CAPITOLO VENTOTTESIMO

Sul FIUME MISSISSIPPI
Ottobre 1857

Abner Marsh non aveva più remato su una lancia da perlustrazione da almeno vent’anni. Con lui e Toby soltanto ai remi, era un lavoro dannatamente duro, anche se avevano la corrente a favore. Le braccia e la schiena cominciarono a dolergli dopo la prima mezz’ora. Marsh grugnì, ma continuò a remare. Il Fevre Dream era ormai fuori vista, svanito dietro di loro. Il sole saliva lentamente nel cielo, e il fiume si era enormemente allargato. Sembrava aver raggiunto quasi un miglio di ampiezza.

«Fa male,» disse Valerie.

«Copritevi,» la invitò Joshua York.

«Sto bruciando,» insisté Valerie. «Non avrei mai immaginato che fosse così.» Alzò lo sguardo verso il sole e immediatamente lo distolse, come fosse stata colpita da qualcosa. Marsh si allarmò per il rossore vivido del suo viso. Joshua York fece per avvicinarsi a lei, ma improvvisamente si fermò, restando immobile. Mise una mano sulla fronte e tirò un respiro deliberatamente lento. Poi, con cautela, si fece più vicino. «Sedetevi al riparo della mia ombra,» disse. «E toglietevi il cappello.» Valerie si rannicchiò sul fondo della scialuppa, praticamente in grembo a Joshua. Questi si chinò e chiuse con cura il collo della giacca di lei in un modo stranamente tenero, poi posò la mano sulla nuca di Valerie.

In quella parte del fiume, notò Marsh, le sponde erano state disboscate, tranne per un’occasionale fila di alberelli ornamentali. Invece, c’erano campi coltivati con cura su entrambi i lati, una distesa piatta e senza fine, interrotta qui e là dallo splendore di una grande residenza di piantatori in stile neo-classico, con la sua cupola che dominava il fiume ampio e tranquillo. Più avanti, sulla sponda occidentale, un mucchio di bagasse fumanti, gli scarti degli steli della canna da zucchero, produceva una colonna di acre fumo grigio. La pila era grande quanto una casa; il fumo si diffondeva come un velo sul fiume. Marsh non vide le fiamme. «Forse dovremmo fermarci,» disse a Joshua. «Ci sono delle piantagioni qui intorno.» Joshua aveva chiuso gli occhi. Li riaprì quando Marsh parlò.

«No,» disse. «Siamo troppo vicini. Dobbiamo mettere più distanza tra noi e loro. Billy forse ci sta seguendo a piedi lungo la riva, e quando scenderà la notte…» Non terminò la frase. Abner Marsh grugniva e remava. Joshua richiuse gli occhi, e si calcò ancor più in testa il cappello dall’ampia tesa.

Per più di un’ora navigarono lungo il fiume in silenzio, gli unici suoni erano i tonfi dei remi nell’acqua e il canto di un uccello di passaggio. Toby Lanyard e Abner Marsh remavano, mentre Joshua e Valerie erano stretti l’uno all’altra come se stessero dormendo, e Karl Framm era sdraiato in modo scomposto sotto una coperta. Il sole continuò a salire. Era una giornata fredda, ventosa, ma luminosa. Marsh fu grato alle piantagioni e al mucchio di bagasse fumanti lungo le sponde del fiume, poiché la sottile cortina grigia che si innalzava dai loro fuochi forniva l’unica ombra disponibile per la gente della notte. Una volta, Valerie urlò, come se stesse soffrendo terribilmente. Joshua aprì gli occhi e si chinò su di lei; le carezzò i lunghi capelli neri e le parlò sottovoce. Valerie piagnucolò. «Ho creduto che tu fossi il Re, Joshua, il Re pallido. Ho creduto che fossi venuto per cambiare tutto, per riportaci a casa.» Il suo corpo tremava, mentre cercava di parlare. «La città, mio padre mi parlò della città. È qui, Joshua, la città oscura?»

«Calmatevi,» disse Joshua York. «Calmatevi. Vi indebolite.»

«Ma è qui? Credevo che ci avresti riportati a casa, caro Joshua. L’ho sognato, davvero. Ero così stanca di tutto. Ho creduto che fossi venuto per salvarci.»

«Calma,» disse Joshua. Stava cercando di farsi forza, ma la sua voce era triste e debole.

«Il Re pallido,» sussurrò Valerie. «Venuto per salvarci. Ho creduto che fossi venuto per salvarci.»

Joshua York la baciò delicatamente sulle labbra gonfie, piene di vescichette. «Così ho fatto,» disse amaramente Joshua. Poi premette le sue dita sulla bocca di lei per calmarla, e chiuse di nuovo gli occhi.

Abner Marsh remava, mentre il fiume scorreva sotto di loro, e il sole picchiava sulle loro teste e il vento soffiava cenere e fumo sull’acqua. Un tizzone gli andò in qualche modo a finire in un occhio, e Marsh bestemmiò e si sfregò l’occhio fin quando questo diventò rosso e gonfio e smise di lacrimare. Ormai, gli doleva tutto il corpo.

Dopo due ore di navigazione, Joshua iniziò a parlare, senza mai aprire gli occhi, con voce rauca per il dolore. «È pazzo, sapete,» disse. «È così. Mi ha preso, notte dopo notte. Il Re pallido, sì, l’ho pensato, ho pensato di esserlo… ma Julian mi ha sconfitto, volta dopo volta, e io mi sono sottomesso. I suoi occhi, Abner, voi avete visto quegli occhi. Oscurità, quale oscurità. Tenebre antichissime vi si celano. Ho creduto fosse perfido, forte e intelligente. Ma ho imparato che non era così. Julian non è… Abner, è pazzo, veramente pazzo. Una volta, deve essere stato tutto quello che io pensavo fosse, ma ora… è come se dormisse. A volte, si sveglia, per poco, e si percepisce cosa deve essere stato. L’avete visto, Abner, la sera a cena, avete visto Julian, disteso, sveglio. Ma la maggior parte del tempo… Abner, non si interessa al battello, al fiume, alla gente, alle cose che gli accadono intorno. È Billy la Serpe che comanda il Fevre Dream, che escogita i piani che tengono al sicuro la mia gente. Raramente Julian dà ordini, e quando lo fa sono arbitrari, addirittura stupidi. Non legge, non parla, non gioca a scacchi. Mangia con indifferenza. Penso che non lo gusti il cibo. Da quando si è impadronito del Fevre Dream, è come se Julian fosse piombato in sogno oscuro. Trascorre la maggior parte del suo tempo in cabina, al buio, da solo. Era Billy che spiava il battello che ci seguiva, non Julian.

«All’inizio, ho creduto che fosse malvagio, un re oscuro che avrebbe condotto il suo popolo alla rovina, ma osservandolo… egli è già in rovina, svuotato, svilito. Si nutre con la vita del vostro popolo perché in lui non c’è vita, né possiede un nome che sia veramente suo. Una volta mi sono chiesto a cosa pensasse, da solo, durante quei giorni e quelle notti trascorsi nell’oscurità. Adesso so che non pensa affatto. Forse sogna. Se è così, penso che sogni la morte, o la fine. Dimora in quella sua buia e vuota cabina come se fosse una tomba, e ne esce soltanto all’odore del sangue. E le cose che fa… è più che imprudenza. Anela alla distruzione, alla rivelazione. Deve desiderare la fine, il riposo, credo. È vecchio. Quanto deve essere stanco.»

«Mi ha proposto un accordo,» disse Abner Marsh. E senza interrompere il ritmo del suo faticoso remare, Marsh raccontò la conversazione avuta con Damon Julian.

«Avevate ragione per metà,» disse Joshua quando Marsh ebbe finito di parlare. «Sì, gli sarebbe piaciuto corrompervi, per schernirmi. Ma questo non era tutto. Potevate accettare l’accordo, ma non mantenerlo mai. Potevate mentirgli, e aspettare un’occasione buona per cercare di ucciderlo. Penso che Julian lo sapesse. Portandovi a bordo, giocava con la sua morte.»

Marsh sbuffò. «Se proprio vuole morire, potrebbe impegnarsi un po’ di più.»

Joshua aprì gli occhi. Erano piccoli e spenti. «Quando il pericolo è reale e immediato, lei lo sveglia. La Bestia che è in lui… è vecchia, irragionevole e stanca, ma quando si sveglia lotta disperatamente per sopravvivere… è forte, Abner. È antica.» Joshua sorrise debolmente, un sorriso amaro, privo di allegria. «Dopo quella notte… dopo che tutto andò storto… mi sono chiesto, più e più volte, come poteva essere accaduto. Julian aveva bevuto un bicchiere pieno del mio… mio elisir… sarebbe dovuto bastare, avrebbe dovuto spegnere la Sete, avrebbe dovuto… non capivo… aveva sempre funzionato prima, sempre, ma non con Julian, no… non con lui. All’inizio, ho pensato che fosse per la sua forza, il suo potere, il male. Poi… poi una notte lesse quest’interrogativo nei miei occhi, rise, e me lo disse. Abner, vi ricordate… quando vi ho raccontato la mia storia… vi ricordate, vi dissi che, quando ero molto giovane, non ero dominato dalla sete.»

«Sì.»

Joshua assentì debolmente. La pelle del viso era tesa, rossa e arrossata. «Julian è vecchio, Abner, vecchio. La Sete… non provava la Sete da anni… centinaia, migliaia di… anni… ecco perché l’elisir… non aveva fatto effetto. Non l’avevo mai saputo, nessuno di noi lo sapeva. Si può sopravvivere alla Sete, e lui… lui non aveva sete… ma si nutriva perché aveva scelto di farlo, a causa delle cose che disse quella notte, vi ricordate, forza e debolezza, padroni e schiavi, tutte le cose che disse. A volte penso… che la sua umanità sia una maschera… è soltanto un vecchio animale, così vecchio che ha perfino perso il gusto del cibo, ma caccia senza ragione, perché è tutto quello che ricorda, tutto quello che è, la Bestia. Le leggende della vostra razza, Abner, le vostre storie sui vampiri… i morti viventi, i non morti, noi portiamo quei nomi nelle vostre storie. Julian… credo che per Julian sia la verità. Perfino la Sete l’ha abbandonato. Un non morto. Freddo, vuoto, non morto.»

Abner Marsh stava cercando di ideare un commento che desse conto della sua volontà di cancellare il «non» dalla descrizione che Joshua aveva dato di Damon Julian, quando Valerie, improvvisamente, fulmineamente, si rizzò a sedere sulla scialuppa. Marsh susultò, e rimase immobile con il remo a mezz’aria. Sotto il cappello a cencio di feltro, la pelle di Valerie era simile ad una ferita aperta, tesa e coperta di vesciche, con un colore che andava dal rosso al porpora scuro e screziato, tipico di una contusione sanguinante. Le labbra erano spaccate, ed erano contratte in un ghigno insano che mostrava i suoi lunghi denti bianchi. Il bianco aveva ingoiato il resto dei suoi occhi, cosicché Valerie appariva cieca e pazza. «Fa male!» urlò, sollevando sulla testa le braccia rosse come chele d’aragosta, nel tentativo di bloccare il sole. Poi, i suoi occhi percorsero con uno sguardo fulmineo l’intera scialuppa, e si soffermarono sulla figura di Karl Framm che respirava debolmente. Valerie si lanciò scompostamente su di lui, con la bocca aperta.

«No!» gridò Joshua York. Si gettò su di lei, e la scaraventò da parte prima che i suoi denti potessero avvicinarsi alla gola di Framm. Valerie lottò come una furia, e urlò. Joshua la tenne saldamente. I denti di Valerie si chiusero di scatto, ancora e ancora, fin quando non morse le sue stesse labbra. Dalla bocca gocciolò una schiuma di sangue e saliva. Ma qualunque resistenza potesse opporre, tuttavia, Joshua era troppo per lei. Infine, ogni vitalità sembrò abbandonarla. Ricadde pesantemente all’indietro, fissando il sole con i suoi occhi bianchi e ciechi.

Joshua la cullò tra le braccia, disperato. «Abner,» disse. «La cima. Sotto di essa. L’ho nascosta la notte scorsa quando sono venuti a cercarvi. Vi prego, Abner.»

Marsh smise di remare e raggiunse la sagola, lunga dieci metri e utilizzata per i rilevamenti, con un tubo riempito di piombo all’estremità. Sotto le sue spire, Marsh trovò ciò che Joshua desiderava; una bottiglia di vino priva di etichetta, piena per più di tre quarti. La passò a York che la sturò e la portò alle labbra gonfie e screpolate di Valerie. Il liquore le gocciolò lungo il mento e la maggior parte di esso le bagnò la camicia, ma Joshua riuscì a versargliene un po’ in bocca. L’elisir sembrò esserle di aiuto. Improvvisamente, ella iniziò a succhiare avidamente dalla bottiglia, come un bambino che succhia alla mammella. «Con calma,» disse Joshua. Abner Marsh riarrotolò la cima e aggrottò la fronte. «Quella è l’unica bottiglia?» chiese. Joshua York assentì. Il suo viso, adesso, sembrava ustionato, come il volto di quell’ufficiale in seconda che Marsh aveva visto una volta, il quale si era avvicinato troppo ad un tubo di vapore ardente. Cominciavano a comparire vesciche e screpolature. «Julian teneva la mia riserva nella sua cabina, e qualche volta me ne dava una bottiglia. Io non osavo protestare. Abbastanza spesso nutriva l’idea di distruggerle tutte.» Tolse la bottiglia dalla bocca di Valerie. Ne era rimasto meno di un quarto. «Ho pensato… ho pensato che sarebbe bastato, fino a quando avrei potuto prepararne dell’altro. Non pensavo che Valerie sarebbe venuta con noi.» La sua mano tremava. Ansimò e si portò la bottiglia alle labbra, bevendone un lungo, profondo sorso. «Fa male,» piagnucolò Valerie. Si rannicchiò tranquilla, con il corpo tremante, ma ormai il peggio era passato. Joshua York restituì la bottiglia a Marsh. «Conservatela, Abner. Deve durare. Dobbiamo razionarla.» Toby Lanyard aveva smesso di remare e li stava fissando. Karl Framm si agitò debolmente sul fondo della scialuppa. La barca andava alla deriva con la corrente, e davanti a loro Marsh vide il fumo di un battello che risaliva il fiume. Raccolse un remo. «Portiamoci a riva, Toby,» disse. «Andiamo. Ho intenzione di far segno a quella dannata nave. Dobbiamo farci dare una cabina.»

«Sissignore, Capitano,» disse Toby.

Joshua si toccò la fronte e «No,» disse debolmente. «No, Abner, non dobbiamo. Ci faranno delle domande.» Cercò di alzarsi e annaspò, stordito, ricadendo sulle ginocchia. «Sto bruciando,» disse. «No. Ascoltatemi. La nave no, Abner. Andiamo avanti. Una città, raggiungeremo una città. Col buio… Abner?»

«Maledizione,» disse Abner Marsh, «siete rimasto alla luce forse per quattro ore, e guardatevi. Guardatela. E non è ancora mezzoggiorno. Morirete entrambi bruciati se non vi portiamo al coperto.»

«No,» disse York. «Farebbero delle domande, Abner. Voi non potete…»

«Chiudete quella dannata boccaccia da stupido,» ordinò Marsh, e chinò la sua schiena dolorante sul remo. La scialuppa si mise di traverso sul fiume. Il battello si stava avvicinando, le sue bandiere garrivano al vento, mentre un gruppetto di passeggeri passeggiava sul ponte. Era un postale di New Orleans, constatò Marsh quando gli furono vicini, un battello a ruote laterali, di media grandezza, chiamato H.E. Edwards. Gli fece segno con il remo e chiamò a gran voce, mentre Toby remava e la scialuppa dondolava. Sui ponti del battello, anche i passeggeri iniziarono a rispondere ai segnali e a indicare. Il battello emise un breve, impaziente fischio, e Abner Marsh si girò intorno a guardare e vide un’altra nave, sul fiume, un punto bianco in lontananza. Provò un tuffo al cuore. Erano in piena gara, lo sapeva, e non c’era battello al mondo che si sarebbe fermato nel bel mezzo di una gara.

L’H. E. Edwards li sorpassò a piena velocità, e le pale ruotavano con tanta violenza che la scia li sballottò su e giù come se stessero scendendo lungo delle rapide. Abner Marsh imprecò, urlò contro il battello e alzò il remo, minaccioso. La seconda nave li sorpassò ancora più velocemente, e i suoi fumaioli lasciarono una scia di scintille. Rimasero alla deriva in mezzo al fiume, circondati da campi spogli, con il sole alto nel cielo e un mucchio di bagasse fumanti che innalzavano, una colonna di fumo grigio. «Verso terra,» disse Marsh a Toby, e si diressero verso la sponda occidentale. Quando approdarono, Marsh saltò giù dalla scialuppa e la tirò verso la sponda, con il fango che gli arrivava fino alle ginocchia. Perfino sulla dannatissima riva, pensò quando si guardò intorno, non c’era ombra, né alberi che li riparassero dal sole implacabile. «Vieni fuori di là,» ordinò Marsh a Toby Lanyard. «Li porteremo sulla riva e poi vi trascineremo anche questa dannata barca, la capovolgeremo, e ce li metteremo sotto.» Toby assentì. Portarono a terra per primo Framm, poi Valerie. Quando Marsh l’afferrò sotto le braccia e la sollevò, la donna rabbrividì con violenza. Il suo viso era così malridotto che Marsh ebbe paura di toccarlo, temendo che la pelle venisse via al contatto della sua mano.

Quando ritornarono per prendere Joshua, questi era già fuori dalla barca. «Vi aiuterò,» disse. «È pesante.» Si appoggiava ad una delle fiancate della scialuppa.

Marsh fece un cenno col capo a Toby e tutti e tre spinsero la barca fuori dal fiume. Era difficile. Abner Marsh ci mise tutta la forza che aveva. Il fango della sponda lo afferrò con dita umide, forti. Senza Joshua, non ce l’avrebbero mai fatta. Ma alla fine riuscirono a superare la sponda e a raggiungere i campi, e, poi, rovesciare la scialuppa fu facile. Marsh afferò di nuovo Valerie sotto le braccia e la trascinò sotto la barca. «Andate anche voi sotto, Joshua,» disse voltandosi verso York. Toby aveva trasportato Karl Framm e si stava occupando di lui, stava tentando di far entrare a forza una manciata d’acqua nelle labbra esangui del pilota. Joshua non si vedeva da nessuna parte. Marsh aggrottò la fronte e fece il giro della scialuppa. I suoi pantaloni, inzuppati e pesanti di fango, gli si incollarono contro le gambe. «Joshua,» ruggì, «dove diavolo vi siete cacciato…»

Joshua York era crollato sulla riva del fiume, e la sua mano rossa ed ustionata annaspava nel fango. «Dannazione,» ruggì Marsh. «Toby

Toby arrivò di corsa, e insieme portarono York all’ombra. I suoi occhi erano chiusi. Marsh stappò la bottiglia e lo costrinse ad inghiottire l’elisir. «Bevete, Joshua, bevete. Accidenti a voi.» Finalmente, York iniziò ad inghiottire. E non smise fin quando non ebbe vuotato la bottiglia. Abner Marsh la soppesò, accigliato. La rovesciò. Un’ultima goccia dell’elisir di Joshua gocciolò e ricadde sullo stivale infangato di Marsh. «Per l’inferno,» disse Marsh. Gettò la bottiglia vuota nel fiume. «Resta con loro, Toby, vado a chiedere aiuto. Ci deve essere qualcuno nei paraggi.»

«Sissignore, Capitano Marsh,» replicò Toby.

Marsh si incamminò attraverso i campi. Le canne da zucchero erano state raccolte. I campi erano ampi e spogli, ma all’orizzonte Marsh scorse un sottile filo di fumo. Si diresse verso di esso, sperando che si trattasse di una casa e non di un altro dannato mucchio di bagasse che bruciavano. Sperò invano, ma pochi minuti dopo, oltrepassato quel fuoco, vide un gruppo di schiavi che lavoravano nei campi, e li chiamò, iniziando a correre. Lo portarono alla casa del proprietario della piantagione, dove raccontò al sorvegliante la sua triste storia riguardo l’esplosione delle caldaie che aveva fatto affondare il suo battello e ucciso tutti queli che erano a bordo, tranne quei pochi che erano riusciti a salvarsi sulla scialuppa per i rilevamenti. L’uomo assentì e lo condusse dal proprietario. «Ci sono due persone gravemente ustionate,» gli disse Marsh. «Dobbiamo fare in fretta.» Pochi minuti dopo, avevano attaccato due cavalli ad un carro e si erano inoltrati nei campi.

Quando arrivarono alla scialuppa rovesciata, Karl Framm era in piedi, e li guardava, confuso e debole. Abner Marsh saltò giù dal carro e fece cenno agli uomini che erano venuti con lui. «Muovetevi, quelli ustionati sono là sotto. Portiamoli sul carro.» Poi si girò verso Framm. «State bene, signor Framm?»

Framm sorrise debolmente. «Potrei stare meglio, Capitano, ma sono stato dannatamente peggio.»

Due uomini trasportarono Joshua sul carro. Il suo abito bianco era macchiato di fango ed elisir. Era immobile. Il terzo uomo, il figlio più giovane del proprietario della piantagione, uscì strisciando da sotto la scialuppa e si pulì le mani sui pantaloni, accigliato. Appariva leggermente scosso. «Capitano Marsh,» disse. «Quella donna lì sotto, è arsa viva.»

Загрузка...