V Analisi di un omicidio

Jessie li salutò. Indossava un cappello piuttosto formale e un giacchino di keratofibra, e disse: «Spero che vorrà scusarmi, signor Olivaw. So che ha molte cose da discutere con Lije».

Aprì la porta e spinse il ragazzo davanti a sé.

«Quando tornerai, Jessie?» chiese Baley.

Lei rifletté: «Quando vuoi che torni?».

«Be’… È inutile òhe stia fuori tutta la notte. Torna alla solita ora, mezzanotte o giù di lì.» Dette una occhiata dubbiosa a R. Daheel.

L’automa annuì. «Mi spiace di costringerla a lasciare la casa.»

«Non si preoccupi di questo, signor Olivaw. Non mi costringe, è la mia serata con le amiche. Andiamo, Ben.»

Il ragazzo era recalcitrante. «Ah, ma perché devo venire anch’io? Non darò nessun fastidio a papà, promesso.»

«Fai come ti dico.»

«Allora perché non andiamo a vedere l’eterica?»

«Perché io ho appuntamento con le ragazze e tu hai altre cose…» Si chiuse la porta alle spalle.

Era venuto il momento. Finora Baley aveva rimandato il pensiero, perché gli era parso più importante studiare il robot e vedere come si comportava. Ma anche dopo aveva continuato a rimandare: portiamolo a casa, si era detto. E poi: mettiamoci a mangiare.

Ora che i preliminari erano finiti, non si poteva rimandare più. C’era il problema dell’omicidio, delle complicazioni interstellari, di una possibile promozione o di un possibile declassamento. E non c’era altra via, per cominciare, che chiedere l’aiuto dell’automa.

Picchiettò le unghie sul tavolo, che dopo cena non era stato spinto nel muro.

R. Daneel chiese: «Siamo sicuri di non essere spiati?».

Baley lo guardò meravigliato. «Nessuno si sognerebbe di ascoltare quello che avviene in un altro appartamento.»

«Non è vostra abitudine origliare?»

«È una cosa che non si fa, Daneel. Sarebbe come… non lo so… guardare nel piatto di un altro mentre mangia.»

«O come commettere omicidio?»

«Eh?»

«È contrario alla vostra etica uccidere, non è vero, Elijah?»

Baley sentì la rabbia salire. «Sentimi bene, se dobbiamo collaborare cerca di non imitare il tono arrogante degli Spaziali. Non sei fatto per questo, R. Daneel.» E non poté fare a meno di sottolineare la "R".

«Mi dispiace di aver urtato i tuoi sentimenti, Elijah. Volevo solo farti notare che, essendo capaci ogni tanto di infrangere il codice per commettere un omicidio, gli esseri umani potrebbero ugualmente macchiarsi del reato di origliare.»

«L’appartamento è isolato» disse Baley, ancora imbronciato. «Non hai sentito rumori dagli altri appartamenti, giusto? Be’, lo stesso vale per loro. Non possono sentirci. E poi, perché dovrebbero pensare che ci stiamo dicendo qualcosa di particolare?»

«Non sottovalutiamo il nemico.»

Baley si strinse nelle spalle. «Cominciamo. Le informazioni che ho sono molto sommarie, perciò posso mostrarti le mie carte senza pericolo. So che un uomo di nome Roj Nemennuh Sarton, un cittadino del pianeta Aurora residente a Spacetown, è stato ucciso da persona o persone ignote. Mi è stato detto che secondo gli Spaziali non si tratterebbe di un episodio isolato. È giusto?»

«Abbastanza giusto, Elijah.»

«Il delitto sarebbe collegato ai recenti tentativi di sabotare un progetto caro agli Spaziali; quello di trasformare la Terra in una società integrata di uomini e automi sul modello dei Mondi Esterni. Secondo Spacetown, gli esecutori del delitto sarebbero una banda di terroristi organizzati.»

«Infatti.»

«Va bene. Tanto per cominciare, la teoria degli Spaziali dev’essere giusta per forza? L’assassino non potrebbe essere un fanatico isolato? Sulla Terra ci sono forti sentimenti anti-robot, ma non esistono fazioni che predichino una violenza spinta a questo punto.»

«Non apertamente, forse. No.»

«Anche ammettendo l’esistenza di un’organizzazione dedita alla distruzione dei robot e delle fabbriche che li costruiscono, questa si renderebbe conto che uccidere uno Spaziale sarebbe un errore gravissimo. Mi sembra più probabile, perciò, che il fatto sia opera di una mente squilibrata.»

R. Daneel ascoltò attentamente e disse: «Credo che le probabilità siano contro la teoria del pazzo. La persona eliminata è stata scelta troppo bene e il momento per ucciderla era indubbiamente il più indicato: tutto questo fa pensare ai meticolosi piani di un gruppo organizzato».

«In tal caso tu hai più informazioni di me. Sputale fuori!»

«Il tuo modo di esprimerti è involuto, ma credo di capire. Ti spiegherò cosa sta dietro a questa faccenda, e comincerò con il dire che, secondo Spacetown, i rapporti con la Terra sono molto insoddisfacenti.»

«È dura» borbottò Baley.

«Quando venne fondata Spacetown la nostra gente diede per scontato che la Terra avrebbe adottato la società integrata che ha funzionato così bene sui Mondi Esterni. Anche dopo i primi disordini pensammo che fosse solo questione di tempo, e poi il vostro popolo avrebbe assimilato la novità.

«Ma non è stato così. Pur con la cooperazione del governo terrestre e i governi locali delle singole Città, la resistenza è stata continua e il processo molto lento. Questo, ovviamente, preoccupa il nostro popolo.»

«Per motivi altruistici, suppongo» disse Baley.

«Non del tutto» ribatté R. Daneel «anche se è gentile da parte tua attribuirci sentimenti elevati. È nostra convinzione che una Terra prospera e modernizzata sarebbe di gran beneficio a tutta la galassia. Almeno, questo è il punto di vista di Spacetown. Devo ammettere che sui Mondi Esterni esistono forti elementi di opposizione.»

«Come? Disaccordo fra gli Spaziali?»

«Sicuro. Alcuni pensano che la Terra, modernizzata, diventerebbe pericolosa e tenderebbe all’imperialismo. Questo è particolarmente vero tra le popolazioni dei mondi più vicini, le quali ricordano che nei primi secoli di viaggi interstellari le colonie erano controllate, politicamente ed economicamente, dalla Terra.»

Baley sospirò. «Storia vecchia. Si preoccupano veramente? Ci odiano ancora per cose successe mille anni fa?»

«Gli uomini» rispose R. Daneel «hanno le loro idiosincrasie. In molti casi non sono ragionevoli come noi robot, e questo perché i loro circuiti non sono pre-elaborati. Ma ho sentito che anche il vostro sistema ha i suoi vantaggi.»

«Pare di sì» disse Baley, asciutto.

«Tu puoi saperlo meglio di me» decise R. Daneel. «Comunque, il fallimento dei nostri piani sulla Terra ha rafforzato i partiti nazionalisti sui Mondi Esterni. Dicono che i terrestri sono diversi dagli Spaziali e che non possono adattarsi allo stesso modello di vita. Sostengono che se vi imponessimo i robot con la forza, prepareremmo la rovina della galassia. Una cosa che nessuno dimentica, nello spazio, è che la popolazione terrestre è di otto miliardi, mentre la popolazione totale dei cinquanta Mondi abitati supera di poco i cinque miliardi e mezzo. La nostra delegazione sulla Terra, e in particolare il dottor Sarton…»

«Era uno specialista?»

«In sociologia, con particolare riguardo ai problemi robotici. Un uomo brillante.»

«Capisco. Continua.»

«Come dicevo, il dottor Sarton e altri hanno capito che Spacetown e la nostra colonia qui non sarebbero durate a lungo, se i sentimenti nazionalisti sui Mondi Esterni avessero continuato a nutrirsi dei nostri fallimenti. Il dottor Sarton, quindi, si rese conto che era venuto il momento di fare uno sforzo supremo per capire la psicologia dei terrestri. È facile dire che gli abitanti della Terra sono conservatori per istinto e citare a sostegno frasi trite come "la Terra immutabile", "l’inscrutabile mente dei terrestri" e così via. È un modo come un altro per evadere il problema.

«Il dottor Sarton sosteneva che solo l’ignoranza si esprime per frasi fatte, e che il problema terrestre non poteva essere liquidato con un assioma o un luogo comune. Diceva che gli Spaziali seriamente intenzionati a cambiare la Terra dovevano abbandonare l’isolamento di Spacetown e mischiarsi alla gente, vivere come si vive qui, pensare come si pensa qui. In una parola, identificarsi con i terrestri.»

Baley disse: «Gli Spaziali? Impossibile».

«Hai ragione, in un certo senso» disse R. Daneel. «Nonostante le sue opinioni lo stesso dottor Sarton riconosceva che non sarebbe riuscito a stabilirsi in una Città, che non ne avrebbe sopportato la grandezza e le folle. E anche se l’avessero costretto, puntandogli contro un disintegratore, la sua mentalità di cittadino dei Mondi Esterni gli avrebbe impedito di penetrare a fondo le verità che cercava.»

«Che mi dici della loro paura delle malattie?» chiese Baley. «È un elemento importante; credo che uno Spaziale non oserebbe mettere piede in una delle nostre Città per questo solo motivo.»

«È vero. Le malattie in senso terrestre sono sconosciute sui Mondi Esterni e la paura dell’ignoto è sempre morbosa. Il dottor Sarton si rendeva conto di tutto questo, ma insisteva sulla necessità di conoscere intimamente i terrestri e il loro modo di vivere.»

«Mi sembra un problema senza sbocchi.»

«Non del tutto. La difficoltà di vivere in una Città terrestre è enorme per gli Spaziali umani, ma i robot sono un’altra cosa.»

Baley pensò: "continuo a dimenticarlo, maledizione". Poi, ad alta voce: «Davvero?».

«Sì» rispose R. Daneel. «Siamo più flessibili per disposizione. Almeno in questo senso. Possiamo essere progettati per adattarci alla vita terrestre. Essendo costruiti in modo da somigliare agli Spaziali umani verremmo accettati dalla popolazione e potremmo studiare meglio la sua vita.»

«E tu…» cominciò Baley, che finalmente ci vedeva chiaro.

«Io sono un robot adattato, sì. Il dottor Sarton ha lavorato un anno per progettarci e costruirci. Sono stato il primo a venire prodotto, e finora anche l’unico. Sfortunatamente la mia educazione non è completa. Sono stato usato prima del previsto a causa dell’omicidio.»

«Allora non tutti i robot spaziali sono come te? Voglio dire, alcuni somigliano più ai robot normali che agli uomini, vero?»

«Ma certo. L’aspetto esterno viene stabilito in base alle funzioni che un robot deve avere. Le mie richiedono un aspetto molto simile a quello dell’uomo e quindi mi è stato dato. Gli altri sono diversi, anche se tutti sono umanoidi; certo più umanoidi dei deprimenti modelli che ho visto nel negozio di scarpe. Tutti i vostri robot sono come quelli?»

«Più o meno» disse Baley. «Tu non approvi?»

«Certo che no. È difficile accettare una grossolana caricatura della forma umana come nostro pari sul piano intellettuale. Le vostre fabbriche non possono fare di meglio?»

«Sono sicuro di sì, Daneel, ma vedi, noi preferiamo sapere quando abbiamo a che fare con un robot e quando no.» Nel dire questo guardò direttamente negli occhi dell’automa. Erano lucenti e umidi come quelli di un uomo, ma a Baley sembrò che lo sguardo fosse rigido e non guizzasse leggermente da un punto all’altro come succede a quello umano.

R. Daneel disse: «Spero, con il tempo, di riuscire a capire questo punto di vista».

Per un attimo Baley pensò che in quelle parole ci fosse del sarcasmo, ma infine decise che era impossibile.

«Comunque» riprese R. Daneel «il dottor Sarton intuì che anche qui c’era la possibilità di creare una C/Fe.»

«Ci fe? E che sarebbe?»

«I simboli chimici del carbonio e del ferro, nient’altro. Il carbonio è la base della vita umana, il ferro di quella dei robot. Si parla di C/Fe quando si vuol esprimere il concetto di una cultura che combina il meglio delle due, su una base egualitaria e parallela.»

«Ci, fe… lo scrivete con il trattino?»

«Niente trattino, Elijah, ma una barra diagonale fra i due simboli. In questo modo si rappresenta la perfetta combinazione, senza che uno abbia la priorità.»

Baley scoprì, contro la sua volontà, di essere interessato. L’educazione scolastica che veniva impartita sulla Terra non includeva alcuna informazione sulla storia e il sistema sociale dei Mondi Esterni, e questo fin da quando la Grande Rivoluzione li aveva resi indipendenti dal pianeta madre. Nei libro-film popolari, ovviamente, abbondavano i personaggi esotici che venivano dai Mondi, ma si riducevano a una serie di stereotipi: il miliardario in gita turistica, di solito bizzarro e sempre pronto ad arrabbiarsi; la bella ereditiera, invariabilmente vittima del fascino terrestre e ridimensionata nel suo primitivo disprezzo, che si trasformava in amore; il terzo incomodo, un tipico Spaziale maligno e altezzoso, ma sempre sconfitto. Personaggi privi della minima utilità, perché basati sull’artificio e sulla negazione delle verità più elementari e risapute: gli Spaziali non entravano mai nelle Città e le loro donne non visitavano praticamente mai la Terra.

Per la prima volta in vita sua Baley si sentì mordere dalla curiosità, una strana curiosità. Come vivevano gli Spaziali, veramente?

Con uno sforzo tornò a concentrarsi sul problema immediato. «Capisco dove vuoi arrivare» disse. «Il vostro dottor Sarton stava affrontando il problema dell’instaurazione di una cultura C/Fe anche sulla Terra e aveva trovato una via promettente. I nostri medievalisti, che sono gruppi ultra-conservatori, hanno avuto paura che potesse riuscire. Quindi l’hanno ucciso. Questo è il motivo che trasforma il caso in un complotto e impedisce di considerarlo l’opera di un maniaco isolato. Giusto?»

«Direi di sì, Elijah. Più o meno.»

Baley fischiò piano. Le lunghe dita ricominciarono a pichiettare sul tavolo. Poi scosse la testa: «Non c’è succo. Non c’è succo per niente».

«Scusami, non ti capisco.»

«Sto cercando di farmi il quadro. Un terrestre entra a Spacetown, raggiunge il dottor Sarton, lo uccide e se ne esce tranquillo. Non riesco a immaginarmelo. Credo che l’ingresso a Spacetown sia sorvegliato.»

R. Daneel annuì. «Possiamo dire con sicurezza che nessun terrestre sarebbe riuscito a passare illegalmente.»

«E quindi?»

«Quindi il problema non è semplice, se l’ingresso ufficiale è l’unica via per raggiungere Spacetown da New York.»

Baley guardò pensieroso il collaboratore. «Non ti capisco. Che io sappia è l’unica via d’accesso…»

«L’unica diretta.» R. Daneel aspettò un momento, poi disse: «Non mi segui, è così?».

«È così. Non ti capisco affatto.»

«Bene, se la cosa non ti offende cercherò di spiegare. Posso avere un pezzo di carta e uno scriptor? Grazie. Ora guarda qui, collega Elijah. Disegnerò un cerchio grande e lo chiamerò New York City. Ora, e in modo che i due cerchi si tocchino, ne disegnerò un altro che chiamerò Spacetown. Nel punto in cui si toccano disegnerò una freccia e la chiamerò Barriera. Esistono altri punti di collegamento, secondo te?»

Baley rispose: «Naturalmente no. Non ce ne sono altri».

«In un certo senso» disse l’automa «sono contento di sentirti dire questo. Corrisponde a ciò che mi è stato insegnato sulla mentalità terrestre. La Barriera è l’unico punto di contatto diretto. Ma sia la Città sia Spacetown sono aperte alla campagna in tutte le direzioni. È possibile che un terrestre abbia lasciato la città tramite una delle numerose uscite e sia arrivato a Spacetown attraversando la campagna, in un punto dove nessun ostacolo l’avrebbe fermato.»

La punta della lingua di Baley toccò il labbro superiore e per un momento restò lì. Poi disse: «Attraversando la campagna?».

«Sì.»

«Attraversando la campagna da solo

«Perché no.»

«A piedi?»

«Senz’altro. A piedi è molto difficile essere individuati. L’assassinio ha avuto luogo all’inizio della giornata lavorativa, quindi il viaggio dev’essere avvenuto prima dell’alba.»

«Impossibile! In questa Città non c’è nessuno che sarebbe disposto a uscire all’aperto, da solo.»

«So che sembra improbabile, e noi Spaziali ce ne rendiamo conto. Ecco perché sorvegliamo soltanto l’ingresso della barriera. Anche all’epoca dei Disordini la vostra gente attaccò solo da quella parte, che all’epoca era difesa da una parete d’energia; nessuno oserebbe lasciare la Città.»

«E quindi?»

«Il caso di cui ci stiamo occupando è insolito. Non si tratta del cieco attacco di una folla che segue la linea di minor resistenza, ma del tentativo organizzato di un piccolo gruppo che vuole colpire, deliberatamente, in un punto non sorvegliato. E questo spiega come un terrestre possa entrare a Spacetown, commettere un omicidio e andarsene indisturbato. L’assassino si è introdotto in un punto che nessuno sorvegliava.»

Baley scosse la testa. «Inverosimile. La vostra gente ha fatto qualcosa per confermare questa teoria?»

«Sì. Il tuo questore si trovava sul posto all’ora del delitto…»

«Lo so, me l’ha detto.»

«Questo, Elijah, è un altro esempio del tempismo dell’assassino. Il questore collaborava con il dottor Sarton da diversi anni, anzi, era l’uomo con cui il dottore aveva preso accordi per far entrare nella Città gli R. osservatori come me. L’appuntamento che avevano quel giorno riguardava questo problema. L’assassinio, ovviamente, ha interrotto l’esecuzione del piano; e il fatto che il questore di New York si trovasse a Spacetown in un momento simile ha accresciuto l’imbarazzo della Terra e nostro.

«Ma non è soltanto questo che volevo dire. Il questore era presente e noi gli abbiamo detto: "L’assassino dev’essere arrivato dalla campagna". Come te ci ha risposto: "Impossibile", o forse "Impensabile". Era sconvolto, e questo gli ha impedito di cogliere il punto essenziale. Tuttavia l’abbiamo costretto a verificare quella possibilità immediatamente.»

Baley riandò con la mente agli occhiali rotti del questore, e pur nel mezzo dei pensieri non certo rosei che gli affollavano il cervello, piegò la bocca in un sorriso. Povero Julius! Sì, l’incidente doveva averlo sconvolto. Ovviamente era impossibile far capire la situazione agli altezzosi Spaziali, che consideravano i difetti fisici come un disgustoso attributo dei terrestri non geneticamente selezionati. O meglio: era impossibile farlo capire a meno di non perdere la faccia, e a un questore la faccia serve. Bene, i terrestri dovevano fare quadrato: il robot non avrebbe mai saputo che Enderby era miope. Non da Baley, perlomeno.

R. Daneel continuò: «Abbiamo controllato una per una le varie uscite della Città. Sai quante ce ne sono, Elijah?»

Baley scosse la testa, poi azzardò: «Venti?».

«Cinquecentodue.»

«Cosa?»

«E originariamente erano molte di più. Cinquecentodue sono quelle che rimangono in funzione. La tua Città è cresciuta lentamente, Elijah, ma una volta si estendeva all’aria aperta e la gente non aveva paura di andare in campagna.»

«Certo, lo so.»

«Bene, quando venne sigillata fu lasciato aperto un certo numero di uscite. Cinquecentodue sono quelle che restano. Le altre sono bloccate, o ci hanno costruito sopra. Non ho contato, ovviamente, i punti d’atterraggio dei trasporti aerei.»

«Che avete scoperto?»

«Era una ricerca senza speranza. Non sono sorvegliate e non abbiamo trovato alcun funzionario che ammettesse di occuparsene o le considerasse sotto la sua giurisdizione. Abbiamo avuto l’impressione che molti non ne conoscessero nemmeno l’esistenza. Chiunque avrebbe potuto usarne una, rientrare e non essere scoperto.»

«C’è altro? L’arma del delitto è scomparsa, suppongo.»

«Infatti.»

«Indizi?»

«Nessuno. Abbiamo setacciato scrupolosamente il territorio intorno a Spacetown, ma i robot che lavorano nelle fattorie non valgono granché come testimoni. Sono poco più che macchine automatiche, quasi per niente umanizzate. E di uomini, in giro, non ce n’erano.»

«Capisco. E poi?»

«Dato che abbiamo fallito a Spacetown ci siamo detti che tanto valeva spostare le indagini all’altra estremità del bandolo, New York. Sarà nostro compito schedare gli eventuali gruppi sovversivi e cercare fra le organizzazioni di dissidenti…»

«Quanto tempo hai a disposizione?» chiese Baley.

«Il meno possibile ma tutto il necessario.»

«Bene» disse Baley pensieroso. «Vorrei che tu avessi un altro collaboratore, in questo pasticcio.»

«Io no» disse R. Daneel. «Il questore ha parlato in termini molto elogiativi della tua lealtà e abilità.»

«Carino da parte sua» replicò Baley, ironico. Poi pensò: "Povero Julius. Mi ha sulla coscienza e fa di tutto per aiutarmi".

«Non ci siamo limitati ad accettare le dichiarazioni del tuo superiore» disse R. Daneel. «Abbiamo controllato il tuo curriculum e abbiamo visto che ti sei pronunciato apertamente contro l’uso dei robot nel tuo Dipartimento.»

«Questo ti dà fastidio?»

«Nient’affatto. Le tue opinioni riguardano solo te. Ma è stato necessario analizzare attentamente il tuo quadro psicologico, e sappiamo che nonostante la tua avversione per gli R. lavorerai perfettamente con uno di loro, se lo considererai tuo dovere. Hai un’altissima attitudine alla lealtà e rispetto dell’autorità. È quello che fa per noi: il questore Enderby ti ha giudicato bene.»

«Non hai del risentimento personale per le mie opinioni antirobot?»

R. Daneel rispose: «Se non t’impediscono di lavorare con me e di aiutarmi nella missione, non hanno importanza».

Baley si sentì tradito. Disse, bellicoso: «Va bene, così ho superato l’esame. Ma tu che detective saresti?».

«Non ti capisco.»

«Sei stato progettato come macchina per raccogliere informazioni. Un’imitazione dell’uomo che osserva il modo di vivere terrestre e lo riferisce agli Spaziali.»

«Per un investigatore è un buon inizio, non credi? Essere una macchina che raccoglie informazioni, voglio dire.»

«Un inizio, forse. Ma alla lunga il lavoro non consiste solo in questo.»

«Stai tranquillo, i miei circuiti sono stati modificati prima dell’inizio della missione.»

«Mi piacerebbe sapere in che modo, Daneel.»

«È presto detto: nei miei banchi motivazionali è stato introdotto un potente impulso, il desiderio di giustizia.»

«Giustizia!» urlò Baley. Lo sguardo ironico scomparve dai suoi occhi e fu sostituito dalla più completa sfiducia.

Ma R. Daneel si voltò rapidamente e fissò la porta: «C’è qualcuno, là fuori».

C’era qualcuno, infatti. La porta si aprì ed entrò Jessie, pallida e disfatta.

Baley non ci capiva niente. «Jessie, qualcosa non va?»

Lei rimase immobile, evitando il suo sguardo. «Mi dispiace, ho dovuto…»

«Dov’è Bentley?»

«Passerà la notte nella Sala della Gioventù.»

Baley disse: «Perché? Non ti avevo chiesto questo».

«Hai detto che il tuo collega sarebbe rimasto qui, stanotte. Ho creduto che avesse bisogno della stanza del ragazzo.»

R. Daneel disse: «Non c’era bisogno, Jessie».

La donna alzò gli occhi e fissò R. Daneel con straordinaria intensità.

Baley si guardò le punte delle dita, immaginando quello che sarebbe seguito. Si sentiva male, ma era incapace di agire. Il silenzio che seguì gli fece rimbombare i timpani, finché, in distanza e come attraverso strati di plastex, sentì la voce ovattata di sua moglie: «Io credo che lei sia un robot, Daneel».

E R. Daneel rispose, calmo come al solito: «Lo sono».

Загрузка...