Signora baronessa sono proprio loro!
— Zitta, Teresa, zitta, o me li fai scappare di nuovo.
— Misericordia, ci mancherebbe altro!
— Zitta, ti dico, altrimenti ti diminuisco lo stipendio.
La vecchia serva ammutolì perché, se quando la Befana prometteva un aumento non c'era da prenderla sul serio, quando minacciava una diminuzione si poteva star certi che manteneva la parola.
Le due vecchiette avevano corso tutta la notte come disperate, a rischio di rovinare per sempre la scopa su cui volavano. Avevano ormai finito la distribuzione dei doni, e stavano per rincasare quando gli occhietti a spillo della Befana avevano attraversato il nevischio e avevano scoperto la Freccia Azzurra in piena corsa lungo la linea tranviaria che portava in periferia.
— Eccoli! — aveva detto la Befana. — E non c'è ombra di ladri. Macché rubati, quelli mi sono scappati. Birbanti, ingrati. Ma guardali!
— Signora baronessa, sono proprio loro — aveva aggiunto la serva.
— Zitta, Teresa, zitta o me li fai scappare di nuovo — aveva
esclamato rabbiosamente la Befana. — Ma questo l'ho già detto ed è inutile ripeterlo.
Le due vecchine si tenevano nascoste tra i rami, saltando da un albero all'altro con un piccolo movimento della scopa. I fuggitivi non si erano ancora accorti di nulla, anzi, una certa animazione cominciava a regnare nella carovana.
— L'odore è più forte — diceva Spìcciola — stiamo certo per arrivare.
— Ma sei sicuro che sia l'odore di Francesco?
— Non mi posso sbagliare. Questo odore di bambino povero lo riconoscerei tra mille.
E tutti trattenevano il fiato, per paura di disturbarlo.
Ad un tratto Penna d'Argento si tolse la pipa di bocca come se volesse dire qualcosa. Invece non disse nulla, ma si vedevano le sue orecchie agitarsi in tutte le direzioni come quelle dei lupi.
Uno dei cow-boys, che aveva pratica di pellerossa, corse subito ad avvisare il Capostazione.
— I pellerossa hanno sentito qualcosa.
— E con questo? Hanno le orecchie per sentire, immagino.
— Penna d'Argento mi sembra preoccupato. Forse ha fiutato qualche pericolo.
— Ah, si mette a fiutare anche lui? Ecco un treno che invece di marciare a elettricità, marcia a fiuti. E oltre a Spìcciola, che non fa altro da alcune ore, ecco che anche quel vecchio babbeo si mette a fiutare. Lasciatemi in pace. La Freccia Azzurra non si fermerà più per nessun motivo.
Qualche volta il Capostazione era un bell'ostinato. Ma dovette pur fermare il treno, ad un certo punto, perché Penna d'Argento glielo ordinò, e a Penna d'Argento nessuno poteva disobbedire.
— Insomma a che gioco giochiamo? — sbottò il Capostazione, furibondo. — Chi è che comanda, qui?
Penna d'Argento lo guardò senza batter ciglio.
— Noi avere sentito rumore. Qualcuno camminare sui rami.
— Voi essere diventato matto — gridò il Capostazione, mettendosi anche lui a parlare alla maniera di Penna d'Argento. — Perché non mandare aeroplano a vedere?
Proprio in quel momento si sentì lo scricchiolio secco di un ramo che si spezzava. Era la vecchia serva, che si era afferrata, per paura di cadere. Per sua disgrazia si era afferrata ad un ramo troppo sottile.
— Ssst! — fece la Befana. — Zitta! Non ti muovere! Resta dove sei, ci hanno sentito.
— Non posso restare dove sono, sto per cadere.
— Ti dico di restare dove sei.
— Ditelo al ramo, signora baronessa. Si sta spezzando, lo sento. Per carità, signora padrona, mi aiuti…
A sentirsi chiamare signora padrona anziché signora baronessa, la Befana montò su tutte le furie. Teresa temette che la sua padrona la volesse picchiare e si tirò indietro vivacemente, troppo vivacemente, perché perdette l'equilibrio e cadde con un grido. Cadde sulla neve e non si fece male, ma i pellerossa le balzarono addosso come un sol uomo e, piantandole nella gonna le asce a guisa di paletti, la immobilizzarono al suolo, mentre il Pilota Seduto, gettandosi in picchiata, la terrorizzava col rombo dei suoi motori.
— Torna su — gridò la Befana spaventata — torna subito sull'albero, altrimenti ti licenzio. Ti sembra il momento di giocare a fare il Gulliver?
— Aiuto, signora padrona, aiuto! Sono prigioniera degli indiani! Mi strapperanno i capelli.
Ma la Befana non se la sentiva di affrontare il combattimento. Per anni e anni i giocattoli le avevano ubbidito senza fiatare, senza muovere un dito, senza arrischiare una parola. Ma stavolta non si sentiva più sicura della propria autorità. Essi erano fuggiti di loro iniziativa e non mostravano nessuna voglia di tornare con lei, a giudicare dal modo come avevano accolto la povera domestica.
— Va bene — gridò — me ne andrò sola. Farò tutto il lavoro da sola. Ma poi non venirti a lamentare se ti diminuirò lo stipendio. Non posso mica pagarti perché tu te ne stia comodamente sdraiata in mezzo alla strada a prendere il fresco.
— Ma non sto per niente comoda, signora padrona. Non vede che mi hanno inchiodata per terra con le loro asce?
La Befana non stava più a sentire. Borbottando e bofonchiando si allontanava, sbattendo la scopa contro i rami e facendo un gran fracasso, inseguita, a prudente distanza, dal Pilota Seduto.
— Ecco, se n'è andata e m'ha lasciata sola. Oh me, poverina, come farò?
Penna d'Argento si era piantato a due centimetri dal suo naso e l'osservava con molta curiosità.
— Signor Indiano, — cominciò a pregare la povera vecchietta, — mi strapperete i capelli, vero? Non sono queste le vostre usanze?
— Noi non strappare nessun capello — disse severamente Penna d'Argento. — Noi essere bravi indiani per far giocare bambini e non ammazzare nessuno.
— Oh, grazie, signor Indiano. E adesso che farete di me? Se mi lasciate andare vi prometto che…
— Che cosa promettere?
— Ecco vedete, io ho fatto una lista di tutti i bambini che non ricevono doni dalla Befana. Che cosa volete, mi fanno pena… Non posso sopportare le loro smorfie quando vengono a lagnarsi con la mia padrona: vi dico che mi viene da piangere. E così ho preso tutti i loro nomi, vedete? Ecco, questo è il taccuino… Forse voi potete accontentarne qualcuno. Non è per questo che siete fuggiti? Io me l'ero immaginato.
Se l'avessero lasciata continuare, sarebbero là ancora adesso ad ascoltare le sue chiacchiere.
Ma Penna d'Argento prendeva rapidamente le sue decisioni. Afferrò il taccuino che la vecchietta gli porgeva, la fece liberare, montò sul treno con tutti i suoi uomini e si rimise la pipa in bocca.
— E adesso? — domandò il Capostazione. — Che cosa facciamo?
— Francesco ci aspetta — disse timidamente Spìcciola. — E l'odore è così forte che ormai dobbiamo essere a pochi passi da casa sua.
— Prima andare a casa Francesco e chi volere restare con lui. Poi andare altri bambini — disse Penna d'Argento.
— Corpo di mille balene vagabonde! — tuonò Mezzabarba. — Se credete che io abbia voglia di viaggiare per tutta la mia vita come l'Olandese Volante, vi sbagliate di grosso. Appena a casa di Francesco mi butto in un catino, isso le vele, salpo le ancore e vi saluto con tre fischi di sirena.
Le ultime parole di Mezzabarba si persero nel frastuono delle ruote. La Freccia Azzurra si era rimessa in marcia. Nessuno si voltò a guardare la povera vecchia serva della Befana, che si scuoteva la neve dalla gonna e si asciugava tristemente gli occhi. Avrebbero potuto dirle almeno una parola gentile! Ma qualche volta i giocattoli sono capricciosi: invece di dire parole gentili, voltano la schiena e se ne vanno per i fatti loro.
— Io non mi lamento — borbottava fra sé la povera vecchia. — Non mi hanno fatto nulla di male, dopo tutto. Ma che cosa credono? Che non porterei a tutti dei bei regali se ne avessi abbastanza? E che cosa credono, che forse la mia padrona sia davvero così avara come sembra? Non può regalare nulla, perché deve campare anche lei. Se fosse ricca ricca come la Befana delle fiabe ne avrebbe per tutti, e anche senza quattrini. Ma lei non è la Befana delle fiabe: è la Befana vera. E la Befana vera deve servire i clienti che pagano.
E zoppicando, per via della caduta di poco prima, la vecchie-rella si diresse verso il negozio della Befana, per preparare il caffè alla sua padrona.
— Ci metterò tre cucchiaini di rum, così sarà contenta e non mi sgriderà troppo. E se mi sgriderà farò la sorda.
Spìcciola, intanto, correva sempre più veloce.
Ormai non aveva più bisogno di curvarsi per sentire l'odore di Francesco: esso era così forte che lo avrebbe sentito anche controvento.
L'odore guidò Spìcciola verso una straducola stretta, stretta, nella quale la neve si era ammonticchiata al punto che la Freccia Azzurra dovette mettere lo spazzaneve davanti alla locomotiva per poter proseguire.
Spìcciola si fermò davanti a una porticina, e il Macchinista tirò i freni appena in tempo per non investirlo.
— Siamo arrivati? — chiedevano i passeggeri. — È qui?
— È qui — confermò Spìcciola, mentre il cuore gli batteva in gola e nelle orecchie come un martello: tum… tum… tum…
— Allora entriamo — disse il Capostazione, guardando la porta con curiosità.
Era una porta come tutte le altre, con una sola differenza: che le altre erano chiuse, e questa era aperta.
— Che gente! — esclamò il Capostazione. — Dormono con la porta aperta nel mese di gennaio, con questa tempesta di neve. Ma non sentono il freddo?
Spìcciola era scomparso nel vano della porta. Tutti aspettavano che tornasse a portare le notizie.
— Chissà come sarà contento Francesco di vederci — dissero le Tre Marionette, che dovevano parlare soltanto quando tutti gli altri stavano zitti, per riuscire a farsi ascoltare. Ma la loro osservazione fu accolta da un grande silenzio.
Spìcciola era là, nella penombra della soglia, con gli occhi abbassati che gli arrivavano ai piedi. Guardava per terra, come se ci vedesse chissà che cosa. Invece vedeva soltanto le proprie lagrime. Spìcciola piangeva.
— Non c'è nessuno, — disse — la casa è disabitata.