CAPITOLO SESTO

Alla Piantagione di Julian
LOUISIANA
Luglio 1857

Billy Tipton era fuori, davanti alla casa, e stava lanciando il coltello nel grande albero morto che fronteggiava il vialetto di ghiaia, quando i cavalieri si avvicinarono. Era mattina, ma il caldo era già infernale, e Billy la Serpe era già tutto sudato e meditava di andare a farsi un bel tuffo nel fiume non appena avesse finito con i suoi lanci. Poi vide i cavalieri emergere dal bosco, dove la vecchia strada si piegava in una curva a gomito. Andò presso l’albero rinsecchito ed estrasse il coltello, lo ripose nel fodero che portava dietro la schiena e dimenticò ogni proposito di tuffi e nuotate.

I cavalieri avanzavano molto lentamente, ma sfrontati, ritti in sella ed in pieno giorno come se stessero cavalcando sulla loro proprietà. Billy ne dedusse che non potevano essere di quelle parti; l’intero vicinato sapeva bene che Damon Julian non tollerava intrusioni nella sua proprietà senza il suo permesso. Mentre erano ancora troppo lontani per poterne distinguere i volti, si domandò se per caso non fossero amici creoli di Montreuil venuti a piantar grane. In tal caso, se ne sarebbero pentiti amaramente.

Poi Billy la Serpe capì perché avanzavano con tale lentezza, e si tranquillizzò. Due negri incatenati si trascinavano a fatica dietro i due uomini a cavallo. Incrociò le braccia e si appoggiò all’albero, aspettando che lo interpellassero.

Ed infatti, li vide tirare le briglie. Uno dei due uomini a cavallo guardò la casa, con la sua vernice scrostata e gli scalini mezzi fradici, sputò un mucchietto di tabacco masticato e si rivolse a Billy. «Questa è la piantagione dei Julian?» chiese. Era un pezzo d’uomo dal volto rubicondo e con una verruca sul naso; portava maleodoranti vestiti di cuoio ed un floscio cappello di feltro.

«Certo che lo è,» rispose Billy la Serpe senza guardarlo. I suoi occhi erano stati attratti altrove, oltre il cavaliere ed il suo compagno impastoiato, essi puntavano il giovinetto magro dalle guance rosee che probabilmente era il figlio del corpulento visitatore. Billy avanzò verso i due negri dall’aria sfinita, avviliti e miserandi nel giogo che li imprigionava, e sorrise. «Guarda, guarda,» disse, «siete proprio Lily e Sam. Chi l’avrebbe mai detto di rivedervi da queste parti. Saranno passati due anni da quando siete scappati. Mister Julian sarà felice di sapere che siete ritornati.»

Sam, un esemplare di grossa taglia dall’aspetto possente, sollevò la testa e fissò Billy la Serpe, ma nei suoi occhi non c’era sfida. Solo paura. «Li abbiamo beccati nell’Arkansas, io ed il mio figliolo,» disse l’uomo rosso in volto. «Volevano farci credere di essere negri liberi, ma non sono riusciti ad incantarmi neppure per un minuto, nossignore.»

Billy la Serpe guardò i cacciatori di schiavi ed annuì. «Continuate.»

«Erano terribilmente ostinati, questi due. Per un mucchio di tempo non sono riuscito a farmi dire da dove fossero fuggiti. Ci è voluta una buona dose di frustate e qualche altro trucchetto che so io. Di solito, con i negri, basta spaventarli un poco e quelli sputano il rospo. Ma con questi niente da fare.» Sputò. «Beh, alla fine siamo riusciti a cavarglielo di corpo. Fagli vedere, Jim.»

Il ragazzo smontò dalla sua cavalcatura, si avvicinò alla donna e le sollevò il braccio destro. La mano aveva tre dita mancanti. Uno dei monconi era ancora coperto da una crosta.

«Abbiamo cominciato con la destra perché ci siamo accorti che era mancina,» spiegò l’uomo. «Non volevamo rovinarla troppo, capite, ma non abbiamo trovato documenti, né altro, così…» Si strinse nelle spalle in maniera eloquente. «Arrivati al terzo dito, come vedete, l’uomo si è deciso a parlare. E la donna gli ha urlato addosso le bestemmie più feroci.» Sghignazzò. «Comunque sia, eccoli qui. Due schiavi come questi devono fruttarci una ricompensa per averli catturati. Questo Mister Julian è in casa?»

«No,» disse Billy la Serpe, alzando gli occhi verso il sole. Mancavano ancora un paio d’ore a mezzogiorno.

«Beh,» disse l’uomo dalla faccia rossa, «voi dovete essere il sorvegliante, giusto? Quello che chiamano Billy la Serpe?»

«Sono io,» confermò lui. «Sono stati Sam e Lily a parlarvi di me?»

Il cacciatore di schiavi rise di nuovo. «Oh, non la finivano più di parlare dopo che ci hanno detto da dove venivano. Hanno parlato per tutta la strada. Li abbiamo fatti azzittire un paio di volte, io e il mio figliolo, ma quelli ricominciavano. Certe storie, poi.»

Billy la Serpe guardò i due fuggiaschi con i suoi occhi freddi e malvagi, ma nessuno dei due incrociò il suo sguardo.

«Forse posso consegnare a voi questi due. Ci date la ricompensa che ci spetta e noi togliamo il disturbo,» disse l’uomo.

«No,» disse Billy Tipton. «Dovete aspettare. Mister Julian vorrà ringraziarvi personalmente. Non tarderà molto. Sarà di ritorno al tramonto.»

«Al tramonto, eh?» gli fece eco l’uomo. Poi lui e suo figlio si scambiarono un lungo sguardo. «È buffo, sapete, Mister Billy, ma questi due negri hanno giurato che voi ci avreste detto precisamente così. Ci hanno raccontato strane storie su quello che succede qui dopo il tramonto. Io e il mio figliolo preferiremmo prendere i soldi e andare, se per voi fa lo stesso.»

«Non sarà lo stesso per Mister Julian,» ribatté Billy. «E, oltretutto, io non sono autorizzato a darvi dei soldi. E così, siete disposti a credere alle baggianate che vi hanno raccontato una coppia di negri?»

L’uomo si accigliò, ed intanto masticava vigorosamente il suo tabacco. «Che i negri raccontino un mucchio di storie è anche vero,» disse infine, «ma ho conosciuto anche dei negri che una volta ogni tanto hanno detto la verità. Ora, quel che faremo, Mister Billy, è aspettare, come avete detto voi, che questo Mister Julian ritorni a casa. Ma non pensate che ci lasceremo ingannare.» Portava una pistola su di un fianco. Vi diede sopra delle pacche leggere. «Ci sarà quest’amica a farmi compagnia mentre aspetto, ed anche il mio ragazzo ne ha una, senza contare che ce la caviamo piuttosto bene con il coltello, tutti e due. Avete capito? Quéi due negri ci hanno detto tutto su quel coltellino che portate dietro la schiena, perciò, non fatevi venire in mente di allungare il braccio da quelle parti, che so, per farvi una grattatina, perché anche le nostre dita potrebbero cominciare a pruderci un poco. Stiamocene qui ad aspettare buoni buoni e resteremo amici.»

Billy la Serpe volse gli occhi verso il cacciatore di schiavi e lo fissò col suo sguardo glaciale, ma l’omaccione, stupido com’era, non lo notò neppure. «Aspetteremo dentro,» disse Billy, tenendo le mani in piena vista e ben lontane dalla schiena.

«Va bene,» acconsentì il cacciatore di schiavi. Smontò di cavallo. «A proposito, io mi chiamo Tom Johnston, e questo è mio figlio Jim.»

«A Mister Julian farà piacere conoscervi,» disse Billy.

«Legate i cavalli e portate dentro i negri. State attenti quando salite gli scalini, il legno è marcio in certi punti.»

La donna cominciò a piagnucolare mentre la conducevano verso la casa, ma Jim Johnston l’azzitti con un rapido schiocco di frusta direttamente sulla bocca.

Billy la Serpe li condusse nella biblioteca e tirò le pesanti tende per far sì che un po’ di luce trapelasse nella stanza immersa nella penombra e sepolta sotto una coltre di polvere. Gli schiavi si sedettero sul pavimento, mentre i due accalappiatori si abbandonarono sulle massicce poltrone di cuoio. «Oh! Adesso sì,» commentò Tom Johnston, «che si sta veramente bene.»

«È tutto fradicio e polveroso, papà,» disse il giovane. «Tale e quale a come ci hanno raccontato questi due negri.»

«Senti, senti,» disse Billy la Serpe, guardando i due alla catena. «Senti, senti. Mister Julian si dispiacerà quando saprà che avete sparlato della sua casa. Una bella frustata non ve la toglierà nessuno.»

Sam, lo stallone nero, trovò il coraggio di alzare il capo e guardarlo in cagnesco. «Le frustate non mi fanno paura.»

Billy la Serpe ricambiò con un sorrisetto appena accennato. «Beh, se è per questo, ci sono cose assai peggiori delle frustate, Sam. Eh sì, peggiori davvero.»

Per la schiava Lily, questo fu troppo. Guardò il giovane Johnston. «Sta dicendo la verità, padron Jim, la verità. Dovete dargli ascolto. Portateci fuori di qui prima che faccia buio. Voi e vostro padre sarete i nostri padroni, ci farete lavorare, lavoreremo sodo per voi, davvero. Non fuggiremo. Siamo buoni negri. Non saremmo mai scappati se… se non… non aspettate fino al tramonto, padroncino. Allora sarà troppo tardi.»

Il ragazzo la colpì, violentemente, col calcio della pistola, e le lasciò sulla guancia una brutta contusione. La violenza della percossa la scaraventò all’indietro sul tappeto dove giacque piagnucolando, il corpo scosso da brividi. «Chiudi quella boccaccia nera e bugiarda,» le disse.

«Vuoi bere qualcosa?» gli chiese Billy.

Le ore passarono. Consumarono quasi completamente due bottiglie del miglior brandy di Julian, scolandoselo come se fosse whiskey a buon mercato. Mangiarono. Parlarono. Billy la Serpe, quanto a sé, non chiacchierò granché, per lo più fece domande per cavare il massimo dalla bocca di Tom Johnston, ubriaco, vanitoso e innamorato della sua stessa voce. I cacciatori di schiavi, così pareva, provenivano da Napoleon, nell’Arkansas, ma con tutto il loro viaggiare non si fermavano molto nella loro regione d’origine. C’era anche una Signora Johnston, ma lei restava a casa con la figlia, e e non le dicevano molto dei loro affari. «Non c’è ragione perché una donna sappia dove va e dove non va un uomo. Basta che le dici una cosa, e guarda se non comincia a romperti le scatole se sei venuto tardi. Allora non ti resta che farla azzittire con un paio di sberle.» Sputò. «Tu lasciale sempre nell’incertezza e vedrai come saranno contente quando ti fai vedere.» Johnston lasciò Billy la Serpe con l’impressione che comunque trovasse più dilettevole montare giovani puledre negre, sicché star lontano da sua moglie non gli costava poi chissà quale sacrificio.

Fuori, intanto, il sole stava sprofondando nell’orizzonte di ponente.

Quando le ombre s’infittirono nella stanza,” Billy si alzò, tirò le tende ed accese alcune candele. «Vado incontro a Mister Julian,» annunziò.

Il giovane Johnston si rivolse a suo padre, dicendogli, «Papà, io non ho sentito nessun cavallo avvicinarsi.»

Billy lo guardò e gli sembrò terribilmente pallido.

«Aspettate,» disse, ed uscì dalla stanza. Attraversò la sala da ballo buia e deserta e salì la sontuosa scalinata. Quando fu di sopra, entrò in un’ampia camera da letto con le grandi portefinestre sprangate, il letto istoriato ammantato da un baldacchino di velluto nero. «Mister Julian,» chiamò dolcemente dalla porta. La stanza era indicibilmente buia e soffocante.

Qualcosa si mosse dietro il baldacchino. I drappi vellutati si scostarono e Damon Julian ne emerse; pallido, silenzioso, freddo. Gli occhi neri parvero trapassare quella picea tenebra e giungere fino a Billy, toccarlo. «Sì, Billy?» rispose la voce sommessa.

Billy la Serpe gli riferì ogni cosa.

Damon Julian sorrise. «Conducili nella sala da pranzo. Vi raggiungerò tra qualche minuto.»

Nella sala da pranzo vi era un enorme lampadario, molto vecchio, ma nei ricordi di Billy, esso non era mai stato acceso. Dopo che ebbe accompagnato i cacciatori di schiavi nella sala, trovò dei fiammiferi e ne accostò uno allo stoppino di una lampada ad olio che poggiò al centro di un lungo tavolo, sicché da essa s’irradiò un anello di luce che cinse la bianca tovaglia di lino, lasciando in ombra il resto della stretta stanza dal soffitto alto. Johnston padre e Johnston figlio presero posto, il giovane sbirciandosi intorno con palese disagio con la mano incollata alla pistola. I due negri si stringevano miserabilmente l’uno all’altra ad un capo del tavolo.

«Dov’è questo Julian?» grugnì Tom Johnston.

«Arriva subito, Tom,» disse Billy. «Aspettate.»

Per quasi dieci minuti nessuno parlò. Poi Jim Johnston mandò un sonoro singulto. «Papà,» disse, «guarda. C’è qualcuno laggiù, in piedi vicino a quella porta!»

La porta dava in cucina. Ed era buio pesto là dietro. Era ormai notte piena e la sola illuminazione in quell’ala della casa proveniva dal lume ad olio poggiato nel mezzo al tavolo. Oltre la porta della cucina non si vedeva nulla, se non delle vaghe ombre minacciose — e qualcosa i cui contorni ricordavano una forma umana, una sagoma ritta e immobile.

Lily ricominciò a piagnucolare ed il negro Sam le si strinse ancora più vicino. Tom Johnston si levò in piedi e la sedia sgraffiò rumorosamente il pavimento. Con il volto atteggiato in un’espressione arcigna, estrasse la pistola e ne sollevò la canna. «Chi è là?» domandò. «Vieni fuori!»

«Non c’è bisogno che vi allarmiate,» disse Damon Julian.

Tutti si volsero, e Johnston trasalì come se qualcuno gli avesse fatto prendere uno spavento. Julian stava in piedi nel vano della porta che dava accesso al foyer. La sua figura si stagliava nell’oscurità, ed egli, vestito di un abito nero dalla lunga marsina con una cravatta di seta rossa che gli scintillava al collo, esibiva il suo sorriso pregno di un fascino accattivante. Il lucore della lampada si specchiava nei suoi occhi ed il riverbero li mostrava oscuri e divertiti. «È solo Valerie,» disse Julian.

Accompagnata dal fruscio delle sottane, ella emerse dal buio e sostò sulla soglia della porta della cucina, pallida e silente, eppure ancor dotata di stupefacente bellezza. Johnston la guardò e rise. «Ah,» disse, «solo una donna. Scusatemi, Mister Julian. Le ciarle di quei negri mi hanno messo in tensione.»

«Comprendo perfettamente,» disse Damon Julian.

«Ci sono degli altri dietro di lui,» bisbigliò Jim Johnston. Ora li videro tutti; oscure sagome indistinte, confuse nell’oscurità alle spalle di Julian.

«Sono solo i miei amici,» disse Damon Julian, sorridendo. Una donna con una veste azzurra emerse alla sua destra. «Cynthia,» la presentò. Un’altra donna, in verde, gli stava a sinistra. «Adrienne,» soggiunse Julian. Sollevò il braccio in un gesto languido e svogliato. «E questi sono Raymond, Jean e Kurt.» I tre si fecero avanti simultaneamente con la silente agilità dei gatti, emergendo da altre porte che si succedeveno nella lunga sala. «Ed ecco Alain, Jorge e Vincent dietro di voi.»

Johnston si voltò di soprassalto, ed essi erano lì, che avanzavano dalle ombre. Altri ancora apparvero alla vista dietro Julian. A parte il sussurrare della stoffa che strusciava contro altra stoffa, nessun suono giungeva da loro mentre si muovevano. E tutti fissavano davanti a sé, e sorridevano in maniera invitante.

Billy non sorrideva, benché lo divertisse immensamente il modo in cui Tom Johnston stringeva la pistola e scoccava intorno a sé sguardi febbrili al pari di un animale spaventato. «Mister Julian,» disse, «ho il dovere di dirvi che Mister Johnston qui presente non intende essere ingannato. Ha una pistola, Mister Julian, ed anche suo figlio ce l’ha, e tutti e due sanno usare bene il coltello.»

«Ah,» fece Damon Julian.

I negri incominciarono a pregare. Il giovane Jim Johnston guardò Damon Julian ed estrasse anche lui la pistola. «Vi abbiamo portato i vostri negri,» disse. «Non vogliamo neppure disturbarvi per avere una ricompensa. Ce ne andiamo e basta.»

«Andare?» disse Julian. «Possibile che io vi lasci andare senza una ricompensa? Dopo che avete fatto tutta questa strada fin dall’Arkansas solo per riportarmi un paio di negri? Non sia mai.» Attraversò la stanza. Jim Johnston, rapito dalla tenebra di quegli occhi, sollevò la pistola e non si mosse. Julian gliela tolse di mano e la depose sul tavolo. Toccò la guancia del giovane. «Sotto questa sporcizia sei un bel ragazzo,» disse.

«Cosa state facendo a mio figlio?» sbottò Tom Johnston. «State lontano da lui!» La canna della pistola si agitò minacciosamente.

Damon Julian si guardò attorno. «Tuo figlio possiede una rozza bellezza,» disse. «Tu, invece, hai un porro.»

«Lui è un porro,» suggerì Billy Tipton.

Tom Johnston mandò dagli occhi lampi infuocati e Damon Julian sorrise. «Davvero,» approvò. «Divertente, Billy.» Julian rivolse un cenno a Valerie e Adrienne. Entrambe avanzarono silenziosamente verso il giovane e ciascuna lo prese per un braccio.

«Vi occorre aiuto?» si offrì Billy.

«No,» rispose Julian, «grazie.» Con un gesto aggraziato, quasi casuale, sollevò la mano e la posò delicatamente sul lungo collo del ragazzo. Jim Johnston emise un suono liquido, soffocante. Una sottile riga rossa gl’imporporò improvvisamente la gola, una collanina scarlatta le cui perle dal fulgore vermiglio si dilatavano sotto gli occhi dei presenti, per poi esplodere una per una disegnando rivoletti lungo il suo collo. Jim Johnston tentò di divincolarsi, ma l’abbraccio ferreo delle due pallide dame lo costringeva all’immobilità. Damon Julian si sporse in avanti e premette la bocca aperta sul flusso scarlatto per accogliere il sangue vivido e caldo.

Un suono animalesco, incoerente, scaturì dalle profondità toraciche di Tom Johnston, che reagì a quella visione con una lentezza inverosimile. Finalmente sollevò la canna della pistola e mirò. Alain si pose nella sua traiettoria, e d’improvviso Vincent e Jean gli furono accanto, e Raymond e Cynthia lo toccarono da tergo con mani bianche e fredde. Johnston sputò imprecazioni contro di loro e fece fuoco. Un lampo ed un alito di fumo dall’odore pungente, ed Alain, sottile come un filo d’erba, barcollò all’indietro e cadde, abbattuto dalla forza del proiettile. Un fiotto di sangue bruno trapelò dalla camicia bianca merlettata che aveva indosso. Semisdraiato sul pavimento, Alain si toccò il petto e la mano si tinse di sangue.

Ora Raymond e Cynthia avevano imprigionato Johnston nella loro morsa possente e Jean gli tolse la pistola dalla mano con una mossa agile e disinvolta. L’omaccione dalla faccia rossa non oppose resistenza. I suoi occhi erano fissi su Alain. Il flusso emorragico era cessato. Alain sorrise, snudando denti lunghi e candidi, terribili e affilati. Si alzò e gli si avvicinò. «No,» gridò Johnston, «no, io ti ho sparato, devi essere morto, ti ho sparato.»

«A volte i negri dicono la verità, Mister Johnston,» disse Billy Tipton la Serpe. «La pura verità. Dovevi dargli ascolto.»

Raymond allungò una mano fin sotto il cappello floscio di Johnston e guadagnò una salda presa dei suoi capelli. Un violento strattone e Johnston fu costretto a reclinare il capo all’indietro esponendo in bella vista il collo grosso e rosso. Alain rise e affondò i denti nella gola di Johnston lacerandone la carne. Poi gli altri si strinsero intorno a lui. Billy Tipton allungò una mano dietro la schiena ed estrasse il coltello, si affrettò quindi verso i due negri. «Forza,» disse, «stasera Mister Julian non ha bisogno di voi, ma state certi che non fuggirete più. Giù. in cantina. Forza, spicciatevi, se non volete che vi lasci con loro.» Ciò li spronò a muoversi all’istante, come Billy aveva previsto.

La cantina era piccola e fetida di rancido. Per accedervi bisognava infilarsi in una botola nascosta sotto un tappeto. La terra intorno era troppo umida perché potessere funzionare effettivamente da cantina. Ma questa non era una cantina vera e propria. Cinque centimetri di acqua stagnante ricoprivano il pavimento, il soffitto era così basso che un uomo non poteva starci ritto, e le pareti erano verdi di muffa. Billy incantenò i negri per bene, abbastanza vicini da toccarsi. E ciò gli parve una gentilezza da parte sua. Portò loro anche un pasto caldo.

Lui mangiò dopo ed annaffiò la sua cena con ciò ch’era rimasto della seconda bottiglia di brandy che avevano aperto i Johnston. Aveva quasi finito quando Alain entrò in cucina. Il sangue si era seccato sulla camicia ed un buco nero e bruciacchiato era rimasto là dove il proiettile lo aveva trapassato. A parte ciò, l’incidente non aveva avuto altre conseguenze sulla sua persona. «Abbiamo finito,» disse Alain a Billy. «Julian vuole che lo raggiunga nella biblioteca.»

Billy la Serpe spinse via il piatto e andò immediatamente da colui che lo aveva convocato. La sala da pranzo necessitava di una pulizia radicale, lo notò mentre l’attraversava. Nel cupo silenzio che vi regnava, Adrienne, Kurt e Armand degustavano calici di vino — i corpi, o ciò che di essi era avanzato, giacevano a pochi metri da loro. Qualcun altro era nel salotto, a conversare.

Nella biblioteca era buio pesto. Billy pensava di trovarvi Damon Julian da solo, invece, quando entrò, scorse tre figure indistinte confuse tra le ombre, due sedute, una in piedi. Non riuscì a capire chi fossero. Aspettò sulla soglia finché Julian non parlò. «In futuro non portare mai più gente simile nella mia biblioteca,» disse infine la voce. «Erano lerci. Hanno lasciato un lezzo ripugnante.»

Una breve fitta di paura pugnalò Billy. «Sì, signore,» disse, fronteggiando la poltrona da cui Julian aveva parlato. «Vi chiedo scusa, Mister Julian.»

Dopo un attimo di silenzio, Julian disse, «Chiudi la porta, Billy. Entra. Puoi accendere la lampada.»

Una rossa vernice sgargiante imporporava il paralume di vetro; e la fiamma che vi ardeva soffondeva nella stanza polverosa la tinta rugginosa del sangue secco. Damon Julian sedeva su una sedia dall’alto schienale, le dita lunghe e delicate congiunte a guglia sotto il mento, le labbra atteggiate ad un fievole sorriso. Valerie sedeva alla sua destra. La manica della veste si era strappata nella foga della colluttazione, ma non pareva essersene accorta. Agli occhi di Billy essa apparve ancor più pallida del solito. Qualche metro più in là c’era Jean, in piedi dietro un’altra sedia, e con aria nervosa e circospetta tormentava il grosso anello d’oro che portava al dito.

«È proprio necessario che lui stia qui?» chiese Valerie rivolgendosi a Julian. Gettò quindi una fulminea occhiata a Billy, e dai grandi occhi purpurei sgorgò un fiotto di disprezzo.

«Sai, Valerie,» replicò Julian, e le prese la mano. Essa tremò e serrò le labbra strettamente. «Ho fatto venire qui Billy per rassicurarti,» continuò Julian.

Jean radunò tutto il suo coraggio e fissò Billy la Serpe dritto in faccia, accigliandosi. «Questo Johnston aveva una moglie.»

Difatti l’aveva, pensò Billy. «Vi spaventa l’idea?» chiese a Jean in tono beffardo. Jean non era uno dei favoriti di Julian, cosicché poteva schernirlo senza correre rischi. «Aveva una moglie,» disse Billy, «ma non c’è da preoccuparsene. Non le parlava mai molto del suo lavoro, non le diceva mai dove stesse andando né quando sarebbe tornato. Quella donna non verrà a darvi la caccia.»

«Questa storia non mi piace, Damon,» mugugnò Jean.

«Quanto agli schiavi?» domandò Valerie. «Sono stati via due anni. Hanno raccontato delle cose ai Johnston, cose pericolose. Devono aver parlato anche con altra gente.»

«Billy?» incalzò Julian.

Billy la Serpe si strinse nelle spalle. «Immagino che abbiano spifferato tutto quanto ad ogni negro che hanno incontrato da qui all’Arkansas,» disse. «Ma la cosa non mi preoccupa per niente. Frottole di negri, nessuno vi darà credito.»

«Chissà,» fece Valerie. Si rivolse quindi a Damon Julian con voce supplice. «Damon, ti prego. Jean ha ragione. Stiamo qui da troppo tempo. È pericoloso. Ricordi cosa fecero a quella donna, a quella Lalaurie di New Orleans, quella che torturava i suoi schiavi per provarne piacere? Col passare del tempo si venne a sapere, e quel che faceva lei non era nulla al confronto…» Esitò, inghiottì ed aggiunse, sommessamente, «delle cose che facciamo noi. Le cose che dobbiamo fare.» Distolse il viso da quello di Julian.

Lentamente, dolcemente, Julian protese una mano bianca, le toccò la guancia; un dito scivolò lungo un lato del viso sfiorandolo in una tenera carezza, poi la mano si chiuse delicatamente sotto il suo mento e glielo sollevò per far sì che lei lo guardasse a viso aperto. «Sei dunque così timorosa adesso, Valerie? Devo rammentarti chi sei? Hai di nuovo dato ascolto alle ciarle di Jean? È lui il tuo Signore adesso? È lui il Signore del Sangue?»

«No,» rispose lei, i profondi occhi violetti più grandi che mai, la voce tremula di paura. «No.»

«Chi è il Signore del Sangue, mia diletta Valerie?» le chiese Julian. I suoi occhi gravidi la lambirono per poi penetrare direttamente in lei.

«Sei tu, Damon,» sussurrò. «Tu.»

«Guardami, Valerie. Credi davvero ch’io debba temere le storie messe in giro da una coppia di luridi schiavi? Che m’importa cosa dicono di me?»

Valerie aprì la bocca. Nessuna parola ne sortì.

Soddisfatto, Damon Julian abbandonò la presa. Profondi segni rossi le marchiavano la carne là dove le sue dita avevano premuto. Sorrise a Billy mentre Valerie si tirava indietro.

«Tu cosa ne pensi, Billy?»

Billy Tipton abbassò gli occhi a terra e strascicò nervosamente i piedi. Sapeva bene cos’avrebbe dovuto dirgli, ultimamente vi aveva ragionato sopra, e c’erano cose che avrebbe dovuto dire a Julian ma che Julian non avrebbe gradito ascoltare. E così aveva rinunciato, ma ora non gli sembrò che avesse molte possibilità di scelta. «Non lo so, Mister Julian,» rispose flebilmente.

«Non lo sai, Billy? Cos’è che non sai?» Il tono era freddo e vagamente minaccioso.

Al che Billy, superata ogni esitazione, si lanciò nella esposizione delle sue considerazioni. «Non lo so quanto ancora potremo andare avanti, Mister Julian,» disse con audacia. «Ci ho pensato su parecchio, e ci sono cose che non mi garbano. Questa piantagione fruttava un mucchio di quattrini quando c’era Garoux a governarla, ma adesso non vale un soldo. Voi sapete se io sono capace di cavar lavoro dai negri, dannazione se non lo so fare, ma da ciò che è morto o abbandonato non posso far fruttare un bel niente. Quando voi e i vostri amici cominciaste a prendere i ragazzini dalle capanne o a ordinare che vi portassi delle ragazze negre su in casa per non uscirne mai più, ecco, quello fu il principio dei nostri guai. È più di un anno ormai che non avete più schiavi, tranne quelle ragazze da letto, e quelle di certo non si vedono a lungo in giro.» Sbottò in un riso nervoso. «Non abbiamo più visto l’ombra di un raccolto. Abbiamo venduto metà della piantagione, tutti i lotti migliori. E quelle meticce da letto, Mister Julian, quelle costano. Siamo in una situazione finanziaria catastrofica.

«E questo non è tutto. Prendere i negri è un conto, ma usare gente bianca per placare la sete, questo è assai pericoloso. Forse a New Orleans non si corrono grossi rischi, ma io e voi sappiamo che fu Cara ad uccidere il figlio minore di Henri Cassand. Si tratta di un nostro confinante, Mister Julian. Tutto il vicinato sa che c’è qualcosa di strano in questa proprietà, manca solo che i loro schiavi e i loro figli comincino a morire e per noi saranno guai seri.»

«Guai?» disse Damon Julian. «Siamo forti di venti elementi, e ci sei tu. Cosa può farci quella sporca mandria?»

«Mister Julian,» disse Billy, «e se venissero di giorno?»

«Non accadrà,» disse Julian accompagnando le parole con un gesto casuale, «se dovesse accadere, allora li serviremo come meritano.»

Billy la Serpe fece una smorfia di disappunto. Julian poteva permettersi di non preoccuparsi, dopotutto i rischi maggiori era lui a correrli. «Io penso che forse Valerie ha ragione, Mister Julian,» disse con aria afflitta. «Credo che dovremmo andare da qualche altra parte. Abbiamo esaurito questo posto. È pericoloso rimanerci.»

«Io ci sto bene qui, Billy,» disse Julian. «Quella marmaglia mi dà nutrimento, perché dovrei fuggirne?»

«I soldi, allora. Dove troveremo il danaro per mantenerci?»

«I nostri ospiti hanno lasciato dei cavalli. Domani portali a New Orleans e vendili. Potresti anche vendere un altro pezzo di terra. Neville di Bayou Cross sarà felice di acquistare ancora. Prova a sentirlo, Billy.» Julian sorrise. «Potresti addirittura invitarlo a cena, per discuterne. Chiedigli di portare con sé la sua adorabile mogliettina e quel loro figlio tanto giovane e delicato. Sam e Lily serviranno a tavola. Sarà tutto uguale a prima, quando gli schiavi non erano fuggiti.»

Stava scherzando; non poteva essere altrimenti. Ma non bisognava mai commettere l’errore di prendere alla leggera le parole di Julian. «La casa,» obiettò Billy. «Verranno qui a mangiare e vedranno in quale stato pietoso è ridotta. È rischioso. Quando se ne andranno racconteranno quel che avranno visto.»

«Se se ne andranno, Billy.»

«Damon,» disse Jean con voce stentata, «non puoi dire sul serio…»

Nella stanza cupa intrisa di quel lucore vermiglio l’atmosfera era rovente. Billy cominciò a sudare. «Neville è — vi prego Mister Julian, non potete prendervi Neville. Non potete continuare a prendere la gente di qui e a comprarvi belle ragazze al mercato degli schiavi.»

«Una volta tanto la tua creatura ha ragione,» interloquì Valerie in un filo di voce. «Dagli ascolto.» Anche Jean approvava con cenni del capo, avere altri schierati dalla sua parte lo aveva reso più audace.

«Perché non vendere l’intera baracca?» suggerì Billy. «Ormai la proprietà cade a pezzi. Ci trasferiamo a New Orleans, tutti quanti. Laggiù le cose dovrebbero andar meglio. Con tutti quei creoli e negri liberi, per non parlare dell’accozzaglia che bazzica sul fiume, chi volete che s’accorga se qualcuno sparisce dalla circolazione?»

«No,» disse Damon Julian. E fu glaciale. La sua voce disse loro che non avrebbe tollerato ulteriori discussioni. Billy s’azzitti all’istante. Jean ricominciò a giocherellare con l’anello, la bocca arcuata da un’espressione di cupa amarezza e di timore.

Ma Valerie, sbalorditivamente, prese la parola. «Andiamocene noi, allora.»

Julian girò il capo languidamente. «Noi?»

«Io e Jean,» fece lei. «Mandaci via. Sarà… meglio. Lo sarà anche per te. È meno rischioso quando siamo in pochi. Le tue ragazze da letto dureranno di più.»

«Mandarti via, mia cara Valerie? Oh, ma mi mancheresti terribilmente. E sarei anche in pena per te. Dove andresti mai, mi chiedo?»

«Da qualche parte. Ovunque.»

«Speri ancora di trovare la tua Città Oscura in una grotta?» le disse Julian, schernendola. «La tua fede è commovente, bambina. Hai forse scambiato il povero Jean, così debole e gracile, per il tuo pallido Re?»

«No,» disse Valerie. «No. Ciò che vogliamo è la pace, la tranquillità. Ti prego, Damon. Se restiamo tutti qui, ci scopriranno, ci perseguiteranno, ci uccideranno. Lasciaci andare.»

«Tu sei così bella, Valerie. Così deliziosa.»

«Ti supplico,» disse lei, tremando. «Lontano. La pace.»

«Povera piccola Valerie,» disse Julian. «Non esiste pace. Ovunque tu vada, la tua sete viaggerà con te. No, tu rimarrai.»

«Ti supplico,» ripeté lei, pervasa da una sorta di torpore che la stordiva. «Mio Signore del Sangue.»

Gli occhi oscuri di Damon Julian si socchiusero appena, e il sorriso si spense. «Se brami tanto andartene, forse ti darò ciò che chiedi.»

Valerie e Jean lo guardarono con occhi carichi di speranza.

«Forse dovrei lasciarti andare,» rifletté Julian. «Sì, tutti e due. Ma non insieme, no. Tu sei così bella, Valerie. Jean è poco per te, meriti di meglio. Cosa ne pensi, Billy?»

Billy fece un sorrisetto malizioso. «Mandateli via tutti, Mister Julian. Non avete bisogno di nessuno di loro. Avete me. Mandateli via, così vedranno come sarà starsene da soli.»

«Interessante,» disse Damon Julian. «Ci penserò sopra. Adesso lasciatemi solo, tutti quanti. Billy, tu vai a vendere i cavalli. Senti cosa dice Neville a proposito del terreno.»

«Senza invitarlo a pranzo?» chiese Billy con sollievo.

«No,» rispose Julian.

Billy fu l’ultimo a raggiugere la porta. Dietro di lui Julian soffiò sulla lampada ed il buio inondò la stanza. Ma Billy esitò sulla soglia, poi tornò a voltarsi.

«Mister Julian,» disse, «la vostra promessa — sono passati degli anni ormai. Quando?»

«Quando non avrò bisogno di te, Billy. Di giorno tu sei i miei occhi. Tu fai le cose che io non posso fare. Come potrei fare a meno di te adesso? Ma non temere. Non dovrai aspettare a lungo. E quando sarai uno dei nostri il tempo non avrà per te alcun senso. Gli anni e i giorni sono la medesima cosa per chi possiede la vita eterna.» La promessa colmò Billy di rassicurazione. Uscì per eseguire i compiti affidatigli da Julian.

Quella notte sognò. Nei suoi sogni si vedeva bello e tenebroso al pari di Julian, elegante e predace. Era sempre notte nei suoi sogni, e vagabondava per le strade di New Orleans sotto il pallido plenilunio. Lo guardavano passare dalle finestre e dai piccoli balconi di ferro riccamente decorati, e si sentiva quegli occhi addosso, gli uomini sgomenti dal terrore, le donne attratte dal suo potere oscuro. Si avvicinava furtivamente ad essi nell’oscurità, scivolando muto sui marciapiedi lastricati di mattoni, sentiva il frenetico trepestio, il loro ansimare. Sotto il fuoco oscillante di una lampada ad olio appesa ad un filo, afferrò un giovane damerino e gli squartò la gola, ridendo. Una focosa bellezza creola lo guardò di lontano, e lui la seguì, dandole la caccia lungo i vicoli e i cortili mentre ella fuggiva davanti a lui. Infine, in una corte rischiarata da una fiaccola di ferro battuto, la bella si voltò a guardarlo. Somigliava un poco a Valerie. I suoi occhi erano violetti e ardenti di fuoco. La raggiunse, la sospinse all’indietro e la prese. Il sangue creolo era caldo e ricco al pari dei cibi creoli. La notte era sua, e tutte le notti, per sempre, e la Sete Rossa era in lui.

Quando si destò dal sogno, era caldo, febbricitante, e le lenzuola erano bagnate.

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