacca e io paro. Non è una buona parata, sono stato troppo lento, ma lui non mi ha toccato. Tiro un respiro profondo e mi concentro sui movimenti dell’altro, sui suoi schemi.

Lo tocco un paio di volte, però lui non sembra accorgersene. Ne sono sorpreso, ma Tom mi ha detto che certe volte una persona non si accorge di un tocco, forse perché è troppo eccitata, specialmente se è al suo primo incontro. Perciò, mi ha detto Tom, è importante che io colpisca con fermezza. Ci riprovo, e siccome questa volta il mio avversario mi si stava avventando addosso, lo colpisco con troppa forza. Lui ci rimane male e parla con l’arbitro, ma questi dice che è colpa sua perché il suo attacco era troppo precipitoso.

Alla fine succede che ho vinto l’incontro. Sono senza fiato, e non solo per il combattimento. Mi sento strano, leggero, ma non della leggerezza che provo quando sono vicino a Marjory. È perché mi sono battuto con una persona che non conoscevo o perché ho vinto?

Tom mi stringe la mano. Ha la faccia lucida e la voce entusiasta. — Ce l’hai fatta, Lou. Sei stato bravissimo…

— Sì, sei stato bravo — lo interrompe Don. — E sei anche stato piuttosto fortunato. Devi stare attento alle parate di terza, Lou. Avevo già notato che non le usi abbastanza di frequente, e quando lo fai è come se telegrafassi le tue intenzioni in anticipo…

— Don… — dice Tom, ma Don continua.

— … e quando qualcuno si butta alla carica non dovresti lasciarti sorprendere…

— Don, Lou ha vinto. Ed è stato molto bravo, perciò smettila. — Tom ha la fronte aggrottata.

— Sì, sì, lo so che ha vinto, ha avuto fortuna al primo incontro, ma se vuol continuare a vincere…

— Don, va’ a prenderci qualcosa da bere. — Adesso Tom sembra irritato.

Don batte le palpebre, stupito, tuttavia prende i soldi che Tom gli porge. — Oh… va bene. Torno subito.

Non mi sento più leggero, ma pesantissimo. Ho fatto troppi errori.

Tom mi sorride. — Lou, il tuo è stato uno dei migliori primi combattimenti che io abbia mai visti — dice. Credo voglia farmi dimenticare ciò che ha detto Don, ma io lo ricordo. Don è mio amico e stava cercando di aiutarmi.

— Io… non ho fatto quello che tu mi avevi detto di fare. Mi avevi detto di attaccare subito…

— Quello che hai fatto ha funzionato: questa è l’unità di misura qui.

— Sì, ma se avessi fatto ciò che mi avevi consigliato…

— Lou, stammi a sentire. Sei stato molto, molto bravo. Perciò hai vinto. E se il tuo avversario avesse accusato i colpi ricevuti onestamente, avresti vinto molto prima.

— Ma Don ha detto…

Tom scuote la testa. — Dimentica quello che ha detto Don. La prima volta che Don partecipò a un torneo, perse la testa al primo incontro. Completamente. Poi si afflisse tanto per aver perso che non combinò più nulla per tutto il resto del torneo, non partecipò nemmeno al girone di ritorno per i perdenti…

— Bene, grazie tante! — esclama Don. È ritornato con tre barattoli di acqua minerale; ne lascia cadere a terra due. — Credevo che ci tenessi davvero a non urtare i sentimenti altrui… — Se ne va con il terzo barattolo. Vedo che è molto arrabbiato.

Tom sospira. — Be’… peccato. Ma non ti preoccupare, Lou. Sei stato bravo. Probabilmente oggi non vincerai… i novellini non vincono mai, tuttavia hai dimostrato padronanza di te stesso e notevole abilità, e io sono fiero che tu faccia parte del nostro gruppo.

— Don però è andato in collera — dico, seguendo con gli occhi Don che si allontana. Penso che Tom non avrebbe dovuto parlarmi in quel modo del suo primo torneo. Tom raccoglie i barattoli e me ne offre uno. Beviamo.

— Sì, ma Don… è Don — dice Tom. — È una cosa che fa sempre, l’hai visto. — Non sono certo di sapere quello che Tom vuol dire: che Don parla alla gente degli errori che ha commessi o che va in collera facilmente?

— Io credo che lui stia cercando di essermi amico e di aiutarmi — rispondo. — Anche se a lui piace Marjory, e piace anche a me. Don probabilmente vorrebbe piacerle, mentre lei pensa che lui sia una vipera.

A Tom l’acqua va di traverso e lo fa tossire. Quando si è ripreso chiede: — A te piace Marjory? Nel senso che ti è simpatica o qualcosa di più?

— Mi piace moltissimo — dico. — Vorrei… — Ma non posso dire a voce alta ciò che vorrei.

— Marjory ha avuto una brutta esperienza con un uomo che somigliava a Don — spiega Tom. — Don spesso si comporta come si comportava lui e naturalmente a Marjory questo non va. È naturale perciò che preferisca te.

— Marjory mi ha raccontato che una volta Don ha detto qualcosa di poco gentile su di me.

— E questo ti ha irritato? — domanda Tom.

— No… a volte le persone parlano così perché non capiscono. I miei genitori me lo dicevano sempre. Io credo che Don spesso non capisca.

Tom beve un lungo sorso della sua acqua. Sulla pedana è cominciato un altro incontro; noi ci allontaniamo. — Quello che dobbiamo fare adesso — dice Tom — è andare a far registrare la tua vittoria. Poi dovrai prepararti per il prossimo incontro.

All’idea del prossimo incontro mi rendo conto di essere stanco e di sentire i lividi dove il mio avversario mi ha colpito. Vorrei andare a casa e ripensare a tutto ciò che è accaduto, ma c’è ancora da combattere e Tom vuole che io rimanga e finisca il torneo.

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