IL SILENZIO DEGLI ASONU

Il silenzio degli asonu è proverbiale. I primi visitatori del loro piano ritennero che quelle persone gracili e graziose fossero mute, prive di qualunque linguaggio che non fosse quello dei gesti, dell’espressione e dello sguardo. Più tardi, sentendo chiacchierare i bambini asonu, i visitatori pensarono che gli adulti parlassero tra loro e che mantenessero il silenzio soltanto con gli estranei. Oggi sappiamo che gli asonu non sono muti, ma che una volta superati i primi anni di vita non parlano quasi mai con nessuno. Non scrivono e, diversamente dai muti o dai monaci che hanno fatto il voto del silenzio, non usano gesti o altro al posto della voce.

La loro astinenza pressoché assoluta dalla parola li rende affascinanti.

Le persone che vivono con gli animali apprezzano il fascino del silenzio. Può costituire un vero piacere la certezza che quando il gatto entra nella stanza non parlerà dei vostri difetti, o poter rivolgere le vostre lamentele al cane di casa con la sicurezza che non andrà a ripeterle alle persone che ne sono all’origine.

Coloro che non possono parlare, e coloro che possono parlare ma non lo fanno, godono di un grande vantaggio rispetto agli altri di noi, ossia non rischiano mai di dire qualche stupidaggine. Forse è questo a farci pensare che se parlassero avrebbero da comunicare qualcosa di saggio.

Di conseguenza ha finito per svilupparsi un notevole traffico turistico in direzione degli asonu. E poiché hanno una grande tradizione di ospitalità, gli asonu accolgono i visitatori con generosità e cortesia, ma senza modificare i loro costumi.

Alcuni turisti si recano laggiù semplicemente per unirsi al silenzio degli abitanti del luogo, lieti di passare alcune settimane dove non c’è bisogno di adornare e oscurare con lo strumento della verbosità ogni incontro umano. Molti visitatori di quel genere, dopo essere stati accettati in una casa come ospiti paganti, vi ritornano anno dopo anno, instaurando legami di «tacito» affetto con i loro silenziosi padroni di casa.

Altri seguono dappertutto le guide o i padroni di casa asonu durante le faccende domestiche e parlano loro, un’ora dopo l’altra, confidandogli tutta la propria esistenza, estasiati dall’avere finalmente trovato un ascoltatore che non li interrompe, non fa commenti e non ribatte con la notizia che sua cugina è stata operata di un tumore ancora più grosso del tuo. E dato che queste persone conoscono poche parole di Asonu e parlano sempre nella propria lingua, evidentemente non sono turbate dall’interrogativo che cruccia alcuni visitatori: «Dato che gli asonu non parlano, sono veramente in grado di ascoltare?»

Gli asonu certamente odono e capiscono quel che è detto nella loro lingua, dato che rispondono senza difficoltà ai figli, o indicano la direzione, con un gesto, ai turisti che li interrogano parlando l’Asonu con esitazione e con una cattiva pronuncia, o lasciano precipitosamente un edificio se qualcuno grida: «Al fuoco!» Ma una domanda è tuttora in attesa di risposta: ascoltano davvero i discorsi descrittivi, le conversazioni dei turisti, fatte «per socializzare», o si limitano a udire i suoni mentre, silenziosamente, prestano attenzione a qualcosa di diverso dalle parole? Il loro comportamento cordiale e, almeno visibilmente, privo di preoccupazioni appare ad alcuni osservatori come la placida superficie sotto cui si nasconde una profonda preoccupazione, un’attenzione costante, simile a quella di una madre che, mentre accoglie gli ospiti o si prende cura delle esigenze del marito, tende in ogni istante l’orecchio in modo da poter udire il pianto del figlio, che è nella culla in un’altra stanza.

Vedere in questo modo gli asonu porta quasi inevitabilmente a interpretare il loro silenzio come una maschera. Crescendo, dice ancora la supposizione, smettono di parlare perché ascoltano qualcosa che noi non sentiamo, un segreto nascosto dietro il loro silenzio.

Alcuni visitatori del loro mondo sono convinti che le labbra di questa popolazione silenziosa siano chiuse per una conoscenza altrettanto preziosa quanto celata: un tesoro spirituale, un messaggio al di là delle parole, forse anche quell’estrema rivelazione promessa da tante religioni e spesso — a dire il vero — donata e percepita, ma sempre in una forma che sfida qualsiasi tentativo di comunicazione. Le conoscenze trascendenti del mistico non si possono esprimere nelle lingue terrene. Può darsi che sia proprio questa ragione a spingere gli asonu a evitare la parola.

Può darsi che tacciano perché, se parlassero, non rimarrebbe più nulla d’importante da dire.

I credenti nella Sapienza degli Asonu hanno seguito per anni singoli individui, in attesa di sentir loro pronunciare una delle loro rare parole, e poi le hanno trascritte, registrate nei loro repertori, le hanno studiate, ordinate e collazionate, vi hanno trovato significati arcani e corrispondenze numerologiche, il tutto alla ricerca di messaggi segreti.

Ad alcuni, comunque, quelle parole non parevano importanti quanto ci si sarebbe aspettati dalla loro rarità: per loro si sarebbero potute etichettare anche come «banali».

Non esiste forma scritta della lingua Asonu, e la traduzione delle loro frasi è considerata talmente incerta che i traduttori automatici non vengono offerti ai turisti, gran parte dei quali, comunque, non li vorrebbe.

Coloro che vogliono imparare l’Asonu possono apprenderlo soltanto ascoltando e imitando i bambini che però, verso i sei o sette anni, diventano sempre più ritrosi quando si chiede loro di parlare.

Qui di seguito riporto gli Undici Detti dell’Anziana di Isu, raccolti nel corso di quattro anni da un devoto dell’Ohio, il quale aveva già dedicato sei anni allo studio della lingua presso i bambini del Gruppo Isu.

Tra l’una e l’altra delle frasi passarono mesi di silenzio; in particolare, tra la quinta e la sesta, dovettero trascorrere due anni.


1. Qui no.

2. È quasi pronto (o: Siate pronti tra poco).

3. Imprevisto!

4. Non cesserà mai.

5. Sì.

6. Quando?

7. Molto bene.

8. Chissà.

9. Presto.

10. Scotta! (o: Troppo caldo!).

11. Non cesserà.


Il devoto inserì queste undici frasi entro un credo o testamento spirituale che, secondo lui, l’Anziana gli aveva comunicato, poco alla volta, nel corso degli ultimi quattro anni di vita. L’Interpretazione dell’Ohio dei Detti dell’Anziana di Isu è la seguente.


(1) Ciò che noi cerchiamo non è in alcun oggetto o in alcuna esperienza della nostra vita terrena. Noi viviamo tra mere apparenze, senza oltrepassare la soglia della Verità Spirituale. (2) Dobbiamo essere pronti per Essa come Essa è pronta per noi, perché (3) giungerà quando meno ce la aspetteremo. La nostra percezione della Verità è improvvisa come il baleno del fulmine, ma (4) la Verità in sé è eterna e immutabile. (5) E invero dobbiamo con speranza e ottimismo e con spirito affermativo, (6) chiederci senza sosta: «Quando, quando mai troveremo ciò che cerchiamo?» (7) Poiché infatti la Verità è la medicina della nostra anima, la conoscenza del bene assoluto. (8, 9) Potrebbe giungere molto presto. Forse è già in arrivo, in questo stesso momento. (10) E. suo calore e il suo chiarore sono pari a quelli del sole, ma il sole si spegnerà, mentre la Verità non perirà mai. (11) Il calore, la luce e il bene della Verità non cesseranno mai né mai ci tradiranno.


Una diversa interpretazione dei Detti può nascere dalle circostanze in cui l’Anziana ha parlato: circostanze fedelmente annotate dal devoto dell’Ohio, la cui pazienza era pari solo a quella dell’Anziana stessa.

1. Detto a bassa voce mentre l’Anziana frugava in un baule di vestiti e di decorazioni.

2. Rivolto a un gruppo di bambini la mattina, poco prima di una cerimonia.

3. Pronunciato con una risata, nel salutare la sorella minore che ritornava allora da un lungo viaggio.

4. Detto il giorno dopo la sepoltura della sorella dell’Anziana.

5. Detto mentre abbracciava il cognato, qualche giorno dopo il funerale.

6. Rivolto a un «medico» asonu che tracciava con la sabbia bianca e nera un disegno del «corpo-spirito» dell’Anziana. Quei disegni parrebbero avere una funzione curativa e insieme diagnostica, ma noi disponiamo di pochissime informazioni. L’osservatore riporta la diagnosi del medico: una breve linea curva che usciva dall’ombelico della figura del corpo-spirito. Questa, però, potrebbe essere la personale interpretazione, data dall’osservatore, di quella che non era affatto una risposta.

7. Detto a un bambino che aveva intrecciato un tappeto di giunchi.

8. In risposta a una nipotina che le aveva chiesto: «Vieni anche tu alla grande festa, nonna?»

9. In risposta alla stessa bambina, che le aveva chiesto: «Devi anche tu essere morta come la zia-nonna (prozia)?»

10. Detto a un bambino piccolo, che, mentre camminava a quattro zampe, si era avvicinato a un fuoco e non si era accorto delle fiamme a causa della luce solare.

11. Ultime parole dell’anziana, pronunciate il giorno prima della morte.


Gli ultimi sei Detti sono stati pronunciati nell’ultimo mezzo anno di vita dell’Anziana, come se l’avvicinarsi della morte l’avesse resa più loquace. Cinque dei Detti erano rivolti a bambini nell’età della parola, o almeno sono stati pronunciati in loro presenza.

Una frase pronunciata da un adulto deve essere molto impressionante per un bambino asonu. Come i linguisti stranieri, i bambini asonu imparano la lingua ascoltando i compagni più grandicelli. La madre e gli altri adulti invitano il bambino a parlare grazie unicamente all’attenzione con cui lo ascoltano e con la risposta pronta, affezionata e priva di parole.

Gli asonu vivono in gruppi assai legati tra loro, in famiglie allargate che hanno frequenti contatti con altri gruppi. La loro vita di pastori, al seguito delle grandi greggi di anamanu che forniscono loro lana, cuoio, latte e carne, li porta a un circuito stagionale nomadico e continuo, all’interno di un vasto territorio comune, montuoso e collinare. Le famiglie lasciano spesso i loro gruppi per viaggiare e per fare visita ad altri gruppi. In occasione delle grandi festività e delle grandi cerimonie di guarigione e di rinnovamento, parecchi gruppi rimangono insieme per giorni o per settimane, ospitandosi reciprocamente.

Non si è mai notata alcuna reazione ostile tra i gruppi e in effetti nessun osservatore ha mai riferito di avere visto un litigio o una rissa tra asonu adulti. Le discussioni, naturalmente, sono fuori questione.

I bambini tra i due e i sei anni chiacchierano in continuazione tra loro, discutono, litigano, si lamentano, s’insultano e talvolta vengono anche alle mani. Quando arrivano ai sei o sette anni, cominciano a parlare meno e a ridurre i bisticci. Tra gli otto e i nove, molti di loro cominciano a essere molto concisi e rispondono con riluttanza alle domande, tranne che con i gesti. Ormai hanno imparato a evitare silenziosamente i turisti e i linguisti con i quaderni d’appunti e gli strumenti per registrare. Gli adolescenti sono silenziosi e pacati come gli adulti.

A occuparsi dei bambini più piccoli sono per la maggior parte del tempo i loro compagni tra gli otto e i dodici anni. Tutti i giovani sub-adolescenti del gruppo familiare passano la giornata insieme; in simili raggruppamenti i bambini dai due ai sei anni forniscono i modelli linguistici ai più piccoli. I più grandi possono lanciare qualche breve grido senza parole, nell’eccitazione della partita, mentre giocano a rincorrersi o a nascondino; a volte redarguiscono l’errore di un bambino piccolo con un «Fermo!» o: «No!» esattamente come l’Anziana di Isu ha mormorato: «Scotta!» a un bambino che si avvicinava a una fiamma invisibile, anche se, naturalmente, l’Anziana potrebbe avere utilizzato quella circostanza come una parabola, allo scopo di proferire un enunciato di profondo significato spirituale, quale è riportato nell’Interpretazione dell’Ohio.

Anche il canto perde le parole a mano a mano che chi lo canta diventa più vecchio. Un ritornello cantato durante un gioco dai bambini piccoli ha queste parole:

Guarda come no-noi cadiam

inciampiam e rotoliam

tutti quanti do-dondoliam

e caschiam su te!

I bambini di cinque o sei anni insegnano le parole del canto ai più piccoli. I bambini più vecchi di loro partecipano con divertimento al gioco, fingendo di incespicare e cadendo con grida gioiose su mucchi di bambini che si contorcono per rialzarsi, ma non cantano le parole: solo il motivo, che viene vocalizzato su una sillaba neutra.

Gli asonu adulti canticchiano o addirittura cantano mentre lavorano, pascolano gli animali o quando cullano i bambini più piccoli. Alcune di queste nenie sono tradizionali, altre improvvisate. Molti usano motivi basati sui fischi degli anamanu. Nessuno di quei canti ha parole; tutti sono cantati a bocca chiusa o con semplici vocalizzi. Ai raduni dei clan, ai matrimoni e ai funerali la musica corale cerimoniale è ricca di melodie e l’armonia è complessa e raffinata. Non si usano strumenti; solo la voce. I cantanti fanno pratica per giorni prima della cerimonia. Alcuni studiosi della musica degli asonu credono che le loro particolari intuizioni o conoscenze spirituali trovino espressione in quei grandi corali senza parole.

Io tendo a riconoscermi maggiormente nell’opinione di altri che, dopo essere vissuti per molto tempo tra gli asonu, credono che il loro canto collettivo sia un elemento di una celebrazione sacra, e che sia certamente un’arte, un atto di festeggiamento collettivo, e la piacevole e liberatoria espressione dei propri sentimenti, ma non di più. Quel che per loro è sacro rimane inespresso.

I bambini chiamano gli adulti con nomi che indicano il grado di parentela: madre, zio, sorella, amico ecc. Se gli asonu hanno nomi di persona, noi non li conosciamo.


Una decina di anni fa, un fanatico credente nella Saggezza Segreta degli Asonu rapì in pieno inverno una bambina di quattro anni, appartenente a uno dei clan della montagna. Aveva ottenuto un permesso da raccoglitore di esemplari per i giardini zoologici e l’aveva contrabbandata nel nostro piano in una gabbia per animali con la scritta ANAMANU. Nella convinzione che gli asonu imponessero il silenzio ai bambini, intendeva spingere la bambina a continuare a parlare mentre cresceva. In questo modo, pensava, una volta raggiunta l’età adulta, la bambina avrebbe potuto comunicare tutta la sua Sapienza Innata: la stessa che la sua gente l’avrebbe costretta a tenere segreta.

Per il primo anno o poco più, la bambina parlò con il rapitore, il quale, a parte l’abominevole crudeltà della sua azione, pare l’avesse trattata in modo abbastanza umano. L’uomo aveva una limitata conoscenza della lingua Asonu e la bambina vedeva solo un piccolo gruppo di appartenenti alla setta, che venivano a guardarla con adorazione e ad ascoltarla. Il vocabolario e la sintassi della bambina non solo non aumentarono, ma cominciarono ad atrofizzarsi. Divenne sempre più taciturna.

Frustrato nelle sue intenzioni, il fanatico decise di insegnarle l’inglese in modo che la bambina potesse comunicare in un’altra lingua la sua Sapienza. Abbiamo solo la deposizione del rapitore, nella quale ha detto che si «rifiutava di imparare», taceva o parlava con voce così bassa da risultare impercettibile quando le chiedeva di ripetere le parole, e che «non obbediva». Con il passare del tempo, non la esibì più alle altre persone. Quando infine alcuni membri della setta si decisero a informare le autorità, la bambina aveva circa sette anni. Ne aveva passati tre nascosta in uno stanzino sotterraneo. Per un anno o più era stata percossa e frustata regolarmente «per insegnarle a parlare», spiegò il rapitore, «perché è troppo ostinata». La bambina era muta, impaurita, denutrita e portava i segni delle percosse.

Venne immediatamente restituita alla famiglia, che da tre anni la piangeva, convinta che si fosse allontanata e si fosse persa nel ghiacciaio. La accolsero con lacrime di gioia e di dolore. Le sue successive condizioni non sono note, perché l’Agenzia Interplanaria ha chiuso l’intera area a qualunque visitatore, turista o scienziato, a partire dal momento del suo ritorno.

Da allora nessun forestiero è salito sulle montagne degli asonu. È certamente lecito pensare che i parenti della bambina siano indignati da quanto è successo; tuttavia, non ne hanno mai fatto parola.

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