Davanti all’hotel li attendeva una jetauto. Per quanto di linea snella ed elegantissima, a Ewing sembrò un modello antiquato. Il robot aprì la portiera posteriore e lui salì.
Con sua sorpresa, il robot non si accomodò con lui sul veicolo. Si limitò a chiudere la portiera e a ritirarsi fra le tenebre della sera. Ewing fece una smorfia, si voltò a guardare il robot dal finestrino posteriore. Provò a toccare la maniglia e scoprì di essere chiuso nell’auto.
Una tranquilla voce di robot disse: «La sua destinazione, per favore?».
Ewing esitò. «Ah… Portami dal governatore generale Mellis».
L’unica risposta fu il rombo dei turbogeneratori; poi la macchina sobbalzò dolcemente e partì. Sembrava che corresse su uno strato d’olio. Ewing non avvertì la minima sensazione di movimento, però alle sue spalle lo spazioporto e la forma enorme dell’hotel divennero minuscoli. Ben presto emersero su una grande superautostrada al dodicesimo livello, una trentina di metri sopra il livello del suolo.
Ewing guardò fuori dal finestrino, nervoso. «Dove si trova esattamente il governatore generale?», chiese, voltandosi a fissare il cruscotto. Sulla jetauto non c’era posto per l’autista, e non c’erano nemmeno comandi manuali. Era manovrata esclusivamente a distanza, da un computer.
«La residenza del governatore generale Mellis si trova a Capitale», fu la risposta precisa, misurata. «Capitale è situata esattamente trecentodieci chilometri a nord della città di Valloin. Arriveremo in quarantun minuti».
La jetauto fu puntualissima. Quarantun minuti dopo essere partita dalla piazza antistante il Grand Valloin Hotel, abbandonò la superautostrada per immettersi su una strada più piccola che scendeva in basso con una forte inclinazione. Ewing vide davanti a sé una città, una città composta di edifici spaziosi, lontani l’uno dall’altro, che si distendevano a spirale dalla torre argentea di un enorme palazzo.
Qualche minuto dopo la macchina si fermò di colpo, facendo sobbalzare Ewing.
La voce del robot disse: «Siamo al palazzo del governatore generale. La portiera sulla sua sinistra è aperta. Scenda dall’auto. L’accompagneranno dal governatore generale».
Ewing spalancò la portiera con un tocco della mano, scese. L’aria della sera era fresca, dolce; la strada emanava una luminosità soffusa. Le batterie di accumulatori installate sotto il piano stradale emettevano la luce che durante il giorno il sole aveva scaricato su di loro.
«Per di qui, prego», disse un altro robot.
Il robot, veloce ed efficiente, lo fece entrare attraverso la porta girevole del palazzo. Salirono parecchi piani in ascensore. Emersero in un corridoio drappeggiato di velluti. Dopo una serie di pareti disposte l’una accanto all’altra a fisarmonica, il corridoio sfociava in una grande stanza dai mobili austeri.
Al centro della stanza, solo, un uomo non molto alto, coi capelli grigi ma senza l’ombra di una ruga. Il suo corpo non recava tracce delle malformazioni chirurgiche tanto comuni fra i terrestri. L’uomo gli rivolse un sorriso cortese.
«Sono il governatore generale Mellis», disse. La sua voce era forte e flessibile, un ottimo veicolo per discorsi in pubblico. «Vuole entrare?».
«Grazie», rispose Ewing. Entrò. La porta si chiuse immediatamente alle sue spalle.
Mellis, che arrivava appena a metà del petto di Ewing, si fece avanti e gli porse un bicchiere. Ewing lo accettò. Conteneva un liquido rossiccio, leggermente addizionato di anidride carbonica. Ewing sedette nella comoda poltrona che Mellis gli aveva indicato, poi alzò gli occhi a guardare l’altro, che restava in piedi.
«Non ha perso tempo. Mi ha mandato a chiamare subito», notò Ewing.
Il governatore generale scrollò le spalle con grazia. «Ho saputo del suo arrivo stamattina. Non succede spesso che l’ambasciatore di una colonia giunga sulla Terra. A dire il vero…» Parve sospirare. «…Lei è il primo in più di trecento anni. Sa che ha scatenato una curiosità notevole?».
«Lo so benissimo». Ewing bevve un po’ di liquore con aria distratta. Un caldo piacevole gli scese in gola. «Avevo intenzione di mettermi in contatto con lei domani, o magari domani l’altro. Ma mi è stato risparmiato il fastidio».
«La mia curiosità ha avuto la meglio», ammise Mellis con un sorriso. «Capisce, a livello di incontri ufficiali ho ben poco da fare».
«Per accorciare i tempi di questa visita, comincerò subito dall’inizio. Sono qui a chiedere l’aiuto della Terra per il mondo libero di Corwin, a nome del mio pianeta».
«Aiuto?». Il governatore generale parve allarmarsi.
«Ci troviamo di fronte a un’invasione di alieni da un’altra galassia», disse Ewing. Raccontò per sommi capi le distruzioni già operate dai Klodni, aggiungendo: «E abbiamo inviato diversi messaggi alla Terra per informarvi della situazione. Presumiamo che questi messaggi non siano mai giunti. Quindi, eccomi qui di persona a chiedere l’aiuto della Terra».
Mellis, prima di rispondere, si aggirò per la stanza a scatti, come un uccello impaziente. Poi si voltò all’improvviso, si calmò, e disse: «I messaggi non si sono persi per strada, signor Ewing».
«No?».
«Li abbiamo ricevuti e sono stati trasmessi al mio ufficio. Li ho letti».
«E non ha risposto», lo interruppe Ewing, in tono d’accusa. «Li ha volutamente ignorati. Perché?».
Mellis distese le dita sulle cosce, parve concentrarsi intensamente. Con una voce calma, ben modulata, disse: «Perché noi non possiamo aiutare voi o nessun altro nel modo più assoluto, signor Ewing. Mi crede?».
«Non capisco».
«Noi non possediamo armi, forze militari, capacità o desiderio di combattere. Non possediamo astronavi».
Ewing strabuzzò gli occhi. Quando Firnik gli aveva detto che la Terra era priva di ogni difesa, gli era riuscito impossibile crederlo; ma sentirlo raccontare dalle labbra del governatore generale era addirittura inaudito!
«Impossibile che la Terra non possa fornirci nessun aiuto. Su Corwin siamo appena in diciotto milioni. Naturalmente abbiamo un esercito, ma non è all’altezza della situazione. La nostra riserva di armi nucleari è minima…».
«La nostra non esiste nemmeno», lo interruppe Mellis. «I materiali fissili che possediamo servono solo per alimentare le pile atomiche da cui dipendono le nostre città».
Ewing si fissò le punte delle dita. Scosso dai brividi, ricordò l’anno trascorso sepolto nella schiuma nutritiva, i cinquanta anni luce che aveva superato. Per niente.
Mellis ebbe un sorriso triste. «C’è un altro aspetto della sua richiesta da considerare. Lei ha detto che i Klodni attaccheranno il suo pianeta entro un decennio, e il nostro entro un secolo».
Ewing annuì.
«In questo caso», proseguì Mellis, «dal nostro punto di vista la questione diventa accademica. Prima che sia trascorso un decennio, la Terra sarà un protettorato di Sirio IV. La nostra posizione non ci permetterà più di aiutare nessuno».
Il corwinita fissò il viso malinconico del governatore generale della Terra. Negli occhi di Mellis, Ewing lesse una profonda consapevolezza, la consapevolezza di chi si trova a reggere un pianeta ormai ai suoi ultimi giorni di splendore.
Ewing chiese: «Ne è proprio sicuro?».
«Sicuro al cento per cento. I siriani continuano a infiltrarsi sulla Terra. Ormai il nostro mondo ne ospita più di un milione. Uno di questi giorni mi comunicheranno che io non sono più nemmeno il governatore della Terra».
«E non potete impedire ai siriani di invadervi?».
Mellis scosse la testa. «Non abbiamo nessun potere. La sequenza di eventi che ci aspetta è inevitabile. Quindi, i suoi Klodni ci preoccupano davvero poco, amico corwinita. Quando arriveranno, io sarò morto da molti anni, e con me le glorie della Terra».
«E delle colonie non ve ne importa niente?», ribatté aspramente Ewing. «Ve ne resterete qui senza fare nulla mentre gli alieni ci distruggeranno? Il nome della Terra significa ancora molto per le colonie. Se lei dichiarasse lo stato di guerra generale, tutti i pianeti invierebbero le loro forze per difenderci. Ora come ora, le colonie sono troppo divise, pensano solo ai propri interessi, non si preoccupano del bene comune. Non capiscono che unendosi potrebbero distruggere i Klodni, mentre divise sarebbero inevitabilmente sconfitte. Una dichiarazione ufficiale della Terra…».
«… Sarebbe inutile, stupida, superflua, nulla, vacua e insignificante», disse Mellis. «Mi creda, signor Ewing. Vi aspetta un destino infausto. Ufficialmente, io vi compiango. Ma sono solo un vecchio che sta per essere deposto dal trono, e non posso aiutarvi».
Ewing serrò istintivamente le mascelle. Non disse nulla. Era chiaro che non c’era nulla da dire.
Si alzò. «A questo punto, immagino che l’incontro sia terminato. Mi spiace averle rubato del tempo, governatore generale Mellis. Se avessi saputo come stanno le cose sulla Terra, forse non avrei fatto il mio viaggio nello spazio» .
«Speravo…», cominciò a dire Mellis. S’interruppe, poi scosse la testa. «No, è una follia».
«Signore?».
Il vecchio sorrise debolmente. «È tutto il giorno che un’idea stupida mi frulla in mente, da che ho saputo che un ambasciatore di Corwin era giunto a Valloin. Ma ora capisco che si tratta di un’idea assurda».
«Posso chiederle…?».
Mellis scrollò le spalle. «Pensavo che lei potesse essere giunto qui in nome dell’indipendenza terrestre, per offrirci l’aiuto del suo mondo contro le manovre dei siriani. Ma siete voi ad avere bisogno d’aiuto. È stata una pazzia credere di poter trovare difensori tra le stelle».
«Mi spiace», disse dolcemente Ewing.
«E di che? Perché non potete aiutarci? Se è così, dobbiamo scusarci a vicenda». Mellis scosse di nuovo la testa. «Il nostro pianeta ha avuto una storia troppo luminosa. Ora le ombre si fanno più spesse. Gli alieni vengono da Andromeda per distruggere, e i figli della Terra si rivoltano contro la madre».
Il vecchio scrutò Ewing fra le tenebre sempre più fitte della stanza. «Ma queste mie tristezze l’annoieranno, signor Ewing. Sarà meglio che lei se ne vada. Che lasci la Terra, intendo. Torni a difendere il suo mondo dai nemici. Per noi non esiste più possibilità d’aiuto».
Premette un pulsante sulla parete. La porta si spalancò, e un robot apparve nel più assoluto silenzio. Il governatore generale si voltò verso l’automa.
«Accompagna il signor Ewing alla macchina, e vedi che il viaggio di ritorno al suo hotel a Valloin sia il più comodo possibile».
Ewing, all’improvviso, provò una compassione enorme per l’uomo che aveva la disgrazia di governare la Terra nel suo periodo più oscuro. Strinse i pugni, ma non disse niente. Ormai Corwin gli pareva enormemente lontana. Sua moglie, suo figlio, la minaccia dell’orda aliena, contavano ben poco rispetto alla Terra e al destino che l’attendeva, meno violento ma molto più doloroso.
In silenzio si congedò dal vecchio, seguì il robot lungo il corridoio, fino all’ascensore. Trasportato da un fascio di radiazioni magnetiche, scese a livello del suolo.
La macchina lo attendeva. I turboreattori si accesero, iniziò il viaggio di ritorno.
Tornando all’hotel, si sbizzarrì a redigere mentalmente il testo del messaggio che il mattino dopo avrebbe inviato a Corwin per generatore subeterico. Nel pomeriggio avrebbe lasciato per sempre la Terra. Poi un altro anno di viaggio, l’arrivo a Corwin, l’annuncio definitivo, tragico, che contro l’orda dei Klodni non esisteva il minimo aiuto.