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Un’ora dopo, Roger e Catherine fecero l’amore. Sembrava l’unico modo per rompere la tensione. Lui allungò una mano cercandola, la sua strana e irraggiungibile moglie, e lei cedette e si lasciò prendere.

— Non ci capisco più niente, niente, — gemette Roger, nella sua solitudine, mentre lei gli accarezzava la schiena umida.

— Non ci capisce niente nessuno, caro, — sussurrò Catherine distrattamente, lisciandogli i capelli con le mani. — Adesso dormi.

Non appena scivolò nel sonno, lei si scoprì, immaginando di fiammeggiare come brace ardente. Nella casa regnava il silenzio più assoluto; il rapporto di Julian con la televisione doveva essersi esaurito. Fuori, nel bosco, l’odore della pioggia imminente si gingillava sulla cima degli alberi, impertinente.

Sul punto di addormentarsi, Catherine pensò che stesse già sognando; c’erano dei rumori inquietanti che sembravano provenire dall’interno del suo corpo, i rumori di una creatura in difficoltà, che lottava per respirare, facendole vibrare i tessuti. Poi, a un tratto venne risvegliata da un grido realissimo che veniva dall’esterno. Il grido di un bambino, spaventato e incapace di parlare. Era quasi sicura che fosse Axel, ma l’istinto le diceva che era provocato da qualcosa che Dagmar non riusciva a gestire da sola.

Roger dormiva come un ciocco; lei lo lasciò tranquillo e si buttò addosso la vestaglia uscendo in fretta e furia dalla stanza.

Hilfe! — urlava Dagmar a perdifiato.

Catherine corse nella stanza della ragazza tedesca, ma Axel era lì da solo, a dimenarsi e strepitare su un letto dalle coperte scagliate da una parte.

— Aiuto!

Catherine si precipitò nella stanza accanto, la stanza di Ben. Ben era sdraiato in terra vicino al lettino, il pigiama strappato che lasciava scoperto l’enorme busto esangue. Dagmar era china sopra di lui, sembrava che lo baciasse sulla bocca. Poi, ritraendosi, posò le mani sul petto tumido, schiacciando un palmo scuro sopra l’altro; con forza selvaggia riversò il peso delle spalle lungo le braccia muscolose, premendo tanto da formare un avvallamento nella carne di Ben.

— La respirazione. Fagliela tu, — ansimò concitata, spingendo ripetutamente sul punto dove era sicura si trovasse lo sterno ben nascosto. Il colossale petto di Ben si ergeva a una tale altezza dal pavimento che a ogni spinta le ginocchia di Dagmar si sollevavano in aria.

Catherine attraversò la stanza d’un balzo e si inginocchiò vicino alla testa di Ben.

— Roger! Julian! — sbraitò, poi premette le labbra direttamente contro quelle di Ben. Nelle pause fra le pressioni ritmiche di Dagmar, soffiava con quanto fiato aveva in corpo. Riempiva i polmoni fino a sentire che la trafiggevano, e poi soffiava, soffiava, e soffiava ancora.

Ti prego, ti prego, respira, pensava, ma Ben non respirò.

Julian entrò nella stanza come una furia, e per un attimo rimase sopraffatto alla vista delle due donne, Dagmar completamente nuda e Catherine con la vestaglia slacciata, inginocchiate in terra con Ben.

— Eh… — annaspò, gli occhi fuori dalle orbite, prima di intuire quale fosse la realtà. Uscì di volata dalla stanza, urlando a squarciagola, cercando un telefono nel buio.

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