47. IL PROBLEMA DEI POSTEGGI

Possedere un'automobile è una bella comodità, certo. Non è però una vita facile.

Nella città dove vivo, raccontano che una volta adoperare un'automobile fosse una cosa semplice. I passanti si scansavano, le biciclette procedevano ai lati, le strade erano pressoché deserte, soltanto qua e là i mucchietti verdi lasciati dai cavalli; e ci si poteva fermare a volontà, anche nel mezzo delle piazze, non c'era che l'imbarazzo della scelta. Così dicono i vecchi, con un malinconico sorriso, carico di reminiscenze.

Sarà vero? O non sono che leggende, le fantastiche fole che l'uomo costruisce quando sulla casa sua la mestizia scende ed è bello immaginare che non sempre la vita sia stata spinosa come oggi, ma ci fosse requie e sere limpide? (Le braccia appoggiate al davanzale, l'animo quieto, rimirando il mondo là sotto che si addormentava dopo la giornata di lavoro, e intanto vaghe canzoni si perdevano nella lontananza, vero?, e la graziosa testa di lei che pesava dolcemente sulla spalla, socchiuse le labbra nel rapimento del vespero, e le stelle sopra di noi, le stelle!) Ciò affinché sia possibile sperare che qualcosa dei lontani tempi ritorni e come allora il raggio del sole mattutino ci risvegli battendo sull'orlo del ricamo?

Oggi invece, o amici, è una battaglia. La città è fatta di cementO e di ferro, tutta a spigoli duri che si innalzano a picco e dicono: qui no, qui no. Di ferro bisogna essere anche noi, per viverci, e nell'interno del corpo non avere viscere tènere e calde, bensì blocchi di calcestruzzo, una pietra scabra del peso di un chilogrammo virgola due al posto del cosiddetto cuore, ridicolo strumento démodé.

Quando venivo in ufficio a piedi o con il tram, me la potevo prendere comoda, relativamente. Oggi no, che vengo in automobile. Perché l'automobile bisogna pur lasciarla in qualche sito e alle ore otto del mattino trovare un posto libero lungo i marciapiedi è quasi un'utopia.

Perciò mi sveglio alle sei e mezzo, alle sette al più tardi: lavarsi, farsi la barba, la doccia, una tazza di tè bevuta a strangolone, poi via di gran carriera, pregando Iddio che i semafori siano tutti verdi.

Eccoci. Con la miserabile ansia degli schiavi, il mio prossimo, uomini e donne, formicola già per le strade del centro, anelando a entrare il più presto possibile nella sua prigione quotidiana. (Seduti ai tavoli e ai deschetti dattilografici, un poco curvi, ahimè, guardateli fra poco, migliaia e migliaia, costernante uniformità di vite che dovevano essere romanzo, azzardo, avventura, sogno, ricordate i discorsi fatti da ragazzi al parapetto dei fiumi che di sotto andavano verso gli oceani?) E le vie lunghissime e diritte hanno già da una parte e dall'altra una ininterrotta fila di automobili ferme e vuote, a perdita d'occhio.

Dove troverò un posto per mettere la mia? La macchina, comperata d'occasione, ce l'ho da pochi mesi, non sono ancora pratico abbastanza, e di posteggi esistono almeno seicentotrentaquattro categorie diverse, un labirinto dove anche i vecchi lupi del volante si perdono. Ciascun muro ha i suoi cartelli indicatori, è vero, ma sono stati fatti di dimensioni piccole per non turbare la monumentalità, come si dice, delle antiche strade. E poi chi sa decifrare le minime varìazioni nel colore e nel disegno?

Io giro, cercando, nelle straduzze laterali col mio macinino sul quale incalzano da dietro cateratte di camion e furgoni chiedendo via libera con barriti orrendi. Dove c'è un posto? Laggiù, come miraggio di laghi e fontane al beduino del Sahara, un intero lunghissimo fianco di un maestoso viale si offre, completamente libero. Illusione. Proprio i lunghi tratti sgombri che dovrebbero rallegrarci l'animo sono i più infidi. Troppa grazia. Si può giurare che c'è sotto qualche insidia. Quello difatti è spazio tabù perché ivi sorge il babelico palazzo del Ministero delle Tasse. Lasciare là la propria macchina procurerebbc denunce, sequestri, processi dispendiosi e complicati, in certi casi perfino condanne a pene detentive. Di tanto in tanto però se ne vedono, di automobili lasciate là senza custodia, poche, ma se ne vedono: in genere carrozzerie fuori serie, brani superstiti di equivoche ricchezze, stranamente oblunghe e dal muso scellerato. Chi ne sono i proprietari, o ladri? Sono i naufraghi della vita che non hanno più niente da perdere, i disperati che sfidano la legge e ormai tentano il tutto per il tutto.

Coraggio: non lontano dal mio ufficio, in una via secondaria, avvisto, ecco, un breve varco dove forse la mia utilitaria può annidarsi. Delicata manovra di retromarce lungo la murata di una gigantesca vettura americana bianca e rossa, vero oltraggio alla miseria; al volante, un atletico autista padronale sembra addormentato ma mi accorgo che fra gl'interstizi delle palpebre i suoi sguardi ostili mi controllano, se mai mi accadesse di toccare, di sfiorare, con il mio povero paraurti arrugginito, il suo, blindato, scudo possente di cromo, carico di specchianti globi, contrafforti e barbacani, che da solo basterebbe, io penso, a sfamare per dieci anni una famiglia.

A onor del vero, la macchina mi offre tutta la collaborazione immaginabile, si fa ancora più piccola, si assottiglia, si contorce, tiene il fiato, si sposta sulla punta delle gomme. Dopo sette tentativi, tutto sudato per lo sforzo dei nervi, riesco finalmente a insinuare la mia trappola nel brevissimo intervallo. Non faccio per dire, un egregio lavoretto di precisione. Allora scendo, chiudo trionfalmente lo sportello. Un inserviente in uniforme si avvicina: " Scusi, lei? ". " Io cosa? " Lui fa segno a un microscopico cartello: " Sa leggere? Posteggio riservato solo per i funzionari della Oldrek ". A pochi metri infatti la sede della grande società spalanca il suo maestoso androne.

Livido, risalgo in macchina, e con estenuanti precauzioni riesco a sfilarmi fuori senza contaminare col mio contatto impuro la regalità della portaerei americana. Fra gli interstizi delle palpebre, gli sguardi dell'autista mi trafiggono con aghi di disprezzo.

è tardi. Da un pezzo sarei dovuto essere in ufficio. Ansiosamente esploro una via dopo l'altra, in cerca di un rifugio. Meno male: là c'è una signora che sembra stia per risalire in macchina. Rallento, aspettando che lei salpi per ereditare il posto. Un coro frenetico di clacson immediatamente si scatena alle mie spalle. Intravvedo, voltandomi la faccia congestionata di un camionista che si sporge in fuori, mi urla ingiuriosi epiteti e con il pugno pesta sullo sportello, per dar rumore alla sua collera: Dio, come mi odia.

Sono costretto a proseguire. E quando, fatto l'intero giro: dell'isolato, torno sul posto, la signora se ne è andata, è vero, ma già nello spazio rimasto libero qualcun altro sta incuneando la sua auto.

Avanti. Qui la sosta è permessa solo per mezz'ora, là soltanto nei giorni dispari (e oggi è il 2 novembre), là soltanto ai soci del Motormatic Club, là ancora il parcheggio è limitato alle macchine provviste della licenza " Z " (enti pubblici e parastatali). E se io tento di fare l'indiano, fulmineamente sbuca un uomo con un berretto di tipo militare che mi espelle dal suo dominio. Sono i guardiani dei posteggi: uomini membruti, alti, con baffi, stranamente incorruttibili, le mance non fanno su di essi alcuna presa.

Pazienza. Ora bisogna che almeno passi dall'ufficio ad avvertire. L'usciere sta sempre sulla soglia, mi fermerò un attimo, gli spiegherò la cosa. Ma proprio mentre sto frenando in corrispondenza del portone, gli occhi mi cadono su di un posto libero lungo l'opposto marciapiedi. Col cuore in gola io sterzo, rischiando di farmi triturare dalle valanghe di veicoli, attraverso la strada, velocemente plano a sistemarmi. Un miracolo.

La pace scende in me. Fino a stasera mi è concesso di vivere tranquillo, dalla finestra dell'ufficio posso anzi vederla e controllarla, la mia macchinetta utilitaria. Sembra perfin graziosa adesso, ha un'espressione sorridente, evidentemente gode di avere anche lei il suo posto al mondo. Certo, è stata una combinazione straordinaria: proprio dirimpetto al palazzo in cui lavoro, in pieno centro! Non bisogna mai disperare nella vita.

Passa un paio d'ore, sopra il rombo ininterrotto dei veicoli mi pare di distinguere un vocìo concitato che viene dalla strada. Con un triste presentimento mi affaccio alla finestra. Oh lo sapevo: doveva esserci sotto un tradimento, troppo facile era stato. Non mi ero accorto infatti che là dove ho lasciato la mia macchina, a filo della parete della casa, c'era una saracinesca; la quale è stata aperta e ne sta uscendo un camioncino. Con imprecazioni gutturali, tre uomini in tuta stanno perciò spostando di peso la mia auto, a gran strattoni. Con le sole braccia la sradicano dal comodo buco, tanto è leggera, e la sospingono più in là, che il camioncino possa uscire. Poi se ne vanno.

La mia macchina resta quindi abbandonata di traverso alla via, così da bloccare il traffico. Già un ingorgo si è formato e due policemen sono accorsi, vedo che scrivono sui loro taccuini.

Mi precipito da basso, tolgo di mezzo l'auto, non so neppure come, riesco a spiegare l'equivoco ai due agenti e ad evitar la multa. Ma restare là non posso. Eccomi di nuovo risucchiato nel vortice che gira, gira e non si può fermare mai perché non c'è posto da fermarsi.

E vita, questa? Via, dunque, in direzione della periferia dove la lotta è meno feroce, più benigno lo spazio. Laggiù ci sono strade e viali quasi deserti, così come lo erano le vie del centro nei tempi andati, se è vero ciò che i vecchi narrano. Ma sono posti lontani e poverelli. A che serve la macchina se bisogna lasciarla in quell'esilio? E poi, che fare questa sera? Stasera verrà il buio e anche le automobili saranno stanche come noi, sentiranno il bisogno di una casa.

Ma le autorimesse sono piene. I proprietari, fino a qualche anno fa persone umili e gentili, che noi potevamo considerare nostri simili, sono diventati personaggi potentissimi che non si riesce a avvicinare. È tanto se si può parlare coi loro ragionieri, o segretari, o altri tirapiedi, ma anche questi non sono più i giovanotti servizievoli di un tempo. Non sorridono più, ascoltano con sussiego le nostre lamentose suppliche. " Ma lo sa " rispondono " che abbiamo già una ventina di prenotazioni? Prima di lei, comunque c'è l'ingegnere Zolito, il presidente della F.L.A.M., c'è il professor Syphoneta, c'è il conte El Motero, c'è la baronessa Spicchi. " Sono tutti nomi grossi, di miliardari e potentati, chirurghi celebri, latifondisti, grandi cantanti, citati per intimidirmi. Inoltre, anche se non me lo dicono, le macchinette vecchie e delabrées come la mia non sono ospiti graditi: il prestigio della " casa " ne risente. Non avete mai notato le nauseate smorfie dei portieri quando un tipo scalcinato si presenta ai Grand Hotel?

Via via, dunque, oltre i sobborghi, attraverso le campagne e le brughiere, più lontano ancora, con rabbia tengo premuto l'acceleratore fino in fondo. Gli spazi si fanno sempre più vasti e solenni. Ecco le stoppie, ecco il principio della savana, poi il deserto, dove la strada si perde nell'infinità uniforme delle sabbie.

Alt, finalmente. Mi guardo intorno, non si scorge né un uomo né una casa né alcun segno di vita. Solo, alfine. Ed il silenzio. Spengo il motore, scendo, chiudo lo sportello. " Addio " le dico " sei stata una brava macchinetta, è vero, in fondo ti volevo bene. Perdonami se ti abbandono qui, ma se ti lasciassi in una via abitata, presto o tardi verrebbero a cercarmi con pile di contravvenzioni. E tu sei vecchia, e brutta, scusa la sincerità, ormai nessuno ti vorrebbe. " Lei non risponde. Io a piedi mi incammino e penso: " Che farà questa notte? Verranno le iene? La divoreranno? ". È quasi sera. Io ho perso una giornata di lavoro. Forse mi aspetta il licenziamento, non ne posso più dalla stanchezza. Eppure sono libero, libero finalmente!

Saltello, una strana leggerezza è nelle membra, accenno a passi di danza. Evviva! Mi volto indietro, l'utilitaria è in fondo, piccolissima, uno scarafaggetto addormentato nel grembo nudo del deserto.

Ma c'è un uomo laggiù! È un uomo alto, coi baffi, se non prendo abbaglio, ha un berretto di tipo militare. E mi fa cenno in segno di protesta, e urla, urla.

Ah, no basta. Io saltello, io corro, io galoppo sulle mie anziane gambe, scalpito, mi sento una piuma. Le grida del guardiano maledetto si perdono a poco a poco alle mie spalle.

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