Uscì dal suo ufficio, guardandosi attorno con aria furtiva. L’ufficio esterno era pieno e immerso in un marasma di lavoro; sei o sette segretarie rispondevano a chiamate urgenti, aprivano le lettere, coordinavano le diverse attività. L’operatore del centralino era curvo sul suo apparecchio, cercando di domare un esercito di luci multicolori come se fossero state tigri feroci. Walton passò tra le segretarie in fretta, e rapidamente si trovò nel corridoio.
Aveva un nodo di paura che gli stringeva lo stomaco, quando si voltò verso il condotto dell’ascensore. Sei settimane di pressione, sei settimane di tensione da quando Poppy era stato organizzato e il vecchio FitzMaugham l’aveva scelto come suo delfino… e adesso, alla fine, una ribellione. Risparmiare un bambino appena nato era una piccola ribellione, certo, ma lui sapeva di colpire alla base Poppy in questo modo con la stessa efficacia con cui avrebbe colpito l’organizzazione facendo abolire la Legge del Controllo.
Bene, una sola eccezione, promise solennemente tra sé.
Risparmierò il figlio di Prior, e poi mi manterrò scrupolosamente nell’ambito della legge.
Schiacciò il pulsante, e il veicolo cominciò a salire dal condotto. La clinica si trovava al ventesimo piano.
— Roy.
Nell’udire la voce calma alle sue spalle, Walton sobbalzò, preso di sorpresa. Cercò di calmarsi, si costrinse a voltarsi lentantente. Dietro di lui c’era il direttore.
— Buongiorno, signor FitzMaugham.
Il vecchio gli sorrideva serenamente, e il suo viso ancora fresco era amichevole, e i suoi capelli bianchi parevano brillare.
— Mi sembri preoccupato. C’è qualcosa che non va? Walton scosse il capo, troppo in fretta.
— Sono soltanto un po’ stanco, signore. C’è stato tanto lavoro, in questi ultimi tempi.
E, mentre pronunciava quelle parole, si rese conto di quanto fossero stupide. Se qualcuno, nell’ambito di Poppy, lavorava più di lui, quello era il vecchio direttore. FitzMaugham aveva combattuto per l’approvazione del programma per cinquant’anni e più, e adesso, a ottant’anni, si era messo a lavorare per sedici ore al giorno, dedicandosi al compito di salvare l’umanità da se stessa. Il direttore sorrise.
— Non imparerai mai a misurare le tue energie, Roy. Quando avrai metà dei miei anni, sarai stanco e finito. Sono lieto che tu abbia cominciato ad applicare la mia abitudine di prendermi una pausa al mattino, per andare a bere un caffè, sai? Ne sono davvero lieto. Ti dispiace se vengo con te?
— Io… non mi sto prendendo una pausa, signore. Ho del lavoro da fare, giù.
— Oh? Non puoi occupartene dal tuo ufficio?
— No, signor FitzMaugham. — Walton si sentì come se lo avessero già processato, condannato e giustiziato. — Richiede la mia presenza fisica, signore.
— Capisco. — Gli occhi caldi e profondi del vecchio lo fissarono. — Dovresti rallentare un po’ il ritmo, sai? Non ce la farai, altrimenti.
— Sì, signore. Non appena il ritmo del lavoro rallenterà un poco.
FitzMaugham ridacchiò.
— Tra un secolo o due, vuoi dire. Temo che non imparerai mai l’arte di rilassarti, ragazzo mio. Un vero peccato.
L’ascensore arrivò. Walton si fece da parte per lasciare il passo al direttore, e quando il vecchio fu a bordo lo seguì. FitzMaugham schiacciò il bottone del “quattordici”; c’era un bar, a quel piano. Esitante, Walton schiacciò il “venti”, coprendo il quadro indicatore con il braccio, in modo che il vecchio non potesse vedere la destinazione che lui aveva scelto. Mentre l’ascensore cominciava a scendere, FitzMaugham disse: — Ti è venuto a trovare il signor Prior, stamattina?
— Sì — disse Walton.
— Si tratta del poeta, vero? Quello del quale parlavi con tanta ammirazione?
— È esatto, signore — disse Walton rigidamente, sentendosi tradito.
— Prima era venuto a trovare me, ma io l’ho indirizzato nel tuo ufficio. Che cosa voleva?
Walton esitò.
— Lui… lui voleva che risparmiassero suo figlio dal Sonno Felice. Naturalmente, sono stato costretto a mandarlo via.
— Naturalmente — annuì FitzMaugham, con solennità. — Se facessimo anche una sola eccezione, anche una sola volta, l’intera impalcatura sulla quale poggia il nostro lavoro crollerebbe.
— Naturalmente, signore.
L’ascensore si fermò e la porta si aprì, rivelando un quadro indicatore lucido e pulito, sul quale apparivano delle lettere grandi e chiare:
Walton aveva dimenticato lo stramaledetto quadro indicatore. Cominciò a pentirsi di essere sceso con il direttore. Adesso gli sembrava che i suoi piani fossero evidenti, che gli fossero scritti in viso.
Gli occhi del vecchio brillavano, divertiti: — Immagino che tu scenda qui — disse. — Spero che tu riesca a metterti al passo con il tuo lavoro presto, Roy. Dovresti realmente trascorrere qualche ora al giorno cercando di rilassarti. Lavoreresti meglio, e saresti più sicuro, te lo dico io.
— Tenterò, signore.
Walton uscì dall’ascensore e ricambiò il sorriso che FitzMaugham gli rivolse mentre la porta si chiudeva. Ma non appena fu nuovamente da solo, la sua mente cominciò a venire attraversata da un’orda di amari pensieri.
“Che razza di criminale in gamba sei! Hai già rivelato i tuoi piani, e tutto in pochi secondi! E accidenti a quel bel sorriso paterno. FitzMaugham sa! Deve sapere!”
Walton esitò, poi, bruscamente, prese una decisione definitiva. Respirò profondamente e camminò con passo deciso verso la grande sala nella quale venivano conservati gli archivi del programma di Eutanasia.
La sala era grande, grande come lo potevano essere le stanze a quei tempi… nove metri per sei, con strati e strati di banchi di memoria Donnerson accumulati su una parete, e un intero settore occupato da registrazioni microfilmate sull’altra parete. In sei settimane di vita Poppy aveva raccolto un’impressionante collezione di dati.
Mentre stava lì fermo, il computer continuava a brontolare e a chiacchierare tra sé, facendo lampeggiare brevemente le sue molte luci. Nuovi fatti si riversavano nei banchi di memoria. Probabilmente quel processo continuava di giorno e di notte senza un attimo d’interruzione. I cervelli elettronici, beati loro, non avevano alcun bisogno di dormire come gli esseri umani.
— Posso fare qualcosa… oh, è lei, signor Walton — disse un tecnico in camice bianco. Poppy dava lavoro a un piccolo esercito di tecnici, ciascuno dei quali pareva senza volto e senza personalità, ma che erano tutti pronti a rendersi utili, senza eccezioni di sorta. — Posso fare qualcosa per lei, signor Walton?
— Sto semplicemente facendo un normale controllo. Posso usare la macchina?
— Senz’altro, signore. Faccia come vuole.
Walton sorrise e si fece avanti. Il tecnico sparì, letteralmente.
“Senza dubbio devo avere un’aura di santità”, pensò. All’interno dell’edificio, naturalmente. Là dentro lui doveva irradiare luce propria, in virtù del fatto che lui era il protetto del direttore FitzMaugham, e il secondo uomo in ordine d’importanza del Centro. Fuori, nella fredda realtà di una metropoli troppo affollata, lui teneva per sé la sua identità e il grado che aveva all’interno di Poppy; era anonimo, fuori, e quell’anominato gli piaceva.
Corrugando la fronte, cercò di ricordare il nome del figlio di Prior. Philip… era quello? Programmò la richiesta della scheda di Philip Prior, e la inserì nel cervello elettronico.
Seguì un momento di pausa, mentre i milioni di minuscoli circuiti elettronici venivano attraversati da velocissime pulsazioni di ricerca, e i banchi Donnerson venivano perlustrati alla ricerca dell’informazione desiderata. Poi, un breve rumore gracchiante e una tessera giallognola uscì dalla fessura:
“3216847AB1
PR1OR, Philip Hugh. Nato 31 Maggio 2232, New York General Hospital. New York. Primogenito di Prior, Lyle Martin e di Prior, Ava Leonard. Peso alla nascita 3 kg. e 5 hg.”
Seguiva un’elaborata descrizione del bambino, nei più minuti particolari, e infine c’era l’identificazione del gruppo sanguigno e del tipo genetico, in codice. Walton lascio perdere, impaziente, tutti questi particolari, per arrivare alla condanna impressa in lettere maiuscole verdi, precise e impersonali, in fondo alla tessera:
“ESAMINATO ALLA CLINICA EUT. DI N.Y. 10 GIUGNO 2332. SI RACCOMANDA EUTANASIA”
Diede un’occhiata all’orologio; erano le dieci e ventisei. Il bambino si trovava ancora, probabilmente, in un punto preciso dei laboratori della clinica, in attesa che l’ascia simbolica calasse per sempre sul suo capo innocente.
Walton aveva predisposto personalmente il programma; la camera a gas donava il Sonno Felice ogni giorno alle undici e quindici. Aveva circa mezz’ora per salvare la vita a Philip Prior.
Si voltò, cautamente, cercando di vedere se qualcuno lo stava osservando; nessuno in vista. Si infilò la tessera del bambino nella tasca della giacca.
Fatto questo, programmò la richiesta di un decodificatore per i simboli genetici usati nella clinica. I simboli cominciarono ad arrivare, e Walton rapidamente li usò per tradurre le parole incomprensibili che gremivano la tessera di Philip Prior. Finalmente scoprì il simbolo che cercava: “3f2 propenso alla tubercolosi”.
Consultò il foglio delle istruzioni, che aveva con sé, e programmò un messaggio per la macchina: “Revisione della tessera numero 3216847AB1 in arrivo. Prego compiere modifica in tutti i circuiti”.
Proseguì rielaborando la tessera del bambino, omettendo il simbolo fatale “3f2” e l’annotazione che raccomandava l’Eutanasia dalla nuova versione. La macchina fece “bip”, e questo significava che l’ordine era stato ricevuto ed eseguito. Walton sorrise. Fino a quel momento, era andato benissimo.
Poi chiese alla macchina di ritrasmettergli l’intera documentazione che riguardava il bambino. Dopo la solita pausa, una tessera col numero 3216847AB1 uscì dalla fessura. Walton la lesse.
Le cancellature erano state fatte. Per quello che riguardava la macchina, Philip Prior era un bambino normale e sanissimo.
Diede una nuova occhiata all’orologio. Le dieci e trentasette. Ancora ventitré minuti prima che il gruppo di condannati del mattino venisse sottoposto al Sonno Felice.
Adesso veniva il momento dell’autentica prova: sarebbe riuscito a strappare il bambino dalle mani dei medici senza attirare troppa attenzione su di sé, nel corso dell’esecuzione del piano?
Cinque dottori stavano lavorando quando Walton entrò nella sezione principale della clinica. Dovevano esserci almeno cento bambini laggiù, ciascuno in un suo piccolo recinto, e i dottori andavano da uno all’altro, mentre genitori ansiosi osservavano dall’alto, attraverso grandi schermi.
La Legge del Controllo prescriveva che ciascun bambino fosse presentato alla clinica locale entro due settimane dalla nascita, per subire un esame e ricevere un certificato. Su diecimila bambini, in media a uno veniva negato un certificato… e il diritto di vivere.
— Salve, signor Walton. Che cosa la porta quaggiù?
Walton sorrise gentilmente. — Semplice e normale controllo di routine, dottore. Cerco di mantenermi in contatto con tutte le nostre sezioni, sa, anche se è un lavoro duro.
— Poco fa anche il signor FitzMaugham è venuto quaggiù a dare un’occhiata. Oggi stiamo ricevendo una vera serie di ispezioni, signor Walton!
— Uhm. Sì. — Questo non piacque a Walton, ma non poteva farci niente. Avrebbe dovuto confidare nella fiducia cieca che il vecchio nutriva per il suo protetto, per uscire da qualsiasi pasticcio fosse scaturito dalla sua iniziativa, e questo non era molto.
— Ha visto mio fratello? — chiese.
— Fred? Lavora nella sala sette, prepara delle analisi. Vuole che glielo vada a chiamare, signor Walton? Posso fare in un momento.
— No… no, non lo disturbi, grazie. Lo andrò a cercare io più tardi. — Interiormente, Walton si sentì sollevato. Fred Walton, suo fratello minore, era un medico che lavorava per Poppy. Non c’era molto affetto tra i due fratelli, e Roy non voleva che Fred sapesse della sua presenza laggiù, e meno che meno voleva averlo tra i piedi in un momento del genere.
Girando con aria distratta per la clinica, diede un’occhiata ad alcuni bambini piccoli, grassocci e spaventati, e disse: — Avete trovato molti sub, oggi?
— Sette, fino a questo momento. Sono già pronti per la seduta delle undici. Tre tubercolotici, due ciechi, un caso di sifilide ereditaria.
— Sono soltanto sei — disse Walton.
— Oh, e uno spastico — disse il dottore. — Il nostro più grande raccolto, finora. Sette in una mattinata sola.
— Qualche guaio con i genitori?
— Che ne dice, lei? — domandò il dottore. — Ma alcuni mi sono sembrati comprensivi. Però il padre di uno dei tre tubercolotici per poco non ha fatto saltare il tetto. Poppy e tutto il resto.
— Non ricorda il nome? — domandò Walton, con un brivido improvviso, ma fingendo la massima calma.
Silenzio per un istante.
— No. Accidenti, non ci riesco. Se vuole posso cercare di trovarlo.
— Non si preoccupi — disse Walton frettolosamente.
Si mosse, e camminò lungo il corridoio tortuoso che conduceva alla camera delle esecuzioni. Falbrough, l’addetto alle esecuzioni, stava studiando un elenco di nomi, ed era seduto dietro la sua scrivania, quando Walton apparve.
Falbrough non sembrava il tipo d’uomo che amasse il proprio lavoro. Era piccolo e grassoccio, aveva un testone calvo a cupola, e i suoi occhi celesti brillavano del riflesso delle lenti a contatto.
— ’Giorno, signor Walton — disse.
— Buongiorno, dottor Falbrough. Tra poco sarà l’ora della sua operazione, vero?
— Le undici in punto, come sempre.
— Bene. C’è un nuovo regolamento in vigore da questo momento in poi — disse Walton. — Per mantenere la pubblica opinione dalla nostra parte.
— Signore?
— D’ora in poi, e fino a nuovo ordine, lei dovrà controllare la tessera di ogni bambino che verrà sottoposto all’operazione nell’archivio centrale, per essere completamente certo che non si verifichino errori. Capito? Ogni bambino.
— Errori? Ma come…
— Non si preoccupi di questo, Falbrough. Ieri c’è stato un errore veramente tragico in uno dei centri europei, un errore quasi impossibile, e che pure è accaduto. Potremmo trovarci tutti appesi a una corda, se la notizia si diffondesse. Perciò tenga la bocca chiusa, e faccia come le è stato detto. — “Ma fino a qual punto posso continuare a raccontare delle panzane così grosse? Ho scoperto una nuova arte” pensò Walton, per metà disgustato e per metà sbalordito, non avendo mai creduto di essere un bugiardo così spudorato.
Falbrough assunse immediatamente un’espressione grave e compunta: — Capisco, signore. Naturalmente. D’ora in avanti, ci sarà un doppio controllo. Non ci saranno errori, glielo assicuro.
— Bene. Cominci con il turno delle undici.
Walton non avrebbe sopportato di rimanere ancora più a lungo nella clinica. Gli pareva che la tensione si fosse fatta palpabile, insopportabile. Uscì da una porta secondaria, e chiamò un ascensore.
Qualche minuto più tardi fu di nuovo nel suo ufficio, dietro il rifugio sicuro offerto dalla barricata torreggiante di lavoro arretrato da svolgere. Il cuore gli batteva molto forte; aveva la gola secca, e le mani gli tremavano un poco. Ricordava ciò che gli aveva detto FitzMaugham: “Se facciamo anche una sola eccezione, l’intera struttura crollerà”.
Be’ allora la struttura aveva cominciato a crollare. E Walton aveva pochi dubbi sul fatto che FitzMaugham fosse già al corrente, o venisse presto al corrente, di quello che lui aveva fatto. Avrebbe dovuto coprire le eventuali tracce del suo operato. Il cielo sapeva, però, cosa avrebbe dovuto fare.
L’operatore del centralino chiamò e disse: — Il dottor Falbrough di Sonno Felice le vuole parlare, signore.
— Me lo passi.
Lo schermo si illuminò e vi apparve il viso di Falbrough; i suoi lineamenti paciosi apparivano sconvolti.
— Che c’è, dottore?
— È stata una fortuna che lei abbia dato quell’ordine poco fa, signore! Non riuscirà mai a indovinare quello che è accaduto.
— Lasciamo perdere gli indovinelli, Falbrough. Mi dica tutto…
— Io… be’, signore, ho eseguito il controllo sui sette bambini che mi hanno mandato questa mattina. E indovini… cioè, volevo dire… be’, uno di loro non avrebbe dovuto essere mandato da me!
— No!
— È la pura verità, signore. Un bambino perfetto, davvero. Ho qui la sua tessera. Il nome è Philip Prior, e le sue caratteristiche genetiche sono in perfetto ordine. In perfetto ordine, capisce?
— Ci sono delle raccomandazioni per l’eutanasia, sulla tessera? — domandò Walton.
— No, signore.
Walton cominciò a mordicchiare una matita logora e consunta, allora, fingendo di provare una grande ansia.
— Falbrough, dobbiamo tenere questa faccenda sotto silenzio. Non deve trapelare neppure una parola. Qualcuno ha sbagliato nel reparto esami, e se si sparge la voce di un errore, anche di uno solo, Poppy sarà invaso da una folla furibonda nel giro di pochi minuti.
— Sì, signore. — Falbrough aveva un’aria terribilmente grave e severa. — Che cosa devo fare, signore?
— Non dica una sola parola su quanto è accaduto a “nessuno”, nemmeno agli uomini del reparto esami. Prepari un certificato per il bambino, cerchi i genitori, presenti le nostre scuse e glielo restituisca. E si assicuri che, d’ora in poi, i controlli siano sempre applicati con il massimo rigore.
— Può contarci, signore. È tutto?
— È tutto — disse seccatamente Walton, e tolse la comunicazione. Sospirò profondamente, e guardò la parete, senza vederla.
Il piccolo Prior era salvo. E adesso lui, davanti agli occhi della legge… la Legge del Controllo… era un criminale. Lui, Roy Walton. Era un criminale come l’uomo che aveva cercato di nascondere agli investigatori il padre morente, o come i genitori in ansia che tentavano di corrompere un dottore del centro esami.
Si sentiva curiosamente sporco. E, adesso che aveva tradito FitzMaugham e la Causa, adesso che era tutto finito, non riusciva a capire bene perché l’aveva fatto, perché aveva messo a repentaglio il programma Poppy, la sua posizione… e perfino la sua vita… per salvare un bambino potenzialmente tubercoloso.
Be’, la cosa era fatta.
No. Non del tutto. Più tardi, quando le acque si fossero calmate, avrebbe dovuto terminare il lavoro trasferendo tutti gli uomini che si trovavano nella clinica in località molto distanti tra loro, e cancellando totalmente i ricordi del computer sulle attività svolte nel corso della mattinata.
L’operatore chiamò di nuovo.
— C’è suo fratello in linea, signore. Debbo inoltrarle la chiamata?
Le mani di Walton furono scosse da un tremito impercettibile, nell’udire quelle parole.
Comunque, doveva dare una risposta, e quella risposta poteva essere solo una.
— Me lo passi pure — disse.
Era buona regola di Fred — chissà come ci riusciva — di farsi vivo soltanto quando doveva dire o fare qualcosa di spiacevole. E, in genere, si trattava di qualcosa di spiacevole per “lui”.
Nel suo stato d’animo, Walton immaginò, con grande paura, che la chiamata di suo fratello non preludesse a niente di buono. Avrebbe potuto scommetterci, tanto ne era sicuro.