CAPITOLO VII

Paul Hagbolt stava prestando solo una parte della sua attenzione agli oratori sul palco. La coincidenza delle foto stellari e dell'idea di Doc su pianeti che viaggiavano nell'iperspazio lo aveva distratto, e aveva messo in movimento la sua immaginazione. Come se un grande orologio, che lui solo poteva udire, avesse cominciato in quel momento a battere (una volta al secondo, non cinque come gli orologi da polso e quasi tutti gli orologi a molla), scoprì di essere diventato d'un tratto acutamente consapevole del tempo e di tutto ciò che lo circondava… il silenzioso gruppo di persone nel buio, la sabbia pianeggiante, il lontano, debole fruscio delle onde che si frangevano alle spalle degli oratori, la vecchia casa sulla spiaggia con le assi alle finestre, le installazioni incappucciate e ammiccanti di luci sanguigne di Vandernberg Due che si levavano come una torre nera alle sue spalle, le colline di terriccio sopra la macchia erbosa della spiaggia, e sopra ogni altra cosa la notte tiepida che schiacciava il mondo, schiacciata a sua volta dai più remoti recessi degli spazi cosmici, e rendeva ogni cosa minuscola, all'infuori del globo della Terra e della luna nera e delle stelle piccole e scintillanti.

Qualcuno rivolse una domanda a Rama Joan. Lei sorrise al Barba, e poi abbassò lo sguardo sul pubblico, e i suoi occhi parvero fissare ciascuno, uno dopo l'altro. Il gonfio turbante verde le celava i capelli, benché la sua carnagione fosse chiara come quella di Ann, e sottolineava la magrezza del suo viso. Rama Joan pareva una bambina denutrita.

Sempre senza parlare, levò lo sguardo al cielo stellato e si voltò a fissare la luna nera, poi fissò di nuovo il pubblico.

Poi disse sommessamente, ma con voce ugualmente aspra:

Che cosa sa ciascuno di noi, in realtà, di quel che esiste là fuori? Ne sappiamo meno di quanto un uomo imprigionato dalla nascita in una cella sotterranea potrebbe sapere dei milioni di abitanti di Calcutta, o di Hong Kong, o di Mosca, o di New York. So bene che alcuni, tra voi, pensano che delle razze progredite ci amerebbero e ci aiuterebbero in ogni modo, ma io giudico l'atteggiamento di razze più avanzate nei confronti dell'uomo sulla base dell'atteggiamento umano nei confronti delle formiche. Su questa base, posso dirvi una sola cosa: ci sono i demoni là fuori, nelle immensità stellate. I demoni!»

Si udì un basso rumore stridente e sordo, come se del metallo venisse piegato. Miao s'irrigidì tra le braccia di Margo, e rizzò il pelo. Ragnarok aveva ringhiato.

Rama Joan continuò:

«Tra le stelle, là fuori, nelle arcane profondità degli spazi astrali, possono esistere degli Indù incapaci di uccidere una mucca, e perfino dei Jain che accarezzano ogni superficie sulla quale si siedono, per timore di schiacciare involontariamente una formica, e che si coprono il volto con della garza, per non inghiottire un microbo, ma queste sarebbero al massimo le rare eccezioni. Tutti gli altri non si degneranno neppure di osservare la formica che schiacciano. Per noi, saranno dei demoni.»

Un nero abisso di mistero inghiottì Paul. Tutto, intorno a lui, pareva troppo reale, eppure sull'orlo periglioso della dissoluzione… tutto era raggelato, fantomatico. Guardò le stelle e la luna, cercando un appoggio, dicendosi che la volta celeste era l'unica cosa che non era cambiata nel corso di tutta la storia, ma poi una voce demoniaca bisbigliò, nelle profondità della sua mente: «Ma che accadrebbe, se le stelle si muovessero? Le stelle si sono mosse, nelle fotografie!»


Sally Harris guidò Jake Lesher sulla logora piattaforma di legno, verso il quinto e ultimo vagone del treno razzo. Gli unici passeggeri di quel viaggio, oltre a loro, erano un ragazzo e una ragazza, una coppia portoricana dall'aria timida, che stava già aggrappata alle sbarre di sicurezza con tutte e quattro le mani.

«Mio Dio, Sal, tutto il tempo che ho dovuto aspettare,» disse Jake, «E le deviazioni che ho dovuto discendere… voglio dire salire!… per accontentarti. L'attico di Hasseltine…»

«Zitto, questa non è un'attesa e neppure una deviazione, amoruccio,» bisbigliò lei, quando il tecnico passò da quella parte, compiendo l'ultimo controllo affrettato prima del lancio. «Adesso ascolta bene: non appena cominceremo a salire, scivola avanti per almeno trenta centimetri, e aggrappati allo schienale del sedile con la mano sinistra, con tutta la forza che puoi, perché con l'altra mano dovrai stringere me.»

«Ma il braccio destro è dall'altra parte, rispetto a te, Sal.»

«Adesso sì,» gli disse lei, e lo accarezzò in un punto delicato.

Lui sbarrò gli occhi, fissandola, e poi sorrise, incredulo.

«Tu limitati a seguire le istruzioni,» gli disse lei. Con uno scricchiolio e un sobbalzo, il trenino cominciò la sua ascesa verticale. A una dozzina di metri dalla cima, lei si mise a sedere agilmente, mosse la gamba in un arco scintillante, e serrò a forbice tra le gambe divaricate i fianchi del ragazzo. Con una mano gli afferrò il collo, con l'altra, rapidamente, sistemò adeguatamente le cose.

«Gesù, Sal,» ansimò luì, «Scommetto che faremo muovere la terra, come in Per Chi Suona la Campana!»

«La Terra, all'inferno!» gli disse lei, scoprendo i denti in un sorriso da Valchiria, quando il trenino parve arrestarsi, prima della lunga caduta, e il rimorchio si staccò. «Io farò muovere le stelle!»


Rama Joan disse:

«Oh, immagino che i popoli delle stelle saranno meravigliosi per noi, ci incuteranno rispetto, ammirazione e timore… e saranno infinitamente affascinanti, come lo è il cacciatore per un animale selvaggio che ancora non ha ricevuto la pallottola. Anch'io provo un tremendo interesse verso di loro, e sempre cerco di immaginare come saranno… eppure, malgrado tutto questo, per noi essi saranno sempre crudeli e remoti come il novantanove per cento di tutte le nostre divinità. E cosa sono gli dei del genere umano, se non il suo modo d'immaginare esseri di razze più avanzate? Prendete le testimonianze di diecimila anni di storia, se non volete prendere la mia, e vi renderete conto che là fuori… lassù… esistono i demoni.»

Ragnarok ringhiò di nuovo. Miao si rannicchiò contro le spalle di Margo, affondando le unghiette nel vestito.

L'Omino disse:

«Fine della totalità.»

«Davvero, Rama Joan,» disse Doc. «Questa è una sorpresa.»

Margo disse:

«Miao, va tutto bene!»

Paul guardò in alto, e vide il bordo orientale della Luna illuminarsi, e fu come la liberazione da un'oscura e misteriosa prigione. Capì d'un tratto che i suoi terrori incomprensibili sarebbero finiti, con la fine dell'eclisse.

A mezza dozzina di diametri lunari a est della Luna, uno squadrone di stelle parve girare, descrivendo delle piccole virgole strette nel cielo nero, trasformandosi in macchioline distorte, come una minuscola fontana di fuochi artificiali sgorgata dal cielo, un'eruzione microbica, un lampeggiare di lucciole remote… e poi si spense, e in quel punto il cielo diventò nero.


Dalla sua mesa solitaria, nell'aria cristallina della notte, Asa Holcomb vide tremare le stelle vicino alla Luna, come se nel cosmo fosse stata suonata un'angelica fanfara. Poi una grande porta d'oro e di porpora, quattro volte più grande della Luna, si aprì nella volta celeste in quel punto, dissipando l'oscurità della notte come d'incanto; e Asa si protese ansioso verso quella porta, tendendo le braccia, e il suo cuore si gonfiò per la maestà e il prodigio di quella visione, e la sua aorta si ruppe completamente, ed egli morì.


Sally Harris vide tremare le stelle nel momento in cui lei e Jake, strettamente allacciati e con il corpo più leggero per la velocità, stavano giungendo alla sommità della sesta vetta del Razzo di Dieci Piani di Coney Island. Nel cieco mondo egoistico dell'appagamento sessuale, che si stende esattamente sul confine tra le regioni conscie e inconscie della mente, lei seppe che le stelle erano un distretto provinciale di lei stessa… le Frontiere di Sally Harris… e così si limitò a dire, con una voce rauca e affannosa:

«Ce l'ho fatta, Cristo! Avevo detto che l'avrei fatto, e l'ho fatto!»

E anche quando, alla sommità della vetta successiva, dopo un tuffo pulsante e mozzafiato fino al nadir, e una nuova, eccitante ascesa, lei vide le stelle tremolanti sostituite da un disco giallognolo e rossigno, venti volte più grande della Luna, e tanto luminoso da mostrare l'imbastitura sulle spalle del vestito di Jack, mentre il ragazzo teneva il viso premuto tra i seni di lei, lei inarcò il capo, come una Valchiria, sentendo il freddo contatto della sbarra di sicurezza tra le natiche, e gridò alla volta celeste, con voce trionfante:

«Gesù, c'è anche un premio!»


'High' Bundy disse:

«Oh, che viaggio! Ascolta, Pepe, c'è questo vecchio cinese pazzo, più grosso di King Kong, dall'altra parte del mondo, che scalcia verso di noi, e sta dipingendo dei piatti dorati che sembrano due gocce d'acqua che fanno all'amore, e li lancia contro la luna gettandoli dietro le spalle, quando li finisce, e uno di essi si è bloccato lassù.»

«Lo vedo,» tubò Pepe. «Sta illuminando tutta New York. Illuminazione a piatto!»

«Lo vedo anch'io,» disse Arab, dietro di loro. «Fratello, che erba fenomenale!»


Knolls Kettering III, con l'occhio incollato all'oculare, nella buia notte di Palm Beach, stava dicendo, un po' pomposamente:

«Il nome 'pianeta', signorina Katz, deriva dal verbo greco planasthai, vagabondare. In origine, significava semplicemente 'il Vagabondo': un corpo che erra qua e là, tra le stelle fisse.» La sua voce parve più tesa. «Ehi, la luna si sta illuminando, e non solo lungo il bordo che esce dall'eclissi. Sì, non c'è dubbio. E ci sono dei colori.»

Una mano si curvò sulla sua spalla, con un atteggiamento protettivo, e la voce più minuscola che lui avesse mai udito in vita sua… come se Barbara Katz si fosse trasformata in una cavalletta… disse:

«Papà, per favore non stacchi l'occhio dal telescopio, in questo momento. Deve prepararsi a un grosso colpo.»

«Un colpo? Di che si tratta, signorina Katz?» le domandò nervosamente, obbedendo però alle istruzioni.

«Non sono molto sicura,» continuò la voce microscopica, una vocina sottile e timida che era quasi irriconoscibile. «Sembra una vecchia copertina di Amazing. Papà, credo che il suo Vagabondo abbia vagabondato da queste parti… solo che i Greci non li facevano così grossi. Credo che sia un pianeta.»


Paul, sobbalzando, aveva chiuso gli occhi per due secondi al massimo.

Quando li riaprì, il Vagabondo era lassù, e inondava il mondo di torrenti di luce dorata e sanguigna.

Il Vagabondo era lassù, quattro volte più grande del diametro della Luna, e a circa quattro diametri di distanza a est della Luna nel cielo, sedici volte l'area della Luna, diviso da una curva a S capovolta ondeggiante in due metà giallo e marrone, apparentemente più morbido del velluto, eppure con un contorno netto, stagliato, privo di qualsiasi alone.

Paul vide tutto questo come un disegno visuale, lo vide in un lampo, senza anlizzarlo. Un istante più tardi si era gettato al suolo, con le spalle serrate e la testa in giù, lontano dal Vagabondo. Perché la prima impressione dominante era di qualcosa di gigantesco e fiammeggiante sopra di lui, qualcosa di orribilmente massiccio, ormai sul punto di schiacciare la Terra e di schiacciare Paul Hagbolt.

Margo, che stringeva Miao, era sul palco di legno, accanto a lui.

Fu un semplice caso, ma in quel momento lo sguardo di Paul era diretto sul programma che teneva in mano. Automaticamente lesse una riga: «Il nostro conferenziere barbuto è Ross Hunter, Professore di Sociologia, Reed College Portland, Oregon»… prima di rendersi conto che stava leggendo perfettamente, alla luce del Vagabondo.


Per Don Guillermo, che si avvicinava alla collina che ospitava un grappolo di edifici governativi, e aveva gli occhi puntati sul 'Palazzo', e la mano sinistra stretta intorno al pomello di sgancio delle bombe, il Vagabondo fu un reattore lealista del Nicaragua che si era materializzato alla sommità della coda, eruttando un vulcano di silenziosi proiettili magnetici. Si rannicchiò sul sedile, chiuse gli occhi, e irrigidì collo e spalle preparandosi al colpo mortale. I proiettili non vennero, e non vennero ancora… quel bastardo doveva essere un sadico che prolungava con gioia l'agonia della sua vittima.

Fece virare l'aereo a sinistra, verso il grande lago, seguendo il piano, poi si costrinse a guardare in alto, alle sue spalle. Accidenti, quel maledetto ordigno era soltanto un grosso pallone di sbarramento che era stato improvvisamente illuminato, chissà come. E pensare che lo avevano ingannato con un trucco da carnevale simile, facendo sì che lui non sganciasse le bombe! Ma ci avrebbe pensato lui… sarebbe tornato indietro, e gliel'avrebbe fatta vedere, a quei bastardi!

In quel momento un abbagliante vulcano roseo eruttò da La Loma, ed egli vide che la sua mano sinistra stringeva un pomello al quale era appeso ora un filo spezzato. Un istante dopo, un'esplosione lo raggiunse, e fece tremare l'aereo. Raddrizzò il volo, e automaticamente continuò a viaggiare verso il Lago Nicaragua.

Ma, si domandò, com'era possibile che un pallone del genere si tenesse alla medesima velocità del suo vecchio apparecchio? E perché tutto il paesaggio era illuminato, come se fosse stato alzato il sipario del teatro universale?


Bagong Bung, con la testa arrostita dal sole, e le mani appoggiate alla ringhiera del ponte, ma con la mente intenta a immaginare un relitto avvolto d'alghe verdeggianti e con il nucleo d'oro, sommerso a meno di venti leghe di distanza, era del tutto inconsapevole, e non avvertiva uno iota del senso di mistero e di bizzarria, nel momento in cui il fronte gravitazionale di un corpo sconosciuto colpiva la Terra, dall'altra parte del mondo, arrivando nelle più riposte fibre del corpo di tutti gli uomini, e perciò anche in ogni atomo del corpo di Bagong Bung. Dato che esso aveva stretto con forza proporzionale la Machan Lumpur, il Golfo del Tonchino, e l'intero pianeta, il gorgo di polvere cosmica non produsse alcun effetto, oltre a quello di turbare i pensieri di Bagong Bung per un secondo.

Se Bagong Bung avesse guardato la bussola della Machan Lumpur, avrebbe visto l'ago girare follemente, e poi fermarsi tremando in una nuova direzione, lievemente spostata a est del nord, ma il piccolo malese guardava raramente gli strumenti… conosceva troppo bene quei mari poco profondi. E aveva avuto a che fare tante volte con i voltagabbana e i doppiogiochisti, sia dalla parte dei capitalisti che da quella dei comunisti, che anche se avesse visto girare la bussola, avrebbe pensato semplicemente che, dopotutto, anche lo strumento mostrava il suo grado naturale di instabilità politica.


Wolf Loner corrugò la fronte, nel suo sonno freddo e umido, a metà strada dagli antipodi, la piccola bussola della Pazienza girò e si riaggiustò in una maniera identica a quella della Machan Lumpur, e nello stesso istante il dito azzurrino di un fuoco di Sant'Elmo brillò brevemente alla sommità dell'albero. Wolf Loner si agitò, e quasi si svegliò, poi il sonno proseguì, questa volta più disteso.


Il generale Spike Stevens ringhiò:

«Jimmy, fai sparire quella grossa bruciatura, prima che perdiamo uno schermo.»

«Sissignore,» rispose il capitano James Kidley. «Ma di quale schermo si tratta? Continuo a vederla su entrambi.»

«È su entrambi,» intervenne raucamente il colonnello Willard Griswold. «Guarda meglio, Spike. È la fuori… grosso come la Terra.»

«Scusami, Spike,» intervenne il colonnello Mabel Wallingford… e il cuore della donna batteva più forte. «Ma non potrebbe essere un problema? Il Quartier Generale potrebbe influenzare le trasmissioni a piacimento, per controllare le nostre condizioni di efficienza.»

«Bene,» disse il generale, aggrappandosi alla cintura di salvataggio che lei gli aveva lanciato; e questo fece sorridere rabbiosamente la donna. Spike si era spaventato! Il generale continuò, «Se è un problema… come credo che sia… questo è il primo elemento. Entro cinque secondi, i nostri impianti di comunicazione gronderanno dati simulati di crisi. Va bene, allora, facciamo finta che si tratti di un problema.»


Con un violento sforzo di volontà, Paul si mise a sedere, e vide che il Vagabondo, almeno per quanto egli poteva giudicare, non si muoveva, e non cambiava aspetto. Aiutando nel medesimo tempo Margo a rialzarsi, si alzò in piedi, pur rimanendo un po' curvo, sotto il globo sanguigno del Vagabondo, come un uomo procede un po' curvo sotto una massiccia sporgenza di pietra, o per allontanarsi da un pugno sollevato.

Apparentemente, la reazione di gettarsi a terra era stata universale. Le sedie erano disseminate intorno e rovesciate; le persone che si erano trovate in prima fila, e i partecipanti al dibattito, non si vedevano.

Non del tutto universale, però. Bacchetto era in piedi, diritto come un fuso, e stava dicendo con una voce un po' stridula, ma singolarmente tranquilla:

«Non lasciatevi prendere dal panico, gente. Non vedete che si tratta di un grosso pallone sonda? Dal disegno, scommetto che è stato fabbricato in Giappone!»

Una donna pigolò, sotto il palco:

«L'ho visto sollevarsi da Vandenberg! Perché si è fermato? Sta ancora mandando fuoco! Perché non continua a salire?»

Di sotto il tavolo venne un ruggito; era la voce di Doc.

«Restate giù, stupidi! Non sapete che il fungo atomico diventa una perfetta sfera, nello spazio esterno?» Poi, un po' più piano. «I miei occhiali, Rama Joan… dove sono finiti?»

Ragnarok, con la coda tra le gambe, ritornò quasi esattamente al centro della piattaforma, descrivendo ampi giri, si fermò là, tra le sedie vuote, sollevò il muso verso il Vagabondo, e cominciò lentamente a ululare. Paul e Margo, camminando verso la prima fila, per raggiungere gli altri, si tennero alla larga dal cane.

Ann salì sulla piattaforma, dietro di loro.

«Perché hanno tutti paura?» domandò a Paul, allegramente. «Quello dev'essere il disco più grosso che sì sia mai visto.» Spense la lampadina che portava appesa al collo. «Di questa non ne ho più bisogno.»

Bacchetto ricominciò a cantilenare in tono privo d'emozione, monotono.

«Il pallone sonda giapponese si sta muovendo molto lentamente, gente. Passerà bassissimo sulle nostre teste, ma non abbiate paura, ci mancherà.»

L'Omino apparve sulla piattaforma, camminò fino a Bacchetto, allungò la mano e cominciò a scuotergli il braccio.

«Un pallone sonda potrebbe affievolire la luce delle stelle, lasciandone solo una mezza dozzina delle più luminose visibili a occhio nudo?» domandò. «Mostrerebbe così chiaramente i colori delle nostre automobili, laggiù? Trasformerebbe Vandenberg in una montagna verde, e ci permetterebbe di vedere il Pacifico, fino alle isole di Santa Barbara? Accidenti, mi risponda, Charles Fulby!»

Bacchetto si guardò intorno. Poi le pupille dei suoi occhi salirono e sparirono alla vista, ed egli scivolò lentamente contro una sedia, e giacque immobile sulla piattaforma. L'Omino guardò il corpo privo di sensi con occhio critico, e poi, dopo un momento di meditazione, disse:

«Qualunque cosa sia, non è Arietta.»

Simultaneamente, la lucida cupola e gli scintillanti occhiali di Doc, e il volto magro di Hunter… il professore del Reed College, che avevano ribattezzato mentalmente 'il Barba'… spuntarono da sotto il tavolo. Per un momento diedero l'impressione di due robusti nani. Poi:

«Non si tratta di fuoco atomico,» annunciò, «Altrimenti continuerebbe a espandersi. E all'inizio sarebbe stato maledettamente più luminoso.» Aiutò Rama Joan ad alzarsi in piedi. Un capo verde penzolava dal turbante. La camicia bianca era spiegazzata.

Anche Hunter si alzò in piedi.

Ann allungò una mano, e toccò Miao.

«Il vostro gatto sta facendo le fusa, e sta guardando il grosso disco,» disse la bambina dai capelli rossi a Paul e a Margo. «Credo che voglia prenderlo.»

Il Vagabondo continuò a rimanere sospeso nel cielo, morbido e vellutato, ma nettamente definito, incontrovertibile, con le chiazze marrone e dorate che formavano un distorto analogo del simbolo yin-yang della luce e delle tenebre, del maschio e della femmina, del bene e del male.

Mentre gli altri guardavano e fantasticavano, l'Omino estrasse dalla tasca della giacca un piccolo blocco per appunti, e disegnò un preciso contorno, uno schizzo o un diagramma, su una delle pagine bianche, rendendo continua la linea frastagliata di divisione del nuovo corpo celeste, e indicando la regione purpurea con un'ombreggiatura di linee parallele.


LO SCHIZZO DELL'OMINO

Don Merriam raccolse l'ultimo 'cesto' e si avviò di nuovo verso la Capanna. Guardò la volta celeste, per osservare l'eclisse. L'anello ora era luminosissimo sulla destra. Era ormai questione di secondi, e poi il disco del sole avrebbe cominciato a emergere, riportando sulla superficie lunare la rovente luce del giorno, e addolcendo il disco d'inchiostro della Terra con il riverbero della Luna.

A questo punto, si fermò bruscamente. Il disco del sole non era ancora apparso, ma il disco della Terra, nero come l'inchiostro un attimo prima, adesso brillava di una luminosità venti volte più intensa di quanto egli non avesse mai visto al chiarore lunare. Riuscì subito a distinguere facilmente le due Americhe, e sopra il bordo destro lo scintillio debole e minuscolo dei ghiacci della Groenlandia.

«Guarda la Terra, Don.» La voce di Johannsen suonò brusca e decisa al suo orecchio.

«Lo sto facendo, Yo. Che cos'è?»

«Non lo sappiamo. Una ipotesi: c'è una spaventosa esplosione in qualche altro punto della Luna… la Base Sovietica saltata in aria con tutti i suoi dispositivi atomici… tutto il combustibile dei loro razzi esploso…»

«Impossibile, non farebbe tanta luce, Yo. E comunque, può darsi che Ambartsumian abbia inventato un nuovo dispositivo d'illuminazione solare.»

«Un faro atomico?» Johannsen fece una risata aspra. «Dufresne ha appena avanzato l'Ipotesi Numero Tre: Tutte le stelle, dietro di noi, si sono trasformate in novae.»

«Questo sembra più verosimile,» concesse Don. «Ma, Yo, cos'è quella chiazza nell'Atlantico?»

La chiazza alla quale si riferiva era una specie di faro giallo e purpureo, come un disco nelle acque pallide.


Richard Hillary tirò la tendina accanto al suo sedile, per proteggersi dal basso sole dardeggiante del mattino, e si appoggiò comodamente allo schienale, mentre la corriera per Londra acquistava velocità. Era un piacevole contrasto con il piccolo autobus traballante che lo aveva portato da Portishead a Bristol. Finalmente sentì che il suo senso di disgusto cominciava a diminuire, come se i suoi intestini, vittime di folli convulsioni un'ora prima, si stessero riarrotolando in spire normali e sedate.

E guarda cosa può fare alle immagini mentali di una persona una sola notte trascorsa con un poeta gallese pieno di birra, pensò, con una certa vergogna. Come se nel mio ventre ci fossero dei serpenti, guarda un po'! Basta con queste cose, almeno per un bel po' di tempo!

Dai Davies era stato particolarmente chiassoso ed esagerato al momento della partenza, e aveva cantato a gran voce frammenti di un 'Arrivederci Mona' che aveva improvvisato sotto i fumi dell'alcol. Quei brani erano stati colmi di orridi neologismi, quali 'scuro di luna' e 'brillare di ragazza'; e il sollievo di Richard, nell'essersi finalmente liberato di Dai, era stato genuino e profondo. Non lo aveva neppure disturbato, almeno non ancora, il fatto che l'autista della corriera avesse acceso la radio, sia pure a volume ridotto, infliggendo alla mezza dozzina di passeggeri del neojazz americano, pretenzioso come il Partito Repubblicano.

Fece un sospiro silenzioso ma sentito. Sì, basta con Dai, per un poco, basta con la fantascienza, e basta con la Luna. Sì, in particolare, basta con la Luna.

La radio annunciò:

«Interrompiamo il programma per trasmettervi una sconcertante notizia d'agenzia, giunta in questo momento dagli Stati Uniti.»

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