CAPITOLO X

Sally Harris e Jake Lesher erano su uno dei convogli della metropolitana che sarebbero stati fermati e vuotati alla stazione della 42a Strada. L'ingorgo del traffico era stato pauroso, e l'auto di Jake era parcheggiata a Flatbush. La polizia aiutò il personale a sgombrare il convoglio della metropolitana, e a far salire in superficie i passeggeri.

«Ma perché, ma perché?» stava domandando Jake. «Sembra un brutto segno.»

«No, invece, un buon segno,» gli disse Sally. «Se ci fossero delle bombe, ci farebbero scendere. Inoltre, qui siamo vicini all'attico di Hugo. Com'è eccitante, Jake!»

Emergendo, trovarono Times Square gremita di folla, come non avrebbero mai creduto possibile alle tre del mattino.

Guardando a ovest, nella 42a Strada, poterono vedere il Vagabondo ancora alto sull'orizzonte, così vicino alla Luna che i due corpi celesti quasi si toccavano. Sul lato sud della strada, la divisione dell'ombra produceva un mare di immobili persone gialle, e sul loro lato un mare di persone purpuree. Le insegne pubblicitarie al neon erano tutte accese, ma la loro luce era in parte sbiadita a causa della luce che scedeva dal cielo.

La piazza era silenziosa, come mai lo era stata; ma in quel preciso momento un uomo emerse alle loro spalle, gridando a gran voce:

«Edizione straordinaria! Leggete tutte le notizie sull'avvenimento del secolo! Tutti i particolari sul nuovo pianeta!»

Jake trovò degli spiccioli, e prese una copia del Daily Orbit. Il tabloid aveva la prima pagina che riproduceva l'immagine del Vagabondo, una fotografia ancora umida che lasciava sulle dita una traccia di rosso e di giallo; e oltre alla foto c'era un commento di sei righe, che chiunque avrebbe potuto ottenere guardando il cielo e poi l'orologio. Il titolo diceva: Strano globo nel cielo — Enigma per il genere umano.

«Per me non è certo un enigma,» disse Sally, con enorme allegria, e poi, sorridendo a Jake, aggiunse, «Io l'ho creato. Io l'ho messo lassù.»

«Non bestemmiare, ragazza!» l'ammonì cupamente un uomo dalla bocca enorme come una lanterna.

«Ah, lei crede che non l'abbia fatto io, eh?» domandò Sally. «Le farò vedere!» A forza di gomiti, si aprì uno spazio libero intorno, e lanciò la giacchetta a Jake. Poi, puntando il dito successivamente su Bocca di Lanterna e sul Vagabondo, e poi facendo schioccare le dita, mettendosi a ondeggiare sinuosamente, in maniera provocante, cominciò a cantare, in un elettrizzante contralto, con una melodia presa imparzialmente da «Porta Verde» e «Strano Frutto».

Strano globo!… nel cielo d'occidente…

Strana luce!… che piove dall'alto…

Don Merriam aveva acceso i motori del Baba Yaga, prima di assicurarsi le cinture di sicurezza, e quando il sistema interno aveva appena cominciato a funzionare. Il motivo era semplicissimo: sentiva l'astronave sobbalzare ormai sul bordo dell'abisso.

Aveva fatto il possibile e l'impossibile, per ridurre i tempi di partenza. Aveva fatto «scoppiare» l'interno, facendo uscire in una sola vampata tutto l'ossigeno, per aprirsi una strada diretta di accesso, invece che attendere il lento funzionamento del doppio portello di decompressione. Aveva chiuso avventurosamente i portelli, alle sue spalle, e aveva compiuto un controllo approssimativo delle condizioni di funzionamento, e aveva dato solo un'occhiata al sistema di ricambio dell'aria, pur sapendo che l'ossigeno della sua tuta spaziale si stava esaurendo… e per poco non era stato ugualmente troppo tardi.

Il freddo fuoco degli ugelli inondò con forza la crosta lunare, però. Molecole torride piovvero dalla coda del Baba Yaga a una velocità di quasi due miglia al secondo, e dopo un momento che parve durare un'eternità l'astronave s'innalzò, ma lateralmente, invece che verticalmente… muovendosi come un vecchio aeroplano al decollo.

Forse l'errore di Don fu quello di avere tentato una correzione di rotta… il suo vettore lo avrebbe portato probabilmente a descrivere un'orbita, forse con eguale efficacia. Ma egli stava pilotando a vista, e non gli piaceva il modo in cui la bianca superficie lunare, percorsa da enormi spaccature nere, continuava a gonfiarsi nello schermo, così immensa e vicina, ed egli sapeva benissimo che più rapida era la correzione, minore era lo spreco di combustibile, e non sapeva con sicurezza la quantità di combustibile e di ossidante che gli rimaneva… anzi, in quel momento ancora non sapeva con esattezza in quale delle tre astronavi gemelle egli si trovasse… e, oltre a tutto questo, probabilmente era già stordito, e i suoi ragionamenti erano illogici, per la mancanza di ossigeno, che doveva scarseggiare nella tuta.

Così, incurante della gravità e mezzo che lo attirava come un magnete, e lo schiacciava con forza, egli allungò lateralmente un braccio… fu un'impresa notevole, perché usualmente solo un meccanismo-robot avrebbe potuto farla; oppure un secondo pilota… e premette i tasti che accendevano tre razzi a combustibile solido sul fianco dell'astronave che era rivolto alla Luna.

L'accelerazione addizionale che essi diedero all'astronave, e la scossa prodotta dalla loro accensione, furono sufficienti a sbalzarlo dal sedile. Inesorabilmente, ma con allucinante lentezza, la leva gli sfuggì dalle mani, ed egli cadde pesantemente… assai più pesantemente di quanto non sarebbe caduto sulla Luna… sul pavimento, a circa quattro metri di distanza, e il suo casco urtò la nuca, facendogli perdere i sensi.

Dieci secondi più tardi, il reattore ad anilina-nitro si spense, come accadeva automaticamente a quelle astronavi quando il pilota lasciava andare la leva. I razzi a combustibile solido si erano esauriti una frazione di secondo prima. La correzione era stata calcolata con rimarchevole esattezza, date le circostanze. Il Baba Yaga saliva dalla superficie lunare quasi verticalmente, con sufficiente energia cinetica, quasi, da sfuggire alla sua attrazione. Ma ora la blanda gravità lunare stava rallentando l'astronave secondo per secondo, benché il Baba Yaga si stesse ancora velocemente sollevando in caduta libera, e avrebbe continuato a farlo per qualche tempo.

Il casco di Don giaceva sopra il portello chiuso precariamente. Un sottile vapore bianco stava sfuggendo da una fessura sottilissima sulla «finestra» di visione. Sui bordi della fessura si stava formando della brina.


Barbara Katz disse a Knolls Kettering III:

«Adesso manca meno di un minuto al contatto, papà.» Con la parola 'contatto' lei intendeva riferirsi al momento in cui il Vagabondo avrebbe cominciato a coprire la Luna, o la Luna il Vagabondo, o…

«Chiedo scusa, signore,» disse una voce bassa e gentile, alle loro spalle. «Ma cosa succederà quando si urteranno?»

Barbara si voltò. Il retro della grande casa, ora, mostrava qualche luce. La luce disegnava i contorni di un uomo alto e grosso, che indossava una divisa da autista, e di due donne vicinissime l'una all'altra. Dovevano essere usciti molto silenziosamente.

Accanto a Barbara, il signor Kettering disse, con voce blanda ma esasperata:

«Avevo detto a tutti di andare a letto, qualche ora fa. Sapete che non vi voglio fra i piedi.»

«Chiedo scusa, signore,» insisté la voce. «Ma tutti sono in piedi, e fuori di casa, per osservare. Tutti gli abitanti di Palm Beach. La prego, signore, che cosa accadrà quando quello colpirà la Luna?»

Barbara avrebbe voluto parlare, per dire all'autista e alle domestiche molte cose: che era la Luna a muoversi verso il Vagabondo, perché il supporto alimentato elettricamente del telescopio era stato disposto per seguire la Luna nel suo pellegrinaggio celeste, e la Luna stava correndo con circa cinque diametri di vantaggio sulla sua traiettoria normale; che essi non conoscevano ancora la distanza del Vagabondo… per prima cosa, la superficie non mostrava dei particolari netti, se non ai margini, solo una distesa vellutata di giallo o di marrone, usando tutti gli ingrandimenti; che i corpi celesti usualmente non si urtavano, ma entravano in orbita l'uno intorno all'altro.

Ma lei sapeva che gli uomini… presumibilmente, anche i milionari… amavano essere loro a parlare di argomenti scientifici: e, oltre a questo, non le piaceva immischiarsi in problemi di etichetta interrazziale a Palm Beach.

Poi sollevò lo sguardo, e vide che il problema si era risolto da solo.

«Non si colpiscono,» disse. «La Luna sta passando di fronte al Vagabondo.» Aggiunse, impulsivamente. «Oh, papà, fino a questo momento non ho creduto che fosse davvero lassù!»

Si udirono degli ansiti sommessi; venivano dalle due donne.

«Il Vagabondo?» domandò a bassa voce l'autista.

Knolls Kettering III intervenne nella conversazione. Disse, un po' rigidamente:

«Vagabondo è il nome che la signorina Katz e io abbiamo scelto per il pianeta straniero. E adesso, per favore, tornatevene a letto.»


Arab Jones chiamò, sul tetto, Pepe Martinez e 'High' Bundy, che stavano danzando insieme con movenze molto libere:

«Ehi, guardate, adesso si accoppiano! La Vecchia Luna sta per entrare in lei, come sperma in un uovo purpureo.»

I tre fratelli di 'viaggio' interrazziali avevano fumato altri quattro contenitori di marijuana, per celebrare la magistrale 'visione' dell'apparizione del Vagabondo, e ormai erano in uno stato di eccitazione febbrile, carichi come fili dell'alta tensione… In uno stato che non avevano mai raggiunto prima di allora. Ma non così carichi, se era possibile raggiungere uno stadio simile, da essere completamente privi di poteri di ragionamento, perché Pepe esclamò:

«Come devono abbracciarsi quei messicani a sud della frontiera, e chissà come danzano i negri per le strade di Rio.»

E in quel momento 'High' concluse con queste parole:

«È così, amico: il viaggio è venuto nel mondo per restarci.»

Arab disse, con il volto bruno che brillava nella luce del Vagabondo:

«Pieghiamo dunque la nostra tenda e discendiamo, figlioli, a mescolarci con la popolazione terrificata.»


Hunter disse a Doc:

«Una cosa è certa: la Luna gli è proprio davanti.» E nel dirlo guardava il disco bianco che si ergeva davanti al Vagabondo. «Anzi, comincio a domandarmi… ricordando i triangoli simili, Rudy… se non possa trovarsi a due milioni e mezzo di miglia di distanza, e avere una superficie larga ottantamila miglia.»

«Giove che è passato a farci visita, allora?» replicò Doc con una risatina, e poi, immediatamente, domandò agli altri, «Bene, qualcuno può indicarmi la posizione di Giove, in qualche altro punto del cielo, ora? Anche se,» aggiunse, «Devo ammettere di non avere mai sentito parlare di un aspetto purpureo, per quanto riguarda Giove, né di una macchia gialla simile a un papero gigante.»

«Un pinguino!» disse forte Ann, alle loro spalle

I due uomini facevano parte del piccolo corteo che stava marciando, tra dune di sabbia e depositi d'alghe, verso la «porta sulla spiaggia» di Vandenberg Due. Il corteo era guidato da Paul, Margo con Miao, e Doc. Poi venivano Hunter, Bacchetto, e altri due uomini che portavano una branda di alluminio con i piedi ripiegati, sulla quale riposava Wanda… la donna grassa… lamentandosi un poco, di quando in quando. Accanto all'improvvisata barella camminava la donna magra, ma senza la radio, che era andata persa durante la frana. La donna magra parlava a Wanda in tono carezzevole, tentando di calmarla. La retroguardia era composta da Rama Joan, Ann, e Clarence Dodd… l'Omino… con Ragnarok al guinzaglio, e visibilmente (e audibilmente) nervoso.

La branda di alluminio era un altro pezzo uscito dal camioncino delle meraviglie (basta-dirlo-e-noi-l'abbiamo) dell'Omino. (Margo gli aveva chiesto se aveva una stufetta da campo e del combustibile. L'Omino aveva risposto, senza batter ciglio, «Sì, ce l'ho, ma non vedo l'utilità di portarla con noi questa volta».)

Quando Doc ebbe concluso la sua osservazione non del tutto frivola su Giove, Rama Joan li chiamò tutti, dicendo loro di guardare di nuovo il Vagabondo. Avevano già notato dei mutamenti considerevoli, negli ultimi quaranta minuti. Il papero (o dinosauro) aveva tutto il corpo sul bordo sinistro del disco, con la testa che sporgeva, a destra, come se facesse parte di una calotta polare dorata. Nella nuova area purpurea che la rotazione faceva apparire, apparve una grande chiazza gialla centrale, con una forma a metà strada tra un triangolo equilatero e una grossa D maiuscola.

«Guardate… subito dopo la D,» disse Rama Joan, «Sta arrivando una sottile falce nera. La Luna la nasconde quasi completamente.»

«È l'ombra della Luna sul nuovo pianeta!» gridò pieno di eccitazione Doc, dopo pochi secondi di silenzio. «E se è più piccola della Luna, non riesco a cogliere la differenza. Ross, non possono essere separati che da poche migliaia di miglia! Adesso sappiamo che quel pianeta ha le dimensioni della Terra, quasi esattamente!»

«Mammina, non significa che stanno quasi per urtarsi?» mormorò Ann. «Perché il signor Brecht è così felice? Perché non si sono urtati?»

«Non esattamente, cara. Probabilmente si sarebbe goduto moltissimo lo spettacolo. Il signor Brecht è contento perché gli piace sapere con esattezza dove stanno le cose, in modo da poterci metter sopra le mani al buio.»

«Il signor Brecht non può mettere le mani sul nuovo pianeta, mammina.»

«No, cara, ma adesso vi può metter sopra i suoi pensieri.»


La miscela di ossigeno ed elio lentamente riempì la cabina del Baba Yaga, dal serbatoio del quale Don Merriam aveva aperto la valvola, quando era salito frettolosamente a bordo. La pressione sigillò il portello interno, e aprì due sportelli nel casco di Don. Sulle pareti della cabina entrarono in funzione dei minuscoli ventilatori, che mossero l'aria, benché l'astronave si trovasse in caduta libera. L'aria fresca entrò nel casco di Don, sostituendo l'aria stantia e quasi velenosa. Il viso di Don si contrasse, ed egli rabbrividì. Il suo respiro si fece più forte, ed egli cadde in un sonno profondo e sano.

Il Baba Yaga raggiunse il vertice della sua traiettoria, rimase fermo là, poi cominciò a ricadere verso la superficie lunare. Cadendo, cominciò a ruotare su se stesso. Circa ogni trenta secondi lo schermo mostrava la luna, e quindici secondi più tardi la Terra. Durante la caduta, la tuta spaziale coperta da un sottile strato di polvere, che conteneva Don, cominciò a muoversi sul pavimento, ruotando molto lentamente.

L'Omino chiamò Paul, che si trovava più avanti:

«Non ho alcuna intenzione d'impugnare la sua veracità, signor Hagbolt, ma l'ingresso sulla spiaggia di Vandenberg Due si trova apparentemente più lontano di quanto lei ci abbia indotto a credere. Buono, Ragnarok!»

«È esattamente di fronte alla luce rossa intermittente,» disse Paul, desiderando in cuor suo d'essere sicuro quanto cercava di far credere agli altri. Aggiunse, «Devo ammettere di avere sottovalutato la distanza di quella luce.»

«Niente paura, Doddsy. Paul ci porterà laggiù,» Doc disse queste parole in tono fiducioso.

I tre si prepararono a dare il cambio a Hunter, a Bacchetto, e a uno degli altri due uomini che portavano la barella della donna grassa.

«Come ti senti, Wanda?» domandò la donna magra, inginocchiata nella sabbia, accanto all'improvvisata barella. «Puoi prendere un'altra pillola.»

«Sto un po' meglio,» mormorò la grassona, socchiudendo gli occhi. Il suo sguardo incontrò il globo del Vagabondo. «Oh, mio Dio,» guaì, girando il capo.

Il globo straniero, nella sua inesorabile rotazione, mostrava ora un nuovo aspetto. I resti del dinosauro, o del pinguino, formavano una grande C gialla intorno al bordo sinistro del pianeta, mentre la solida D gialla era giunta al centro, così che l'effetto generale era quello di una D racchiusa da una C. L'Omino tracciò un altro rapido schizzo, al quale diede la semplice dicitura di «Due Ore.»


DUE ORE

Ann disse:

«Secondo me, la C è un cestino di paglia rovesciato sul fianco, e la D un pezzo di torta al limone. E la Luna è una frittella tonda di crema.»

«Mi accorgo che hai fame,» disse sua madre.

«Oppure la D può essere l'occhiello di un gigantesco ago purpureo,» si affrettò a spiegare Ann.

Il Serpente Dorato si avvolge intorno all'Uovo Rotto, pensò Bacchetto. Il Caos si è schiuso.

La luna e la sua ombra si erano mosse, percorrendo l'intera superficie del pianeta. Ci fu un senso generale di sollievo, quando una sottile striscia di cielo notturno apparve tra i due globi celesti.

L'uomo che reggeva il quarto angolo della barella, un saldatore dal viso quadrato che si chiamava Ignace Wojtowicz, forse con la sola intenzione di prolungare il periodo di riposo, disse:

«C'è una cosa che proprio non capisco. Se là fuori c'è un vero pianeta, grosso come la Terra, come mai non avvertiamo l'attrazione della sua forza gravitazionale… dovrebbe farci almeno sentire più leggeri.»

«Per lo stesso motivo per cui non avvertiamo la gravità della luna o del sole,» rispose subito Hunter. «E poi, naturalmente, anche se conosciamo le dimensioni del nuovo pianeta, non abbiamo la minima idea sulla sua massa. Naturalmente,» aggiunse, «Se è scaturito dall'iperspazio, deve esserci stato un istante nel quale il suo campo gravitazionale non è esistito, per noi, e poi un istante nel quale esso è esistito… partendo dall'assunzione che il fronte del campo gravitazionale appena creato si muova alla velocità della luce… ma apparentemente, non si sono avuti dei fenomeni di transizione.

«Che noi abbiamo notato,» lo corresse Doc. «Tra parentesi, Ross, che cos'è questa espressione dubitativa sulla mia ipotesi di emersione dall'iperspazio? Da quale altro luogo avrebbe potuto venire, quella cosa

«Avrebbe potuto avvicinarsi al sistema solare cammuffato, od oscurato in qualche maniera,» asserì Hunter. «Noi dovremmo considerare tutte le probabilità. La sua filosofia si rivolge contro di lei, Rudy.»

«Umf,» fu il commento di Doc. «No, io credo che quanto ci ha detto Paul sui campi stellari distorti, nelle foto stellari, sposti gli aghi della bilancia verso l'Ipotesi Iperspaziale di Brecht. E il pianeta avrebbe dovuto 'oscurare' anche la sua gravità, direi, stando alla sua teoria. Tra parentesi, immagino che ci sia già possibile dedurre qualcosa, sulla massa del pianeta. Ora è l'una e sette minuti, Tempo della Costa del Pacifico,» disse, guardando l'orologio. «Circa due ore dopo l'apparizione del nuovo pianeta.»

«Due ore e cinque minuti,» si inserì l'Omino.

«Lei è una vera perla, Doddsy. Che tutti scolpiscano nella memoria le undici e due minuti, Tempo della Costa del Pacifico… un giorno i vostri nipoti potranno chiedervi l'esatto momento in cui avete visto saltar fuori dall'iperspazio Mister Monster. Comunque, all'una precisa la luna piena dovrebbe avere già superato il punto più alto della sua traiettoria nel cielo, essersi già da un'ora avviata verso il tramonto. A mio parere, non ci sono dubbi sul fatto che essa si trovi spostata a est, rispetto a quel punto, ancora vicina al suo zenit. Spostata di circa tre o quattro gradi a est, direi… sei, od otto diametri lunari. Questo significa che la trazione gravitazionale del pianeta emerso ha fatto accelerare la luna nella sua orbita. Ergo, il nuovo ospite non è un peso piuma.»

«Accidenti,» disse Wojtowicz, con enfasi. «Quale accelerazione potrebbe essere stata, Doc, immaginando che la Luna sia un razzo?»

«Be', può essere stata tra i due terzi di miglio al secondo a…» Doc esitò, poi disse, come se i suoi calcoli avessero fornito un risultato anche per lui incredibile, «A quattro o più miglia al secondo.»

Lui e Hunter si guardarono negli occhi.

«Accidenti,» ripeté Wojotowicz, «Ma da quanto ho capito, adesso, la Luna rimane sulla sua vecchia orbita, solo che la percorre molto più in fretta. Magari, un mese per ogni settimana, giusto, Doc?» Il nero istmo tra la luna e il pianeta si era un po' allargato, durante la conversazione.

«Credo che faremmo bene a muoverci a nostra volta,» disse Doc, con un tono stranamente remoto, chinandosi a prendere il suo angolo della barella.

«D'accordo,» lo assecondò bruscamente Hunter.


Le grandi pompe rotanti rombarono, muovendo masse di acqua a tribordo della Principe Carlo, per compensare il peso dei passeggeri e degli uomini dell'equipaggio allineati davanti alle ringhiere di babordo, e assiepati intorno ai portelli di babordo, per osservare il tramonto della Luna e del Vagabondo nell'Atlantico, mentre l'alba faceva impallidire il cielo dietro di loro, la stupenda aurora dell'oceano per la quale nessuno, in quel mattino, aveva un solo sguardo. La densità dell'atmosfera terrestre aveva trasformato il color porpora del pianeta in rosso e il color oro in arancio. Il suo tramonto, nel mare placido e silenzioso, era uno spettacolo maestoso.

Il tecnico radio dell'incrociatore atomico riferì al capitano Sithwise che nell'etere c'era una quantità insolita, e crescente, di scariche di statica.


Don Guillermo Walker riuscì a far atterrare il suo aeroplano all'estremità meridionale del Lago Nicaragua, vicino alla foce del fiume San Juan, malgrado l'alettone rotto di sinistra, e la dozzina di fori nelle ali, dovuti a frammenti di pomice vulcanica. Cosa importava… le rocce più grosse lo avevano mancato!

Il vulcano su Ometepe aveva ricevuto il rinforzo del suo gemello, Madera, ed essi stavano scagliando verso il cielo delle rosseggianti colonne di fuoco, circa a cinquanta miglia nord-est. E ora, superando tutte le aspettative di una notte così pazza, vide ammiccare, a meno di un miglio di distanza, i due rossi bengala gemelli che, come gli avevano promesso i fratelli Araiza, lo avrebbero guidato alla lancia. Caramba, que fidelidad! Non avrebbe mai più accusato un latinoamericano di frivolezza e di infedeltà!

Improvvisamente, il riflesso del Vagabando nel lago oscuro ondeggiò verso di lui. Vide le sinistre formazioni dell'acqua, come bassi gradini larghi, avvicinarsi a lui. Appena in tempo, fece virare l'aereo, prendendole di punta, e non di fianco. Il vecchio Seabee scalò il primo gradino con successo, anche se con un rumore d'acqua smossa e un sobbalzo violento. Le onde di un terremoto, o di qualche enorme smottamento!

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