10 John Dyson

Era tutta la mattina che andavo avanti e indietro per la stanza e guardavo dalla finestra, dicendomi che da un momento all’altro avrei visto Laura attraversare la stanza per venire da me, senza fiato per la fretta, ponendo fine così al mio tormento, e assicu­randomi che la sua sparizione non aveva nulla di anormale e che non occorreva che avvertissi lo sceriffo.

Su questo punto non avevo rimorsi. Se la sua mancata ricom­parsa alla biblioteca dopo l’intervallo di mezzogiorno, ieri matti­na, non aveva allarmato la sua sostituta, che non si era presa la briga di cercarla fino al tardo pomeriggio, altre persone la pensa­vano diversamente.

Una di queste era lo sceriffo. Anderson conosceva molto bene Laura e quando gli telefonai mi disse subito che la credeva dispo­sta a piantare in asso i suoi doveri di bibliotecaria come avrebbe creduto me disposto a piantare la classe affidandola a Bobby Jackson, per andarmene a pescare. Naturalmente non nominò Bobby Jackson. Ma quando uno è fuori di sé per la tensione e le preoccupazioni, le più impensate assurdità gli balenano nella mente e se si è ancora abbastanza calmi e presenti si cerca di ban­dirle per evitare che da esse ne derivino altre, più terribili e non meno assurde.

Era possibile che Laura avesse fatto le valigie e fosse partita senza dire a nessuno dove andava? No, era assurdo. Mi avrebbe sicuramente informato… Non era da lei prendere alla leggera quello che c’era fra noi al punto da infliggermi una ferita così cru­dele. La possibilità che fosse stata travolta da una macchina e ri­coverata all’ospedale di Lakeview era anch’essa da scartare, se non altro perché non era stata ricoverata, né si erano verificati incidenti automobilistici a Lakeview, ieri.

E se invece… Il pensiero era così spaventoso, che per un mo­mento non mi resi conto quanto sarebbe stato difficile, per un pi­rata della strada, fermare la macchina, scendere, raccogliere la sua vittima e, invece di scappare, portarla con sé, senza lasciare alcuna traccia dell’incidente.

No… c’era un’altra spiegazione del come e del perché era scomparsa. Che il fatto si fosse verificato fra le undici e mezzo­giorno, quando le strade sono piene di gente, rendeva la cosa ancor più inspiegabile. Nel corso degli ultimi dieci anni si erano ve­rificati a Lakeview solo quattro episodi di violenza, ma mi rifiuta­vo di pensare a quel genere di violenza, e tutti erano avvenuti di notte.

Se non fosse stato sabato i problemi scolastici mi avrebbero di­stratto fino a quando non fossero arrivate notizie. Comunque non sarei stato costretto ad andare in su e giù in quel modo, di­sperato e senza sapere cosa fare. Non potevo aiutare Laura in nessuna maniera e dovunque lei fosse — oh, Dio, dovunque fosse! — e certamente non ero utile a me stesso.

D’un tratto tornai a pensare ancora a Bobby Jackson. Perché i miei pensieri tornavano a lui con tanta insistenza, in quel mo­mento in cui avevo ben altre preoccupazioni? Forse perché il cielo era cupo e verso est si addensavano nuvole temporalesche? Fissavo le nuvole e mentre le guardavo mi sembravano sempre più scure.

Mi tornò alla mente il fulmine che era penetrato in classe zig­zagando e si era poi suddiviso in modo così terrificante che io ero rimasto paralizzato a fissare Bobby mentre il fulmine restava so­speso sulla sua testa.

Che cosa aveva cominciato a dirmi Bobby prima del fulmine, quando il rombo del tuono mi aveva quasi assordato? “Non cre­do che tutto si fermerà”.

Be’… tutto si era fermato per un momento, compreso il battito del mio cuore. Anche per Laura si era fermato tutto allo stesso modo? Ed era possibile che il fulmine che era rimasto sulla testa di Bobby senza colpirlo…

Stavo allontanandomi dalla finestra, pensando che forse una sigaretta poteva calmarmi un po’ — è strano come talvolta basti accendere una sigaretta per evitare di fare un ultimo decisivo passo nel buio, di cui in seguito non si smetterebbe mai di pentir­si — quando suonò il telefono.

Fece in tempo a squillare tre volte prima che raggiungessi il ta­volo su cui era sistemato l’apparecchio ed ero in preda a una tale paura di non arrivare a rispondere in tempo, che per poco la pau­ra non si realizzò.

Nel sollevare il ricevitore quasi rovesciai telefono e tavolo, e mi tremavano ancora le mani quando sentii la voce di Bobby chiedere dall’altro capo del filo: — È lei, signor Dyson?

Perché proprio Bobby, e non lo sceriffo, che mi telefonava per dirmi che Laura era stata ritrovata e voleva parlarmi, perché vo­leva dirmi subito, davanti allo sceriffo, che non solo era sana e salva, ma che mi amava tanto? Se me lo avesse detto, io avrei ri­sposto: “Non saprai mai quanto ti amo io” e tutte le nuvole tem­poralesche sarebbero scomparse… almeno per me.

Invece era solo Bobby. Cosa poteva dirmi che fosse capace di stornare le mie angosce?

— Signor Dysoh, mi ascolta? — disse in tono urgente, come se il “clic” che aveva sentito quando io avevo sollevato il ricevitore lo autorizzasse a ritenere strano il mio silenzio.

— Sì… ti ascolto, Bobby — risposi. — Un momento che il filo si è impigliato… Scusami se non sono riuscito a rispondere subi­to… ma sono molto preoccupato.

— A causa della signorina Hartley…

— Sì — interruppi. — Speravo che fosse lo sceriffo a chia­marmi.

— Lo sceriffo non sa dov’è la signorina, signor Dyson — disse Bobby. — Io invece lo so.

Dire che rimasi stupito è poco. Mi sembrava di ascoltare la vo­ce di un rapitore che si mette in contatto con un padre affranto per stabilire il riscatto. Non che reputassi Bobby un rapitore. Pe­rò confesso di vergognarmi dei pensieri che mi passarono per la testa al primo momento.

Come poteva sapere dove si trovava Laura se non era al cor­rente delle circostanze relative alla sua scomparsa? E se ne era al corrente perché non ne aveva parlato allo sceriffo? Doveva es­sersi reso conto di attirare su di sé l’ombra del sospetto tacendo con Anderson e confidandosi solo con me…

Ma se davvero sapeva l’unica cosa che m’interessava in quel momento, mi sarei ben guardato dal rendermelo ostile minac­ciando di portarlo dallo sceriffo. Mi sorpresi a domandarmi come facesse a sapere che tra me e Laura…

Lasciai che il silenzio si prolungasse ancora, ma stavolta ero si­curo che non l’avrebbe trovato strano, perché sapeva certamente quanto mi avessero colpito le sue parole.

— Bobby — dissi.

— Sì, signor Dyson?

— Non riuscirei mai a perdonarti se tu non fossi assolutamente sicuro di quanto dici. Perciò preferisco crederti.

— Io so dov’è, signor Dyson… e vado a cercare di liberarla.

Cercare di liberarla! Rimasi immobile per un momento, strin­gendo così forte il ricevitore che sentii pulsare il sangue nelle di­ta. — Stai dicendo che qualcuno la tiene prigioniera? Un uomo… o parecchi uomini? Devi sapere anche questo. Dimmi che cos’è successo, Bobby. Non importa quanto sia grave, Anderson saprà cosa fare. Ha già avuto a che fare con dei rapitori.

— Non è stata rapita, signor Dyson. Cioè, quando si parla di rapimento si pensa a una cosa molto diversa.

— Se è prigioniera contro la sua volontà è la stessa cosa. Che stai cercando di fare, Bobby? Vuoi tormentarmi oltre ogni limi­te? Non capisco perché tu debba essere evasivo dal momento che non hai motivo per nascondermi alcunché.

— Le dirò tutto, signor Dyson, se ci troviamo fra circa mezz’o­ra alla Gower Cavern. Ma se porterà lo sceriffo, non potrò libe­rarla.

— Capisco. Poni delle dure condizioni, Bobby.

— È necessario, signor Dyson.

— D’accordo, Bobby. Verrò.

— Solo?

— Non mi lasci possibilità di scelta.

Il che, ovviamente, non era vero, e quando deposi il ricevitore ero deciso a chiamare subito lo sceriffo.

Non so, invece, perché poi cambiai idea. Forse non giunsi a una decisione in merito, perché posso dire soltanto che ogni volta che allungavo la mano verso il telefono qualcosa mi impediva di sollevare il ricevitore. Sembrava che una specie di paralisi mi ar­restasse la mano a pochi centimetri dal telefono, ma più che una paralisi era una completa mancanza di volontà.

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