Allarme sul ponte

Il vicolo era in salita, ma la Freccia Azzurra superò il dislivello senza rallentare e sbucò ben presto sulla piazza, presso la bottega della Befana.

Il Macchinista si sporse da un finestrino a chiedere ordini:

— Allora, da che parte dobbiamo andare?

— Sempre diritti — gridò il Generale — l'attacco frontale è la tattica migliore per sconvolgere il nemico.

— Ma quale nemico? — domandò il Capostazione. — Lei faccia il santo piacere di smetterla con queste storie. Lei in treno è un viaggiatore qualunque, con tutte le righe che ha sul berretto. Mi ha capito? Il treno andrà dove dirò io.

— Va bene — rispose il Macchinista — ma me lo dica subito, perché stiamo andando a cozzare contro un marciapiedi.

— A destra — guaì la voce lamentosa di Spìcciola — piegate subito a destra: ho riconosciuto la pista di Francesco. Sento l'odore delle sue scarpe rotte.

Il cane, difatti, non faceva altro che correre su e giù fiutando per terra, e non aveva faticato a trovare la pista di Francesco.

— Allora a destra — confermò il Capostazione.

Il Macchinista girò il volante e la Freccia Azzurra prese la curva in piena velocità. Il Pilota Seduto volava a mezz'aria sopra la locomotiva, per non perderla d'occhio.

Icow-boys e gli indiani galoppavano a destra e a sinistra del treno, silenziosi e veloci come banditi che stessero per dargli l'assalto.

— Hm… — brontolò il Generale, sempre sospettoso '—scommetto i miei gradi contro un soldo bucato che questo viaggio finisce male. Tutta quella gente a cavallo ha un'aria poco rassicurante. Alla prima fermata, ad ogni buon conto, mi trasferirò sui vagoni merci dove abbiamo caricato i cannoni.

Proprio in quel momento si udirono strani guaiti di Spìcciola, che doveva avere avvistato qualche pericolo. Ma ormai era troppo tardi. Il Macchinista non fece in tempo a frenare e la Freccia Azzurra entrò in piena corsa in una profonda pozzanghera. L'acqua salì fin quasi al livello dei finestrini, con grande paura delle bambole, che si rifugiarono subito sul tetto delle vetture, festosamente accolte dai bersaglieri.

IIpovero Spìcciola nuotava alla superficie della pozzanghera, maledicendo la propria voce:

— Che razza di cane sono io? Non sono nemmeno capace di abbaiare. Ah. quanto darei per riuscire a cacciar fuori un bel latrato, invece di questi sciocchi miagolii.

Il Macchinista non fece in tempo a frenare e la Freccia Azzurra entrò in piena corsa in una profonda pozzanghera.


— Siamo a terra — disse il Macchinista, asciugandosi il sudore.

— Vorrete dire che siamo in acqua — corresse tristemente Mezzabarba. — Non ci resta che varare il mio veliero e imbarcarci tutti quanti.

Ma il veliero sarebbe stato troppo piccolo. Per fortuna l'Ingegnere Capo del Meccano si ricordò al momento buono che nella sua scatola c'erano pezzi a sufficienza per costruire un ponte.

— Prima che i lavori siano finiti, verrà l'alba e saremo sorpresi — brontolò Mezzabarba. scontento. — Ma qui i marinai non sono visti di buon occhio.

I pezzi del Meccano si misero subito al lavoro, sotto la direzione dell'Ingegnere.

— Con una gru alzeremo la Freccia Azzurra e la poseremo sul ponte — egli promise. — I passeggeri non si muovano.

E così dicendo lanciò un'occhiata assai fiera dalla parte delle bambole le quali, è inutile dirlo, lo ammiravano con tutto il cuore. Solo la Bambola Nera restava fedele al suo pilota e non aveva occhi che per lui.

Cominciò a cadere la neve. Il livello della pozzanghera saliva continuamente, e mandava all'aria i calcoli dell'Ingegnere.

— Costruire un ponte durante una piena non è un lavoro da poco — egli sibilava fra i denti. — Speriamo di farcela.

Per accelerare i lavori il Colonnello dei bersaglieri mise a disposizione dell'Ingegnere del Meccano tutti i suoi uomini. Il ponte si allungava a vista d'occhio sull'acqua limacciosa della pozzanghera. Nella notte buia e nevosa si udivano i rumori dei ferri, dei martelli e delle carrucole azionate dai pezzi del Meccano.

I cow-boys e gli indiani, dal canto loro, lanciarono i cavalli a nuoto, attraversarono la pozzanghera e si accamparono sull'altra riva. Si vedeva laggiù un puntino rosso, che si gonfiava e si restringeva come il lume d'una lucciola: era la pipa di Penna d'Argento. Dai finestrini della Freccia Azzurra i passeggeri non perdevano d'occhio quel puntino rosso, che brillava come una speranza lontana. Le Tre Marionette dissero in coro:

— Sembra una stella.

Erano Tre Marionette fortunate: riuscivano a vedere le stelle anche nelle notti di neve.

Dopo qualche tempo si udirono delle grida di evviva. Gli uomini dell'Ingegnere Capo ed i bersaglieri di piombo avevano raggiunto l'altra sponda.

Una gru sollevò la Freccia Azzurra e la depose sul ponte, che aveva anche le rotaie, come tutti i ponti ferroviari che si rispettino. Il Capostazione alzò il semaforo verde per dare il segnale di partenza, il Macchinista abbassò la leva e la locomotiva, con un leggero fremito, si mosse.

Non aveva percorso mezzo metro quando una voce, quella del Generale, lanciò un grido di allarme:

— Spegnete tutte le luci! Apparecchio nemico in vista!

— Corpo di mille balene nottambule! — tuonò Mezzabarba. — Che io possa mangiare la mia barba se quella non è la Befana.

Con un rombo pauroso un'ombra immensa calava sulla piazza. I fuggitivi poterono riconoscere la scopa della Befana e le due vecchiette che la cavalcavano.

La Befana, rassegnata alla perdita dei suoi giocattoli migliori, ne aveva raccattati altri negli scaffali e in solaio, e si era messa in viaggio per il suo solito giro, uscendo a volo dal camino.

Ma non era giunta a metà della piazza che un'esclamazione della serva l'aveva fatta voltare.

— Signora baronessa, guardi laggiù!

— Dove? Ah… vedo, vedo… Non sono le luci della Freccia Azzurra?

— Mi sembrano proprio loro, signora baronessa.

Senza esitare la Befana puntò il manico della scopa a sud-ovest e scese in picchiata verso le luci, che l'acqua della pozzanghera rifletteva vivamente.

Stavolta il Generale non aveva dato l'allarme per nulla. Le luci furono spente. Il Macchinista spinse il locomotore al massimo e superò il ponte in un baleno. L'ultimo vagone merci, quello su cui si trovava il veliero di Mezzabarba, non aveva ancora posato tutte le sue otto ruote sulla terra ferma che il ponte crollò alle sue spalle con il fragore di una cascata.

Qualcuno immaginò che la Befana lo stesse bombardando, ma si trattava di ben altro: il Generale, senza dir nulla a nessuno, lo aveva minato e fatto saltare.

— Piuttosto che lasciarlo nelle mani del nemico, me lo sarei mangiato, un pezzo alla volta! — esclamò, arricciandosi i baffi, fiero del suo colpo.

La Befana volava ormai a bassissima quota e si avvicinava alla Freccia Azzurra a grande velocità.

— A sinistra, presto! — gridò uno dei cow-boys.

Senza aspettare che il Capostazione confermasse l'ordine, il Macchinista curvò a sinistra con una tale furia che per poco il treno non si spezzò in due, e infilò un portone buio, nel quale brillava il puntino rosso di una pipa ben nota.

La Freccia Azzurra fu addossata ad una parete, il portone fu sprangato in gran fretta.

— Ci avrà visti? — sussurrò il Capitano Mezzabarba.

Ma la Befana non aveva fatto in tempo a vederli.

— Strano, — brontolava in questo momento, volando su e giù per la piazza — si direbbe che la terra li abbia inghiottiti: non se ne vede più traccia.

— Saranno caduti in un tombino — suggerì la serva.

— Può darsi, — ammise la Befana — in questo caso mi dispiace per la Freccia Azzurra. Meritava una tomba più onorevole. Era il vanto della mia bottega. Mah, non ci capisco nulla: forse i giocattoli erano sfuggiti ai ladri e stavano cercando la strada di casa. Chissà… Ma ora non abbiamo tempo da perdere. La lista dei doni da consegnare è lunga che non finisce mai. Al lavoro!

E puntando la prua al nord la scopa volante scomparve nel nevischio.


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