Orso Giallo scende alla prima fermata

Le sorprese cominciarono subito dall altra parte del muro.

Il Generale fu il primo a dare l'allarme. Egli aveva un temperamento assai focoso, e andava continuamente in cerca di brighe e di guai.

— I miei cannoni — soleva dire, arricciandosi i baffetti — i miei cannoni arrugginiscono. Per lucidarli, ci vorrebbe una piccola guerra. Magari una guerra d'un quarto d'ora…

Questo era il suo pensiero fisso: gli stava piantato in testa come un chiodo. Appena giunto dall'altra parte del muro, il Gè nerale sguainò la spada e gridò:

— All'armi! All'armi!

— Che c'è? Che succede? — si domandavano l'un l'altro i soldati, che non si erano ancora accorti di nulla.

— C'è il nemico, non lo vedete? Tutti ai pezzi! Caricate i cannoni! Pronti a far fuoco.

Successe una grande confusione. Gli artiglieri schieravano i pezzi in ordine di battaglia, i bersaglieri caricavano i fucili, gli ufficiali gridavano i comandi con voce tonante, arricciandosi i baffi come avevano visto fare dal Generale.

— Corpo di mille balene corazzate! — tuonò il Capitano Mezzabarba dall'alto del suo veliero — fate subito portare qualche cannone a bordo della mia nave, altrimenti mi coleranno a picco.

Il Macchinista della Freccia Azzurra tolse il berretto e si grattò in testa:

— Non capisco come farebbe ad affondare. Per conto mio, tutta l'acqua che vedo è quella del catino.

Il Capostazione lo guardò severamente:

— Se il signor Generale dice che c'è il nemico, così deve essere. Che ne sapete voi di guerre e di nemici?

— Lo vedo, lo vedo anch'io — gridò il Pilota Seduto, facendo volteggiare il suo aeroplano sopra la prima linea.

— Che cosa hai veduto?

— Il nemico, vi dico che l'ho visto con questi occhi.

Le bambole, terrorizzate, si nascondevano dietro i vagoni della Freccia Azzurra. La Bambola Rosa si lamentava:

— Oh, Signore, adesso scoppia la guerra. Ho appena fatto la permanente, e chissà dove andranno a finire i miei riccioli.

Il Generale fece suonare una tromba.

— Fate tutti silenzio — strepitò — altrimenti non si sentiranno i miei comandi.

E stava già per ordinare il fuoco quando si udì la voce sgraziata di Spìcciola, qualcosa a metà strada fra il miagolio di un gatto e il cigolio di una porta arrugginita:,

— Fermi, fermi per carità!

— Chi va là? Da quando in qua i cani danno ordini all'esercito? Fucilatelo! — ordinò il Generale.

Ma il cane non si spaventò:

— Per favore, vi prego di sospendere le operazioni. Vi assicuro che il nemico non è affatto un nemico.

— Questa è bella — osservò sarcasticamente il Generale — ora i cani fanno anche politica.

— Ma guardatelo meglio, per cortesia — continuò Spìcciola, senza perdersi di coraggio. — Sono andato a dargli un'occhiata da vicino. Non è che un bambino, un bambino addormentato.

— Un bambino? — ribatté il Generale, sicuro del fatto suo. — E che cosa ci fa un bambino sul campo di battaglia?

— Ma, signor Generale, non siamo su un campo di battaglia: è proprio questo l'errore. Ci troviamo in una cantina, non vedete? Signori e signore, vi prego di guardarvi in giro. Ci troviamo, come vi avevo detto, in una cantina dalla quale potremo uscire sulla strada. C'è soltanto una cosa che non sapevo: la cantina è abitata, e laggiù in fondo, dove brilla quel lumicino, c'è una branda, e nella branda un bambino che dorme. Volete forse svegliarlo a cannonate?

Si udì la voce di Penna d'Argento, che per tutto quel tempo aveva continuato tranquillamente a fumare la pipa:

— Cane avere ragione. Io vedere bambino e non vedere nemico.

— Si tratta certamente di un'astuzia — tentò di tener duro il Generale, che vedeva sfumare la guerra, — il nemico vuol farsi passare per una creatura innocente e disarmata.

Ma ormai, chi gli dava retta?

Perfino le bambole uscirono dai loro nascondigli e aguzzarono gli occhi nella penombra della cantina.

— È proprio un bambino — diceva l'una.

— È biondo, lo vedo — aggiungeva una seconda.

— È un bambino maleducato — sentenziava una terza. — Non vedete che dorme con un dito in bocca?

La cantina doveva essere abitata da una famiglia povera: si intravedevano nell'ombra pochi mobili sgangherati, un pagliericcio posato in terra, un catino slabbrato, un fornello spento, la branda in cui dormiva il bambino. I suoi genitori dovevano esser usciti per lavorare, o forse per chiedere l'elemosina, e il bambino era rimasto solo. Si era coricato senza spegnere la piccola lampada a

petrolio che brillava, posata su una sedia: forse aveva paura del buio, o forse gli piacevano le grandi ombre che la fiammella inquieta disegnava sul soffitto e sulle pareti, e guardando quelle ombre si era addormentato.

Il nostro eroico Generale, che aveva la fantasia sbrigliata come un cavallo da corsa, aveva scambiato il lumino a petrolio per i fuochi di un accampamento nemico, e aveva dato l'allarme.

— Corpo di mille balenotteri! — tuonò il Capitano Mezza-barba, lisciandosi nervosamente il suo mezzo onor del mento. — Mi avete fatto credere che ci fosse una nave corsara in vista. Quel bambino, a guardarlo nel mio cannocchiale, non ha per niente l'aria di un pirata. Non ha né un uncino al posto della mano, né una benda nera sugli occhi. Non alza bandiera nera con la testa da morto. Mi sembra proprio un pacifico brigantino che naviga nell'oceano dei sogni.

Il Pilota Seduto, ad ogni buon conto, fece un volo d'esplorazione fino alla branda, sorvolò due o tre volte il bambino, che mosse una mano come se volesse cacciare una mosca, e tornò a riferire:

— Nessun pericolo, signor Generale. Il nemico, volevo dire il bambino, è addormentato.

— Allora lo cattureremo di sorpresa — annunciò il Generale.

Ma stavolta furono i cow-boys a ribellarsi:

— Catturare un bambino? Forse che i nostri lazos sono stati fatti per questo? Noi catturiamo solo cavalli selvatici e tori della prateria. Niente bambini. E con questa corda impiccheremo al primo cactus chi si azzarderà a fargli del male.

Così dicendo spronarono i loro cavalli al galoppo e si disposero attorno al Generale, pronti ad infilargli i lazos attorno al colletto.

— Dicevo per dire — brontolò il Generale — dicevo per dire. Qui non si può mai scherzare. Siete gente di poca fantasia.

E se ne stette quieto.

La carovana dei fuggitivi si avvicinò alla branda. Non tutti i cuori, forse, battevano tranquilli. Qualche bambola, per esempio, non aveva ancora finito di digerire lo spavento, e si teneva dietro la schiena dell'Orso Giallo, che di tutto quel trambusto non aveva capito assolutamente nulla. Era un po' tonto, l'Orso Giallo, bisogna ammetterlo: il suo piccolo cervello di segatura si muoveva molto lentamente, e capiva le cose soltanto una alla volta.

Però aveva la vista buona. Aveva visto subito, lui, che il nemico era un bambino addormentato. Anzi, gli era subito venuta una gran voglia di saltare sul letto e di giocherellare con lui: senza riflettere che i bambini addormentati, di solito, non giocano con gli orsi.

Il bambino non aveva nulla di speciale. Non si poteva nemmeno sapere di che colore fossero i suoi occhi, perché erano chiusi.

Sulla sedia accanto alla lampada, c'era un foglio piegato in quattro. C'era un indirizzo scritto con una grossa scrittura tremante, su una delle facciate.

— Direi che si tratta di un messaggio speciale — suggerì il Generale, che già si sentiva disposto a considerare il bambino una spia del nemico.

— Può essere — riconobbe il Capotreno. — Però non possiamo leggerlo. Non è indirizzato a noi. Vedete? Qui dice: Alla signora Befana.

— Molto interessante — disse il Generale. — Il biglietto è indirizzato proprio alla nostra padrona. Forse il ragazzo intende mandarle informazioni sul nostro conto. Forse ci ha spiati, vi pare? Io dico che sarebbe bene leggere il biglietto.

— Non possiamo — insistè il Capotreno — commetteremmo una violazione del segreto postale. Lo lasci dire a me, che di posta ne trasporto tonnellate ad ogni viaggio.

Questa volta, caso strano. Penna d'Argento fu d'accordo con il Generale.


La carovana dei fuggitivi si avvicinò alla branda…


Disse soltanto: — Leggere subito — e si rimise la pipa in bocca. Ma questo bastò. Il Generale si arrampicò sulla sedia, spiegò il foglio, si schiarì la voce come se stesse per leggere un proclama di guerra e declamò:

Signora Befana,

ho sentito tanto parlare di lei ma non ho mai ricevuto un dono, né grande né piccolo. Questa sera lascerò la luce accesa: spero di riuscire a vederla quando lei passerà di qui, così le potrò dire a voce quello che vorrei. Siccome però ho paura di addormentarmi le scrivo questo biglietto. La prego molto, signora Befana mi accontenti: io sono un bambino buono, lo dicono tutti, e lo sarò anche di più se lei mi farà felice. Altrimenti, a che cosa mi serve essere un bambino buono?

Suo Giampaolo.

La voce del Generale, durante la lettura, era passata dai toni guerreschi a quelli teneri. Il vecchio soldato, è inutile nasconderlo, era piuttosto turbato.

La carovana dei giocattoli tratteneva il respiro. Solo una bambola sospirò tanto forte che tutti si voltarono a guardarla, e lei ebbe vergogna.

— Corpo di mille balene addormentate — si udì brontolare dalla parte del Capitano Mezzabarba. — Mi sembra che la nostra vecchia padrona abbia fatto un'ingiustizia: ecco un bambino che per colpa sua diventerà cattivo.

— Che cosa significa diventare cattivo? — domandò la Bambola Rosa.

Ma nessuno le rispose e le altre bambole le tirarono la gonna per farla star zitta.

— Bisogna fare qualcosa — disse il Capostazione della Freccia Azzurra. — Peccato che Giampaolo, per l'emozione, si sia dimenticato di scrivere cosa desidera.

— Ci vorrebbe un volontario — suggerì il Colonnello dei bersaglieri.

Il cane, che era balzato sulla brandina e si era accucciato vicino al cuscino, diventò rosso rosso e tutti capirono che doveva dire qualcosa di importante.

— Potrei restare io — disse Spìcciola. — Mi piace questo bambino. Credo che con lui sarò felice. Mi tratterà bene e io gli farò compagnia quando i suoi genitori lo lasceranno solo come questa sera.

— Bravo — disse Mezzabarba — e poi chi fiuterà la pista di Francesco?

— Io ho il naso abbastanza grosso — sospirò il Macchinista — ma se non ho dei binari davanti a me non so proprio dove andare.

— Spìcciola non può assolutamente restare — concluse il Generale.

Allora si sentì qualcuno che tossiva in uri certo modo. Quando la gente tossisce in quel modo significa che vorrebbe parlare ma non ne ha il coraggio.

— Avanti, parla — disse la voce del Pilota Seduto, che, dominando la scena dall'aria, aveva visto l'Orso Giallo fare delle strane smorfie.

— Ecco — disse l'Orso Giallo, tossendo di nuovo per nascondere il suo imbarazzo. — Io sono già stanco di andare in giro per il mondo. Potrei fermarmi qui, non vi pare?

Povero Orso Giallo! Voleva far credere di essere pigro, gli dispiaceva di mostrare il suo buon cuore. Chissà perché quelli che hanno il cuore buono davvero si sforzano sempre di non farlo sapere agli altri.

Cento occhi si posarono sull'Orso Giallo: troppi per il suo carattere.

— Non guardatemi così — disse — altrimenti diventerò un Orso Rosso. Sono pigro, ecco. Trovo che su questa branda potrò fare subito un bel sonnellino, in attesa dell'alba, mentre a voi toccherà di andarvene in giro per le strade in cerca di Francesco, col freddo che fa.

— Bene — disse Mezzabarba — resta qui tu. I bambini e gli orsi vanno d'accordo perché almeno in una cosa si somigliano: hanno il sonno duro.

Tutti furono d'accordo. Cominciarono i saluti. Ciascuno voleva stringere la zampa all'Orso Giallo per augurargli buona fortuna. Ma il Macchinista della Freccia Azzurra fece echeggiare un fischio acuto e prolungato, il Capostazione soffiò nel suo fischietto, il Capotreno prese a gridare:

— Presto signori in carrozza! Si parte! Signori, in vettura!

Le bambole per paura di perdere il treno, fecero una confusione incredibile.

Il convoglio si mosse lentamente, mentre cow-boys e indiani a cavallo facevano buona guardia ai suoi fianchi. I bersaglieri si erano accomodati sul tetto delle vetture, e il veliero di Mezzabarba era stato caricato su un vagone merci.

La porta della cantina era aperta, e dava sul vicolo stretto e buio. L'Orso Giallo, accoccolato sul cuscino della branda, accanto alla testa di Giampaolo, guardò con un poco di malinconia i suoi compagni di viaggio che si allontanavano, poi sospirò.

Anzi, sospirò così forte che i capelli del bambino ondeggiarono come se avesse soffiato il vento.

— Piano, piano, amico mio — si disse l'Orso Giallo — altrimenti lo svegli.

Il bambino non si svegliò, ma un sorriso passò da un angolo all'altro della sua bocca.

— Scommetto che sta sognando — si disse l'Orso Giallo — sta sognando che proprio in questo momento la Befana è passata accanto a lui, gli ha lasciato un dono e se n'è andata di corsa, facendo vento ai suoi capelli con la lunga sottana. Scommetto che il sogno è proprio questo. Ma nel sogno, chissà di che regalo si tratta?

L'Orso Giallo si curvò sul bambino per spiarlo meglio, ma gli occhi erano chiusi e non si poteva assolutamente indovinare quello che vedevano.

Allora l'Orso Giallo fece una cosa che a noi non sarebbe venuta in mente: si avvicinò all'orecchio del bambino e prese a parlargli dolcemente, con un soffio di voce, e gli diceva:

— La Befana è passata e ti ha lasciato un Orso Giallo di pelo. Un bellissimo Orsacchiotto, te lo dico io che lo conosco, per averlo visto tante volte nello specchio. E nella schiena ha una chiavetta per caricargli la molla, e quando si carica, l'Orso fa un balletto, come gli orsi che vanno sulle fiere e nei circhi equestri. Adesso te lo faccio vedere.

L'Orso Giallo dovette contorcersi un poco per arrivare con la zampa a toccare la chiavetta e a caricare la molla. Ma alla fine ci riuscì. La molla gli fece un effetto straordinario. Per prima cosa sentì un prurito che gli andava su e giù per la schiena e gli metteva addosso una gran voglia di essere allegro. Poi il prurito scese giù per le gambe, e quelle cominciarono a ballare da sole.

L'Orso Giallo non aveva mai ballato così bene.

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