All’unisono, tutti i guerrieri indiani partirono al galoppo. Wolff si piegò sul suo cavallo, uno stupendo stallone roano, spronandolo, sebbene la bestia non avesse bisogno di incoraggiamento. La pianura passava accanto a loro come un lampo, mentre il roano galoppava alla disperata. Malgrado la velocità, Wolff continuò a guardare verso destra. La giumenta bianca di Coltello Ricurvo era visibile a intervalli, quando percorreva velocissima un tratto di pianura. L’esploratore la spronava lungo un percorso che lo avrebbe portato a raggiungere la sua gente, di lato. A meno di mezzo chilometro dietro di lui, guadagnando rapidamente terreno, si vedeva l’orda dei Mezzi Cavalli. Dovevano essere almeno centocinquanta, e forse di più.
Kickaha guidò il suo stallone, un animale dorato con coda e criniera lievemente argentate, accanto a quello di Wolff.
«Quando ci raggiungeranno… e accadrà senz’altro… resta accanto a me! Sto organizzando una fila per due, una manovra classica, collaudata e risaputa! In questo modo, si potranno sorvegliare entrambi i lati!»
Rallentò lievemente, per impartire gli ordini agli altri. Wolff manovrò per accodarsi alla coppia formata da Zampe di Lupo e Dorme In Piedi. Dietro di lui, Orso dal Naso Nero e Grossa Coperta stavano cercando di mantenersi a una regolare distanza. Il resto del gruppo era disseminato in un disordine che Kickaha e un membro del consiglio, Zampe di Ragno, stavano cercando di organizzare.
Dopo qualche tempo, i quaranta uomini furono organizzati in una collana accettabile, e Kickaha si affiancò a Wolff, e gli gridò, sopra lo scalpitare degli zoccoli e il soffiare del vento:
«Sono stupidi come porcospini! Volevano voltarsi a caricare i centauri! Ma sono riuscito a renderli un po’ più sensati!»
Altri due esploratori, Orso Ubriaco e Troppe Mogli, stavano arrivando al galoppo da sinistra. Kickaha indicò loro di accodarsi. Al contrario, i due tagliarono la rotta della colonna, e proseguirono.
«Gli idioti vogliono andare a salvare Coltello Ricurvo… si illudono!»
I due esploratori e Coltello Ricurvo si avvicinavano a un punto d’incontro. Coltello Ricurvo era a soli quattrocento metri dagli Hrowakas, mentre i Mezzi Cavalli erano a diverse centinaia di metri, alle sue spalle. Stavano diminuendo le distanze a ogni istante, galoppando a una velocità che nessun cavallo con il peso di un cavaliere in groppa avrebbe potuto uguagliare. Avvicinandosi, i loro particolari divennero più distinguibili, e Wolff si rese pienamente conto della loro natura.
Erano proprio centauri, sebbene non fossero come i pittori della Terra li avevano immaginati. Questo non costituiva sorpresa. Il Signore, quando li aveva creati nei suoi biolaboratori, aveva dovuto fare certe concessioni alla realtà. La modifica maggiore era dovuta all’adattamento alla necessità di ossigeno. La grande parte animale di un centauro doveva respirare, fatto ignorato dalle convenzioni dell’arte terrestre. L’aria doveva essere fornita non solo alla parte superiore, al torso umano, ma al corpo inferiore, quello teriomorfico. I polmoni relativamente piccoli della parte superiore non potevano offrire il fabbisogno desiderato.
Inoltre, lo stomaco del tronco umano avrebbe bloccato ogni rifornimento di cibo al grosso corpo sottostante. Oppure, se il piccolo stomaco era collegato agli organi digestivi più grossi della parte equina, il problema alimentare, non sarebbe stato risolto neppure in questo caso. I denti umani si sarebbero rapidamente consumati, a causa del logorio provocato dall’erba.
Così le creature ibride che galoppavano così minacciosamente e rapidamente verso gli uomini non somigliavano molto alle mitiche creature che erano servite da modelli per la loro creazione. La bocca e il collo erano più grossi in proporzione, per permettere l’assorbimento di ossigeno sufficiente. Al posto dei polmoni umani c’era un organo simile a un mantice, che inspirava l’aria attraverso un’apertura simile a una gola, e poi l’immetteva nei polmoni sviluppatissimi del corpo equino. Questi polmoni erano più grandi di quelli equini, perché la parte verticale aumentava il fabbisogno di ossigeno. Lo spazio richiesto dai polmoni più grandi era stato ottenuto eliminando il grosso organo digerente da erbivoro, il quale era stato sostituito da uno da carnivoro, più piccolo e funzionale. I centauri mangiavano la carne, compresa quella delle loro vittime amerinde.
La parte equina era grossa come un pony indiano della Terra. Il pelo era rosso, nero, bianco, grigio e pezzato. Il pelo ricopriva tutto il corpo, all’infuori del volto. Questo era il doppio di un normale volto umano ed era largo, dagli zigomi alti e dal naso enorme. Erano, su scala maggiore, i lineamenti degli indiani delle pianure della Terra, i volti di Toro Seduto, Cavallo Pazzo e Nuvola Nera. I volti erano coperti di disegni di guerra, e la testa era coperta da piume o da elmetti di pelle di bisonte, con grosse corna sporgenti.
Le loro armi erano le stesse degli Hrowakas, tranne che in un particolare: le piccole bolas. Due sassi rotondi, ciascuno fermato al termine di una corda. Mentre Wolff si chiedeva quello che avrebbe dovuto fare, se gli avessero lanciata contro le bolas, le vide in azione. Coltello Ricurvo e Orso Ubriaco e Troppe Mogli si erano uniti, e stavano galoppando con circa venti metri di vantaggio sui loro inseguitori. Orso Ubriaco si voltò, e lanciò una freccia. La freccia affondò nel grosso mantice sotto la cassa toracica umana di un Mezzo Cavallo. Il Mezzo Cavallo cadde e rotolò a terra e poi giacque immobile. Il torso umano era piegato con un’angolazione possibile solo con la spina dorsale spezzata. Questo malgrado la estrema flessibilità del torso dei centauri, dovuta alla loro particolare natura.
Orso Ubriaco gridò e agitò l’arco. Aveva fatto la sua prima vittima, e la sua impresa sarebbe stata cantata per molti anni nella Sala del Consiglio degli Hrowakas.
Se qualcuno fosse rimasto per raccontarla, pensò Wolff.
Una pioggia di bolas, fatte girare vorticosamente, tanto da rendere indistinguibili le due pietre, fu lanciata. Girando sempre vorticosamente su se stesse, le bolas sibilarono nell’aria. La pietra di una colpì alla nuca Orso Ubriaco, disarcionandolo, interrompendo a metà il suo canto di vittoria. Un’altra bola si attorcigliò intorno alla zampa posteriore sinistra del suo cavallo, facendolo rovinare a terra.
Wolff, unitamente agli altri Hrowakas, lanciò una freccia. Non seppe mai se avesse colpito il bersaglio, perché era difficile prendere la mira in quella posizione e alla velocità con cui il suo cavallo galoppava. Ma quattro frecce colpirono il bersaglio, e quattro Mezzi Cavalli caddero. Wolff prese subito un’altra freccia, notando nello stesso tempo che Troppe Mogli giaceva a terra con una freccia infilata nella schiena.
Ormai, Coltello Ricurvo era sopraffatto. Invece di travolgerlo, i Mezzi Cavalli si divisero per prenderlo in mezzo.
«No!» gridò Wolff. «Bisogna impedirlo!»
Coltello Ricurvo, comunque, non aveva guadagnato immeritatamente il suo nome. Se i Mezzi Cavalli avessero trascurato la possibilità di ucciderlo per prenderlo vivo onde torturarlo, avrebbero dovuto pagare il prezzo del loro errore. Coltello Ricurvo lanciò il suo coltello contro il Mezzo Cavallo più vicino. Questi si impennò e cadde. Coltello ricurvo estrasse un altro coltello e, mentre il suo cavallo veniva colpito da un colpo di lancia, si gettò sul centauro che aveva vibrato il colpo.
Wolff riuscì a scorgerlo, in una massa di corpi. Era atterrato sulla schiena del centauro, che era quasi caduto sotto il suo peso, ma era riuscito a riprendersi. Coltello Ricurvo affondò il suo coltello nella schiena umana del centauro. Lampeggiarono degli zoccoli; la coda del centauro si sollevò al di sopra della massa dei suoi compagni, seguita dagli zoccoli posteriori.
Wolff pensò che per Coltello Ricurvo fosse arrivata la fine. Ma no, era ancora in piedi, miracolosamente, e poi, di colpo, sul dorso equino di un altro centauro. Questa volta, Coltello Ricurvo tenne la lama della sua arma sulla gola del nemico. A quanto sembrava, stava minacciando di tagliare al centauro la vena iugulare, se questi non lo avesse portato via dall’orda dei suoi compagni.
Ma una lancia, proveniente da dietro, affondò la sua punta nella schiena di Coltello Ricurvo. Non, comunque, prima che egli avesse messo in atto il suo proposito, squarciando il collo del Mezzo Cavallo su cui si trovava.
«L’ho visto!» gridò Kickaha. «Che uomo, quel Coltello Ricurvo! Dopo quello che ha fatto, neppure i selvaggi Mezzi Cavalli avranno il coraggio di mutilarlo! Essi onorano il nemico che si è battuto da eroe contro di loro, anche se, naturalmente, lo mangiano lo stesso!»
Ormai, i Khing-GatawriT erano vicini alla coda della colonna degli Hrowakas. Si divisero e aumentarono l’andatura, per accerchiare gli indiani. Kickaha disse a Wolff che i Mezzi Cavalli non avrebbero attaccato subito in maniera massiccia gli Hrowakas. Avrebbero cercato di divertirsi coi loro nemici, dando nel contempo ai loro più giovani guerrieri, non ancora messi alla prova in combattimento, la possibilità di dimostrare la loro perizia e il loro ardimento.
Un Mezzo Cavallo a chiazze bianche e nere, che portava una singola penna di falco sul capo, si staccò dal grosso del gruppo che veniva da sinistra. Agitando una bola nella mano destra, stringendo nella sinistra una lancia adorna di piume, cercò di stringere su Kickaha. Le pietre della bola vorticarono fino a diventare indistinguibili, poi l’arma partì, verso il basso: evidentemente il centauro mirava alle zampe del cavallo.
Kickaha abilmente mirò con la punta della sua lancia in direzione della bola in arrivo. La punta era stata manovrata così destramente che prese in pieno la corda della bola. Kickaha sollevò la lancia, e la bola si arrotolò intorno a essa, poi si chiuse. Buona parte della forza della bola era stata assorbita dalla lunghezza della lancia. Comunque, la lancia si impennò, descrivendo un arco a destra di Kickaha, e quasi colpì Wolff, che fu costretto a piegarsi. Kickaha fu quasi costretto a mollare la lancia, perché gli fu quasi strappata di mano, a causa della violenza dell’impatto. Ma egli conservò la stretta e scosse la lancia, con la bola arrotolata in cima.
Il Mezzo Cavallo, deluso, agitò furioso il pugno, e volle caricare Kickaha con la sua lancia. Un ruggito di acclamazione e ammirazione si sollevò dalle due colonne di centauri. Un capo uscì dalla colonna, per fermare il giovane. Gli disse alcune parole, che lo fecero ritornare, vergognoso, nel gruppo dei suoi simili. Il capo era un grande roano adorno di molte penne.
«Leone Furioso!» gridò Kickaha, in inglese. «Mi giudica meritevole della sua attenzione!»
Gridò qualcosa, nella lingua del capo, e poi scoppiò in una fragorosa risata, mentre la pelle scura del centauro diventava più scura. Leone Furioso gridò qualcosa, e galoppò in avanti, per affiancarsi a colui che lo aveva insultato. La lancia che impugnava con la destra fu scagliata contro Kickaha, che parò con la sua. Le due armi cozzarono insieme. Kickaha staccò immediatamente dal braccio sinistro il suo piccolo scudo di pelle di mammut. Parò un altro colpo di lancia con la sua; poi lanciò lo scudo come un disco. Lo scudo partì e colpì la zampa anteriore destra di Leone Furioso.
Il centauro scivolò e cadde sulle zampe anteriori e giacque sull’erba. Quando tentò di alzarsi, scoprì che la zampa anteriore destra si era spezzata. Un grido si levò dal suo gruppo; una dozzina di capi adorni di piume partì in direzione di Leone Furioso, con le lance sollevate. Si alzò e attese la morte a braccia conserte, coraggioso e grande, anche se sconfitto e impotente.
«Passa parola di rallentare!» disse Kickaha. «I cavalli non possono sostenere ancora per molto questa andatura; i loro polmoni sono già esausti. Forse potremo risparmiarli e guadagnare tempo, se i Mezzi Cavalli vogliono mettere alla prova qualcuno dei loro giovani. In caso contrario, be’, che differenza c’è?»
«È stato divertente» disse Wolff. «Se non ce la faremo, potremo almeno dire di non esserci annoiati.»
Kickaha si avvicinò tanto da battere una mano sulla spalla di Wolff.
«Parola mia, tu sei un vero uomo! Sono felice di averti conosciuto. Oh, oh! Ecco che arriva un pivellino! Ma sta cercando di attaccare Zampe di Lupo!»
Zampe di Lupo, uno dei cognati di Kickaha, era in testa alla colonna Hrowakas, davanti a Wolff. Stava gridando insulti al Mezzo Cavallo che stava attaccando, agitando la bola, e poi scagliò la sua lancia. Il Mezzo Cavallo, vedendo la lancia venire verso di lui, lanciò la bola prima del tempo. La lancia gli colpi una spalla; la bola partì bene, comunque, e si attorcigliò intorno a Zampe di Lupo. Stordito dal colpo di una delle pietre, Zampe di Lupo cadde da cavallo.
I cavalli di Wolff e Kickaha saltarono sul corpo, che giaceva proprio davanti a loro. Kickaha si piegò sulla destra, e colpì con la lancia Zampe di Lupo.
«Non si divertiranno a torturarti, Zampe di Lupo» disse Kickaha. «E tu hai fatto pagare loro una vita per una vita.»
A questi episodi seguì un periodo di combattimenti corpo a corpo. Di continuo, un giovane che doveva ricevere il battesimo delle armi usciva dalla massa dei centauri, per sfidare uno degli esseri umani. A volte vinceva l’uomo, a volte il centauro. Alla fine di trenta minuti d’incubo, i quaranta Hrowakas erano diventati ventotto. A Wolff toccò un grosso guerriero armato di una mazza piena di aculei. Portava anche un piccolo scudo rotondo, col quale cercò di imitare il trucco di Kickaha. Non funzionò, perché Wolff sviò lo scudo con la punta della lancia. Comunque, la sua guardia rimase aperta per un momento, del quale il centauro approfittò. Si avvicinò tanto che Wolff non fu più in grado di usare la lancia.
La mazza fu sollevata; il sole brillò sulle punte degli aculei. Wolff non aveva il tempo di schivare, e se avesse cercato di fermare la mazza, si sarebbe ritrovato con una mano spappolata. Senza riflettere, fece una cosa che sorprese tanto lui quanto il centauro. Forse era stata ispirata dall’azione coraggiosa di Coltello Ricurvo. Con un balzo poderoso, si lanciò dal suo cavallo, passò sotto la mazza, e afferrò per il collo il Mezzo Cavallo. Il suo nemico squittì per la delusione. Poi caddero a terra entrambi, pesantemente.
Wolff balzò su, sperando che Kickaha avesse fermato il suo cavallo, in modo da potervi risalire. Kickaha lo teneva fermo, infatti, ma non faceva il minimo sforzo per mandarglielo vicino. Anzi, sia gli Hrowakas che i Mezzi Cavalli si erano fermati.
«Leggi di guerra!» gridò Kickaha. «Chiunque raggiunga per primo la mazza avrà vinto!»
Wolff e il centauro, di nuovo in piedi, si precipitarono verso la mazza, che era a circa dieci metri. La velocità del quadrupede era troppa per un bipede. Il centauro raggiunse la mazza con tre metri di vantaggio su di lui. Senza rallentare, il centauro piegò il suo tronco umano e raccolse la mazza. Poi rallentò e si girò, così velocemente che fu costretto a fare la giravolta sulle zampe posteriori.
Wolff non aveva smesso di correre. Arrivò davanti e poi in groppa, al Mezzo Cavallo, mentre questi si girava. Si sollevo uno zoccolo, ma lui evitò il colpo, prendendolo solo di striscio. Cadde sul torso del centauro, e caddero di nuovo insieme.
Malgrado il colpo, Wolff tenne il braccio destro intorno al collo del centauro. Rimase appeso, mentre il centauro faceva forza sugli zoccoli. Il centauro aveva perduto la mazza, e ora cercava di sopraffare l’uomo con la forza bruta. Sogghignò di nuovo, perché era più pesante di Wolff di almeno trecento chili. Il suo torso, petto e braccia comprese, era molto più grosso di quello di Wolff.
Wolff spinse coi piedi il corpo del centauro, sotto sforzo, e non cedette. La stretta intorno al collo si intensificò, e a un tratto il Mezzo Cavallo scoprì di non poter respirare.
Allora il Mezzo Cavallo cercò di estrarre il coltello, ma Wolff afferrò il polso con l’altra mano, e lo torse. Il centauro gridò di dolore, e lasciò cadere il coltello.
Un ruggito di sorpresa giunse dai Mezzi Cavalli che stavano assistendo alla scena. Non avevano mai visto tanta forza in un semplice uomo, fino a quel momento.
Wolff spinse, torse il braccio, e fece inginocchiare il suo avversario. Colpì con il pugno sinistro l’apparato respiratorio, tra le costole. Il Mezzo Cavallo emise un lamento disperato. Wolff lasciò la presa, fece un passo indietro, e colpì col pugno sinistro la grossa mascella del centauro già stordito. La testa si arrovesciò, e il centauro cadde. Prima che potesse riprendere i sensi, il suo cranio fu fracassato dalla sua stessa mazza.
Wolff risalì in sella, e le tre colonne proseguirono. Per qualche tempo, i Mezzi Cavalli non attaccarono i loro nemici. Sembrava che i loro capi stessero discutendo. Qualsiasi fosse stata la loro intenzione, persero la mossa un momento più tardi.
Le tre colonne salirono una collinetta, poi discesero in un’ampia conca. Questa era profonda quel tanto che bastava a nascondere il gruppo di leoni che vi si trovava nascosto. A quanto pareva, i venti Felis atrox avevano mangiato un protocammello la notte prima, e non avevano prestato orecchio al rumore di zoccoli in arrivo, forse per pigrizia. Ma adesso che gli intrusi si trovavano in mezzo a loro, i grossi felini agirono immediatamente. La loro furia fu aumentata vieppiù dal desiderio di proteggere i loro cuccioli.
Wolff e Kickaha furono fortunati. Sebbene si vedessero ombre minacciose ovunque, nessuna di esse si avventò su di essi. Ma Wolff si avvicinò a un leone maschio quel tanto che gli bastò a scorgerne tutti gli spaventosi particolari, e a farlo tremare di paura. Il felino era grosso come un cavallo e, sebbene gli mancasse la criniera del leone africano, non difettava di maestosità e ferocia. Passò accanto a Wolff e si avventò sul più vicino centauro, che cadde urlando. Le mascelle si chiusero sulla gola del centauro, e la mitologica creatura morì. Invece di preoccuparsi del cadavere, cosa che normalmente avrebbe fatto, il leone si avventò su un altro Mezzo Cavallo, che cadde con la medesima facilità.
La scena era un caos di grida feline, umane, equine e centauriane. Ciascuno combatteva per sé; al diavolo la battaglia che si era svolta fino a poco prima.
Ci vollero solo trenta secondi per Wolff. Kickaha e gli Hrowakas che erano stati fortunati, per uscire dalla conca. Non avevano bisogno di incitare i loro cavalli, ma faticavano a impedire loro di correre disperatamente incontro alla morte.
Dietro di loro, ma a una certa distanza, i centauri che erano sfuggiti ai leoni uscirono dalla conca. Invece di inseguire subito gli Hrowakas, fuggirono a distanza di sicurezza dai leoni, e poi si fermarono a valutare le loro perdite. A dire il vero, non avevano perduto più di dodici unità, ma la scossa era stata molto forte.
«Una pausa vitale!» gridò Kickaha. «Però, se non riusciamo a raggiungere i boschi prima che ci abbiano raggiunto di nuovo, sarà la fine per noi! Non continueranno più gli attacchi individuali. La prossima volta, sarà un assalto massiccio!»
I boschi che rappresentavano la salvezza sembravano più lontani che mai. Wolff pensò che il suo cavallo, benché fosse uno stupendo animale, non avrebbe mai potuto farcela. Il suo pelo era madido di sudore, e stava ansando pesantemente. E continuava a correre, motore perfetto di carne e spirito indistruttibili, che si sarebbe fermato solo quando il cuore gli si fosse spezzato in petto.
I Mezzi Cavalli stavano ora galoppando a tutta velocità, e riguadagnavano terreno a vista d’occhio. Pochi minuti dopo, erano già a tiro di freccia. Gli inseguiti lanciarono alcuni dardi, che si piantarono tra l’erba. Poi, i centauri si trattennero dallo scagliare frecce, considerando che la distanza era troppa per prendere decentemente la mira, in movimento e con un bersaglio in movimento. Improvvisamente, Kickaha emise un grido di gioia.
«Correte!» gridò, rivolto a tutti. «Che lo Spirito di Akjaw-Dimis vi sia propizio!»
Wolff non capì finché non guardò il punto indicato dal dito di Kickaha. Davanti a loro, seminascosti dall’erba alta, si trovavano centinaia e migliaia di monticelli di terra. Di fronte a essi sedevano delle creature che sembravano cani della prateria a strisce.
Il momento seguente vide gli Hrowakas entrare nella colonia, con i Mezzi C’avalli alle spalle. Grida e urla si levarono quando cavalli e centauri, posando gli zoccoli sui buchi, caddero a terra. Gli animali e i Mezzi Cavalli che erano caduti a terra si rotolavano, urlando per il dolore degli arti spezzati. I centauri che venivano subito dopo la prima ondata si fermarono, e quelli che venivano dopo si scontrarono con loro. Per un minuto, una massa di corpi a quattro zampe scalcianti e aggrovigliati si agitò ai margini del campo dei cani della prateria. I Mezzi Cavalli che avevano avuto la fortuna di trovarsi a una certa distanza si fermarono a guardare i loro compagni caduti. Poi procedettero cautamente, badando a dove mettevano gli zoccoli. Tagliarono, passando, la gola ai compagni con braccia e gambe spezzate.
Gli Hrowakas, sebbene consapevoli di quanto succedeva alle loro spalle, non erano rimasti a guardare. Procedettero, ma ad andatura ridotta. Ora erano rimasti dieci cavalli e dodici uomini; Ronzio d’Ape ed Erba Alta cavalcavano insieme a due compagni le cui cavalcature non si erano spezzate una gamba nel terreno insidioso dei cani della prateria.
Kickaha, fissandoli, scosse la testa. Wolff sapeva ciò che pensava l’amico. Avrebbe dovuto ordinare a Ronzio d’Ape e a Erba Alta di scendere e procedere a piedi. Altrimenti, non solo loro ma i due uomini che li avevano accolti in sella sarebbero stati sopraffatti. Poi Kickaha, dicendo: «All’inferno, non voglio abbandonarli!» si avvicinò a parlare brevemente alle due coppie, poi si riportò accanto a Wolff. «Se finisce per loro, finisce per tutti» disse lui. «Ma tu non devi restare con noi, Bob. La tua lealtà è riposta altrove. Non c’è ragione di sacrificarti per noi, perdendo Chryseis e il corno.»
«Io rimango» disse Wolff.
Kickaha sorrise, e gli diede una pacca sulla spalla.
«Speravo di raggiungere i boschi, ma non ce la faremo. Ci riusciremo quasi… ma non del tutto. Quando raggiungeremo quella collina alta, laggiù, a mezzo chilometro di distanza, saranno già piombati su di noi. Peccato. I boschi sono soltanto a mezzo chilometro di distanza dalla collina.»
La colonia dei cani della prateria scomparve bruscamente alle loro spalle come bruscamente era apparsa davanti a loro. Gli Hrowakas spinsero al galoppo i loro animali. Dopo un minuto, i centauri avevano superato indenni il campo, e anche loro avevano ripreso la piena velocità. Gli inseguiti salirono la collina, e si fermarono in cima, formando un circolo.
Wolff indicò, alle pendici della collina, un fiumiciattolo che interrompeva la pianura. Sul suo corso crescevano degli alberi. Sulla riva del fiume, seminascosti dagli alberi, rilucevano dei tepee bianchi.
Kickaha guardò a lungo, poi disse:
«I Tsenakwa. I mortali nemici del Popolo dell’Orso, come tutti, d’altronde.»
«Eccoli che arrivano» disse Wolff. «Devono essere stati avvertiti dalle sentinelle.»
Indicò un gruppo di cavallerizzi disorganizzati, che stavano uscendo dai boschi, mentre il sole splendeva sui loro cavalli bianchi, e sulle loro penne bianche, e traeva scintille dalle punte delle loro lance.
Uno degli Hrowakas, vedendoli, cominciò a cantare una canzone lamentosa. Kickaha gli gridò qualcosa, e Wolff capì abbastanza per scoprire che gli ordinava di tacere. Non era il momento del canto della morte; avrebbero potuto sconfiggere ancora i Mezzi Cavalli e i Tsenakwa.
«Stavo pensando di sostenere qui il nostro ultimo assalto» disse Kickaha. «Ma adesso ho cambiato idea. Ci dirigeremo verso i Tsenakwa, poi ci allontaneremo da loro e cercheremo di raggiungere i boschi lungo il fiume. La nostra riuscita dipende dalla decisione dei nostri nemici: se combatteranno, potremo salvarci. Se uno rifiuta, l’altro ci prenderà. In caso contrario… Andiamo!»
Spronarono i cavalli. Discesero le pendici della collina, puntando dritto sui Tsenakwa. Wolff si voltava di frequente, e vedeva i Mezzi Cavalli discendere la collina a loro volta, a tutta velocità.
Kickaha gridò:
«Non credo che lasceranno perdere. Ci saranno molte donne che si lamenteranno nelle loro tende, stanotte, ma non sarà solo nella Tribù dell’Orso!»
Ormai gli Hrowakas erano abbastanza vicini da scorgere gli ornamenti degli scudi dei Tsenakwa. Erano svastiche nere, un simbolo che Wolff non si stupì di vedere. La croce uncinata era antica e diffusissima sulla Terra: era conosciuta dai troiani, dai cretesi, dai romani, dai celti, dai normanni, dagli indiani, buddisti e bramini, dai cinesi, e in tutta l’America precolombiana. Né si stupì vedendo che gli indiani ostili avevano i capelli rossi. Kickaha gli aveva detto che i Tsenakwa si tingevano i capelli neri.
Sempre in una massa disordinata, ma più vicini tra loro, i Tsenakwa sollevarono le lance e alzarono il loro grido di guerra, l’imitazione del grido di un falco. Kickaha, in testa al gruppo, sollevò la mano, la tenne immobile per un momento, poi l’abbassò bruscamente. Il suo cavallo voltò a sinistra e corse via, e tutti i sopravvissuti del Popolo dell’Orso lo seguirono, sviluppandosi come un serpente.
Kickaha aveva agito all’ultimo momento, ma la sua scelta del tempo e della distanza era stata perfetta. Mentre i Mezzi Cavalli e i Tsenakwa si scontravano, e venivano coinvolti in un groviglio d’inferno, gli Hrowakas si allontanarono. Raggiunsero i boschi, rallentarono entrando tra gli alberi e gli arbusti, e poi guadarono il fiume. Eppure. Kickaha fu costretto a discutere con diversi guerrieri. Questi volevano discendere il fiume e andare a saccheggiare i tepec dei Tsenakwa, mentre i loro guerrieri erano impegnati contro i Mezzi Cavalli.
«La cosa mi pare sensata» disse Wolff, «solo se ci tratteniamo per il tempo necessario a impadronirci di qualche cavallo. Ronzio d’Ape ed Erba Alta non possono continuare così.»
Kickaha si strinse nelle spalle, e impartì gli ordini. Il saccheggio richiese cinque minuti. Gli Hrowakas tornarono ad attraversare il fiume, e uscirono dagli alberi per trovarsi tra i tepec dei nemici, emettendo urla selvagge. Le donne e i bambini gridarono e trovarono rifugio sugli alberi e nelle tende. Alcuni degli Hrowakas volevano non solo i cavalli, ma anche altro bottino. Kickaha disse che avrebbe ucciso con le sue mani il prime che avesse scoperto a rubare qualcosa di diverso da un arco e da delle frecce. Ma si piegò e si protese a baciare una donna bella ma battagliera.
«Di’ ai tuoi uomini che ti avrei portata a letto, e dopo tu saresti stata insoddisfatta per sempre degli imbelli maschi della tua tribù!» le disse Kickaha. «Ma abbiamo delle cose più importanti da fare!» Ridendo, lasciò andare la donna, che corse nella sua tenda. Si fermò quel che bastava a orinare nella grossa pentola al centro del campo, nella quale la tribù cuoceva i propri cibi: un atto che costituiva un insulto mortale. Poi, ordinò ai suoi uomini di partire.