Possibile che non ci sia mai stata una scuola di filosofia legata alla lavatura dei piatti? Le condizioni sarebbero perfette per dedicarsi alla risoluzione dell’imperscrutabile. È un lavoro che tiene occupato il corpo, ma che non richiede proprio niente al cervello. Ogni giorno, avevo otto ore a disposizione per cercare di trovare risposta alle domande. Che domande? Be’, tutte. Cinque mesi prima, io ero un prospero, autorevole esponente della professione più rispettata, in un mondo che comprendevo (o credevo di comprendere) pienamente. Oggi non ero più sicuro di niente, e non possedevo niente.
Mi correggo: avevo Margrethe, che non avrei scambiato con tutto l’oro del Catai. Ma anche Margrethe era un impegno che non riuscivo ad assolvere, perché non ero in grado di mantenerla.
Certo, avevo un lavoro, ma in realtà era lei stessa a mantenersi. Quando il signor Cowgirl mi aveva assunto, non avevo badato alle parole “minimo sindacale e nessun aumento”. L’idea di guadagnare dodici dollari e mezzo all’ora mi aveva lasciato senza fiato… a Wichita (la mia Wichita) molte famiglie vivevano con $ 12,50 dollari la settimana.
Non avevo pensato che laggiù, con $ 12,50, non ci si comprava neppure un sandwich tonno e maionese… e non si trattava neppure di un ristorante di lusso: anzi, era un locale economico. Avrei incontrato meno difficoltà ad abituarmi all’economia di quel mondo strano ma familiare se il suo denaro avesse avuto un nome diverso: scellino, corona, marco, ma non “dollaro”. Io ero abituato a pensare a un dollaro come a una cifra abbastanza grossa; l’idea che cento dollari al giorno fossero un salario minimo, a livello di sussistenza, mi era difficile da mandare giù.
Dodici dollari e mezzo l’ora, cento dollari il giorno, ventiseimila dollari l’anno un livello di sussistenza? Nel mondo da cui venivo, era una ricchezza quasi inconcepibile.
Ma quello di abituarsi a ragionare in termini di dollari che non erano dollari era solo l’aspetto più appariscente di quel nuovo mondo; il vero problema era come rimanere a galla e mantenere moglie e figli (e uno, se non mi sbagliavo, doveva essere già in arrivo) in un mondo in cui non avevo titoli, amici, referenze. Alec, che cosa sai fare… oltre che lavare i piatti?
Solo a riflettere su questo problema, avrei potuto lavare un altro “faro” di piatti. Del resto, dovevo risolverlo. Oggi potevo lavare i piatti senza troppe preoccupazioni, ma presto avrei dovuto trovare qualcosa di meglio. La paga minima non era sufficiente.
E adesso si può arrivare alla domanda più importante. Come interpretare tutti quei segni e quei portenti che il Signore aveva posto su di me, suo umile servitore?
Erano i segni e portenti ingannevoli inviati dall’Anticristo per sedurre gli stessi eletti?
O erano i veri segni del giorno del giudizio?
O ero pazzo come Nabucodonosor e tutto quel che avevo visto erano dei semplici vapori della mia mente malata?
Una sera, nel tornare alla missione, vidi un cartello che pareva dare la risposta ai miei dubbi: “Milioni di uomini che oggi vivono non moriranno mai”. Il cartello era in mano a un uomo, e accanto a lui c’era un bambino che distribuiva volantini.
Io non presi un volantino. Conoscevo bene quel cartello, ma avevo sempre cercato di evitare i Testimoni di Geova. Sono così sussiegosi e ostinati che è impossibile lavorare con loro, mentre le Chiese Unite per la Decenza erano necessariamente un’organizzazione ecumenica. Nella ricerca di fondi e nell’azione politica occorre (anche se, naturalmente, bisogna evitare quanto possibile l’eresia) lasciar perdere le discussioni sui punti dottrinari più ostici. Certi teologi che spaccano il capello in quattro rovinerebbero l’efficienza di qualsiasi organizzazione. Se partiste con l’intenzione di ottenere qualche risultato pratico, includereste una setta che afferma di essere la sola depositaria della verità, e che chi non è d’accordo con lei è un eretico destinato al fuoco dell’inferno?
Impossibile. Perciò i Testimoni di Geova non avevano mai fatto parte delle Chiese Unite. Eppure… che questa volta avessero ragione?
Questo mi riporta al problema più urgente: come ricondurre Margrethe alla chiesa, prima della tromba del giudizio?
Il “come” dipendeva dal “quando”. Come già detto, i teologi millenaristi non sono affatto d’accordo tra loro sulla data del Giudizio.
Io mi baso sul metodo scientifico. Quando incappo in differenze di opinione, c’è sempre una risposta infallibile: cercare nella Bibbia. E così feci, adesso che abitavo alla missione dell’Esercito della Salvezza ed ero finalmente in grado di farmi prestare una bibbia. La consultai avanti e indietro… e l’unico risultato fu quello di capire perché i millenaristi fossero in disaccordo.
La Bibbia è la parola letterale di Dio; su questo non ci sono equivoci. Ma il Signore non ci ha mai promesso che fosse facile leggerla.
Molte volte, Dio — ossia la sua incarnazione nella persona del Figlio, Gesù di Nazaret, il Messia — promette ai discepoli che la loro generazione (primo secolo d.C.) vedrà il suo ritorno. In altri punti si trova la promessa che Cristo ritornerà dopo mille anni, o prima che ne siano passati duemila, o in qualche altro momento, dopo la predicazione del Vangelo a tutte le genti.
Quale profezia è vera?
Sono vere tutte, a leggerle bene. Gesù ritornò veramente durante la generazione dei suoi discepoli: lo fece con la Resurrezione, il giorno di quella prima Pasqua cristiana. Fu il primo ritorno di Cristo: un ritorno palese, per dimostrare che era il figlio di Dio.
Cristo ritornò di nuovo sulla terra dopo mille anni, senza mostrarsi, e, dopo avere contemplato il nostro mondo, nella sua misericordia decise di dare ai suoi figli un ulteriore tempo di grazia, un nuovo periodo di prova, perché altrimenti i peccatori sarebbero immediatamente finiti tra le fiamme dell’inferno. La misericordia di Dio è infinita.
Le date di questi avvenimenti sono difficili da calcolare, ed è comprensibile che sia così, perché Dio non ha mai voluto incoraggiare i peccatori a continuare a peccare con la scusa che, tanto, il giorno del giudizio era stato rimandato… Quello che viene ripetuto molte volte nel Vangelo è che Dio si aspetta che i suoi figli vivano ogni istante come se fosse l’ultimo. Quando sarà la fine del tempo? Quando suonerà la Tromba? Quando sarà il giorno del giudizio? È adesso! Non verrà dato alcun preavviso. Non ci sarà il tempo di pentirsi in punto di morte. Occorre vivere in stato di grazia… altrimenti, quando sarà il momento del giudizio, sarete scagliati nel lago di fuoco, dove brucerete nei tormenti per tutta l’eternità.
Così si deve leggere la parola di Dio.
Ma io non avevo un ulteriore periodo di grazia in cui ricondurre Margrethe all’ovile: il giudizio poteva avere luogo quello stesso giorno.
Come fare?
Un mortale, quando il suo problema è troppo grande, ha una sola soluzione: pregare.
E così feci io. Le preghiere hanno sempre risposta. Ma è necessario saper riconoscere la risposta… e non sempre è la risposta voluta.
Nel frattempo occorreva dare a Cesare quel che era di Cesare. Naturalmente io decisi di lavorare sei giorni la settimana invece di cinque ($ 31.200 l’anno!), dato che mi serviva ogni soldo. Margrethe aveva bisogno di tutto… e così io, ma un uomo può fare a meno di molte cose, mentre una donna no. Soprattutto ci servivano scarpe. Quelle che portavamo quando il terremoto aveva colpito Mazatlán erano ottime scarpe… per dei contadini di Mazatlán. Ma si erano rovinate nei due giorni di scavo dopo il terremoto, e da allora in poi le avevamo sempre avute addosso; ormai erano da buttare.
Inoltre, al momento di incassare il mio primo salario, avevo scoperto una situazione terribile. Quando il signor Cowgirl mi aveva assunto, avevo onestamente pensato di ricevere cento dollari per ogni giorno lavorativo.
Lui non mi pagò quella cifra, eppure mantenne la parola. Ora vi spiego.
Alla fine di quel primo giorno di lavoro ero stanco ma felice. Voglio dire che non mi sentivo altrettanto felice dal giorno del terremoto… la felicità è relativa. Mi fermai alla cassa, dove il signor Cowgirl stava facendo i conti, dopo avere messo il cartellino CHIUSO alla porta del Ron’s Grill. Alzò la testa e mi guardò. «Com’è andata, Alec?»
«Ottimamente, signore.»
«Luke mi ha detto che sei andato bene.» Luke era un moro gigantesco, capo cuoco e mio capo nominale. In realtà, l’unico controllo da lui effettuato era stato quello di indicarmi dove trovare la roba.
«Lieto di saperlo. Luke è un bravo cuoco.» A quell’ora, il pasto giornaliero gratuito che avevo mangiato come prima colazione alle quattro del pomeriggio era ormai storia antica. Luke mi aveva spiegato che il suo aiutante poteva ordinare qualsiasi piatto del menù, tranne le bistecche, e che quel giorno poteva darmi tutti i bis che volevo, se sceglievo lo spezzatino o il polpettone.
Scelsi il polpettone perché la sua cucina era pulita e aveva un buon odore. È dal polpettone che si giudica un cuoco, non da come cuoce le bistecche. Ne presi due porzioni… e non ci misi il ketchup.
Luke mi diede una generosissima porzione di torta alla ciliegia e poi vi aggiunse una palettata di gelato alla vaniglia, che io non tenni in considerazione, perché era un regalo.
«È raro che Luke parli bene di un bianco» proseguì il mio datore di lavoro «e non parla mai bene dei chicanos. Allora, evidentemente, sei uno che lavora come si deve.»
«Me l’auguro» dissi, con una punta di irritazione. Siamo tutti figli di Dio, ma era la prima volta che mi curavo dell’opinione di un moro su quel che avevo fatto. Mi bastava essere pagato, volevo fare ritorno da Margrethe.
Il signor Cowgirl congiunse le mani e cominciò a far girare i pollici. «Vuoi essere pagato, eh?»
Anche ora cercai di non lasciar trasparire l’irritazione. «Sì, signore.»
«Alec, nel caso dei lavapiatti, preferisco pagare alla fine della settimana.»
Provai una forte delusione, e la cosa dovette essere perfettamente visibile.
«No, lascia che mi spieghi» aggiunse. «Tu sei un dipendente su base oraria, e se preferisci puoi essere pagato alla fine della giornata.»
«Allora, lo preferisco. I soldi mi servono.»
«Lasciami finire. Il motivo per cui preferisco pagare alla fine della settimana invece che tutti i giorni, è che spesso, se prendo una persona e la pago alla fine della giornata, quella esce, corre a comprarsi una bottiglia di liquore e non si fa più vedere per un paio di giorni. Poi, quando ritorna, vuole di nuovo il suo lavoro. E se la prende con me. Minaccia di andare dai sindacati. E il divertente è che molte volte posso ridarglielo, per un altro turno di un giorno, perché l’ubriacone che ha preso il suo posto ha fatto esattamente come lui.
«Questo non succede con i chicanos» proseguì, «perché di solito cercano di mettere da parte i soldi per spedirli in Messico. Ma non ho mai trovato un chicano capace di tenere la cucina come piace a Luke. Un negro… Luke è sempre in grado di dirmi se un faccia-sporca sa il fatto suo, e quelli buoni sono meglio dei bianchi. Ma quelli buoni hanno sempre voglia di fare carriera, e se non li passo aiuto cuoco, presto vanno in un altro ristorante dove li prendono con quella categoria. Perciò, è sempre un problema. Se riesco ad avere una settimana intera di lavoro da un lavapiatti, lo ritengo un successo. Due settimane, e sono al settimo cielo. Una volta sono riuscito a tenerne uno per un intero mese. Ma sono cose che capitano una sola volta nella vita.»
«No, io conto di lavorare almeno per tre settimane piene» gli assicurai. «Posso avere la mia paga?»
«Non avere fretta. Se scegli di essere pagato alla fine della settimana, ti darò un dollaro all’ora in più della tua paga base. Sono quaranta dollari di differenza, alla fine della settimana. Che ne dici?»
(No, mi dissi, sono 48 dollari in più. Quasi $ 34.000 all’anno, solo per lavare piatti!) «Sono 48 dollari di differenza per settimana» risposi «non quaranta. Dato che scelgo la formula dei sei giorni lavorativi. Mi servono i soldi.»
«Bene. Allora ti pagherò alla fine della settimana.»
«Solo un momento. Non possiamo cominciare da domani? Oggi mi serve qualche contante. Io e mia moglie abbiamo solo i vestiti che portiamo addosso, e devo comprarle qualcosa.»
Lui alzò le spalle. «Come preferisci. Ma perderai il supplemento di un dollaro per la giornata di oggi. E se domani arrivi anche con un solo minuto di ritardo, penserò che ti sei ubriacato e rimetterò in vetrina il cartellino.»
«Non sono un ubriacone, signor Cowgirl.»
«Vedremo.» Tornò alla sua macchina contabile e fece qualcosa ai tasti. Non so che cosa, perché quella macchina non l’ho mai capita. Era una macchina aritmetica, ma non aveva niente in comune con un Numeratore Babbage. Aveva tasti simili a quelli delle macchine per scrivere, ma al di sopra dei tasti c’era una finestrella dove comparivano lettere e numeri, grazie a qualche magia.
La macchina ronzò e tintinnò, e lui ne trasse un foglio, che poi mi diede. «Ecco.»
Io lo presi e lo esaminai, e provai di nuovo un forte sconforto.
Era un cartoncino di sette centimetri per quindici, con molti piccoli fori e con una stampigliatura in cui si diceva che era un assegno della Nogales Commercial Savings Bank e che il Ron’s Grill ordinava loro di pagare ad Alec L. Graham la somma di… no, non di cento dollari.
Di 51 dollari e 27 cent.
«C’è qualcosa che non va?» mi chiese.
«Uh, non erano 12,50 all’ora?»
«Ed è quello che ti ho pagato. Otto ore al minimo sindacale. Controlla tu stesso le ritenute. Non sono stato io a fare i calcoli; questa è un’IBM 1990 e c’è un programma IBM “Paghe più”… e l’IBM dà un premio di diecimila dollari a chi è in grado di dimostrare che questa macchina e questo software hanno sbagliato nella compilazione di un assegno. Controlla tu. Paga lorda, cento dollari. Le trattenute sono elencate. Fa’ le somme, ma non prendertela con me. Non sono stato io a mettere queste leggi… e le odio quanto te. Ti rendi conto che tutti i lavapiatti che vengono da me, con o senza cittadinanza americana, vorrebbero essere pagati in contanti e senza trattenute? E sai che multa mi danno, se mi pescano a farlo la prima volta? E la seconda? Non fare quella faccia, io non c’entro… prenditela con il governo.»
«No, è solo che non capisco le sigle. Che cosa significano queste deduzioni? “Ammin.” per esempio?»
«Tassa d’amministrazione.»
Cercai di controllare le altre deduzioni. “SicSoc” era Sicurezza Sociale. La ragazza mi aveva spiegato come funzionasse, quel mattino, e io avevo pensato che era un’ottima idea, ma che al momento non potevo ancora permettermela. Anche “AssicMed”, “AssicOsped” e “AssicDent” erano abbastanza semplici da capire, e anche nel loro caso non erano alla mia portata. Ma cos’era “PL217”? La spiegazione sul retro del cartellino rimandava a un articolo di una legge. E “ContribIstruz” e “UNESCO”?
«Non capisco bene. Cos’è questa “Imposta sull’Entrata”…?»
Lui sollevò un sopracciglio. «Alec, non sei l’unico a non capire. Ma perché fai quella faccia? Senza scherzi, sai anche tu che da cinquant’anni, in questo paese, nessuno sfugge alle trattenute. Come ti dicevo, non devi discuterne con me, ma con il governo. Prendi l’assegno.»
«Va bene. Ma non so dove incassarlo.»
«Nessun problema. Firmalo dietro, e ti do i contanti. Ma tieni il tagliandino, perché alle imposte dirette ti chiederanno di vederli tutti, prima di rimborsarti qualche ritenuta in eccesso.»
Non capii bene il discorso, ma tenni il tagliandino.
Nonostante lo choc di scoprire che metà dei miei guadagni spariva prima di arrivarmi in tasca, la situazione mia e di Margrethe migliorava di giorno in giorno. Lei aveva lo stipendio della cuoca ($ 22 l’ora, per 24 ore settimanali) e, una volta pagate le trattenute, l’affitto della stanza e i pasti alla missione, ci rimanevano quasi quattrocento dollari la settimana per acquistarci i vestiti e il resto dell’occorrente.
Alla fine della prima settimana comprammo un paio di scarpe di ottima qualità per Margrethe, di saldo, a 280 dollari invece di 350, e la settimana successiva, in un negozio di residuati dell’Esercito, acquistammo scarpe per me, comode ed economiche, che sarebbero durate più di qualsiasi paio di scarpe da passeggio acquistate in negozio. (Per le scarpe da sera ero disposto ad aspettare. Non c’è niente come un periodo a piedi scalzi e in bolletta, per capire il vero valore delle cose.) Poi andammo ai grandi magazzini a prendere un vestito per Margrethe e un paio di calzoni per me.
Ci rimanevano ancora sessanta dollari, e Margrethe mi propose di acquistarne un altro paio. Ma io mi opposi.
«Perché, Alec?» chiese lei. «Hai bisogno anche tu di vestiti, ma abbiamo speso quasi tutto per me.»
«Abbiamo comprato le cose che ci servivano di più» le risposi. «La prossima settimana, quando ritornerà la cuoca della missione, dovremo lasciare la stanza e tu sarai senza lavoro. Penso che ci convenga cambiare città. Perciò, teniamo i soldi per pagare l’autobus.»
«E dove vorresti andare?»
«Nel Kansas. Questo è un mondo a noi sconosciuto. Eppure ha molti aspetti familiari: la lingua, la geografia, gran parte della storia. Qui posso fare solo il lavapiatti, ma ho l’impressione che il Kansas… il Kansas di questo mondo… sia molto più vicino al Kansas in cui sono nato. Sento che laggiù mi troverò bene.»
«Come vuoi tu, caro.»
La missione distava quasi un chilometro e mezzo dal Ron’s Grill; invece di ritornare a “casa” nell’intervallo, di solito trascorrevo il tempo libero nella biblioteca pubblica più vicina, per orientarmi in quel mondo. La biblioteca e i giornali lasciati talvolta dai clienti nel ristorante erano i miei principali mezzi di istruzione.
Anche in quel mondo, William Jennings Bryan era stato eletto presidente e la sua influenza benigna ci aveva tenuti lontani dalla Grande guerra europea. Poi si era offerto come garante per i negoziati di pace. Il trattato di Filadelfia aveva più o meno riportato l’Europa nella situazione precedente il 1913.
Non riconobbi nessuno dei presidenti venuti dopo Bryan: non corrispondevano né a quelli del mio mondo né a quelli del mondo di Margrethe. Poi mi venne quasi da ridere quando trovai il nome del presidente: sua maestà cristianissima John Edward II, presidente ereditario degli Stati Uniti e del Canada, duca di Hyannisport, conte di Québec, difensore della fede, protettore dei poveri, comandante in capo delle forze di pace.
Osservai una sua fotografia, mentre posava una prima pietra ad Alberta. Era alto e aveva le spalle larghe; a suo modo era un bell’uomo e indossava un’uniforme da parata con una serie impressionante di medaglie. Guardai bene la sua immagine e mi domandai: “Compreresti da quest’uomo un’automobile usata?”
Ma, più ci pensavo, più la cosa mi pareva logica. Gli americani, nel corso dei loro 220 anni come nazione sovrana, avevano sempre sentito la mancanza delle famiglie reali che si erano scrollati dalle spalle. Ogni volta che ne avevano avuto l’occasione, avevano fatto carte false per ingraziarsi la nobiltà europea. Ogni volta che la cosa era stata possibile, i loro cittadini più ricchi avevano dato in spose le figlie ai titolati europei, perfino a principi georgiani (in Georgia, un “principe” era un contadino che aveva una pila di letame più grossa di quella dei suoi vicini).
Non sapevo dove fossero andati a scovare quel somaro reale. Forse se l’erano fatto spedire dall’Estoni, forse dai Balcani. Come diceva uno dei miei professori di storia, in giro ci sono sempre dei principi di sangue reale disoccupati, in cerca di impiego. E quando si è senza lavoro, non si possono avanzare molte pretese, come io sapevo bene. Probabilmente, posare prime pietre non è più noioso che lavare piatti. Ma l’orario di lavoro è più lungo, suppongo. Non ho mai fatto il re, e non so se accetterei un lavoro nel ramo della sovranità, se me lo dovessero offrire; ci sono altri rischi e fastidi, e non solo quello della mancanza di orario.
D’altra parte…
Rifiutare una corona che nessuno si sognerà mai di offrirti è la classica storia dell’uva troppo acerba, ma riflettei sulla cosa e giunsi alla conclusione che una persona a cui venga fatta l’offerta riesce facilmente a convincersi di dover fare quel sacrificio per il bene della comunità o — se è credente — che il Signore gli impone di accettarla…
Ma la cosa che mi stupiva era l’idea che il Canada fosse entrato a far parte degli Stati Uniti. La stragrande maggioranza degli americani non sa perché i canadesi non ci possano soffrire (io non lo so), ma le cose stanno proprio così: i canadesi non amano gli statunitensi. L’idea che i canadesi votino per unirsi agli Stati Uniti è letteralmente incredibile.
Mi recai in biblioteca e mi feci dare una storia contemporanea degli Stati Uniti. Avevo appena cominciato a studiarla, quando vidi all’orologio a muro che erano quasi le sei e che dovevo restituire il libro per ritornare al mio acquaio. (Non potevo prendere in prestito il libro perché non volevo versare il deposito cauzionale richiesto ai non residenti.)
Ancor più importanti dei cambiamenti politici erano quelli tecnici e culturali. Fin dall’inizio mi ero accorto che quel mondo era più avanzato del mio nelle scienze fisiche e nelle tecnologie. Me n’ero accorto la prima volta che avevo posato l’occhio su un televisore.
Non sono mai riuscito a capire come funziona la televisione. Una volta cercai di informarmi sui libri della biblioteca, e incontrai subito un argomento chiamato “elettronica” (non “elettrotecnica”, ma “elettronica”). Perciò cercai di studiare qualcosa sull’elettronica e mi imbattei nei farfugliamenti matematici più complessi che avessi mai immaginato. Da quando la termodinamica mi aveva fatto capire che la mia vera vocazione era il ministero religioso, non avevo più visto equazioni così compatte e incomprensibili. Non credo i professori del politecnico di Rolla sarebbero riusciti a venire a capo di simili zampe di gallina… almeno quelli del politecnico di Rolla che conoscevo io.
Ma la superiore tecnologia di quel mondo era visibile anche in molte altre cose, e non solo nella televisione. Considerate i “semafori intelligenti”. Senza dubbio avrete visto città talmente soffocate dal traffico che è quasi impossibile attraversare le grosse arterie senza farsi assistere da un vigile. E senza dubbio vi avrà dato fastidio, quando un poliziotto del traffico ha fermato la vostra colonna per far passare qualche personaggio importante del municipio o di altri uffici pubblici.
Riuscite a immaginare una situazione in cui grandi volumi di traffico sono controllati senza che sia presente alcun agente del traffico… ma solo a opera di luci colorate e impersonali?
Credetemi, è esattamente quel che accadeva a Nogales.
Ecco come funziona:
In corrispondenza di ogni incrocio molto frequentato, posizionate un minimo di dodici lampade colorate, quattro gruppi di tre, un gruppo in ciascuna direzione, e schermati in modo che li vedano solo coloro che provengono da una certa corsia della strada. Ciascun gruppo ha una luce verde, una gialla e una rossa. Le lampade sono alimentate dall’energia elettrica, e sono talmente luminose da poter essere viste a centinaia di metri di distanza, anche durante il giorno. Nonostante la luminosità, non sono lampade ad arco, ma a incandescenza: la cosa è importante, perché queste lampade si devono accendere e spegnere ogni pochi istanti e devono funzionare senza guastarsi per giorni e giorni, ventiquattr’ore il giorno.
Le luci di cui ho parlato sono sospese in alto, su pali telegrafici, o appese sopra gli incroci, in modo da poter essere viste da guidatori e ciclisti a grandi distanze. Quando sono accese, tanto per dire, le luci verdi a nord e a sud, a est e a ovest sono accese quelle rosse: il traffico è allora autorizzato a muoversi da nord e da sud, mentre quello da est e da ovest deve rimanere fermo, ad aspettare il proprio turno, esattamente come se la guardia avesse levato il braccio e fischiato.
È chiaro? Le luci rosse e quelle verdi sostituiscono i movimenti delle braccia del vigile del traffico.
Le luci gialle sostituiscono il suo fischietto: avvertono che la situazione sta per cambiare.
Ma qual è il vantaggio, direte voi, dato che qualcuno — e presumibilmente un vigile — deve accendere e spegnere le luci come necessario? Il vantaggio è questo: le luci si accendono e si spengono automaticamente, con un comando a distanza, che talvolta è lontano parecchi chilometri.
Il sistema contiene altre meraviglie, come gli strumenti elettrici di conteggio che decidono quanto deve stare accesa ogni lampada a seconda della quantità di traffico presente, luci particolari che indicano quando è il momento di girare a sinistra o quando i pedoni possono attraversare… ma la grande meraviglia è un’altra: il fatto che la gente obbedisca a queste luci.
Riflettete. Senza poliziotti che la controllino, la gente obbedisce a queste macchine cieche e mute, come se esse stesse fossero poliziotti.
La gente di quel mondo era così mansueta e pacifica da lasciarsi comandare con tanta facilità? Niente affatto. Me lo sono chiesto anch’io e sono andato a cercare in biblioteca i dati statistici. In quel mondo, la percentuale di reati violenti era superiore a quella che si riscontrava nel mio. Che fosse colpa dei semafori? Non credo. Credo invece che la gente di quel mondo, pur essendo portata alla violenza, accettasse di obbedire ai segnali del traffico perché erano una cosa logica. Chissà.
In qualsiasi caso, è una cosa molto strana.
Un’altra notevole differenza tecnologica riguarda il traffico aereo. Non i decorosi, puliti, sicuri, silenziosi dirigibili del mio mondo… no, no! In quel mondo, le macchine volanti erano simili agli aeroplanos del mondo dove io e Margrethe avevamo lavorato come peones prima che Mazatlán fosse distrutta dal terremoto. Ma erano talmente più grandi, più veloci e più rumorosi degli aeroplanos che conoscevamo, e volavano talmente più in alto, da sembrare qualcosa di completamente diverso… e forse erano davvero diversi, perché i loro motori erano chiamati “jet”. Riuscite a immaginare un veicolo che vola a un’altezza di dieci e più chilometri? Un carro gigantesco che si muove più veloce del suono? Immaginate un fischio talmente forte da farvi dolere i denti?
Questo si chiama “progresso”. Io sentivo l’assenza della comodità e dell’eleganza del Count von Zeppelin. Perché era impossibile sottrarsi a quei mastodonti. Varie volte al giorno, una di quelle macchine passava urlando sopra la missione, a bassa quota, per poi posarsi nel suo campo d’atterraggio a nord della città. Quel rumore dava fastidio a me, e rendeva nervosa Margrethe.
Comunque, la maggior parte delle volte, i miglioramenti tecnologici sono un vero progresso: migliori servizi igienici, migliore illuminazione all’interno e all’esterno delle case, strade migliori, edifici migliori, molti tipi di macchine che alleggeriscono e rendono più produttivo il lavoro umano. Io non sono mai stato uno di quei fanatici del ritorno alla natura che odiano l’ingegneria; ho i miei motivi per rispettarla. Molta gente che odia la tecnologia morirebbe di fame se mancasse l’infrastruttura tecnologica.
Eravamo a Nogales da poco meno di tre settimane, quando riuscii finalmente a portare a buon fine un piano che avevo in cantiere da più di quattro mesi. Per eseguirlo scelsi un lunedì, perché era la mia giornata libera. Dissi a Margrethe di mettersi gli abiti nuovi perché volevo uscire con la mia ragazza e anch’io mi infilai le scarpe nuove e una camicia pulita, mi feci la barba e mi tagliai le unghie.
Era una bella giornata di sole, non troppo calda, e tutt’e due eravamo allegri perché, per prima cosa, la cuoca, signora Owens, aveva scritto a fratello McCaw che si fermava ancora una settimana dalla figlia, e, secondo, adesso avevamo il denaro per l’autobus fino a Wichita, ma non di più, e con un’altra settimana di risparmi saremmo giunti in quella città con ancora qualche soldo in tasca per trovarci una sistemazione.
Portai Margrethe in un luogo che avevo visto il giorno del mio arrivo: una vecchia gelateria con i tavolini all’aperto.
Ci fermammo davanti a essa. «Ragazza, vedi questo posto? Ricordi una conversazione che abbiamo fatto una mattina, su un materassino, in mezzo al Pacifico, quando non ci aspettavamo di vivere ancora per molto? Almeno, io non me lo aspettavo.»
«Amore, come potrei dimenticarlo?»
«Ti ho chiesto la cosa che desideravi di più; ricordi quel che mi hai risposto?»
«Certo! Una coppa alla vaniglia, con cioccolata calda.»
«Proprio così. Oggi è la tua festa di non-compleanno, cara. Il tuo taglio al cioccolato sta arrivando.»
«Oh, Alec!»
«Non ti emozionare. Non sopporto le donne che piangono. O puoi prendere una coppa al cioccolato con caffè caldo. Quello che desideri. Ma mi sono informato, prima di portarti qui, e il taglio al cioccolato lo hanno sempre.»
«Non possiamo permettercelo. Dobbiamo risparmiare per il viaggio.»
«No, possiamo permettercelo. Una coppa costa cinque dollari. Due fanno dieci. E darò un dollaro di mancia alla cameriera. L’uomo non vive di solo pane. E neppure la donna. Andiamo.»
Ci accompagnò al tavolo una bella cameriera (ma meno bella di mia moglie). Feci accomodare Margrethe con la schiena alla strada, le tenni la sedia e poi mi sedetti davanti a lei. «Io sono Tammy» disse la cameriera, nel consegnarci il menu. «Cosa vi sentite di prendere, in una giornata così bella?»
«Non abbiamo bisogno di guardare il menu» dissi io. «Due coppe alla vaniglia, con cioccolata calda.»
Tammy aggrottò le sopracciglia. «Benissimo, se non vi dispiace di aspettare qualche minuto. Forse c’è da scaldare la cioccolata.»
«Qualche minuto va benissimo.»
Lei sorrise e si allontanò. Io guardai Margrethe. «Abbiamo aspettato molto di più, non è vero?»
«Alec, tu sei un sentimentale, ed è per questo che ti amo.»
«Sono un sentimentale e un ghiottone, e in questo momento non vedo l’ora di assaggiare quel gelato. Ma ti ho portato qui anche per un altro motivo. Margrethe, non ti piacerebbe avere un posto come questo? Insieme, intendo dire. Tu comanderesti, e io farei il lavapiatti, l’uomo delle grosse pulizie, il fattorino e tutto il resto.»
Lei rifletté sulle mie parole. «Parli sul serio?»
«Certo. Naturalmente, non potremmo cominciare subito; prima dovremmo mettere da parte qualche soldo. Ma neanche tanti, secondo me. Un posto piccolo, ma allegro… dopo che l’avrò ridipinto tutto. Bar, gelati, e un menù molto limitato. Hot dogs. Hamburger. Sandwich danesi. E magari primi piatti. Le minestre in scatola si preparano presto.»
Margrethe fece una smorfia. «Niente roba in scatola. Posso preparare primi piatti che costano meno e che sono migliori di qualsiasi cosa uscita da una scatola di latta!»
«Mi affido alla sua competenza professionale, signora. Nel Kansas ci sono varie piccole città sede di college, e una qualsiasi di esse potrebbe andare bene. Forse potremmo rilevare un locale già esistente, e chiamarlo Pic Nic o Marga’s Sandwiches.»
«Alec, pensi davvero che si possa farlo?»
Io le presi la mano. «Certo, e senza neppure ammazzarci di lavoro.» Mossi la testa. «Quel semaforo… ce l’ho proprio negli occhi.»
«L’ho notato. Te lo vedo riflesso negli occhi ogni volta che il colore cambia. Vuoi il mio posto? A me, quella luce non dà fastidio.»
«Neppure a me. Ma ha un effetto ipnotico…» Abbassai gli occhi sul tavolo, poi tornai a guardare il semaforo. «Ehi, non c’è più la luce.»
Margrethe girò la testa per guardare. «Non vedo il semaforo. Dov’è?»
«Uh… quel maledetto aggeggio è sparito.»
Sentii una voce maschile dietro di me. «Cosa prendete? Birra o viro; non abbiamo la licenza per i liquori.» Mi girai, vidi un cameriere. «Non c’è più Tammy?»
«Tammy? Non la conosco?»
Trassi un profondo respiro, cercai di fermare il cuore che mi batteva all’impazzata, poi dissi: «Ci scusi, non dovevamo venire qui. Mi accorgo adesso di avere lasciato a casa il portafogli». Mi alzai. «Vieni, cara.»
In silenzio, con gli occhi sbarrati, Margrethe venne con me. Mentre uscivamo, mi guardai attorno, e notai i cambiamenti. Mi parve un posto più che decente, per uno spaccio di birra. Ma non era la nostra allegra gelateria.
E neppure il nostro mondo.