46. IL TIRANNO MALATO

All'ora solita cioè alle 19 meno un quarto nell'area cosidetta fabbricabile fra via Marocco e via Casserdoni, il volpino Leo vide avanzare il mastino Tronk tenuto per la catena dal professore suo padrone.

Il bestione aveva le orecchie dritte come sempre e scrutava il ristrettissimo orizzonte di quel sudicio prato fra le case. Egli era l'imperatore del luogo, il tiranno. Eppure il vecchio volpino pieno di risentimenti subito notò che non era il Tronk di un tempo, neppure quello di un mese prima, neppure il formidabile cagnaccio che aveva visto tre o quattro giorni fa.

Era un niente, il modo forse di appoggiare le zampe, o una specie di appannamento dello sguardo, o una incurvatura della schiena, o l'opacità del pelo o più probabilmente un'ombra – l'ombra grigia che è il segno terribile! – la quale gli colava già dagli occhi fino al bordo cadente delle labbra.

Nessuno certo, neppure il professore, si era accorto di questi segni piccolissimi. Piccolissimi? Il vecchio volpino che oramai ne aveva viste a questo mondo, capì, e ne ebbe un palpito di perfida gioia. " Ah ci sei finalmente " pensò. " Ci sei? " Il mastino non gli faceva più paura.

Si trovavano in uno di quegli spazi vuoti aperti dai bombardamenti aerei della guerra decorsa, verso la periferia, fra stabilimenti, depositi, baracche, magazzini. (Ma a breve distanza si ergevano i superbi palazzi delle grandi società immobiliari, a settanta-ottanta metri sopra il livello dell'operaio del gas intento a sistemare la tubazione in avaria e del violinista stanco in azione fra i tavolini del Caffè Birreria Esperia là sotto i portici, all'angolo.) Demoliti i moncherini superstiti dei muri, a ricordare le case già esistite non restavano qua e là che dei tratti di terreno coperti di piastrelle, il segno della portineria forse, o cucina a pianterreno o forse anche camera da letto di casa popolare (dove un tempo di notte palpitarono speranze e sogni e forse un bambino nacque e nelle mattine d'aprile, nonostante l'ombra tetra del cortile, di là usciva un canto ingenuo e appassionato di giovanetta; e alla sera, sotto una lampadina rossastra, gente si odiò o si volle bene). Per il resto, lo spazio era rimasto sgombro e sùbito, per la commovente bontà della natura così pronta a sorridere se appena le lasciamo un po' di spazio, si era andato ricoprendo di verde, erba, piantine selvatiche, cespugli, a similitudine delle beate valli lontane di cui si favoleggia. Tratti di prato vero, coi loro fiorellini, avevano perfino tentato di formarsi, dove stanchi noi distenderci, le braccia incrociate dietro il capo, a guardare le nuvole che passano, così libere e bianche, sopra le soperchéerie degli uomini.

Ma nulla la città odia quanto il verde, le piante, il respiro degli alberi e dei fiori. Con bestiale accanimento quindi erano stati scaricati là mucchi di calcinacci, immondizie, residuati osceni, fetide putrefazioni organiche, scoli di morchia. E il lembo di campagna ben presto era ingiallito trasformandosi in uno sconvolto letamaio; dove tuttavia le pianticine e le erbe ancora lottavano, sollevando verticalmente gli steli fra la sozzura, in direzicne del sole e della vita.

Il mastino avvistò immediatamente l'altro cane e si fermò a osservarlo. E subito si accorse che qualcosa era cambiato. Il volpino oggi aveva un nuovo modo di fissarlo, non timido, non rispettoso, non timorato come al solito. Con un luccichio beffardo nelle pupille, anzi

Calda sera d'estate. Una floscia caligine giaceva ancora sulla città fra le torri di calcestruzzo e di cristallo abitate dall'uomo, che il sole calante illuminava. Tutto sembrava stanco e svogliato, anche le invereconde automobili americane color ramarro, anche le vetrine degli elettrodomestici, di solito così ottimiste, anche la energetica bionda sorridente dal cartellone pubblicitario del dentifricio Klamm (che, se usato giornalmente, trasformerebbe la nostra esistenza in paradiso, vero Mr. MacIntosh, direttore generale del reparto pubblicità e public relations?).

Il professore immediatamente vide sul dorso del suo cane formarsi una macchia oblunga e scura, segno che la bestia stava alterandosi e rizzava il pelo.

Nello stesso istante, senza essere stato in alcun modo provocato, il volpino si avventò silenzioso alla vendetta e addentò rapidissimo il mastino alla gamba posteriore deatra.

Tronk ebbe uno scarto a motivo del dolore ma per qualche frazione di secondo restò come incerto, solo cercava di scuotere via il nemico, agitando la gamba. Poi, inopinatamente ritrovò l'antico impeto selvaggio. La catena sfuggì di mano al professore.

Dietro al cane Leo, un altro piccolo bastardo, suo com pagno, vagamente simile a un segugio, di solito timido e spaurito, balzò a mordere il mastino. E per una frazione di secondo lo si vide che affondava i denti in un fianco del tetrarca. Quindi ci fu un groviglio mugolante che si dibatteva nella polvere. " Tronk, qua, Tronk! " chiamò smarrito il professore annaspando con la destra sopra quel frenetico subisso; e cercava di afferrare la catena del suo cane. Ma senza la decisione necessaria, spaventato dal furore della lotta.

Fu breve. Si sciolsero da soli. Leo, mugolando, balzò via e pure il suo compagno si distaccò da Tronk, arretrando, con il collo insanguinato. Il mastino sedette, e ansimava con ritmo impressionante, la lingua pendula, sopraffatto dallo sfinimento fisico.

" Tronk, Tronk " supplicò il professore. E cercò di prenderlo per il collare.

Ma, non visto da alcuno, avanzava alle spalle, libero e solo, Panzer, il cane lupo del garage vicino, il fuorilegge, che Tronk aveva fino a quella sera tenuto a bada col suo solo aspetto. Anche lui veniva in certo modo a vendicarsi. Perché mai Tronk lo aveva provocato né gli aveva fatto male, eppure la sua semplice presenza era stata un oltraggio quotidiano, difficile da mandare giù. Troppe volte lo aveva visto passare, dinoccolato, davanti ail'ingresso del garage, e guardare dentro con proterva grinta come per dire: " C'è mica nessuno qui, alle volte, che abbia voglia di attaccare lite? ".

Il professore se ne accorse tardi. " Ehi " " gridò " chiamate questo lupo! Ehi, del garage! " Il pelo nero e irto, il lupo aveva un aspetto orribile. E chissà come, questa volta il mastino al suo confronto sembrava rattrappito.

Tronk fece appena in tempo ad avvistarlo con la coda dell'occhio. Il lupo eseguì un balzo rettilineo, protendendo i denti, e d'un subito il mastino rotolò fra i calcinacci e le scorie con quell'altro attaccato selvaggiamente alla sua nuca.

Sapeva il professore che è quasi impossibiie dividere due cani di quella fatta che si impegnano per la vita e per la morte. E non fidando nelle proprie forze si mise a correre per avvertire e chiedere soccorso.

Nel frattempo anche il volpino e il segugio ripresero coraggio, si lanciarono alla macellazione del tiranno che stava per essere sconfitto.

Ebbe Tronk un'ultima riscossa. E con divincolamento furioso riuscì a prendere coi denti il naso del lupo. Ma subito cedette. L'altro, arretrando a scatti, si liberò e prese a trascinarlo riverso tenendolo sempre per la nuca.

A quei mugolamenti spaventosi gente intanto si affacciava alle finestre. E dalla parte del garage si udivano le grida del professore soverchiato dagli avvenimenti.

Poi, di colpo, il siienzio. Da una parte il mastino che si risollevava con fatica, la lingua tutta fuori, negli occhi l'umiliazione sbalordita dell'imperatore di colpo tratto giù dal trono e calpestato nella melma. Dall'altra, il lupo, il volpino e il falso segugio che retrocedevano con segni di sbigottimento.

Che cosa li aveva sbaragliati quando già stavano assaporando il sangue e la vittoria? Perché si ritiravano? Il mastino tornava a far loro paura?

Non il mastino Tronk. Bensì una cosa informe e nuova che dentro di lui si era formata e lentamente da lui stava espandendosi come un alone infetto.

I tre avevano intuito che a Tronk doveva essere successo qualche cosa e non c'era più motivo di temerlo. Ma credevano di addentare un cane vivo. E invece l'odore insolito del pelo, forse, o del fiato, e il sangue dal sapore repellente, li aveva ributtati indietro. Perché le bestie più ancora che i luminari delle cliniche percepiscono al più lieve segno l'avvicinarsi della presenza maledetta, del contagio che non ha rimedio. E il lottatore era segnato, non apparteneva più alla vita, da qualche profondità recondita del corpo già si propagava la dissoluzione delle cellule.

I nemici si sono dileguati. È solo, adesso. Limpidi e puri nella maestà del vespero si sollevano intanto dalla terra, paragonabili a fanfare, i muraglioni vitrei dei nuovi palazzi e il sole che tramonta li fa risplendere e vibrare come sfida, sullo sfondo violetto della notte che dalla opposta parte irrompe. Essi proclamano le caparbie speranze di coloro che, pur distrutti dalla fatica e dalla polvere, dicono " Sì, domani, domani ", di coloro che sono il galoppo di questo mondo contristato, le bandiere! Ma per il satrapo, il sire, il titano, il corazziere, il re, il mastodonte, il ciclope, il Sansone non esistono più le torri di alluminio e malachite, né il quadrimotore in partenza per Aiderabad che sorvola rombando il centro urbano, né esiste la musica trionfale del crepuscolo che si espande pur nei tetri cortili, nelle fosse ignominiose delle carceri, nei soffocanti cessi incrostati d'ammoniaca.

Egli è intensamente fisso a quell'oasi stenta e con gli sguardi la divora. Il sangue che aveva cominciato a gocciolare da una lacerazione al collo si è fermato coagulandosi. Però fa freddo, un freddo atroce. Per di più è venuta la nebbia, lui non riesce più a vedere bene. Strano, la nebbia in piena estate. Vedere. Vedere almeno un pezzo della cosa che gli uomini usano chiamare verde: il verde del suo regno, le erbe, le canne, i miseri cespugli (i boschi, le selve immense, le foreste di querce e antichi abeti).

Il professore è di ritorno e si consola vedendo il lupo e gli altri due barabba che si allontanano spauriti. " Eh il mio Tronk " pensa orgoglioso. " Eh, ci vuol altro! " Poi lo vede laggiù seduto, apparentemente quieto e buono.

Un cuccioletto era, quattro anni fa soltanto, che si guardava gentilmente intorno, tutto doveva ancora cominciare, certo avrebbe conquistato il mondo.

L'ha conquistato. Guardatelo ora, grande e grosso, il cagnazzo, petto da toro, bocca da barbaro dio azteco, guardatelo l'ispettore generale, il colonnello dei corazzieri, sua maestà! Ha freddo e trema.

" Tronk! Tronk! " lo chiama il professore. Per la prima volta il cane non risponde. Nei sussulti del cuore che rimbomba, pallido del terribile pallore che prende i cani i quali erroneamente si pensa che pallidi non possano diventare mai, egli guarda laggiù, in direzione della foresta vergine, donde avanzano contro di lui, funerei, i rinoceronti della notte.

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