La Befana ci sa fare

A quell'ora Spìcciola, il cagnolino fedele, se ne stava accoccolato sulla coda, davanti alla casa vuota di Francesco. Un timido sole allungava rabbrividendo i suoi raggi sulla neve gelata. Anche la coda di Spìcciola era mezzo gelata. Ma Spìcciola non si muoveva. Non voleva andare da nessuna parte. Voleva soltanto restar lì, e magari morire lì, pensando a Francesco.

A quell'ora Francesco dormiva sulla dura panca, nel corridoio del commissariato, con la testa appoggiata al muro. Che duro cuscino, una parete di mattoni! Ma Francesco dormiva lo stesso, di un sonno senza sogni.

E a quella stessa ora la Befana, povera vecchia, da poco rincasata, stava bevendo il caffè che Teresa le aveva preparato per fare la pace.

— Mi ficcherò sotto le coperte — borbottava — e dormirò fino a dopodomani.

— Sì, signora baronessa.

— E guai a chi mi sveglia.

— Guai, signora baronessa.

— È stata una gran brutta nottata.

— La peggiore degli ultimi cinquant'anni, signora baronessa.

Ma qualcuno scelse proprio quel momento per bussare alla saracinesca del negozio.

— Chi è? — gridò Teresa, con voce sgarbata. — Che cosa volete? La signora baronessa non può ricevere nessuno.

— Sono una guardia notturna, ho un caso urgente da sottoporre alla signora.

Teresa sbirciò da un buco nella saracinesca, vide la guardia notturna e vide anche, appesa al manubrio della sua bicicletta, una piccola gabbia nella quale un canarino a molla trillava ad ogni scossa.

— Come avete avuto quella gabbia? — domandò Teresa, brusca brusca.

— L'ho trovata stanotte, mezzo sepolta dalla neve.

— Ah, ecco. Debbono averla perduta i ladri. Siete venuto a riportarla, dunque. Va bene, date qua e grazie tante. La consegnerò io alla signora baronessa.

— No, no, un momento. Non si tratta del canarino. Si tratta di Francesco.

Per un caso strano, ma non troppo, quella guardia notturna conosceva Francesco. Molte volte l'aveva incontrato, mentre tornava dal suo lavoro nel cinematografo, e l'aveva accompagnato per un tratto di strada.

— Perché non prendi il tram? — gli domandava la guardia notturna.

— Perché costa troppo — rispondeva Francesco.

— Già — approvava la guardia, crollando il capo.

— Io devo portare a casa tutti i soldi che guadagno: sono tanto pochini anche così.

— Già — borbottava la guardia. — Non è allegro lavorare alla tua età, vero?

— Io non mi lamento, — diceva Francesco — anzi, sono abbastanza contento. È vero che non ho tempo per giocare, ma poi con che cosa giocherei? Non ho giocattoli.

— Sicuro — diceva la guardia notturna — sicuro.

Francesco chiacchierava, e l'uomo l'ascoltava. Gli voleva bene,

a quel ragazzo, che lavorava come un grande, e che attraversava tutta la città a piedi, di notte, solo, con i suoi magri guadagni in tasca.

Questa guardia notturna, dunque, aveva udito l'allarme, aveva visto arrestare i ladri e, con sua grande sorpresa, aveva visto anche Francesco ammanettato come un delinquente e portato via tra due angeli custodi.

— Io non ci credo — aveva pensato subito la guardia notturna — quel ragazzo non può essere un ladro. Io lo conosco come se fosse mio figlio.

Era corso alla polizia, ma lo avevano cacciato in malo modo.

— Pensa a fare la guardia — gli dissero gli agenti — torna a fare il tuo servizio, altrimenti i ladri avranno tempo di svaligiare tutti i negozi della città. È tuo parente quel ragazzo?

— No, non è mio parente, ma…

— Allora lascia che ce ne occupiamo noi. Noi li conosciamo questi ladruncoli.

La guardia notturna era uscita tristemente dal commissariato ed era tornata al suo lavoro. Prima di rincasare, però, gli venne in mente che forse la padrona del negozio lo poteva aiutare.

— Signora — le dirò —alla polizia non mi vogliono ascoltare. Proprio il giorno della Befana quel povero bambino è in gattabuia come un ladro. Perché non viene con me alla polizia a liberarlo? Basterà che lei dica che niente è stato rubato, che conosce quel ragazzo e sa che è un ragazzo per bene. Insomma, faccia qualche cosa per lui. Forse a lei la polizia darà retta.

— Francesco? — disse Teresa. — E chi è questo Francesco?

— Per favore, la smetta di fare domande. Le dico che si tratta di un caso urgentissimo.

— Quando si ha sonno, nulla è più urgente che andare a letto.

— Teresa, con chi stai chiacchierando? — domandò in quel momento la Befana.

— Niente, signora baronessa, è soltanto una guardia notturna.

— Questa è la padrona — pensò il nostro uomo. E chiamò a gran voce:

— Signora baronessa! Signora baronessa!

La Befana rimase piacevolmente colpita: — Ecco qualcuno che conosce le buone maniere e sa come si tratta con una gentildonna.

— Teresa — disse poi — alza la saracinesca e fa' entrare il signore. Possibile che tu non sappia mai distinguere una persona per bene da un disturbatore? Prego, s'accomodi, in che posso esserle utile?

In due parole la guardia notturna la mise al corrente dei fatti di quella notte.

La Befana e Teresa non finivano più di meravigliarsi:

— Dei ladri in negozio mentre eravamo in giro per i tetti! Misericordia! Ci avranno vuotato la cassaforte!

E corsero a guardare. Ma dalla cassaforte non mancava un centesimo.

— Ecco — disse allora la guardia notturna. — Tutto merito di Francesco. È stato lui a dare l'allarme.

— Francesco — ripete la Befana. — Ma io conosco quel ragazzo. Purtroppo non è tra i miei migliori clienti. Capisce quello che voglio dire? Una famiglia povera, pochi soldi in tasca… Come si fa? Io vorrei vedere tutti contenti. Ma non è facile, al giorno d'oggi, mi spiego? Verrò immediatamente con lei alla polizia.

Dieci minuti dopo la Befana e la guardia notturna si presentavano all'agente di servizio.

— Vorremmo parlare con il commissario — disse la Befana.

— A quest'ora? Lei sogna. Il commissario verrà in ufficio alle

nove.

— Lo chiami subito.

— Chiamarlo? Ma lei è pazza.

La Befana stavolta perdette la pazienza.

— Pazza a me? Misuri le parole, sa. Io sono quasi baronessa, per sua norma. E se lei non chiama subito il commissario se ne pentirà per il resto dei suoi giorni.

Insomma, lo strapazzò di santa ragione. Il povero agente dovette chiamare il commissario, lanciando occhiate terribili alla guardia notturna, che si fregava le mani di nascosto. Il commissario arrivò con gli occhi pieni di sonno che quasi non ci vedeva. La Befana maltrattò un tantino anche lui.

— Commissario bello, come si permette di tenere in guardina un povero ragazzo per tutta la notte?

— Ma io non ho tenuto nessuno in nessun posto. Il ragazzo è rimasto qui in attesa di interrogatorio.

— Ah sì? Allora lo interroghi. E faccia in fretta, perché non vedo l'ora di andare a letto.

Un agente andò a svegliare Francesco. Il povero ragazzo aveva le ossa rotte dalla stanchezza. Come riconobbe la Befana, un brivido gli corse per la schiena.

Essa era venuta certamente per accusarlo! Doveva-averlo visto tante volte, mentre guardava nella vetrina. Forse la Befana pensava che fosse stato lui a preparare il colpo.

— Signora, io non ho toccato nulla — implorò — sono stato io a chiamare le guardie.

— Proprio così — disse la Befana, con energia — e adesso che le cose sono chiare, andiamo.

— Un momento — intervenne il commissario — come sa che le cose stanno «proprio così»? Questo ragazzo può mentire. Lo abbiamo sorpreso in compagnia di due ladri tra i più pericolosi della città.

— Mentire? Sono forse diventata tanto vecchia da non capire quando un ragazzo dice la verità e quando racconta una bugia? Questo ragazzo mi ha salvato il negozio e lei lo ficca in prigione invece di dargli una ricompensa. Bella giustizia. Ma ci penserò io, a ricompensarlo. Andiamo, dico.

Il commissario allargò le braccia. Con quella terribile vecchietta non c'era proprio nulla da fare. Essa prese per mano Francesco, lanciò un'occhiataccia agli agenti, che si ripararono gli occhi per paura di restare fulminati, e marciò verso la porta d'uscita. Le sentinelle le fecero il saluto come se fosse un generale: del resto, in quel momento la Befana aveva il passo marziale e superbo dei più grandi generali della storia.

La guardia notturna, per la contentezza, montò sulla bicicletta con troppo slancio e cadde dall'altra parte nella neve.

— Si è fatto male? — domandò la Befana.

— Non è nulla, è tutta allegria — disse la guardia. E salutato Francesco baciò la mano della Befana, come si fa con le signore, e si allontanò.

— Ragazzo simpatico — sentenziò la Befana, guardandosi la mano che lui aveva baciata. — Sa come ci si comporta con una vera signora.

L'altra mano stringeva la manina di Francesco, tutta sudata per l'emozione.

Non era poi così cattiva la Befana: era stata lei a liberarlo, ed ora lo teneva per mano e camminava con lui per la città, come una brava nonna, un po' severa ma affettuosa.

La serva non credeva ai propri occhi, quando li vide arrivare. Preparò subito una terza tazza di caffè e tolse dall'armadio un vaso di vetro dove stavano da anni certi vecchi biscotti risecchiti. Erano duri come il cemento, ma i denti di Francesco erano più duri, e continuarono a macinare finché nel vaso non rimasero nemmeno le bricciole.

— A vederti mordere quei biscotti quasi quasi mi rispuntavano i denti per l'invidia — mormorò la Befana commossa.

Francesco la guardò sorridendo. Poi si alzò.

— Devo tornare a casa — disse. — La mamma starà in pensiero.

La Befana si grattò un orecchio.

— Vorrei farti un regalo — disse — ma stanotte ho proprio dato fondo al magazzino. Non ci sono rimasti che i topi. So che ti piaceva quel bel treno, la Freccia Azzurra, ma quello, purtroppo, è scappato per conto suo.

— Non importa — disse Francesco sorridendo — tanto non avrei tempo di giocare. Devo lavorare, sa? Ho un impiego in un cinematografo.

— Senti — disse la Befana — è tanto tempo che penso di prendere un commesso per il mio negozio. Sai, uno che tenga in ordine i giocattoli, che apra la posta, che faccia i conti. A dire la verità, la vista comincia a mancarmi, non sono più così brava come una volta a lavorare. Vuoi essere il mio commesso?

Francesco si sentì mancare il respiro per la felicità.

— Il commesso della Befana! — esclamò.

— Il commesso di negozio naturalmente. Non penserai che ti mandi in giro sulla scopa a portare i doni alla clientela.

Francesco si guardò attorno. Il negozio gli parve bellissimo, anche con gli scaffali ingombri di cartacce e con la vetrina vuota.

— Certo che…

— Allora d'accordo — disse la Befana. — Domani prenderai servizio.

Francesco la ringraziò e la salutò. Salutò gentilmente anche la serva. Teresa era un tantino gelosa, perché avrebbe dovuto dividere con un altro i favori della padrona; ma non seppe tenere il broncio al ragazzo che la guardava con tanta fiducia, e gli restituì il sorriso.

— Aspetta — disse la Befana. — Ti chiamerò una carrozza. Non voglio che tu ti buschi un raffreddore, adesso che sei al mio servizio.

Anche la carrozza! Fino a quel giorno Francesco aveva viaggiato qualche volta in carrozza, appeso di dietro, dove si mettono i monelli di nascosto dal vetturino e al riparo dalla sua frusta.

Stavolta montò proprio sul sedile di pelle, sotto il mantice nero abbassato per riparare dal freddo. Il vetturino gli stese sulle gambe una bella coperta calda, montò a cassetta e fece schioccare la frusta.

Il cavallo si avviò al piccolo trotto.

— Peccato che i miei amici non mi possano vedere — si diceva Francesco. — Ma quando arrivo a casa, prima di scendere, voglio chiamare la mamma. Verrà alla finestra, e ci verranno anche i miei fratellini, e io mi mostrerò sulla carrozza. Chissà come spalancheranno gli occhi.

I suoi occhi intanto, si facevano pesanti. Lasciò che si chiudessero, e cullato dal dondolio dolce della carrozza, che scivolava senza scosse sulla neve, si addormentò.

Camminava con lui per la città come una brava nonna, un po' severa ma affettuosa.

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