Reazione perfettamente razionale da parte del pubblico e delle autorità, anche se alcune cittadine s’isolavano dal resto del mondo per difendersi da un contagio inesistente. Si sapeva che qualcosa sterminava la selvaggina, e subito s’era pensato a un’epidemia.
Imprecando, Lane invertì la marcia e si allontanò dal posto di blocco di Hot Springs. Poco dopo, incontrò una traversa a sinistra, in direzione est, e svoltò. Attraversò colline, vallette, campi, passò accanto a linde fattorie, e fece in modo da ritrovarsi, poco dopo, di nuovo sulla statale 220, vicino a Hot Springs. Nel lungo giro non notò nulla d’insolito. Passata Hot Springs, si diresse a un distributore nella frazione di McClurg. Era meglio, e ci aveva pensato vedendo il posto di blocco e i fucili, avere sempre una buona riserva di benzina.
Al distributore nessuno si fece vivo. Lane spense il motore e scese di macchina. C’era un cartello: “Polli da vendere — Uova fresche — Verdura”, davanti a una minuscola bottega, dove però non c’era anima viva. Tese l’orecchio: un gran starnazzare di polli dietro il negozio.
Gli strilli dei pennuti potevano anche non significare niente, ma Lane gridò: — Vado a vedere cosa sta capitando.
Girò dietro al negozietto, dov’era sistemato un pollaio modello dotato di luce elettrica per tener sveglie le galline perché mangino di più e producano più uova. Dietro la rete, un indescrivibile tumulto, e a Lane parve di sentire nelle orecchie i sibili sottili.
Gridò, rivolto ai compagni in macchina:
— Si mette male! Tenetevi pronti!
Venne avanti. I polli tumultuavano, tra una pioggia di penne bianche, e la rete di protezione oscillava quando le bestie le finivano addosso. In mezzo, un uomo le chiamava irosamente.
Lane aprì il cancello ed entrò. L’uomo, con la testa calva, si precipitò, scostando violentemente gli altri animali, sui tre o quattro polli che si agitavano convulsamente davanti al pollaio, e ne raccolse uno. Lane, ormai allenato, vide subito che la bestiola soffriva. A sua volta, gridò, ma il viso dell’uomo si contrasse: non riusciva più a tirare il fiato, e intanto il pollo che aveva in mano si riprese improvvisamente e balzò via.
Lane accese l’accendisigaro: una vampa e un gran puzzo. L’uomo, con un ansito, fissò gli occhi su di lui.
— Venite via! — gridò Lane. — Uscite di qui!
L’uomo sbatté le palpebre, ma gli strilli dei polli continuavano incessanti. Qualcosa gli cadde su un piede: una gallina bianca stramazzò a terra, e soffocava. L’uomo si chinò.
Lane lo prevenne. Quando l’accenditore fu vicino alla testa del pollo qualcosa prese fuoco e arse in un istante, con una tenue fiammella azzurrognola. Il pollo tornò alla pazza, frenetica agitazione di prima e si ricacciò subito in mezzo al tumulto.
L’uomo rimase a bocca aperta, assolutamente incapace di accettare un fatto tanto irrazionale. Lane lo scosse, e lui pronunciò qualche parola che andò persa in tutto quel baccano. Sul pavimento, altri due polli soffocavano. Lane si chinò, ne afferrò uno, tenne per un istante l’accenditore sulla testa della bestia e subito ci fu una vampata e il pollo poté di nuovo respirare. Lane prese su anche l’altro e lo liberò nello stesso modo.
— Adesso venite via — gridò Lane all’uomo. — Venite via: qui c’è pericolo.
E spinse fuori l’uomo dalla testa calva.
— Ma che… ma cosa diavolo fate? — domandò l’uomo. — Che diavolo sta succedendo?
— Qualcosa ce l’ha con i vostri polli — disse Lane rabbiosamente, benché non ce l’avesse con l’uomo. — Ne ha già uccisi quattro. E quella cosa ha attaccato anche voi! Venite. Vi farò vedere come potete proteggervi!
Sentiva sibili dappertutto: evidentemente segnali di Gizmo ad altri Gizmo, e che questi sentivano nonostante il fracasso. Lane afferrò il compagno per un braccio.
— Svelto — urlò. — Correte!
Ma l’uomo calvo resisteva, d’istinto. E allora fu troppo tardi. Tutt’attorno risuonavano i terribili sibili: i Gizmo arrivavano e Lane se li sentì su tutto il corpo, densi e fitti, che lo opprimevano e tentavano di soffocarlo. Si sentì invadere dalla rabbia, e mentre l’uomo con la testa pelata lottava convulso senza poter respirare, Lane alzava a fatica un braccio, vincendo la resistenza dei Gizmo e s’infilava in bocca una sigaretta. Quando accese l’accendisigaro, le fiamme azzurrognole balzarono fino a tre metri. Respirò quell’aria mefitica e accese la sigaretta. Poi la prese, tenendola con la sinistra, e la mosse, su e giù, nell’aria.
Il mezzo era relativamente efficace: la punta della sigaretta accesa distruggeva certo i Gizmo, ma non abbastanza rapidamente. Lane però non agiva come un essere razionale, in quel momento, era troppo furioso per rendersi conto del suo pazzo comportamento.
La Warren arrivò di corsa.
— Dick! — gridò. — Vorrei prenderne uno! Ho bisogno di un esemplare per Washington!
Impugnava una federa e la torcia a benzina con una luce fanatica negli occhi. Vide Lane in mezzo alle fiamme guizzanti e azzurrognole e badò appena all’uomo calvo che lottava contro l’asfissia. Abbassò la torcia e l’agitò nell’atmosfera mefitica e piena di sibili intorno a Lane. I Gizmo erano fitti, tanto che gli alberi intorno apparivano tutti ondulati.
Lane afferrò la torcia accesa e subito si alzarono alte fiamme e si udirono i soliti sibili, mentre la Warren brandiva energicamente la federa dentro cui qualcosa si agitava, sibilando.
Dall’auto, accanto alla bottega, arrivavano i latrati di Mostro.
La lotta durò a lungo. Era eccitante uccidere delle cose che non avevano sostanza finché il fuoco non le toccava.
E poco dopo, la cosa dentro la federa rimase sola, coi suoi sibili, e le cime degli alberi, il fogliame, i rami furono di nuovo ben nitidi. Un soffio di vento portò via il puzzo dei Gizmo morti, e Mostro finalmente smise di latrare. Lane respirò profondamente, poi diede una occhiata all’uomo dal cranio pelato, che si muoveva debolmente. — Che pazzo sono stato — disse Lane.
Sollevò il proprietario dei polli, ancora semisvenuto, mentre le bestie avevano ritrovato la calma, assurda come il panico di prima.
— Ne abbiamo spazzato via un intero stormo, Dick — disse la Warren, soddisfatta — forse non grossissimo, comunque l’abbiamo tolto di mezzo! Non possono venire in aiuto al loro compagno che strilla ma non può far nulla! E io mi terrò il mio esemplare!
L’uomo calvo ansimò e aprì gli occhi. Era terrorizzato.
— Adesso state benissimo — gli disse Lane. — Quando avete perso il respiro, vi stavo spiegando quel che stava succedendo, e come dovevate fare per impedire che si verificasse di nuovo.
— È stato un attacco di cuore — ansimò l’uomo a terra. — Chiamatemi un dottore! È un attacco di cuore, un dottore, presto!
Lane imprecò fra i denti. Il padrone dei polli se ne rimaneva ostinatamente immobile, insistendo nella sua diagnosi. Non poteva credere a quello che ricordava e poi ora gli veniva in mente quello che aveva letto in tante rubriche mediche: in caso di attacco di cuore, chiamare immediatamente un dottore. E l’uomo dal cranio pelato invocava il rimedio consigliato per la sua presunta malattia.
— Gli cercheremo un dottore — brontolò Lane dopo un momento. — Non possiamo lasciarlo qui solo, potrebbe capitare di nuovo! Vado a prendere la macchina.
E andò davanti alla bottega. Burke era alla guida, livido di paura. Aveva acceso il motore e stringeva il volante con dita gelide, tirando affannose boccate dal sigaro. Tutti i finestrini erano sbarrati. In fondo alla macchina, Mostro latrava di paura e disperazione.
Burke lo guardò con occhi sbarrati dal terrore, e passarono vari secondi prima che si riavesse. Lane sapeva benissimo che se fosse stato in grado di muoversi, Burke sarebbe fuggito a pazza velocità appena appreso l’arrivo della massa di Gizmo: li avrebbe abbandonati e non si sarebbe più fermato, finché avesse avuto benzina nel serbatoio.
Lane fece il pieno, spinse via Burke dal sedile, e portò la macchina vicino all’uomo calvo, sempre immobile a terra. Stavolta, pensò il giornalista, c’era la prova dell’esistenza dei Gizmo: ne avevano addirittura uno prigioniero. Potevano chiamarne altri e dare una dimostrazione pubblica alla polizia, ai giornalisti e alle autorità sanitarie. Si sarebbe scatenato un attacco come quello di Murfree, e loro l’avrebbero sgominato, come avevano fatto poco prima con quel poveretto del pollaio.
Caricarono di peso l’uomo in macchina, perché continuava a voler rimanere assolutamente immobile prima che gli venisse un altro attacco, e stavolta mortale. Con voce volutamente flebile l’uomo dava le indicazioni per il medico.
A Burke sfuggì un gemito quando la macchina filò per la strada, e lui capì dalle parole di Lane e della Warren, più forti degli incessanti latrati di Mostro, che volevano attirare un gruppo di Gizmo come quello che aveva attaccato Murfree, che aveva formato i turbini di polvere e ucciso la gente nelle macchine.
— Ma signor Lane — protestò Burke, lamentoso — c’è un Gizmo nella federa e ne chiamerà certo degli altri!
— Sì — tagliò corto la Warren — e se arrivano ne faremo sterminio.
— Ma potrebbero essere vortici di polvere! — protestò Burke. — Mio Dio, signor Lane, li state proprio invitando a seguirci!
— Esatto — disse Lane. — Proprio come farebbero gli abitanti della cittadina che voi vorreste organizzare: li attirerebbero, per poi sterminarli.
Sentì un suono strano, tra i guaiti lamentosi, disperati di Mostro: erano i denti di Burke che battevano. Lane s’ingolfò in una discussione tecnica sui metodi da usare per attirare i Gizmo e poi sterminarli.
La Warren disse improvvisamente, con l’aria di scusarsi: — Mi vergogno a dirlo, Dick, ma vorrei fare un tentativo molto poco scientifico. Come scienziata, mi sento fremere, ma vorrei provare ugualmente.
— Forza, tentate — la incoraggiò Lane.
La Warren si tuffò in mezzo a pacchi e pacchetti stipati nel retro della macchina, e ne riemerse con in mano il sacchetto riempito nella drogheria di Murfree, pochi minuti prima dell’attacco dei Gizmo.
— Vorrei provare — disse la Warren, un po’ imbarazzata — un… un rimedio contro gli spiriti. Potrebbe funzionare anche con i Gizmo.
— La scienza è una cosa meravigliosa — commentò Lane. — Si serve persino di rimedi contro gli spiriti in cui non crede!
— Sciocchezze! — disse la Warren. — Questa non è scienza, è superstizione. Però da generazioni i Boeri mettevano pane ammuffito sulle ferite, prima che si scoprisse la penicillina! E anche qui si tratta di pratiche superstiziose contro gli spiriti e i demoni. Io…
E tirò fuori uno spicchio d’aglio. Avvolto nella sua pellicola serica, era assolutamente inoffensivo. — Si è sempre saputo — disse la Warren, per scusarsi — che gli spiriti non potevano sopportare l’odore di aglio e di assafetida, e la gente portava al collo sacchetti di assafetida, che puzzava ancor più dell’aglio. Ho preso dell’aglio, e voglio vedere come reagisce il nostro prigioniero.
E infilò la mano nella federa. L’ostaggio si dimenò nella prigione di percalle, ma il suo sibilo era sempre uguale.
La Warren ritirò la mano, spezzò lo spicchio d’aglio, se lo passò sulla mano, poi la infilò di nuovo nel sacco.
Ci fu come una convulsione del Gizmo, che lanciò un sibilo così stridulo che parve un gemito. Si dimenava furioso. La Warren ritirò la mano mentre la “cosa” continuava a sbattere contro le pareti di tela.
— Si credeva che l’aglio cacciasse gli spiriti — osservò la scienziata con aria soddisfatta — proprio perché tiene davvero lontano i Gizmo. È chiaro che spiriti e Gizmo sono la stessa cosa. Vedete, Dick, come le nostre ricerche, fanno a ogni istante un passo avanti? Ormai abbiamo buone armi contro i Gizmo! Aglio ce n’è dappertutto! E basta che la gente se lo sfreghi addosso per proteggersi. E l’assafetida va ancora meglio: Dick, questo è un grande momento!
— Sì, ripristinare l’uso del sacchetto di assafetida è veramente un grande trionfo della scienza — osservò Lane calmo.
Mostro ululava di spavento, sentendo i sibili del prigioniero torturato dall’aglio. La Warren con tutte le cautele passò la federa a Burke, poi si chinò per confortare un po’ il cane. Invano. La cosa nel sacco gettava sibili rabbiosi che mettevano Mostro in crisi.
Burke dette un gemito. La macchina filava e intanto l’uomo con il cranio pelato mormorava debolmente: — Un medico… Ho avuto un collasso…
Lane guardò nello specchietto e disse alla Warren: — Non vi sembra di vedere delle ondulazioni dietro, sulla strada?
La Warren si girò per guardare, poi annuì gravemente: — Sì, un gruppo di Gizmo ci segue. Li ha certo chiamati il loro amico, ma li elimineremo.
Burke si tolse il sigaro di bocca, e freneticamente ne premette la punta accesa sulla federa. La tela si bucò subito: una fiammata, un lieve sibilo e un gran puzzo.
— L’ho… l’ho ucciso! — ansimò Burke. — non potete far venire i Gizmo sulla mia macchina!
Lane non disse una parola: ormai la cosa era fatta, non c’era niente da dire. La Warren si morse le labbra, e fissò lo spaventatissimo Burke. Poi abbassò un vetro per rinnovare l’aria. Lane domandò.
— Continuano a seguirci?
— No — rispose la Warren. — Vedo sempre quelle specie di onde, ma si sono fermate. Non ci vengono più dietro.
— Bene — concluse Lane, e poco dopo aggiunse: — La casa del dottore, credo.
Era quasi il tramonto, ormai. Seguendo le indicazioni dell’uomo, Lane svoltò in direzione della linda casa del medico, un po’ discosta dalla strada, proprio ai margini del paese.
Su tutto si stendeva una luce rosata, come la si vede talvolta al tramonto.
La Warren scese di macchina. Seria in viso, fece un cenno all’uomo dal cranio pelato così rianimato all’idea del medico che per sbaglio scese di macchina da solo e poi si stupì di non essere crollato esanime.
— Venite! — brontolò la Warren. — Dick, tenete d’occhio Burke. Voglio vedere se si può far qualcosa. Ormai sappiamo come la gente può difendersi: devono semplicemente far uso di quello in cui credevano i loro antenati!
Lane fece cenno di sì. La Warren prese sottobraccio l’uomo calvo e si diresse decisamente verso l’ambulatorio. A vederla, sembrava che trascinasse un malfattore al posto di polizia, non un paziente dal medico. Scomparve nella porta d’ingresso, spingendo avanti l’uomo dal cranio pelato.
Lane accese una sigaretta. Burke si dimenava sul sedile. A occidente, il cielo, da rosso che era, diventava sempre più cupo, e le montagne erano già invase dall’ombra.
Burke, cercando angosciosamente di non attirare l’attenzione su di sé, appena finito un sigaro, subito ne accendeva un altro.
Il sole calava e si sentivano i suoni e le voci del crepuscolo. Certi cani abbaiavano, lontano, e un uccello mandava il suo richiamo in quella mezza luce.
La macchina, raffreddandosi, faceva sentire degli scricchiolii, e la brezza della sera, sfiorando l’erba appena tagliata, portava fin sull’auto un’aria fresca e profumata. Cadeva la notte, e la Warren e l’uomo calvo erano sempre nell’ambulatorio del dottore.
Il sole calò su tutto il paese. Dappertutto la situazione era confusa; in molti posti non s’era verificato niente d’insolito, ma in altri, cani, gatti, canarini giacevano esanimi, e la gente era perplessa e spaventata.
Non si cercava ancora una spiegazione del fenomeno; i veterinari esaminavano perplessi le bestie morte, che a un certo punto non potendo più respirare, avevano lottato ed erano cadute soffocate. Tutti i centri agricoli statali erano tempestati di telefonate e i funzionari rispondevano stancamente che i sintomi descritti erano ormai ben noti, benché tuttora inspiegabili. Per due o tre settimane, s’erano avuti casi isolati, ma negli ultimi giorni erano considerevolmente aumentati.
Ieri e oggi l’epidemia — non poteva essere altro — era esplosa con straordinaria violenza, e ormai minacciava l’industria alimentare — carni e latte soprattutto — del paese. Era prudente astenersi dal bere latte fresco: molte mucche infatti erano morte.
Nessuno pensava ai Gizmo, perché la gente pensa secondo la logica.
E non c’era logica a considerare i Gizmo la causa unica dei vari incidenti stradali e dei morti di Serenity e dell’epidemia che aveva fatto strage tra le bestie delle foreste del Minnesota, del Maine, della Georgia e dell’Oregon, provocandone la morte tra disperate convulsioni.
La Warren contava molto sul medico condotto del paese: e intendeva convincerlo dell’esistenza dei Gizmo e spiegargli come agivano. Se riusciva a persuaderlo, molte vite sarebbero state risparmiate. Poi c’era l’uomo dal cranio calvo, a cui Lane aveva salvato la vita, e lei era riluttante a lasciarlo tornare a casa, a rischiare di nuovo la vita, quando poteva proteggersi facilmente. E c’erano altre vite da salvare.
Così, non uscì subito dall’ambulatorio. Lane e Burke l’aspettavano, e intanto i colori del tramonto diventarono di fuoco, poi si smorzarono, e fu notte.
Sul sedile posteriore Burke fumava sempre il suo sigaro puzzolente e a volte si agitava irrequieto.
La notte era incantata. Le uniche luci erano le stelle e i rettangoli luminosi della casa del dottore. Lontane, indistinte, si scorgevano le finestre illuminate del paese.
Finalmente la porta della casa del medico si aprì gettando uno sprazzo nel buio e sulla soglia apparve la Warren, stanchissima, che si diresse verso la macchina e vi salì.
— Possiamo andare, Dick — disse, sfinita. — Sono riuscita a convincere il medico. Mentre c’ero io, sono arrivate una dozzina di chiamate urgenti. Mi sembra di aver parlato per secoli! Lui ha dato buoni consigli ai suoi pazienti contro i Gizmo. Non avrei potuto fare di meglio nemmeno io, sapendo quel che so. L’ho invitato a controllare quanto gli dicevo, ma mi ha creduto sulla parola. Conosceva i miei lavori, un vero biologo, insomma. Ha telefonato al direttore del giornale di Roanoke che conosce personalmente, gli ha detto chi ero, e che quanto affermavo era vero.
Lane mise in moto, dirigendosi a nord. Erano in ballo da oltre trentasei ore, senza un istante di riposo. A Monterey avrebbero potuto fermare e riposarsi un po’, ma c’era ancora un’ora di strada, o anche di più.
— E allora con il giornale? — domandò alla scienziata.
— Mi hanno intervistata per telefono. — disse la Warren, con amarezza. — Un signore gentilissimo, che non ha creduto una sola parola di quanto gli ho detto. Ha chiesto di parlare di nuovo col dottore, il quale gli ha giurato che era tutto vero e che la sua esperienza di oggi l’aveva convinto della verità di quanto affermavo, almeno per gl’incidenti. I morti per incidenti stradali oggi superano il migliaio Dick, e non sono tutti lì! Il giornalista ha chiamato il direttore: la mia storia è divertente, hanno dichiarato, e non importa se per caso è vera. La pubblicheranno sul giornale di domani, o della sera. In versione un po’ ridotta, verrà presentata come un bizzarria. E…
— Cosa? — Sollecitò Lane, ma lo indovinava.
— Il titolo sarà: “Spiriti in guerra con gli uomini. Lo afferma una nota scienziata” — poi aggiunse con amarezza: — Vorrei non appartenere più al genere umano.
In fondo, non si poteva dare tutti i torti al giornale.
Quella notte però si verificò un nuovo fatto che indusse a considerare i Gizmo in modo diverso. Una prova indiscutibile e che, con ogni probabilità avrebbe fatto scoppiare la guerra.