Il giorno dopo Francesco andò a lavorare nel negozio della Befana. Spìcciola, naturalmente, lo seguì. Non potevano separarsi un minuto solo. Francesco se lo era portato con sé a letto, ed era stato Spìcciola a svegliarlo, il mattino presto, con un latrato impaziente che voleva dire:
— Su, non sciupare tutto il tempo a dormire. Dobbiamo fare mille cose. Dobbiamo fare insieme le capriole nella neve, dobbiamo correre fino al muro della fabbrica per vedere chi arriva primo, dobbiamo saltare dal sesto gradino per vedere chi arriva più lontano. Su, sveglia, sveglia!
Per tutta la strada continuarono a giocare.
La Befana, a dire la verità, fece una certa smorfia e disse:
— Un cane? Vuoi tenerlo in negozio con te?
— Se lei permette, signora baronessa.
— Hm… non avrà le pulci, per caso?
— No, signora. È un cane pulito.
— Già, già… Mi pare di averlo già visto da qualche parte. Teresa, da' un'occhiata a questo cane. Ti ricordi dove l'abbiamo visto?
— No, signora baronessa… Però… aspetti… Sa a chi assomiglia? A quel cagnolino che avevamo in vetrina la settimana scorsa.
— Hai ragione, gli somiglia proprio. Però quello era più piccolo.
— Sì, signora baronessa, era più piccolo.
Spìcciola abbaiò, per farsi riconoscere. Ma la Befana disse ridendo:
— E poi, quello non abbaiava.
— No, signora baronessa, non abbaiava.
Francesco ebbe il permesso di tenersi il cane, purché non sporcasse per terra e non facesse disastri.
Spìcciola imparò in un giorno più cose che in un anno.
Imparò ad abbaiare per avvertire che entrava un cliente. Imparò a stare ritto sulle zampe posteriori, reggendo con i denti una ciotolina dove i clienti mettevano la mancia per Francesco. Imparò a giocherellare con i bambini piccoli, per tenerli buoni mentre le loro mamme discutevano con la Befana su questo e su quello, e magari sul tempo, che era sempre brutto.
Nelle ore più tranquille, quando non c'erano clienti, Francesco e Spìcciola si divertivano insieme con i giocattoli nuovi, che la Befana aveva fatti arrivare per la stagione. Era tutta gente nuova, che Spìcciola non conosceva: aeroplani a reazione, fucili ad aria compressa, transatlantici con centinaia di passeggeri affacciati ai finestrini.
— Povero Mezzabarba — pensava Spìcciola — se fosse qui, che figura ci farebbe il suo veliero!
Con tutta quella gente Spìcciola non s'intendeva. Era un popolo silenzioso e immobile, che non gli dava confidenza. Forse tra loro parlavano e discutevano, come Spìcciola aveva fatto con i suoi amici. Ma Spìcciola non era più uno di loro, ormai: apparteneva al mondo della gente vera, che ha un cuore vero, e non un cuore dipinto come quello delle Tre Marionette.
Anche Francesco non si divertiva più tanto con i giocattoli. Preferiva rotolarsi per ore con Spìcciola, dargli la mano da mordere, fare alla lotta con lui.
— Tutti i giocattoli del mondo non valgono un amico — diceva Francesco in un orecchio a Spìcciola.
E Spìcciola abbaiava: —Sì! Sì!
— Non ci lasceremo mai, vero?
— Mai! Mai! — abbaiava Spìcciola.
La Befana si affacciava dalla porta del retrobottega e guardando al di sopra degli occhiali esclamava:
— Ma che cos'ha da abbaiare tanto, quel demonio?
— È contento, signora baronessa. È contento di stare al mondo.
E Spìcciola abbaiava: —Sì! Sì!