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Quattro giorni prima che spirassero le due settimane, Jan van Hoeidonck passò a vedere come se la cavavano. Si ripresentò a Catherine Courage, convinto sulle prime che fosse il contralto tedesco amante dello sport di cui gli avevano parlato, tanto era abbronzata e in forma. L’immagine di Catherine che serbava nella memoria corrispondeva a una donna di mezza età un po’ curva, infagottata in un paio di pantaloni larghi color talpa e un impermeabile, con un’aureola di capelli grigio topo freschi di shampoo; ora, con un paio di fuseaux verdi e una T-shirt macchiata di bacche, si ergeva in tutta la sua statura, i capelli lucenti e impregnati di sudore. Era appena tornata da un lungo giro in bici, disse.

La vera tedesca spuntò qualche attimo dopo, cullando un bambino addormentato fra le braccia. Strinse la mano a Jan, reggendo senza difficoltà il piccolo con l’altro braccio.

— Le presento Dagmar Belotte, — disse Roger, — e… ehm… Axel.

Per rompere il ghiaccio, Jan commise l’errore di chiedere a Dagmar, anziché a Roger Courage, che impressione avesse fatto Pino Fugazza sul Coro.

— Lo odio, — disse Dagmar senza farsi pregare. — È uno sciroccato, e puzza pure.

— Straordinario compositore, però, ci mancherebbe, — si intromise Roger.

— Non li controllate prima di pagarli? — chiese Dagmar.

Il direttore sorrise, niente affatto turbato. La franchezza della ragazza tedesca gli sembrava molto più logica della strana agitazione imbarazzata del pallido signore inglese.

— Pino è matto come un cavallo, sì, — ammise. — A volte i matti fanno ottima musica. A volte no. Lo scopriremo.

— E se è brutta? — si informò Dagmar.

Jan van Hoeidonck increspò le labbra senza scomporsi.

— La brutta musica non è un problema nel nostro ambiente, — disse. — Nell’arco di dieci anni è completamente sparita. Biodegradabile. Non è come la musica leggera. La musica leggera, anche se brutta, dura in eterno. Johann Strauss. Herman’s Hermits. Father Abraham and the Smurfs. Questa roba non morirà mai, anche se facciamo di tutto per ucciderla. Ma per la brutta musica seria, non c’è bisogno di muovere un dito. Sprofonda nel terreno e sparisce.

— Ma lei, Jan, che cosa ne pensa del Partitum Mutante? — chiese Roger.

— Non l’ho ancora sentito.

— Di certo avrà visto lo spartito, però.

Il direttore accettò di buon grado la tazza di caffè fumante offerta dalla signora Courage.

— Io organizzo eventi musicali, — si premurò di spiegare. — Leggo i fogli dei bilanci. E lì i crescendo non mancano, ve l’assicuro —. Lo disse con un’espressione solenne, anche se gli brillavano gli occhi.

Dagmar si congedò e la conversazione passò ad argomenti più generici, come il castello e i servizi che forniva. Il Coro era contento di quel soggiorno? Si trovava bene in quell’ambiente?

L’omaccione grasso di nome Ben Lamb seduto nell’angolo più estremo della stanza accennò un gesto per indicare che non aveva niente da ridire. Roger Courage disse qualcosa a proposito del fatto che quando ci si concentra su un progetto musicale il mondo esterno cessa quasi di esistere, anche se nei brevi momenti in cui il suo Coro non sfacchinava sul Partitum Mutante, lo Château de Luth e i dintorni risultavano veramente incantevoli. Julian Hind declinò la domanda, preferendo discutere con il direttore la possibilità di affittare una macchina ad Antwerp o a Bruxelles.

— Mi chiedevo, — disse Catherine quando Julian, sbalordito dal costo esorbitante della vita nei Paesi Bassi, si fu ritirato in camera sua. — Avete ospitato tanti artisti in questo castello nel corso degli anni, vero?

— Tantissimi, — affermò il direttore.

— Qualcuno di loro ha mai accennato a strani rumori durante la notte?

— Che tipo di rumori?

— Che so, grida provenienti dal bosco.

— Grida umane?

— Mmm, sì, può darsi.

Lei e Roger erano seduti insieme sul divano. Fingendo di chinarsi a prendere il piattino della torta da terra, Roger le diede una botta sul ginocchio.

— Scusa, cara, — l’ammoni, cercando di strapparla a viva forza dal baratro verso il quale si stava avventurando.

Inaspettatamente, però, il direttore non manifestò alcun disagio sentendo parlare di misteriose grida nella notte; anzi, si mise a riflettere, come se si trovasse di fronte a qualcosa che effettivamente esulava dall’ambito dell’arte e dell’aritmetica.

— È una storia che ho già sentito, sì, — disse. — In effetti è una specie di leggenda legata a questo bosco.

— Davvero, — disse Catherine con un filo di voce, scrutandolo da sopra la tazza di caffè fumante. Roger ormai era come scomparso dal suo fianco.

— È nata, se non sbaglio, alla fine della guerra. Una… — Jan van Hoeidonck si interruppe, consultando il dizionario olandese-inglese che aveva in mano. — Una madre ritardata mentale… si dice così in inglese?

— Va benissimo, — disse Catherine, restia a spiegare il politically correct a uno straniero. — Continui.

— Una madre ritardata mentale scappò da Martinekerke col figlioletto quando l’esercito, l’esercito di liberazione, stava arrivando. Non capiva che quei soldati non l’avrebbero ammazzata. Così scappò, e nessuno riuscì a trovarla. A partire da quel momento, nel corso degli anni si è sentito spesso dire che un bambino grida nel bosco, o uno… uno spirito, sì?

— Affascinante, — disse Catherine, chinandosi a deporre la tazza in terra senza staccare gli occhi da Jan van Hoeidonck. Lui, da parte sua, abbassò leggermente lo sguardo, e Catherine si accorse, con una certa sorpresa, che le stava guardando il seno.

Sono una donna, pensò.

Roger intervenne con voce stentorea riportando la conversazione su Pino Fugazza e la sua collocazione nella musica europea contemporanea. A proposito, il direttore aveva mai sentito qualcosa del compositore?

— Ho sentito il suo primo brano importante, — replicò Jan senza entusiasmo. — Precipizio, per voci e percussioni… quello che ha vinto il Prix d’Italia. Non lo ricordo benissimo, perché tutti gli altri brani in concorso sono passati la stessa sera, e anche quelli erano per voci e percussioni. Tranne uno dell’ex Unione Sovietica, per flicorno e modulatore elettronico…

— Sì, ma ricorda niente del brano di Fugazza? — insistette Roger.

Il direttore si accigliò: per lui, indugiare su eventi musicali relegati al passato anziché proiettati verso il futuro era ovviamente quanto di più innaturale.

— Ricordo solo il pubblico, — ammise, — che è rimasto seduto lì per quattro ore a sentire canti e bisbigli e rumori che erompevano senza preavviso, finché tutto tace, e loro non sanno se è il momento di applaudire, dopodiché se ne vanno a casa.

Roger si stava lasciando prendere da un’educata esasperazione.

— Be’… se non ha sentito il Partitum Mutante, che cosa le fa credere che sarà molto meglio?

Jan agitò mollemente una manciata di dita intorno alla tempia destra.

— Da allora ha avuto un grosso tracollo mentale, — disse. — Questa può essere un’ottima cosa per la musica. E poi, l’interesse pubblico per Fugazza è notevolissimo, il che è ottimo per le vendite al botteghino. È molto famoso presso la stampa italiana per aver aggredito la moglie con una scarpa dal tacco a spillo al ritiro bagagli dell’aeroporto di Milano.

— No! — fece Catherine incredula. — E ora lei come sta?

— Benissimo. Credo che presto sarà una divorziata piena di soldi. Ma, naturalmente, è la qualità della musica a decretarne il valore.

— Naturalmente, — sospirò Roger.

Più tardi, quando il direttore se ne fu andato, Roger rimase alla finestra a guardare il minibus giallo rimpicciolire in lontananza sul lungo nastro d’asfalto nero che conduceva a Bruxelles. Nel frattempo, il sole splendeva sui vetri della finestra come un riflettore da un milione di watt, rendendo bianchi i capelli d’argento e la carne il colore di una mela sbucciata. Ogni ruga e grinza venute con l’età, ogni minuscola cicatrice e buchetto risalenti all’adolescenza, erano illuminati e implacabilmente definiti. Alla fine la luce si fece troppo intensa per lui; che si allontanò, esausto, sbattendo gli occhi e asciugandoseli.

Accorgendosi che Ben Lamb era ancora seduto nell’angolo in ombra della stanza, e che Catherine sonnecchiava tutta sudata sul divano, si sbottonò sul dubbio che lo attanagliava circa il valore del progetto in cui si erano impegnati.

— Sai, sono veramente stufo di tutto questo fascino che dovrebbe esercitare la pazzia, tu no? — disse, rivolto a Ben. — Sono quei segnetti sullo spartito che dovrebbero avere qualcosa di sensazionale, non il comportamento di qualche italiano svitato all’aeroporto.

Catherine, che non gradiva tanta mancanza di rispetto nel trattare l’argomento follia, ribatté:

— Non sarà che questo Pino è semplicemente giovane e impetuoso? Io non mi arrogherei mai il diritto di dare del matto a qualcuno. Soprattutto a un italiano che ho visto una sola volta. Di sicuro non sarà tanto squinternato se guida una Porsche e veste Armani.

— Una visione molto poetica, cara… anche se la logica risulta un po’ oscura, — osservò Roger.

— No, volevo dire che ovviamente non è… um… di un altro mondo, no?

Ci fu una pausa durante la quale i due uomini meditarono sul significato di quell’espressione.

— Tu che ne pensi, Ben? — chiese Roger.

— Penso che dovremmo cantare quanto più possibile nei prossimi quattro giorni, — rispose lui. — Così, al momento della prima, avremo se non altro la certezza di essere meno confusi del signor Fugazza.

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