Paul e Margo si mossero, seguendo il gruppo più nutrito degli studiosi di dischi volanti, in direzione della parete naturale dove avevano lasciato le automobili. In quel momento non riuscivano a ricordare chi avesse detto per primo, «Sarà meglio andarcene da qui,» ma una volta pronunciate queste parole, il consenso e le reazioni erano stati pronti, e quasi universali. Doc aveva chiesto di restare presso il suo astrolabio fatto di un ombrello e di un angolo del tavolo, e aveva tentato di convincere un piccolo nucleo di osservatori preparati a restare con lui, ma alla fine era stato dissuaso.
«Rudy è scapolo,» spiegò Hunter a Margo, quando un piccolo gruppetto residuo rimase in attesa che Doc raccogliesse le sue cose. «È disposto a restare tutta la notte sveglio, per compiere delle osservazioni o studiare una mossa di scacchi, o per fare aspettare tutti quanti…» queste ultime parole erano state gridate a Doc, «Ma tutti gli altri hanno famiglia.»
Non appena l'idea di partire era stata lanciata, Paul era stato preso dalla frenesia di raggiungere il quartier generale del Progetto Luna. Decise che lui e Margo sarebbero andati direttamente a Vandenberg Due; aveva pensato perfino di suggerire alla giovane donna di raggiungere la 'porta sulla spiaggia', ma poi aveva ricordato che da quella parte l'ammissione sarebbe stata più complicata e lunga.
Poi, nel momento in cui tutti avevano cominciato ad andarsene, Paul e Margo tra i primi, Miao, probabilmente incoraggiata dal fatto di vedere Ragnarok con un guinzaglio al collo, era balzata dal braccio di Margo, per investigare le regioni nascoste sotto l'antica pista da ballo. Ann era rimasta, per assistere al recupero di Miao, e Rama Joan era rimasta con sua figlia. Le due, madre e figlia, erano uno spettacolo bizzarro: la bambina dagli occhi placidi con le lunghe trecce rosse, e la donna abbigliata in maniera mascolina, con l'abito da sera e la camicia bianca spiegazzata.
Quando Doc arrivò, lamentandosi rumorosamente, i sei si avviarono, affrettando il passo per raggiungere gli altri.
Doc indicò col pollice il barbuto.
«Questo individuo ha per caso già tentato d'insidiare la mia reputazione?» domandò a Margo.
«No, il professor Hunter ha anzi cercato di accrescerla» rispose Margo, con un sorriso. «Mi pare che lei si chiami Rudolf Valentino.»
«No solo, Rudolf Brecht,» ribatté Doc. «Ma anche i Brecht sono un clan di uomini sensuali, è risaputo!»
«Vedo che lei ha dimenticato l'ombrello,» gli disse Hunter, posando la mano sul braccio di Doc. «Non che io sia disposto a permetterle di tornare indietro a prenderlo.»
«No, Ross,» disse Doc a Hunter. «L'ho deliberatamente lasciato nella sabbia… quell'armamentario medievale è ormai già una specie di monumento. Tra parentesi, vorrei far mettere agli atti l'osservazione che ci comportiamo tutti come stupidi. Ora dovremo lottare con i gorghi del traffico per tutta la notte, mentre avremmo potuto impiegare le stesse ore in fruttuose osservazioni in una località ideale… e avrei offerto a tutti una pantagruelica colazione campestre!»
«Non sono molto sicuro sulla località ideale,» cominciò freddamente Hunter, ma Doc lo interruppe, indicando col braccio il Vagabondo che galleggiava nel cielo, e domandando:
«Ehi, ammesso che quell'affare sia un autentico pianeta, secondo lei cosa sono quelle aree gialle e marrone? Potrebbe trattarsi di deserti gialli, e di oceani colmi di alghe purpuree e sedimenti.»
«Pianure aride con altissime percentuali di iodio e di zolfo,» azzardò Hunter.
«Con una pattuglia di frontiera di demoni di Maxwell per tenerli separati, immagino?» lo sfidò amabilmente Doc.
Paul sollevò lo sguardo. La fascia marginale purpurea era più grande, ora, e la regione gialla, muovendosi verso il centro, appariva quasi come una panciuta mezzaluna.
Ann disse:
«Secondo me, quelli sono oceani di acqua dorata, e terre coperte da una fitta foresta purpurea.»
«No, giovane amica, tu devi stare alle regole del gioco,» l'ammonì Doc, senza fermarsi, ma avvicinandosi un po' alla bambina. «E cioè che lassù non puoi avere nulla di cui tu non sia a conoscenza quaggiù.»
«È questa la sua formula per affrontare l'ignoto, signor Brecht?» domandò Rama Joan, con l'ombra di una risata nella voce. «Funzionerebbe anche per la Russia?»
«Be', io personalmente penso che si tratti di una formula dannatamente buona per affrontare la Russia,» replicò Doc. «Ehi, giovane amica,» continuò, rivolgendosi ad Ann, «Qual è il metodo migliore per scoprire il lato migliore di tua madre? Non ho mai corteggiato una Rama, finora, e l'idea mi rende notevolmente perplesso.»
Ann si strinse nelle spalle, muovendo le trecce rosse, e Rama Joan rispose per lei:
«Non cominci ad aspettarsi di trovare solo dei riflessi di se stesso,» gli disse, acidamente. Improvvisamente, lei si tolse il turbante, dal quale sgorgò una nube di capelli ramati che, finalmente, resero plausibile l'idea che lei fosse la madre di Ann, pur rendendo l'abito da sera maschile doppiamente fuori posto.
Stavano ormai raggiungendo gli altri, ed erano arrivati accanto alla macchia d'erba e di alghe sulla spiaggia. Paul fu colpito dal numero di persone che continuavano a camminare curve, sotto i raggi del Vagabondo, come per sfuggire alla sua presenza, poi si accorse che anche lui camminava in quel modo. Superarono la macchia sulla spiaggia e raggiunsero Bacchetto e le due donne che lo accompagnavano; la più magra teneva la radio, che continuava a pigolare musica sinfonica, tra un continuo temporale di scariche di statica.
«Ho provato con le altre stazioni,» disse la donna a Hunter. «Ma i disturbi sono ancora peggio.»
Bruscamente, la musica si interruppe. Tutti si fermarono all'unisono, imitati da diversi del gruppo che si trovava più avanti.
La radio disse, con chiarezza:
«Bollettino del Traffico. Le Statali di Hollywood e Santa Monica… no, mi correggo… le Statali di Hollywood, Santa Monica e Ventura sono bloccate dal traffico. Gli automobilisti sono pregati di non servirsi di queste strade, fino a nuovo avviso. Per favore, restate a casa. L'apparizione nel cielo non è un attacco atomico. Ripeto: non è un attacco atomico. Abbiamo raggiunto telefonicamente il professor Humason Kirk, celebre astronomo del Tarzana College, che ci ha dichiarato pochi istanti fa come l'apparizione nel cielo sia senza alcun dubbio… ripeto, senza alcun dubbio… una nube di particelle metalliche in orbita terrestre, che riflette la luce del sole. Una prima, sommaria analisi da lui effettuata gli ha fatto identificare, tra i componenti della polvere, l'oro e il bronzo rosato. Il peso totale delle particelle non può essere superiore a due, tre chilogrammi al massimo, ci ha assicurato il professor Kirk, e perciò la nube non può produrre alcun danno, di qualsiasi natura…»
«Oh, maledetto somaro idiota!» intervenne Doc. «Polvere cosmica! Balle!»
Diverse persone lo zittirono, ma quando poterono di nuovo ascoltare, si udì nuovamente il suono sommesso del pianoforte, con le prime note di un concerto.
Don Merriam pensò di essere giunto a meno di cento iarde dalla Capanna, quando arrivò il secondo lunamoto di forte entità, una scossa verticale, questa volta, ma preceduta dallo stesso sordo, tremendo brontolio lacerante, come se la Luna si stesse strappando le interiora. I denti gli vibrarono, accompagnando la violenta vibrazione della tuta, come per una solitaria nota di un pianoforte cosmico.
La solida superficie lunare cadde, da sotto i suoi piedi, si abbassò e poi gli salì incontro, e poi crollò di nuovo e si risollevò. Il tappeto di polvere si alzava e si abbassava all'unisono. Qua e là, dei frammenti lunari più grossi s'innalzavano nel vuoto per tre, quattro metri e più, e poi ricadevano, bruscamente, se paragonati alla polvere della Terra.
I sussulti della Luna continuarono. Don lottò disperatamente, per mantenere l'equilibrio, e gli parve di essere in piedi sul dorso di un cavallo imbizzarrito, con le mani pronte a muoversi dal lato in cui l'equilibrio si fosse fatto più precario. La polvere danzante produsse delle striature verticali… spesse cancellature rozze… sul gran sfondo di grappoli di stelle. Un poco di luce solare stava di nuovo bagnando la pianura interna del cratere Piatone.
I sussulti si quietarono. Don portò al massimo la polarizzazione del finestrino del casco, e cercò di trovare con lo sguardo la Capanna. Aveva rinunciato a stabilire un contatto radio. Non riusciva a distinguere i portelli, ma si trattava di un'impresa sempre difficile, in piena luce solare. Configurò l'esatta direzione osservando la posizione delle stelle, e si avviò dalla parte prescelta. Gli parve di vedere i trapezoidi dai bordi scintillanti e dalle lunghe gambe di due dei Baba Yaga.
Un secondo lunamoto ondulatorio lo gettò al suolo. Riuscì a sollevare gli avambracci appena in tempo per assorbire l'urto. Questo tremore parallelo alla superficie durò a lungo. Ci furono almeno dodici scosse ondulatorie. Il grigio lago di polvere di Piatone s'increspò fino all'orizzonte, come un sinistro mare spento. Spruzzi e onde di polvere si sollevarono e caddero. La polvere si comportava in realtà più come acqua (della Terra) che come polvere. Delle sporgenze di roccia nella polvere formavano degli insidiosi scogli. La polvere, ricadendo, copriva la visuale di Don.
Una componente verticale si aggiunse alla scossa orizzontale. Il ruggito lo assordò, lo stordì. La tuta di Don tremò spaventosamente.
Era pazzesco aspettare che le scosse si placassero. Allora ricominciò a procedere, strisciando verso le astronavi, come uno scarabeo d'argento in un mare di sabbia agitato dal vento. Avrebbe voluto avere anche i due arti in più di uno scarabeo.
Gli studiosi dei dischi volanti si stavano dividendo, dirigendosi verso le rispettive automobili, che apparivano alla base della parete bruna in tutti i loro colori. L'effetto generale della luce del Vagabondo, che mescolava i due colori complementari giallo e violaceo, era di un bianco giallognolo, a eccezione dei punti nei quali delle superfici speculari, come l'acqua, riflettevano l'intero globo, o nelle sporgenze d'ombra, dove un colore veniva cancellato.
Hunter disse a Paul, con un'ombra d'invidia nella voce: «Suppongo che voi del Progetto Luna abbiate compreso questa cosa molto più di quanto noi siamo riusciti a capirla; avrete maggiori particolari, per prima cosa, una massa di dati invidiabile sulla quale lavorare. I telescopi montati sui satelliti, i radar, e tutto il resto.»
«Non ne sono molto sicuro, Ross,» replicò Paul. «Vede, nel Progetto si sviluppa una specie di visione a binario unico… ci si muove in una galleria.»
L'Omino ritornò verso di loro, tenendo per il corto guinzaglio Ragnarok, e con l'altra mano il cartone sul quale era sistemato il foglio.
«Si ricorda di me?… Io sono Clarence Dodd. Non potrei avere la sua firma, ora, signorina Gelhorn?» disse in maniera affascinante, porgendo il foglio a Margo. «Domani chissà quante persone diranno, 'Ma perché non abbiamo firmato?' Ma allora sarà troppo tardi.»
Margo, sforzandosi di trattenere Miao, ringhiò:
«Oh, se ne vada, idiota!»
«Firmerò io, Doddsy,» annunciò allegramente Doc. «Solo, venga qui, e la smetta di provocare una guerra felino-canina.»
Ann ridacchiò.
«Mamma, il signor Brecht mi è simpatico.» La donna in abito da sera le sorrise debolmente.
«Ecco quel che mi piace sentire,» gridò Doc. «Continua a fare propaganda presso tua madre, e te ne sarò grato!»
Paul prese Margo per il gomito, per guidarla verso la sua auto, ma in quel momento qualcosa lo indusse a fermarsi, e a sollevare lo sguardo verso il Vagabondo. La figura gialla, dai bordi purpurei, era pienamente visibile ora, grazie alla rotazione, e si stagliava vividamente, spessa alla base, più sottile, e curvata, alla sommità. Quell'immagine era come uno stimolo per l'immaginazione di Paul.
Clarence Dodd… o l'Omino, come Paul lo chiamava ancora mentalmente… diede il guinzaglio di Ragnarok a Doc, e fece un altro schizzo estremamente semplificato, usando delle linee diagonali per indicare la zona purpurea. Diede a questo schizzo la semplice definizione: «Dopo Un'Ora.»
Una delle automobili, una berlina rossa, fece marcia indietro e partì, molto prima di tutte le altre.
Più avanti, nel chiarore del Vagabondo, la donna magra chiamò:
«Per favore, aiutateci… Credo che Wanda abbia un attacco di cuore.»
Ragnarok guaì. Miao soffiò.
Improvvisamente, Paul si rese conto di che cosa gli ricordava la figura gialla: un dinosauro. Un dinosauro dalla lunga mandibola, accovacciato sulle enormi zampe posteriori. Sentì un brivido, e si accorse che gli era venuta la pelle d'oca. Poi scoprì di tremare, e nel suo corpo ci fu un brontolio sordo e basso.
Quando Paul era stato bambino, gli era piaciuto stare in mezzo al dondolo del patio, un sedile solido, soffice, sospeso al soffitto con quattro catene agli angoli, ampio a sufficienza per tre persone. Era stato in piedi sull'altalena, così l'aveva chiamata, e in quel tempo gli era parsa una mirabile dimostrazione di equilibrismo. Ora, d'un tratto, era di nuovo in piedi su quel dondolo, perché la terra, sotto i suoi piedi, si muoveva, dolcemente ma solidamente, con una specie di poderoso tonfo attutito, pochi centimetri avanti, pochi centimerti indietro, e poi di nuovo avanti, e lui muoveva il suo corpo per rimanere in equilibrio, proprio come aveva fatto da piccolo sul dondolo.
In una bailamme di esclamazioni e richiami inarticolati, Hunter gridò, con voce resa stridula dall'apprensione:
«Tenetevi lontano dalle auto!»
Margo si aggrappò a Paul. Miao, stretta tra di loro, miagolò disperatamente.
Tutti stavano correndo. La parete bruna parve gonfiarsi: su tutta la sua superficie si aprirono delle enormi crepe; e poi affondò, lentamente, così pareva, ma sobbalzando e tremolando. Si sollevò una nube di polvere. Un granello di pietra colpì Paul alla guancia. L'aria si fece acre, quasi irrespirabile. D'un tratto, l'odore di terra umida fu fortissimo.
«Venite!» gridò Hunter. «Ne sono rimaste sotto!»
Ma prima Paul guardò nuovamente in alto, guardò la figura eretta nel globo purpureo che ora si trovava visibilmente più vicino alla Luna.
Tyrannosaurus rex!
Pershing Square è un isolato di fontanelle e di prati verdi e curatissmi, che funge da tetto a un grande parcheggio municipale e a un rifugio atomico nel cuore della Vecchia Los Angeles, dove i cartelli dicono «Su crédito es bueno» assai più spesso che «Il suo credito è buono», preferendo l'antica forma spagnola all'inglese.
Quella notte gli ubriachi e i pervertiti e i nottambuli anonimi che, insieme agli scoiattoli pelosi e ai piccioni pennuti, sono i più insistenti frequentatori della piazza, avevano qualcosa di più emozionante da osservare che le barbe dei predicatori del Secondo Avvento e il gesticolare esaltato di conferenzieri sparuti e dagli occhi allucinati.
Quella notte gli abitanti di Pershing Square si riversarono in Olive Street, all'angolo della Quinta Strada, dove una statua bronzea di Beethoven osserva accigliata e pensierosa l'Hotel Baltimora, Bunker Hill, e l'Auditorio Battista che costituisce uno dei maggiori teatri della città. Le facce rivolte all'insù erano illuminate dalla luce del Vagabondo, mentre tutti fissavano silenziosamente il sud, dove galleggiava quel mostruoso segno nel cielo, ma il volto di Beethoven rimaneva pensieroso e introspettivo nell'ombra delle folte sopracciglia e dei capelli, mentre egli fissava la sua veste parzialmente sbottonata, imbiancata da escrementi di miriadi di piccioni.
Ci fu una momentanea intensificazione del silenzio timoroso, poi un lontano brontolio soffocato. Una donna gridò, e gli spettatori abbassarono lo sguardo. Per un lungo momento agli astanti parve che l'oceano nero stesse venendo verso di loro lungo Olive Street, in grandi onde dalle creste gialle e violette di schiuma… grandi onde nere che avevano percorso venti miglia a nord, da San Pedro, lungo le autostrade di Los Angeles e costiere.
Poi gli spettatori videro che le onde non erano di acqua nera, ma di freddo asfalto nero, che la stessa strada si stava gonfiando, mentre grandi scosse di terremoto si dirigevano a nord, percorrendola. Un istante dopo il ruggito diventò più forte di quello di cento reattori, e le onde dell'asfalto afferrarono gli spettatori, e ruppero le mura degli edifici circostanti in un'agghiacciante marea di pietra e cemento armato.
Per un secondo, una luce violetta infinitamente sinistra lampeggio nelle cavità infossate degli occhi del gigantesco Beethoven di metallo, mentre egli lentamente s'inclinava e precipitava in avanti.
Gli studiosi dei dischi volanti ebbero notevoli difficoltà ad affrontare le conseguenze delle ripercussioni marginali del grande terremoto di Los Angeles-Long Beach. Quando la donna magra e altri due componenti del gruppo vennero estratti, con qualche operazione di scavo, dalla leggera coltre di terra che li aveva ricoperti, al bordo della frana, un affrettato censimento mostrò che altri tre membri erano assenti. Seguirono dieci minuti di frenetici scavi, compiuti principalmente con due pale di lucido metallo che l'Omino aveva tirato fuori dal retro del suo camioncino, il quale era solidamente sepolto solo per quanto riguardava le ruote posteriori e la cabina. Poi qualcuno ricordò la berlina rossa che era partita prima di tutte le altre macchine; e qualcun altro ricordò che i tre dispersi erano arrivati proprio con quella macchina.
Mentre gli scavatori tiravano il fiato, Paul, la cui convertibile era sepolta al di là di ogni speranza di recupero, spiegò i suoi contatti con i pezzi grossi del Progetto Luna, e la sua intenzione di andare insieme a Margo fino all'entrata principale di Vandenberg Due, e si offrì di portare con sé tutti coloro che avrebbero voluto venire, e di garantire per costoro alle guardie… anche se l'evidente situazione di disagio nella quale gli eventuali partecipanti all'impresa si trovavano sarebbe stata sufficiente, da sola, a garantire l'ammissione alla base.
Doc si fece entusiasticamente paladino di questo suggerimento, ma trovò una rigida opposizione in un uomo dalle braccia tozze e robuste, che indossava una giacca a vento di cuoio e si chiamava Rivis; costui aveva un'opinione molto bassa di tutte le istituzioni militari, e del grado di aiuto che ci si poteva aspettare da loro… e aveva un'automobile che era stata appena sfiorata dalla frana, e aveva coperti di polvere solo il radiatore e le ruote anteriori. Rivis, che aveva anche quattro bei bambini, una dolce mogliettina, e una suocera isterica… tutti a Santa Barbara… era deciso a disseppellire l'automobile e a ripartire subito per tornare a casa.
Rivis fu subito assecondato dai proprietari dell'utilitaria e del camion di recapito bianco, dato che entrambi i veicoli non avevano riportato serie conseguenze dalla frana. I proprietari del camioncino, due giovani coniugi che si chiamavano Hixon e indossavano entrambi un completo unisex, shorts e maglietta grigi, furono particolarmente insistenti sull'importanza e la necessità di andarsene in fretta.
A queste premesse seguì una discussione dagli accenti sempre più aspri, i cui argomenti principali furono: l'Autostrada Costiera del Pacifico sarebbe stata bloccata dal traffico e/o dal terremoto? Paul era proprio quel che diceva di essere? I motori delle automobili disseppellite avrebbero funzionato (Rivis diede una dimostrazione accendendo il motore della sua automobile, benché l'autoradio non producesse che qualche breve scarica di statica). L'attacco di cuore di Wanda era autentico? Infine, i conferenzieri e il loro nuovo dubbio amico non erano forse un branco di intellettuali dal cervello degno di un'ostrica, terrorizzati all'idea di farsi venire qualche callo alle mani?.
Alla fine, metà degli studiosi dei dischi volanti, quasi tutti con automobili sepolte solo parzialmente, aderirono al gruppo di Rivis e degli Hixon e, in un'esplosione di risentimento e di improperi, rifiutarono perfino di promettere di accudire alla donna grassa che aveva subito l'attacco di cuore fino a quando Paul non avesse potuto mandare una jeep da Vandenberg Due per prelevarla.
L'altra metà del gruppo partì verso l'ingresso sulla spiaggia.
Don Guillermo Walker sapeva che il Vagabondo doveva essere qualcosa di simile a un pianeta, perché esso, e la sua torva immagine riflessa nel nero Lago Nicaragua, sotto di lui, lo avevano seguito ormai per sessanta miglia in direzione sud-est senza cambiare posizione… solo che adesso il «pianeta» pareva più vicino all'orizzonte occidentale, e forse più vicino alla Luna. E ora quello che appariva sul globo nel cielo era assai simile a un gallo dorato, che cantava per svegliare Simon Bolivar. Una volta ho recitato in Le Coq d'Or, o no? si chiese il bombardiere solitario. No, quella è un'opera, o un balletto.
Il paesaggio, e anche l'aria fino ai remoti orizzonti, aveva acquistato una nuova componente; l'orizzonte occidentale era roseo in molti punti, e lui non ne capiva il perché. Sorvolando la lunga isola dai contorni frastagliati di Ometepe, egli vide più luci ad Alta Gracia di quanto fosse possibile immaginarne, dopo mezzanotte. Tutti in piedi a guardare lassù a bocca aperta, a gridare o a piangere come idoti, o a tuffarsi nelle chiese, immaginò Don Guillermo.
Improvvisamente, un bagliore sanguigno dai foschi riverberi, e un'esplosione di rocce, eruttarono da un punto appena oltre la città, e per un istante egli pensò di avere sganciato una bomba della quale non aveva immaginato la presenza. Poi si rese conto che doveva trattarsi di uno dei vulcani di Ometepe, che esplodeva. Proseguì verso est… doveva allontanarsi, allontanarsi dalla tremenda esplosione! Quei lividi chiarori rosati… be', ma l'intera Costa del Pacifico doveva essere in eruzione, dal Golfo di Fonseca al Golfo di Nicoya.
Don Merriam, uno scarabeo ammaccato e dalle gambe appesantite da una tremenda stanchezza, si trascinò, facendo forza con le braccia, accanto all'orgogliosa bandiera magnetica della Capanna e vide, nel luogo in cui avrebbe dovuto sorgere la Capanna, un abisso dalle pareti frastagliate e irte, largo sei metri, con delle cascatelle di polvere che scivolavano lungo il bordo più lontano.
Una delle astronavi era precipitata con la Capanna, una era caduta sul fianco, attraverso l'abisso, come un ponte argenteo, con due delle tre «gambe» ammortizzatrici che sporgevano come le zampe di un pollo morto… mentre lui era strisciato fin quasi sotto il terzo Baba Yaga, senza neppure accorgersene.
Avevano chiamato i piccoli razzi lunari «Baba Yaga» perché… il primo a pensarci era stato Dufresne… essi ricordavano la capanna della strega montata su lunghe «zampe» che figura in un paio di pezzi popolari di musica classica russa, e che, nella tradizione che aveva dato origine ai pezzi musicali, andava in giro di notte proprio grazie a quelle zampe. Si diceva che gli astronauti lunari sovietici chiamassero le loro astronavi jeeps.
Ma ora il paragone con la capanna che camminava si stava facendo troppo realistico, perché le continue scosse verticali del lunamoto, che ormai Don non notava più, avendoci fatto l'abitudine, stavano facendo camminare il terzo Baba Yaga sulle zampe argentee, mano a mano che i sobbalzi lo facevano muovere. Uno dei piedi ammortizzatori era a un metro soltanto dall'abisso, e mentre Don osservava, si avvicinò di altri sei centimetri.
Don si rannicchiò, preparandosi a balzare. Si disse che Dufresne forse era decollato a bordo del razzo mancante, anche se lui non aveva visto il chiarore dei razzi. E Yo poteva essere, vivo o morto, sull'astronave che formava un bizzarro ponte sull'abisso. Gompert…
Il Baba Yaga fece un altro passo verso il precipizio. Don fece due rapidi passi a sua volta, sulla superficie sobbalzante, e poi si raddrizzò e afferrò l'estremità della scaletta che pendeva dal corpo dell'astronave, al centro delle tre gambe.
Facendosi forza, salì verso il portello, incastonato minacciosamente tra i cinque tubi — così simili a trombe — dei razzi. Il Baba Yaga ondeggiò. Don si disse che il suo peso abbassava un poco il centro di gravità dell'astronave, rendendo i suoi passi un po' più brevi.