I Gizmo non attaccarono. Al mattino, Lane ne individuò una formazione di massa, in movimento lungo una catena di monti. Le stazioni radar degli Stati Uniti segnalarono un numero altissimo di echi sullo schermo. Si muovevano adagio e non erano aerei. Spiegazione fornita: aree ad altissima ionizzazione atmosferica. Esatto, ma, come troppe spiegazioni scientifiche, insufficiente. Si accontentava di descrivere la causa più evidente del fenomeno osservato, senza andare oltre.
Eppure c’era ben di più che una condizione di ionizzazione.
Quel mattino, le aree di ionizzazione erano numerose e vastissime. Anzi, per un certo tempo si temette che disturbassero le regolari operazioni radar. Ma le masse dei Gizmo si spostavano a una velocità massima di cinquanta chilometri all’ora, a seconda dei venti, e quindi era possibile distinguere le tracce lasciate sullo schermo radar dai Gizmo o da un aereo in volo.
In tutte le stazioni vennero registrati sugli schermi più di cinquecento echi simultanei. Impossibile sapere quanti fossero i nuclei distinti. Certo migliaia. Su tutto il paese incombevano masse di Gizmo; forse, meglio, su tutto il mondo. Eppure questi fenomeni rivelati dal radar non erano ancora messi in relazione con l’epidemia scoppiata tra gli animali, con i morti di Serenity, con i casi strani, come l’insolito attacco di asma a Tarzana, in California.
Verso mezzogiorno, Lane fermò la macchina davanti a un negozio e telefonò all’amico, direttore del reparto ricerche di una ditta di prodotti farmaceutici. Coloro che stavano cercando il virus, disse Lane, o seppellendo gli animali morti nel Minnesota, sarebbero caduti vittime, almeno alcuni di loro, della supposta epidemia, e anche i ricercatori muniti di maschera sarebbero stati uccisi da quella stessa morte che cercavano di spiegare. Ma non sarebbe capitato niente a nessuno se la gente avesse tenuto in bocca una sigaretta o un sigaro accesi.
Non osò dire di più. Erano passate appena ventiquattro ore dal suo primo incontro con i Gizmo, e l’esatta cronaca di quelle ore era troppo fantastica perché qualcuno vi prestasse fede.
Dopo la telefonata, Lane puntò a est. Filarono su una strada col fondo di terra battuta e il mondo intorno sembrava pieno di pace. Dai margini della rotabile si alzavano in volo gli uccellini, nei prati pascolavano tranquillamente le mucche, e gli avvoltoi si libravano leggeri nell’azzurro.
Guardò nello specchietto e vide la Warren col capo abbandonato sul sedile, il viso segnato dalla stanchezza, e gli occhi chiusi. Burke stringeva le labbra, pensoso.
Alzò la voce. — Burke — chiamò.
— Sì?
— Cosa state ruminando?
— Non so dove i Gizmo scateneranno l’attacco, ma so che sarà improvviso. Un attacco di sorpresa, e soffocheranno le città con le loro orde rotolanti. Caleranno sulle case, le occuperanno tutte, e la gente finirà massacrata senza neanche sapere cosa sta capitando — sentenziò Burke.
— Pensate che la razza umana sarà distrutta?
— Quasi distrutta! — rispose Burke, sicuro di sé. — Qualcuno, però, riuscirà a sopravvivere e quando i Gizmo attaccheranno, questi scampati risponderanno con artiglierie, bombe incendiarie e lanciafiamme. Ci si metteranno persino i ragazzi con le loro torce, e li spazzeranno via!
— Le torce possono servire per i casi d’emergenza — ribatté Lane — ma ci vuole altro! — e aggiunse: — Un solo essere umano ucciso da quei mostri, un buon cane da caccia ammazzato perché quelli si nutrano di lui… È una cosa intollerabile!
La Warren disse, ad occhi chiusi: — Bisogna scoprire che posto occupavano in un sistema ecologico finora insospettato. Certo sono creature terrestri.
— Derivate dalle divinità pagane? — domandò Lane.
La Warren apri gli occhi. — Probabile. I miti della Grecia e di Roma sono stati spazzati via prima che potessero venire studiati scientificamente. Gli antichi dèi pagani erano semplicemente dei Gizmo. Gli antenati, probabilmente.
La macchina filava veloce. Non era fine settimana e il traffico sulle strade non era intenso. Ma s’incontravano molti autocarri, separati, a coppie o anche in lunghe file. Davanti a loro un grosso autotreno faceva manovra per girare nella loro direzione. Lane rallentò. Con molta difficoltà il pesante veicolo riuscì a invertire la direzione servendosi di una strada laterale che portava a una cascina. Mentre l’autocarro li superava, il conducente fece loro strani segni.
I segnali divennero chiari quando, subito dopo il punto in cui l’autotreno aveva fatto dietro-front, trovarono la strada sbarrata, e un agente della polizia stradale fece cenno a Lane di fermarsi.
— La strada è bloccata — disse il poliziotto. — Laggiù c’è stato un grave incidente. Un grosso autocarro è uscito di strada, ha cozzato contro un albero e ha bloccato il traffico. Dovete ritornare indietro e prendere un’altra strada. Dove siete diretti?
— A nord — rispose Lane. — Nel New Jersey.
L’agente scosse la testa.
— Anche la 60 è bloccata, per un altro grave incidente. Meglio passare da Clifton Forge e prendere la 220.
— Grazie — disse Lane e fece marcia indietro compiendo la stessa manovra dell’autocarro. Poi chiese: — Più incidenti del solito, oggi?
— La giornata peggiore che abbia mai visto! — rispose il poliziotto. — Sei incidenti gravi soltanto in questa località! E verso le montagne è ancor peggio: come se tutti guidassero da ubriachi.
La Warren sporse la testa dal finestrino posteriore: — Sono morti tutti laggiù?
— Tutti — disse l’agente. — Inoltre qualcuno è sceso di macchina per dare una mano, ma è stato preso da un attacco di cuore.
Lane fissò la Warren. Si strinse nelle spalle. — Sentite — disse — eravamo a Murfree stamane, e sono capitate delle cose strane. Un uomo è crollato a terra, per strada, colto da soffocamento; sembrava un attacco di cuore, ma non lo era. Un tale gli ha passato sul viso un accendisigaro acceso e quel poveretto ha potuto respirare di nuovo. Altri tre o quattro sono stramazzati a terra, e quel tizio li ha curati nello stesso modo, e anzi ha detto che se la cosa si ripeteva, il fuoco avrebbe fatto cessare l’asfissia, ed è stato proprio così, almeno a Murfree. C’è qualcosa che provoca quegli attacchi, che sembrano di cuore, ma se si agita una fiamma vicino al viso, passano. Provate anche voi. Quell’uomo ha detto che se uno fuma non capita niente, e ha aggiunto di far correre la voce.
L’agente lo guardava incredulo, annuendo. Lane mise in moto e poco dopo la Warren commentò, con tono amaro: — Non ha creduto a una parola.
— Lo so — disse Lane, e rivolto a Burke: — Mi pare che le vostre previsioni non siano esatte. I Gizmo non attaccano le città, o almeno non ancora. Assalgono macchine e autocarri e uccidono tutti quelli che corrono in aiuto.
Il viso di Burke esprimeva insieme sgomento e trionfo: — Stanno distruggendo le comunicazioni, proprio come vi ho detto. Bloccheranno tutti gli accessi alle città, perché la gente non possa scappare, e sia costretta a rimanervi dentro senza difese.
Lane annuì gravemente, eppure non ci credeva. Sotto certi aspetti i Gizmo agivano con notevole intelligenza, per esempio quando circondavano i conigli e li uccidevano dopo averne riunito un bel numero: così, in poco spazio si assicuravano una buona provvista, e potevano nutrirsi in molti. Inoltre, la regione, ripulita della selvaggina, non sarebbe rimasta a lungo vuota; se arrivavano altri animali, li potevano circondare e a loro volta uccidere.
Forse, pensò Lane, i Gizmo che li avevano toccati fuori della roulotte, non li studiavano, come avevano creduto, ma semplicemente cercavano di circondarli, secondo le loro abitudini.
Ad ogni modo, se i Gizmo potevano scegliere tra vari stratagemmi più o meno efficaci, evidentemente erano dotati d’intelligenza, anzi erano uguali, se non superiori, agli uomini. Se invece agivano solo per istinto, non sceglievano e non potevano agire diversamente.
Ad ogni modo, c’era una bella differenza tra una bestia e un uomo, e Lane non ammetteva che qualcosa di non umano fosse pari all’umano, e rifiutava l’affermazione di Burke che i Gizmo fossero esseri pensanti.
— Signor Lane — rispose Burke, molto serio, e con gli occhi che gli brillavano — faremmo meglio a studiare nuovi piani, migliori dei primi. Non andiamo nel New Jersey, ma in Pennsylvania, e cerchiamoci una cittadina con miniere di carbone che servano da rifugio alle donne e ai bambini, e poi noi insegneremo agli uomini a combattere i Gizmo. Non possiamo continuare a difenderci all’infinito.
Lane grugnì: — Mi pare che nella strategia militare una violenta offensiva sia la miglior difesa. Se volete andare in Pennsylvania, ci separeremo alla prima stazione o al primo aeroporto.
Burke protestò: — Ma io ho bisogno di voi! Dovete aiutarmi a insegnare agli uomini a combattere i Gizmo! Collaborerete con me, per aiutare la gente a cavarsela di fronte a quello che sta per capitare! Possiamo preparare la difesa di una città!
Lane quasi si divertiva: per Burke la cosa più drammatica, e quindi più affascinante, era una cittadina piena di eroi invitti che sfidavano un intero continente di Gizmo, con lui. Burke, a capo di quei valorosi; era tutto eccitato dal magnifico dramma. Avrebbe voluto a ogni costo realizzarlo e neanche si domandava se c’erano cose più importanti da fare.
— Non credo che potremo seguirvi — rispose con gentilezza Lane. — Noi abbiamo trovato la risposta a vari problemi che finora nessuno ancora si è posto, ma dobbiamo aspettare che qualcuno sia cosi disperato da crederci.
— Ma…
— Restate con noi — disse Lane. — Vi diremo tutto quel che riusciremo a scoprire. Ma vi lasceremo appena voi lo vorrete.
Vicino a Tracoma, nello Stato di Washington, un autotreno con una trentina di tonnellate di carico fu incrociato da un altro autocarro proveniente dalla direzione opposta. Nella cabina, l’autista del primo automezzo lottava disperatamente contro il nulla e aveva abbandonato il volante. Il secondo riuscì appena a passare, quando autocarro e carico, senza più controllo, finirono sul marciapiede, cozzarono contro lo steccato e precipitarono nello scavo per le fondamenta di un nuovo edificio. Nessun ferito, neppure il guidatore. O meglio nessuna traccia di ferite; ma l’uomo era morto.
Fuori Detroit una colonna di quattordici macchine nuove avanzava adagio. L’autista in testa alla fila fu colto da malore, e l’auto usci di strada. Degli altri tredici guidatori, dieci persero il controllo del mezzo e tutti cozzarono. Le macchine, a velocità così ridotta, non subirono quasi danni, ma chi era al volante morì, per un attacco di cuore, così sembrava, in seguito alla scossa provata alla vista di tanti amici morti.
Nel New Mexico, ad Albuquerque, un tornado trascinò un enorme turbine di polvere lungo un’arteria di grande traffico. Nessuno dei viaggiatori a bordo delle macchine scampò, benché avessero subito rialzato i vetri. Tutti furono trovati soffocati nella polvere.
Un pullman di linea arrivò a destinazione ad Atlanta, in Georgia, con un carico di passeggeri in preda al panico e tre morti sul sedile posteriore. I tre erano stramazzati, uno dopo l’altro, quando l’autista s’era fermato per un incidente: i viaggiatori avevano abbassato il finestrino per vedere cos’era capitato, e dopo pochi minuti, uno aveva cominciato ad annaspare, convulso in viso, ed era stramazzato a terra, privo di sensi. Gli altri avevano cercato di dargli aiuto, ma era chiaro che occorreva un medico. L’autista lanciò il veicolo al massimo, per arrivare a un ambulatorio, ma prima che si potesse prestare soccorso al primo, altri due viaggiatori entrarono in coma sempre con gli stessi sintomi. Non si riusciva quasi più a controllare i passeggeri terrorizzati quando, finalmente, il pullman arrivò a destinazione e si trovò un medico.
A mezzogiorno, il numero dei morti in seguito a incidenti, negli Stati Uniti, era salito a seicento, cifra enorme per un giorno feriale di metà settimana. Ma non era ancora finita. Quando, per la seconda volta, Lane attraversò Clifton Forge e si fermò davanti a un ristorante, la gente discuteva vivamente sull’aumento degli incidenti stradali comunicati dalla radio.
Lane ascoltava accigliato, seduto al tavolo del ristorante. Nel locale c’era un telefono, e mentre gli altri ordinavano chiamò di nuovo il New Jersey, la ditta di farmaceutici Diebert. Il suo amico, direttore del reparto ricerche, non c’era.
— Vorrei lasciare un messaggio — disse Lane. — È importante. Scrivete parola per parola, per favore. Ecco: “Nessun incidente è accaduto ai guidatori che stavano fumando”, da parte di Dick Lane. Me lo potete rileggere, per favore? — Ascoltò. — Benissimo. È importante, ricordatevene! — raccomandò.
Ritornò al tavolo e spiegò alla Warren quel che aveva fatto.
— Proprio quello che avrei dovuto fare io — disse lei. — Invece di lasciare che quello stupido credesse a uno scherzo, avrei dovuto fare predizioni. Ma non sapevo bene che cosa predire.
— Telefonate ai vostri biologi. Dite che vi è giunta voce che gli sportivi parlano di un numero eccezionale di capi di selvaggina trovati morti. Dite che secondo voi c’è una relazione tra l’alta mortalità della selvaggina e gli avvoltoi che si rifiutano di toccare le bestie morte, come s’è verificato nella stessa zona. Chiedete un controllo, e intanto suggerite una soluzione. E pregateli di mandare le loro risposte al mio amico, visto che siamo diretti là.
La Warren ebbe un’espressione amara. — Avrei dovuto pensarci prima — disse. — Da anni ripeto che i tipici scienziati vedono e sentono soltanto le proprie teorie, e adesso mi accorgo di essere io stessa tanto presuntuosa da comportarmi esattamente così. Io volevo comunicare agli altri quello che avevo scoperto, e invece sono gli altri che vogliono dirlo a me! Farò subito una lista di persone a cui telegrafare.
Cominciò a scrivere nomi sulla lista delle vivande, continuando distrattamente a mangiare.
Burke osservò, un po’ a disagio: — Non capisco, signor Lane. Che c’entra il fumo con gli automobilisti e le bestie morte?
Lane gli spiegò che il fuoco distrugge i Gizmo e che tenere in bocca o in mano qualcosa di acceso almeno li avrebbe scoraggiati: — La punta di una sigaretta accesa si trova proprio dove starebbe un Gizmo intenzionato a soffocare qualcuno. E se questo qualcuno fuma, il Gizmo non riuscirà ad asfissiarlo.
— Capisco — mormorò Burke. — È una cosa molto importante…
Lane si rivolse alla Warren: — Credete che i Gizmo aumenteranno di numero, se hanno maggiori possibilità di nutrirsi?
La Warren esitò un istante, mentre Burke si alzava e usciva dal ristorante.
— Probabilmente sì — disse poi. — Ho letto di certi pappagalli australiani che si moltiplicarono rapidamente quando scoprirono di potersi cibare del rene delle pecore. Nessun mutamento fisico in quei pappagalli, soltanto nell’istinto! E soltanto quella specie di pappagalli si comportò così e per questo dovettero venire eliminati. Ecco risolto il problema dell’origine dei Gizmo e del loro sviluppo. Un fenomeno di istinto!
Guardò Lane con un lampo di trionfo negli occhi. Burke era ritornato al tavolo con le tasche imbottite di sigari. — Ho fatto una provvista — disse — d’ora in poi ne avrò sempre uno in bocca, e anche voi fate altrettanto, signor Lane. Per la signorina non so, ma se ci sta vicino, e noi fumiamo…
— Avete capito come stanno le cose, Dick? — continuò la Warren. — I Gizmo appartenevano a una razza di miasmivori, che si nutrivano di vapori mefitici. A un certo punto, uno di loro ha scoperto che il processo con cui consumavano i miasmi poteva servire ad aspirare dai polmoni degli animali l’alito cattivo, e che se l’animale moriva il Gizmo poteva trovare nuovo alimento. Come i pappagalli australiani che s’erano enormemente moltiplicati, anche i Gizmo divennero orde. Non so come abbiano fatto a escogitare le nubi di polvere, però ci sono storie di spiriti che si spostano in nugoli, e dunque non è una gran novità. Dick, potete spedire i miei telegrammi?
Li trasmisero, e poi si diressero verso Covington. La statale 220 non era lontana da Clifton Forge. Ci erano passati due ore prima, ma da allora molte cose erano avvenute. C era una giardinetta contro un albero, ma non aveva neppure ammaccato il paraurti. Benché i finestrini fossero abbassati, non si riusciva a vedere dentro. Lane bloccò la macchina.
— Vedo delle ondulazioni — disse. — Burke, datemi la torcia. Armiamoci di nuovo.
Burke gli tese una torcia ancora intatta, con il serbatoio pieno e la pompa in funzione, ma non accesa. Lane scese di macchina e si diresse verso la giardinetta.
In aria, i soliti sibili. Tirò fuori l’accendisigaro, lo accese, tornò a spegnerlo. Gli mancò il respiro e avvertì un sibilo rabbioso.
Bruciò la “cosa” con la fiamma dell’accenditore: un lieve stridore, e Lane fece una smorfia per il gran puzzo. Mise la testa dentro alla giardinetta. Con un’imprecazione alzò la torcia e diresse la fiamma verso l’interno della macchina. L’apparecchio funzionava a benzina, immessa sotto pressione nel bruciatore preventivamente riscaldato mediante una pompa. Ma il bruciatore era ancora freddo e un po’ di benzina si sparse a terra, evaporando prima di toccare il suolo. Lane avvicinò l’accenditore alla striscia di benzina caduta a terra.
Subito si sprigionò una gran fiammata: avevano preso fuoco benzina liquida e vapori. Ci fu una forte ventata d’aria, come se gli esseri invisibili si allontanassero sibilando leggermente.
Aperse lo sportello della giardinetta per vedere che cosa era accaduto, e manovrando la torcia spazzò via i Gizmo. Richiuse i finestrini e si sentì pieno di rabbia mentre faceva ritorno alla macchina.
A metà strada, nuovi sibili. Rimase immobile, trattenendo il respiro e aspettò di averli su tutto il corpo, prima di dirigere contro di essi, a più riprese, la fiamma della torcia. Un gran calore, un rombo e lui si affrettò a uscire da quell’atmosfera viziata e a respirare profondamente nell’aria di nuovo pura, mentre tutt’attorno risuonavano gli stridi acuti.
Finalmente raggiunse l’auto. Burke lo guardò, pallidissimo, e intanto tirava gran boccate da un sigaro. La Warren domandò ansiosa:
— Che c’è? Cos’era? Erano tutti…
— Sì — articolò a stento Lane. — Tutti morti. Preferisco non dire di più.
Salì in macchina, si mise al volante, e partì, col volto teso e le mani tremanti per la rabbia.
— Ne avete ucciso un bel po’ — disse la Warren per confortarlo. — Mi sarebbe piaciuto prenderne uno. Ma voi ne avete davvero uccisi molti: li ho visti bruciare.
— Non mai abbastanza — replicò Lane.
Un chilometro e mezzo, e un altro incidente. Ne trovarono altri quattro, prima di puntare a nord.
Era pomeriggio inoltrato, quando giunsero nei pressi di Hot Springs. Sulla statale regnava una gran confusione; e prima di Hot Springs incontrarono un posto di blocco. Uomini muniti di fucili e di maschere di garza improvvisate intimarono l’alt.
— Non si passa! — gridò uno, tenendosi a una certa distanza. — C’è la quarantena, e non potete proseguire. Non vogliamo che l’epidemia arrivi anche in città. Tornate indietro!