FANTOZZI VA A PASSEGGIO CON LA SIGNORINA SILVANI

In fondo, a Fantozzi, la signorina Silvani, che lavorava su in contabilità, piaceva abbastanza. Non era certo una bellezza, anzi a voler essere un po' severi era un “mostrino” di gamba corta all'italiana, denti da coniglietto e capelli tinti, ma certo più viva di sua moglie signora Pina, della quale lui odiava la rassegnazione nel subire il loro tragico ménage matrimoniale senza speranze, ma soprattutto più giovane.

Ecco l'idea di avere a che fare con una donna che aveva dodici anni meno di lui lo solleticava molto.

Domenica pomeriggio la invitò per una passeggiata e lei aveva accettato.

Aveva cominciato a intrigare con la Pina già da venerdì sera, dicendole che domenica pomeriggio c'era una partita che lo interessava e che ci sarebbe andato con i colleghi. Gli intrighi di questo tipo con sua moglie erano un po' inutili, perché lei avrebbe “bevuto” con occhio spento qualunque balla.

Si era comperato per l'occasione una bottiglietta di profumo dal tabaccaio sotto casa, e quando all'una e trenta di domenica salutò sua moglie, questa fiutò l'aria e disse: “Ti profumi per andare alla partita?” lui sobbalzò e tentò: “Chi? Io profumarmi? Ma cosa dici… È il dopobarba nuovo”. La signora Pina non fece commenti e sembrava una statua di sale, lui la guardò mentre scendeva la prima rampa di scale e la vide orrenda, e si sforzò di ricordare, senza riuscirvi, perché diavolo si era innamorato di quel curioso animale domestico.

L'appuntamento con la signorina Silvani era alle due sotto casa di lei. Era già pronta che l'aspettava con un abitino verde con la gonna molto corta. Aveva sbagliato il trucco dell'occhio destro e sembrava un po' strabica. Lui le aprì cavallerescamente (cosa che con sua moglie non faceva da quindici anni) la porta della macchina, la fece accomodare sul sedile e si richiuse violentemente la portiera sul pollice. Cominciò a bussare disperatamente sul vetro con la mano libera per farsi aprire, ma più bussava e più la signorina Silvani, credendo che fosse un modo affettuoso di salutarla, bussava anche lei con le nocche sorridendo. Quando lui svenne lei scese dalla macchina e aiutata da alcuni passanti lo coricò sul sedile. Dopo un'ora lui si riprese e con tono eroico disse: “Non è nulla! Dove vuole andare?”. “Alla città vecchia,” fece lei trillante “i bassifondi li trovo molto affascinanti.” Lui posteggiò la macchina vicino al quartiere malfamato e scesero. Mentre si avvicinavano all'epicentro della malavita, lui le spiegava che nulla gli faceva paura, che l'aveva ben visto lei nell'episodio di poco prima, che lui sopportava benissimo il dolore fisico e che non aveva paura di nulla. Il dito intanto era diventato un dito da “marina” e gli faceva un male da urlare.

Passarono vicino a un gruppo di giovinastri. Uno disse forte: “Che cesso quella donna con quell'imbecille!”. Tutti risero e lui sperò che la signorina Silvani non avesse sentito, anzi per precauzione alzò ancora di più la voce. “Guarda che dice a te, sai,” incalzò un altro giovinastro “e ti dice che la tua amichetta è un cesso!”. E questa volta glielo urlò quasi in faccia.

“La prego, dica qualcosa!” fece la signorina Silvani. A lui tremavano le ginocchia e aveva 680 pulsazioni al secondo. “Ripeta se ha il coraggio!” e la voce gli uscì per caso dalla gola. E quello: “Siete due cessi e tu un gran vigliacco!!”. E gli mollò un pugno tremendo sul labbro superiore che subito cominciò a sanguinare. “Badi come parla!” disse Fantozzi. E il giovinastro: “Ma io non parlo imbecille, io ti spacco la faccia!”. E gli sparò un secondo tremendo pugno sulla ferita. “Guardi che se osa alzare le mani io la…” Non finì la frase perché il giovinastro gli strappò la manica della giacca e la gettò sghignazzando al gruppo che la accolse con applausi. “Cerchiamo di parlare” disse Fantozzi con la vista annebbiata, e il giovinastro gli prese il naso con due dita e glielo cominciò a girare lentamente come una vite. “Provi a mettermi le mani addosso e le faccio vedere” disse Fantozzi con un fil di voce, e quello gli strappò tutta la parte anteriore della giacca e la buttò per terra, poi con sadica lentezza gli strappò la camicia in quattro pezzi, gli sputò in faccia, gli diede un calcio tremendo all'osso sacro e gli urlò dietro, mentre lui si allontanava: “Vai, fila prima che ti ammazzi di botte!”. Lui riprese la passeggiata con la signorina, continuando con un leggero tremito nella voce il discorso interrotto, senza commentare l'episodio.

Lui era ormai una maschera di sangue ed era quasi in mutande con dei brandelli di vestito addosso. Si accorse che aveva anche perso una scarpa e che la gente lo guardava esterrefatta. Tornarono alla macchina e lui la riaccompagnò a casa.

Erano le quattro del pomeriggio. La signora Pina gli domandò che partita aveva visto. Lui cadde in alcune contraddizioni e lei capì che non era stato allo stadio. Più tardi la sentì singhiozzare in cucina. Lui corse verso camera sua e chiuse con violenza la porta sul dito che si era maciullato in macchina. Non urlò neppure, ma pare (e questo è solo un pettegolezzo a livello portineria) che abbia pianto in silenzio con grande dignità.

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