CAPITOLO VENTUNESIMO

ST. LOUIS
Settembre 1857

Abner Marsh sbatté la porta dietro di sé, quando entrò à grandi passi nell’ufficio della Fevre River Packet Company in Pine Street. «Dov’è?» chiese Marsh, attraversando la stanza e appoggiandosi alla scrivania per fissare dall’alto in basso l’impiegato visibilmente spaventato. Una mosca volò intorno alla sua testa, e Marsh la scacciò via, spazientito. «Ho detto dov’è?»

L’agente era un giovane dalla carnagione scura, magro, in camicia a righe e visiera verde. Era davvero nervoso. «Diamine,» disse. «Capitano Marsh, diavolo è un piacere, non avrei mai pensato, cioè, non vi aspettavamo, nossignore, affatto. Il Fevre Dream è arrivato?»

Abner Marsh sbuffò sprezzante, si radrizzò, e batté il bastone sul pavimento di legno nudo, disgustato. «Mister Green, smettetela di blaterare e fate attenzione adesso. Vi ho chiesto, dov’è? Ora, di cosa credete stessi parlando, Mister Green?»

L’agente deglutì. «Credo di non saperlo, Capitano.»

«Del Fevre Dream!» Marsh muggì, rosso in viso. «Voglio sapere dove si trova! Non è attraccato e questo lo so bene perché ci vedo e non l’ho visto in nessun posto lungo il dannato fiume. È arrivato e ripartito di nuovo? Ha fatto rotta per St. Louis o il Missouri? L’Ohio? Non fate quella faccia dannatamente meravigliata, ditemelo e basta. Dove si trova il mio dannatissimo battello?»

«Non lo so Capitano. Se non siete stato voi a portarlo fin qui, non ne ho idea. Non è mai arrivato a St. Louis, non da quando l’avete fatto discendere il fiume a luglio. Ma abbiamo sentito dire… noi…»

«Sì? Cosa?»

«La febbre, signore. Abbiamo sentito dire che la febbre gialla è scoppiata sul Fevre Dream a Bayou Sara. E che la gente moriva come mosche, proprio come mosche. Abbiamo sentito dire che Mister Jeffers e anche voi eravate morti. Ecco perché non mi sarei mai aspettato… con tutti quei morti e il resto, abbiamo pensato che l’avessero bruciato Capitano. Il battello.» Si sfilò la visiera e si grattò la testa. «Immagino che voi abbiate superato la malattia, Capitano. Sono lieto di saperlo. Soltanto… se il Fevre Dream non è con voi, dove si trova? Siete sicuro che non siete arrivato fin qui con il battello e poi, forse, l’avete dimenticato? Ho sentito che la febbre può rendere un uomo orribilmente smemorato.»

Abner Marsh aggrottò la fronte. «Non ho mai preso la febbre e sono sicuro come l’inferno, sono in grado di distinguere un battello da un altro, Mister Green. Sono arrivato sul Princess. Sono stato malato per una settimana circa, va bene, ma non si trattava di febbre. Ho preso un’infreddatura come conseguenza del fatto di essere caduto nel dannato fiume ed essere quasi annegato. Ecco come ho perso il Fevre Dream, ed ora il mio scopo è ritrovarlo, mi sentite?» Sbuffò. «Dove avete sentito tutte queste storie sulla febbre gialla?»

«L’equipaggio, Capitano, quelli che sono sbarcati a Bayou Sara. Alcuni di loro sono venuti qui quando sono arrivati a St. Louis, oh, una settimana fa circa. Alcuni tra essi hanno chiesto del lavoro sull’Eli Reynolds, Capitano, ma naturalmente era al completo, e così ho dovuto lasciarli andare. Spero di aver fatto bene. Voi non eravate qui, naturalmente, né c’era Mister Jeffers e ho pensato che forse eravate morti entrambi, così non potevo avere istruzioni.»

«Non vi proccupate di questo.» Quelle notizie, in un certo senso, rincuorarono Marsh. Se Julian e il suo gruppo avevano preso posseso del suo battello, almeno alcuni membri del suo equipaggio si erano messi in salvo. «Chi c’era qui?»

«Beh, ho visto Jack Ely, il secondo ufficiale di macchina, alcuni camerieri e un paio di macchinisti — si trattava di Sam Kline e Sam Thompson. E pochi altri.»

«Qualcuno di loro è ancora in giro?»

Green scrollò le spalle. «Non avendoli potuti assumere, sono andati a cercare lavoro altrove, Capitano. Non so.»

«Dannazione.»

«Aspettate!» l’agente sollevò un dito. «Ci sono. Mister Albright, il pilota, era uno di loro, mi ha parlato della febbre. Era qui cinque giorni fa circa e non voleva nessun lavoro — è un pilota adatto per il percorso inferiore del fiume, sapete, e così l’Eli Reynolds non faceva per lui. Disse che avrebbe preso una stanza al Planter’s House fin quando non avesse trovato un posto su una delle navi di certo livello, un grande battello a ruota per esempio.»

«Albright, eh. E che mi dite di Karl Framm? L’avete visto?» Se Framm e Albright avevano lasciato entrambi il Fevre Dream, non sarebbe stato difficile scovare il battello. Senza piloti qualificati, non poteva muoversi. Ma Green scosse la testa. «No, non ho visto Mister Framm.» Le speranze di Marsh subirono un duro colpo. Se Karl Framm era ancora a bordo, il Fevre Dream poteva essere dovunque lungo il fiume. Poteva aver imboccato uno qualsiasi degli innumerevoli affluenti, o forse era perfino ritornato a New Orleans, mentre lui si trovava in quell’attracco a sud di Bayou Sara. «Andrò a cercare Dan Albright,» disse all’agente. «Mentre sono via, voglio che scriviate alcune lettere. Ad agenti, piloti, a chiunque altro conosciate sul fiume, da qui a New Orleans. Chiedete del Fevre Dream. Qualcuno deve averlo visto. Battelli come quello non possono svanire. Scrivete queste lettere entro il pomeriggio, mi avete capito, portatele all’imbarco e impostatele sulla nave più rapida che vedete. Ho intenzione di trovare il mio battello.»

«Sì, signore.» L’agente tirò fuori una pila di fogli e una penna, la intinse nel calamaio, e cominciò a scrivere.

L’impiegato al bureau del Planter’s House chinò la testa in segno di saluto. «Oh, Capitano Marsh. Ho sentito parlare della vostra triste vicenda, è terribile. John-il-giallo è davvero una brutta faccenda, ecco cosa. Sono lieto che stiate meglio, Capitano, sinceramente.»

«Non importa,» disse Marsh, seccato. «In che stanza si trova Dan Albright?»

Albright stava lucidando gli stivali. Salutò Marsh con un cenno del capo freddo e cortese, si sedette nuovamente, infilò un braccio in uno degli stivali, e riprese a strofinare come se non fosse entrato nessuno. Abner Marsh si sedette pesantemente e non perse tempo in preamboli. «Perché avete lasciato il Fevre Dream?» chiese bruscamente. «La febbre, Capitano.» Albright studiò brevemente Marsh, poi ritornò a lavorare al suo stivale senza aggiungere altro.

«Raccontatemi della febbre, Signor Albright. Io non c’ero.»

Dan Albright si accigliò. «Non c’eravate? Mi è parso di capire che voi e Mister Jeffers avevate trovato il primo malato»

«Avete capito male. Ora raccontate.»

Albright lo accontentò, continuando a pulire gli stivali; la tempesta, la cena, il corpo che Joshua York, Billy Tipton la Serpe e l’altro uomo avevano trasportato attraverso il salone, la fuga dei passeggeri e dell’equipaggio. Gli raccontò tutto usando meno parole possibili. Quando ebbe finito, i suoi stivali stavano luccicando. Se li infilò.

«Sono andati via tutti?»

«No. Alcuni sono rimasti. Alcuni non conoscono la febbre tanto bene quanto la conosco io.»

«Chi?»

Albright scosse le spalle. «Il Capitano York, i suoi amici. Mike il Peloso. I magazzinieri e gli scaricatori. Suppongo che avessero troppa paura di Mike per andarsene. Specialmente in uno stato schiavista. Whitey Blake deve essere rimasto. E pensavo che foste rimasti anche voi e Jeffers.»

«Jeffers è morto.»

Albright non disse nulla. «E Karl Framm?»

«Non ne so nulla.»

«Eravate compagni, colleghi…»

«Eravamo diversi. Non l’ho visto. Non so, Capitano.»

Marsh aggrottò le sopracciglia. «Cosa è accaduto dopo che avete ricevuto la vostra liquidazione?»

«Ho trascorso un giorno a Bayou Sara, poi ho preso un passaggio sul Natchez del Capitano Leathers. Ho viaggiato fino a Natchez, risalendo il fiume, ho trascorso lì quasi una settimana, poi ho raggiunto St. Louis sul Robert Folk.»

«Cosa è successo al Fevre Dream?»

«È partito.»

«Partito?»

«Ha ripreso il largo, immagino. Quando mi sono svegliato, il mattino dopo che la febbre è scoppiata, aveva lasciato Bayou Sara.»

«Senza equipaggio?»

«Devono essere rimasti abbastanza uomini per farlo navigare.»

«Dove potrebbe essere andato?»

Albright scrollò le spalle. «Non l’ho visto, dal Natchez. Potrebbe essermi sfuggito, però. Forse in quel momento non stavo guardando. Forse ha cominciato a ridiscendere il fiume.»

«Giuro che mi siete dannatamente di grande aiuto, Signor Albright.»

«Non posso dirle ciò che non so. Forse l’hanno bruciato. La febbre. Non avrebbero mai dovuto dargli quel nome, credo. Sfortunato.»

Abner Marsh stava perdendo la pazienza. «Non è stato bruciato. È sul fiume da qualche parte, e io voglio trovarlo e non è un battello sfortunato.»

«Io ero il pilota, Capitano. So di cosa parlo. Temporali, nebbia, ritardi, e poi la febbre. Era maledetto, quel battello. Se fossi in voi, lo lascerei perdere. Non è un battello per voi. È un battello senza Dio» Si alzò in piedi. «Questo mi fa ricordare che ho qualcosa che vi appartiene.» Andò a prendere due libri, e li porse a Marsh. «Dalla biblioteca del Fevre Dream,» spiegò. «Ho giocato a scacchi con il Capitano York nel viaggio di ritorno verso New Orleans e gli dissi che mi piaceva la poesia. Lui mi diede questi il giorno dopo. Quando sono partito, li ho portati con me per errore.»

Abner Marsh sfilò i due volumi. Poesia. Un volume di poesie di Byron e uno di Shelley. Proprio ciò di cui aveva bisogno, pensò. Il suo battello era scomparso, svanito lungo il fiume, e tutto quel che gli rimaneva di esso erano due dannati libri di poesie. «Teneteli,» disse a Dan Albright.

Albright agitò la mano. «Non li voglio. Non è il genere di poesia che preferisco, Capitano. Sono immorali, entrambi. Non c’è da meravigliarsi che il vostro battello sia stato colpito dalla collera divina, portando libri come quelli.»

Abner Marsh infilò i libri in tasca e si alzò, aggrottando la fronte. «Ne ho avuto abbastanza, Mister Albright. Non voglio sentire questo genere di discorsi sul mio battello. È un ottimo legno, come qualsiasi altro sul fiume e non è maledetto. Non esistono le maledizioni. Il Fevre Dream è un diavolo di…»

«Ecco cosa è,» lo interruppe Dan Albright. Anche lui si alzò in piedi. «Devo andare a trovare un imbarco,» disse, precedendo Marsh verso la porta. Marsh lo lasciò fare. Ma mentre Albright stava indicandogli l’uscita, il vivace, piccolo pilota disse, «Capitano Marsh, dimenticatelo.»

«Cosa?»

«Quel battello. Non fa per voi. Sapete come io riesca a sentire quando sta arrivando un temporale?»

«Sì.»

Albright poteva sentire i temporali meglio di chiunque altro Marsh avesse mai conosciuto. «Qualche volta posso sentire anche altre cose,» aggiunse il pilota. «Non lo cercate, Capitano. Dimenticatelo. Pensavo che voi foste morto. Non lo siete. E dovete essere contento. Trovare il Fevre Dream non vi arrecherà nessuna gioia, Capitano.»

Abner Marsh lo fissò. «Come potete parlare così. Voi stavate al timone e lo avete condotto lungo il fiume, e ne parlate così.»

Albright non rispose nulla.

«Bene, non voglio ascoltarvi. Quello è il mio battello, Signor Albright, e un giorno lo piloterò lo stesso, e lo sbatterò contro l’Eclipse, capito, e… e…» Il volto infiammato dalla collera, Marsh cominciò a balbettare. Non poté continuare.

«L’orgoglio è un peccato, Capitano. Lasciatelo perdere.» Chiuse la porta, lasciando Marsh fuori nel corridoio.

Abner Marsh pranzò al Planter’s House; mangiò da solo, in un angolo. Albright lo aveva scosso e ricominciò ad avere gli stessi pensieri che gli erano passati per la mente arrivando sul fiume a bordo del Princess. Mangiò una coscia di agnello in salsa di menta, un piatto di rape e fagioli e tre porzioni di tapioca. Neppure questo riuscì a calmarlo. Mentre beveva il caffè, Marsh si chiese se per caso Albright non avesse ragione. Era a St. Louis, proprio come c’era stato prima di incontrare Joshua York, nella stessa stanza. Possedeva ancora la sua compagnia, l’Ely Reynolds e anche qualche soldo in banca. Era un uomo dell’alto Mississippi; era stato un terribile errore andare a New Orleans. Il suo sogno era diventato un incubo, laggiù, nel paese degli schiavi, nel soffocante e febbricitante sud. Ma ora tutto era finito, il suo battello era sparito e, se voleva, poteva anche fingere che niente fosse mai accaduto, che un battello chiamato Fevre Dream non fosse mai esistito, e neppure delle persone chiamate Joshua York, Damon Julian e Billy Tipton la Serpe. Joshua era comparso misteriosamente ed ora era scomparso di nuovo. Il Fevre Dream non esistiva quell’aprile, e non sembrava esistere nemmeno ora, per quel che ne sapeva Marsh. Un uomo sano di mente non poteva, in ogni caso, credere a quelle storie, bevitori di sangue che si tengono nascosti fino a notte fonda e bottiglie piene di un disgustoso elisir. Era stato tutto un sogno, un delirio febbrile, pensò Abner Marsh, ma adesso la febbre lo aveva abbandonato, adesso poteva riprendere la sua vita qui, a St. Louis. Marsh ordinò dell’altro caffè. Continueranno ad uccidere, si disse mentre beveva il caffè, continueranno a bere sangue e ad assassinare, e nessuno li fermerà. «Non si possono fermare,» mormorò. Avevano fatto del loro meglio, lui, Joshua York e Mike il Peloso e il povero Mister Jeffers, che non avrebbe mai più sollevato un sopracciglio o mosso una pedina. I loro sforzi non erano approdati a nulla e sarebbe stato inutile ricorrere alle autorità, non con una storia su un gruppo di vampiri che avevano rubato il suo battello. Avrebbero creduto soltanto alla storia della febbre gialla, avrebbero immaginato che era diventato pazzo e forse l’avrebbero anche rinchiuso da qualche parte. Abner Marsh pagò il conto e ritornò all’ufficio della Fevre River Packets. Il molo era affollato e pieno di attività. Sopra di lui, c’era un cielo azzurro e, sotto, il fiume era lucente e chiaro nella luce del sole. L’aria sapeva di salsedine, e di fumo e di vapore. Marsh sentì i fischi delle barche che si sorpassavano sul fiume, e la grande campana d’ottone di uh battello a ruota che attraccava. Gli ufficiali in seconda stavano urlando ordini e gli scaricatori stavano cantando mentre caricavano le merci, e Abner Marsh si fermò a guardare e ascoltare. Quella era la sua vita, l’altra era stata davvero il delirio di un febbricitante. I vampiri avevano ucciso per migliaia di anni, glielo aveva detto Joshua, dunque come poteva sperare lui di cambiare questa situazione? Forse Julian aveva ragione, comunque. Era nella loro natura uccidere. E la natura di Abner Marsh era essere un battelliere, niente di più, non era un combattente, York e Jeffers avevano provato a lottare e avevano pagato per questo. Quando entrò in ufficio, Marsh aveva appena deciso che Dan Albright aveva dannatamente ragione. Avrebbe dimenticato il Fevre Dream, dimenticato tutto quello che era accaduto, sicuramente era la cosa più sensata da fare. Avrebbe continuato a dirigere la sua compagnia e forse avrebbe guadagnato del denaro e in un anno o due avrebbe potuto possedere il denaro sufficiente per costruire un altro battello, uno più grande.

Green stava correndo velocemente per l’ufficio. «Ho scritto venti lettere, Capitano e le ho già spedite, proprio come mi avevate detto.»

«Bene,» disse Marsh, sprofondando in una sedia. Si sedette quasi sui libri di poesia, sistemati scomodamente in tasca. Li tirò fuori, li scorse rapidamente, gettando un occhio a qualche titolo, poi li mise via. Erano tutte poesie. Marsh sospirò. «Tirate fuori i libri contabili, Signor Green, voglio darvi un’occhiata.»

«Sì, Capitano.» L’agente li cercò e li tirò fuori. Poi vide qualcos’altro, lo raccolse, e lo portò a Marsh con i libri mastri. «Oh,» disse. «Mi ero quasi dimenticato di questo.» Porse a Marsh un grosso pacco, avvolto da carta scura e spago. «Un piccoletto lo ha portato circa tre settimane fa, dicendo che sareste dovuto andare voi a prenderlo, ma che non vi eravate più fatto vivo. Gli dissi che vi trovavate ancora sul Fevre Dream e lo pagai. Spero di aver fatto bene.»

Abner Marsh guardò accigliato il pacco, spezzò lo spago con una torsione della nuda mano e strappò la carta per aprire la scatola. All’interno c’era una divisa nuova fiammante, candida come la neve che in inverno ammantava la riva del fiume, pura, immacolata, con una doppia fila di luccicanti bottoni d’argento, e con Fevre Dream scritto a lettere in rilievo su ogni dannato bottone. La tirò fuori e la scatola cadde sul pavimento e il Capitano Abner Marsh, improvvisamente, finalmente, cominciò a piangere.

«Uscite!» ruggì Marsh. L’agente gettò uno sguardo al viso di lui e se ne andò. Abner Marsh si alzò, indossò la giacca bianca e si abbottonò i bottoni d’argento. Gli andava a pennello. Era fresca, molto più leggera della pesante giacca blu che indossava. Non c’erano specchi nell’ufficio, così Marsh non poté vedere che aspetto aveva, ma poteva immaginarlo. Nella sua mente somigliava a Joshua York, appariva elegante, regale, sofisticato. La stoffa era così luminosamente bianca, pensò.

«Sembro il capitano del Fevre Dream,» disse ad alta voce. Batté con forza il bastone sul pavimento e sentì il sangue montargli alla testa. Rimase immobile ricordando come gli era apparso il battello tra le nebbie di New Albany. Ricordando il modo in cui gli specchi luccicavano, ricordando l’argento, il fischio selvaggio del vapore e i colpi del motore, sonori come tuoni. Ricordando come si erano lasciati dietro di gran lunga il Southerner, con quale facilità si erano bevuti il Mary Kaye. Ricordò anche la sua gente; Framm e le sue storie scatenate, Whitey Blake macchiato di grasso, Toby che ammazzava i polli, Mike il Peloso che sbraitava e imprecava contro gli scaricatori e i mozzi, Jeffers che giocava a scacchi, battendo Dan Albright per la centesima volta. Se Albright era così sveglio, come era possibile che non riuscisse mai a battere Jeffers a scacchi?

E Marsh ricordò in particolar modo Joshua, Joshua tutto in bianco, Joshua che sorbiva il suo liquore, Joshua seduto al buio che tesseva il suo sogno. Occhi grigi, mani forti e poesia. «Tutti noi facciamo le nostre scelte,» gli sussurrò la memoria. Il mattino giungeva e se n’andava — e ritornava senza recar mai giorno

«GREEN!» urlò Abner Mrash con tutto il fiato dei suoi polmoni.

La porta si aprì e l’agente ficcò la sua testa dentro nervosamente.

«Voglio il mio battello. Dove diavolo si trova?»

Green inghiottì. «Capitano, come vi ho detto, il Fevre Dream…»

«Non lui!» disse Marsh, battendo con forza il bastone per terra. «L’altro mio battello. Dove diavolo si trova l’altro, ora che ne ho bisogno?»

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