13 John Dyson

Cominciammo a correre insieme. Era sciocco, certamente, ma Laura sembrava decisa a non lasciare la mia mano anche se non poteva ignorare che due persone che corrono affiancate possono progredire più velocemente se si sforzano di dimenticare che non sono sole.

In un certo senso era dannoso, ma in un altro la sensazione di essere vicini ci dava forza e non avrei mai pensato di svincolare la mano, anche se mi preoccupavo soprattutto per la sua salvezza.

Se non fosse stato per Bobby, che aveva aspettato per assicu­rarsi che non ci fosse pericolo che qualcuno restasse indietro, for­se non saremmo mai usciti alla luce. Bobby aveva detto a Laura che doveva liberare un altro prigioniero, ma doveva avere sco­perto che ce n’erano quattro, invece, perché insieme a noi usciro­no dalla caverna due giovani e una donna nella quale riconobbi subito la cameriera della tavola calda di Wilmot Street.

Bobby era ancora nella caverna, ma aveva inviato alla mia mente un messaggio d’avvertimento. Mi fece lo stesso effetto che sentire la sua voce infantile, e anche gli altri la sentirono, perché ci mettemmo a correre tutti verso una striscia di bosco che corre­va parallela alla caverna lungo il lato opposto di una spianata er­bosa.

L’avvertimento di Bobby era stato così urgente che io temetti che fosse rimasto dove l’avevamo lasciato, fra un nucleo pulsante di oscurità che quasi oscurava il sole in una caverna aperta verso il cielo, e il mondo esterno.

“Il loro sonno è diverso dal nostro” mi comunicava telepatica­mente Bobby. “Quando hanno esaurito le loro energie si addor­mentano, di un sonno senza sogni, completamente diverso dal sonno umano. Questa sonnolenza che si autoimpongono li co­stringe all’immobilità, ma il risveglio è vicino.

“Uscite dalla caverna e correte. Mettete tutta la distanza possi­bile tra voi e le loro menti. Io erigerò una barriera che impedirà loro di raggiungervi e distruggervi finché il loro risveglio non sia completo. Ma quando questo avverrà, quando saranno comple­tamente desti, il pericolo sarà maggiore, e io dovrò oppormi a es­si con tutte le mie energie mentali. Allora correrò un gravissimo pericolo, perché la forza mentale che essi possono esplicare potrà essere anche troppo potente perché io riesca a sopraffarla. Ma non credo che questo avverrà.

“Allontanatevi più che potete e se la terra comincerà a vibrare gettatevi bocconi e non guardate in direzione della caverna. La luce che sprigionerà potrebbe anche accecarvi.”

Non avevamo ancora raggiunto il limitare del bosco quando percepimmo la prima vibrazione. Era talmente lieve che non ci parve allarmante e poiché Laura non esitò né si fermò, io conti­nuai a correre pensando che se, con un lieve rischio, fossimo riu­sciti a superare quei pochi metri che ci separavano dal bosco, sa­rebbe stato folle non tentare. La seconda scossa fu violentissima, e ci rendemmo conto che dovevamo seguire gli avvertimenti di Bobby.

Ci fermammo, gettandoci a terra, sempre stretti per mano, senza neppure aver il tempo di scambiarci un’occhiata di sbigotti­to stupore. Per un momento potei solo udire il roco ansimare di Laura e lo scricchiolio delle mie scarpe contro il terreno mentre mi stendevo. Poi sopraggiunse un’altra scossa, così violenta da farmi incassare la testa fra le spalle e dovetti lasciare la mano di Laura. Prima di riafferrarla si udì un improvviso forte crepitio, seguito da tre potenti esplosioni.

Il primo scoppio fu talmente assordante che se il secondo e il terzo non fossero stati ancora più forti sono certo che non li avrei uditi.

Mi rimbombavano ancora le orecchie quando mi rigirai puntel­landomi sui gomiti. Laura si era messa a sedere e scuoteva la testa, come se anche lei fosse mezzo assordata dalle esplosioni. Fis­sava il cielo con espressione sbalordita e sembrava che non si ren­desse conto della mia presenza accanto a lei.

Striature di fuoco adornavano il cielo e il bagliore era ancora talmente intenso che fui costretto ad abbassare le palpebre e a te­nere gli occhi chiusi per un momento.

Quando li riaprii, la vidi. Lucente, argentea, immensa, saliva dritta in cielo, sopra la Gower Cavern. Salendo roteava lenta­mente e tanto grande era la sua bellezza, tanto miracolosa la sua simmetria, che un nodo mi serrò la gola.

Come in risposta a quello che non potevo fare a meno di pen­sare, una serie di parole si formò nella mia mente. “Sì, signor Dyson. È davvero bellissima. Sono esseri freddi, strani, comple­tamente diversi da noi, e non amano la razza umana. Ma sono anche splendidi. Non credo che torneranno. Ora sanno che non sono unici per la Terra, che sta sorgendo un nuovo tipo d’uomo il cui numero andrà crescendo col passare degli anni e che la Terra non potrà essere conquistata così facilmente come avevano pen­sato”.


Fu Laura a vederlo per prima. Esteriormente, Bobby Jackson non era affatto cambiato. Laura mi prese per il braccio e lo indi­cò. Anch’io lo vidi, e non guardai più verso il cielo.

Bobby Jackson era uscito dalla caverna e correva verso di noi attraverso la spianata con la gioia di un adolescente quattordi­cenne. Col volto arrossato e felice e con i capelli scompigliati dal vento.


FINE
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