«Ho ricevuto alcuni rapporti sul vostro conto, Rayner» disse Pirt Sull Conforden con aria pensosa, la pelle bianca e immacolata che pareva un guscio d’uovo alla luce del globo appeso al soffitto. «Ho sentito che non andate molto d’accordo coi supervisori.»
Jerome sospirò. «Se alludete a Glevdane… mi scuso. Non volevo punzecchiarlo, ma è un po’ troppo sciovinista.»
«Un dorriniano non può essere sciovinista. Criticando il lavoro dei Guardiani è come se criticaste i Guardiani stessi, e, per deduzione, i Quattromila.»
Dov’è il mio dizionario delle risposte diplomatiche? pensò Jerome. «Mi dispiace. Mi preoccupavo solo che il Thrabben raggiunga sano e salvo la Terra.» Guardò Sednik e Thwaite seduti al tavolo come nel primo colloquio. Avevano un’espressione seria e studiatamente neutrale, ma Jerome sentiva l’animosità di Zednik.
«Accetterò per vere le vostre parole, senza indagare più a fondo» disse Conforden.
«Non ho segreti, se è questo che intendete. Al pari di voi, non vedo l’ora di andarmene da questa topaia» dichiarò Jerome.
«Devi essere più rispettoso col Direttore» lo rimproverò Zednik. Jerome annuì con ironica sottomissione. Fin dal primo incontro era sorto dell’antagonismo fra loro, in massima parte perché Jerome s’era rifiutato di riconoscere l’autorità di Zednik, più vecchio di lui e sindaco del Recinto. Zednik era sceriffo di una cittadina della Florida quando era stato trasferito, nel 1950, e per quarant’anni aveva ricoperto cariche civiche nel Recinto. Jerome, che considerava il posto solo e unicamente come una prigione, non voleva stare al gioco.
«Non fa niente, Mei, comincio ad abituarmi al modo di esprimersi di Rayner» disse Conforden, e tornando a Jerome: «Mi hanno anche riferito che fate gli straordinari, nel tunnel.»
Jerome annuì. «Per lo stesso motivo.»
«E che grazie al vostro intervento avete salvato la vita di un uomo.»
«Non voglio una medaglia che fori la tuta» disse Jerome. «Ma dove volete andare a parare?»
«Il Thrabben sarà trasportato domani sulla superficie. Naturalmente solo i Guardiani lo possono avvicinare, ma io ho deciso che facciate parte della squadra di operai del seguito. Per noi questo è un grande onore» aggiunse con un breve sorriso, «voi forse potrete considerarlo un ulteriore passo sulla strada che porta alla Terra. Accettate?»
«Lieto di farlo» si limitò a dire Jerome, celando la smania che si era improvvisamente impossessata di lui, il bisogno ardente di alzare la testa e guardare oltre l’orizzonte nella profondità dello spazio. Forse sarebbe perfino riuscito a individuare il puntolino luminoso della Terra — oceani, montagne, pascoli, città con parchi e biblioteche — tutto compresso in un’unica scintilla. Non avrebbe potuto chiedere una ricompensa migliore per il suo lavoro.
«Scusatemi, Direttore» intervenne Zednik, «ma questo è contrario alle decisioni che abbiamo preso alla riunione del Consiglio del Recinto. Credevo che dovessi decidere io quali saranno i Terrestri che scorteranno il Thrabben. Secondo me, l’onore dovrebbe essere conferito all’operaio che ha lavorato per più tempo nel tunnel.»
«Non stiamo parlando di una parata» ribatté Conforden. «Rayner potrebbe rendersi utile in qualche modo, anche se è inconcepibile che qualcosa possa andare storto a questo punto.»
Le ultime parole famose pensò Jerome osservando il misto di eccitazione e di orgoglio sulla faccia giovane-vecchia di Conforden. È stata la superbia a farmi finire qui.