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Lane saltò giù dalla macchina, svitando il tappo della latta di benzina, e subito cominciò a spandere il liquido tutt’attorno, sul terreno, formando un gran cerchio.

— Le fiaccole — gridò. — Presto, portatele qui. E venite tutti dentro al cerchio!

Diede fuoco alla benzina e immediatamente le fiamme si alzarono tutt’attorno, lungo l’anello di terreno imbevuto di combustibile. L’enorme palla di polvere avanzava, rotolando lungo la strada, sempre più vicina alla stazione di servizio. Poi smise di rotolare, e si sollevò nell’aria. La polvere scese accecante a mozzare il respiro.

Un lieve suono stridulo, come il gemito del vento, e poi correnti, vortici, turbini violentissimi mentre le fiamme si levavano alte. Poi un banco di polvere eccezionalmente denso, ben localizzato. A cento metri dalla stazione, l’aria era perfettamente calma: niente polvere, nessun turbamento nella quiete del primo mattino. Al centro della nuvola invece…

— Qui — ansimò Lane. — Venite qui!

La Warren arrivò, incespicando. Con un balzo tra le fiamme, Lane afferrò Burke. Il padrone della stazione lottava disperatamente per respirare, e agitava consulsamente le braccia, mezzo soffocato e sepolto nella polvere. Lane, trattenendo il respiro, uscì dal cerchio e arrivò fino a lui: l’uomo si dimenava come se stesse per annegare. Subito le creature invisibili attaccarono Lane, e il suo vestito palpitò. I Gizmo, presi uno per uno, erano debolissimi, ma tutti insieme formavano un sistema dinamico molto potente. Nugoli di quei mostri orrendi si univano, combinavano assieme le singole forze in turbini di vento della violenza di un uragano.

Il padrone della stazione lottava, e la polvere era come acqua, e lui vi stava per annegare dentro. Si aggrappò a Lane tentando di sollevarsi, e anche Lane si sentiva soffocare…

Avvertì un odore di benzina bruciata. Con un fazzoletto imbevuto di benzina la Warren si era fatta una torcia e l’agitava sopra la sua testa. Subito sentì bocca e narici libere, e un gran sibilo. Poté respirare e avvertì un puzzo insopportabile.

Si trascinò dentro al cerchio di fuoco portandosi dietro Sam, mentre la Warren continuava ad agitare la sua torcia. Si strinsero tutti al centro dell’anello. La polvere continuava a piovere, massa impalpabile, ma la benzina la impregnava e le fiamme divampavano sempre più alte.

La Warren, con mani tremanti, riempì una latta di polvere imbevuta di benzina, e la protese alta sulla testa, contro le creature invisibili.

— Ha quasi finito di bruciare! — ansimò nell’orecchio di Lane, dopo qualche minuto.

— Lo so — rispose il giornalista. — Venite con me agitando la torcia. Pomperò dell’altra benzina sul terreno e le darò fuoco…

Si presero per mano buttandosi attraverso le fiamme giallastre e fumose. Di colpo si trovarono in mezzo a un turbinio di polvere accecante. Soltanto per un caso fortunato, Lane capitò sulla macchina di Burke. In quella totale oscurità, era impossibile vedere a un palmo dal proprio naso. Le ruote erano già mezze affondate nella polvere.

Trascinando con sé la Warren arrivò fino alla pompa della benzina. Staccò il tubo, azionò la pompa, poi si trascinò per quanto era lungo il tubo, respirando attraverso la giacca piegata due volte, e fece zampillare un grosso getto di benzina, che si sparse a terra.

La Warren gli urlò: — La torcia non brucia più!

Subito il nemico gli si gettò addosso e lui si senti soffocare, anche se poteva respirare un po’ attraverso la giacca. Era completamente sommerso da una massa di Gizmo.

Allora azionò l’accendisigaro. Un rombo, e le fiamme divamparono altissime, a sei o sette metri, e li accanto si udirono stridere e torcersi le masse di Gizmo.

Lane boccheggiava, e la Warren, ansimando, si teneva in piedi a stento. Sorreggendola, le prese la torcia di mano, la impregnò di benzina, l’accese alle fiamme lanciando la terra infuocata a destra e a sinistra, tra acuti sibili.

— Ho trovato il sistema! — ansimò.

Gettò ancora attorno polvere infuocata e le fiamme squarciarono le masse di Gizmo che costituivano la nube. Il sistema dinamico era ormai colpito a morte, le sue varie parti ardevano e distruggevano tutte quelle con cui venivano a contatto.

Lane trascinò il tubo della benzina vicino al cerchio di fiamme e creò una nuova sorgente di fuoco, e una terza…

E la nube cominciò ad assottigliarsi. Il grappolo rotondo dei Gizmo si sfasciava cessando di esistere come un tutto unico. La polvere trascinata da quegli esseri ricadeva a terra, e i Gizmo ritornarono invisibili, come prima di formare la nuvola.

Forse volarono via, forse continuarono a librarsi lì vicino. Comunque, non si sentirono né sibili né vortici attorno alla stazione, e la enorme palla di polvere ricadde lentamente al suolo.


In quei dieci minuti, la scena dell’attacco era notevolmente cambiata. All’arrivo della macchina, c’era una strada polverosa e una piattaforma di cemento per il distributore di benzina, una linda stazione di rifornimento, modernissima, con l’officina, la pompa per la lubrificazione, le finestre con i vetri ben puliti. Tutto nitido e luccicante. Ora su tutto si stendeva una spessa coltre di polvere. Pareva un Sahara in miniatura.

In quattro punti diversi si levavano alte fiamme giallastre che sprigionavano un denso fumo nero.

Immersi quasi fino al ginocchio nella polvere impalpabile, la Warren e Burke trasportavano qualcosa d’irriconoscibile, coperto di polvere. Era Sam, il padrone del distributore. La Warren gli praticò subito la respirazione artificiale, non molto amabilmente, ma con grande energia e Burke l’aiutava. Con un brusco salto, sbucò fuori dalla polvere il gatto della stazione che starnutiva e cercava un terreno più solido.

Uno dei falò si spense, e anche il primo cerchio di fuoco tracciato da Lane, tra il puzzo di benzina bruciata.

— Ho paura che questo poveretto sia morto! — ansimò la Warren.

Accanto a lei, Burke disse assorto: — Voi ci dovete aver pensato, a queste cose, meglio di me. Non mi sarebbe mai venuto in mente di combattere gli spiriti col fuoco, eppure li caccia via davvero!

— Episodi come questi — riprese la Warren — si verificheranno in tutto il paese. Incomincio a essere preoccupata sul serio… Dobbiamo informare le autorità e bisogna studiare i Gizmo, per trovare la soluzione del problema. Sono una minaccia per tutti, e possono fare gravissimi danni!

Nonostante i suoi timori riguardo a Sam, tanto lei quanto Burke continuarono ostinatamente a praticare la respirazione artificiale al disgraziato proprietario della stazione.

— Se non avete bisogno di me — disse Lane — provo di nuovo a telefonare. Forse troverò un dottore.

Avanzò barcollando nella polvere, fino alla stazione. Chiamò prima un medico e poi l’intercomunale. Era esasperante avere tanta fretta e sentirsi troncare di tanto in tanto la comunicazione dalla telefonista che chiedeva altri gettoni per non interrompere. Quando uscì aveva un’espressione delusa.

— Non va?

— Non potrebbe andar peggio! — rispose amareggiato. — Nessun medico. Ce ne sono due a Murfree, e tutti e due sono fuori per chiamate d’urgenza: persone morte o che hanno rischiato di morire nel sonno. Ho cercato altri dottori: c’è stata una dozzina di casi analoghi la scorsa notte in paese, e tutti i medici si affannano per scoprire le cause del male, che si sospetta contagioso. — C’era una sfumatura d’ironia nella voce. — Non sanno come proteggere gli altri membri delle famiglie colpite! Certo una epidemia improvvisa è una spiegazione migliore della mia per i fatti capitati la scorsa notte. Almeno è più facile da credere…

La Warren aveva sospeso la respirazione artificiale, e si torceva le mani. Burke, messosi in spalla il corpo di Sam, sguazzava faticosamente nella polvere, verso la stazione.

— È morto — disse con tristezza la Warren. — Ha respirato la polvere, anzi, c’è annegato dentro. Ansava, cercando di tirare su aria, e i suoi polmoni si sono riempiti di polvere, come se fosse acqua! Non c’è stato niente da fare… niente!

— Si vede che era destino — commentò Burke, più filosoficamente. — Quelli sono arrivati trascinando la polvere. Avrebbero soffocato qualunque fuoco, con quella, meno la benzina accesa! Per questo hanno portato tutta quella polvere… Qualcuno deve già avere usato il fuoco contro di loro, e così hanno escogitato il sistema per difendersi.

— Ma abbiamo vinto noi — disse Lane. Poi si rivolse alla Warren. — I Gizmo non sono un prodotto locale, sono sparsi per tutto il paese. Ci sono stati dei morti dappertutto, la scorsa notte, a centinaia, e quel che è accaduto qui è avvenuto altrove, con qualche variante. Tutti pensano che si tratti di una nuova malattia diffusasi tra gli animali, e che adesso minacci gli uomini. Un’epidemia, che finora non ha fatto ancora la sua comparsa in città. La gente è avvertita di star lontana dagli animali, domestici o no, di aspettare che gli scienziati scoprano il germe e trovino il vaccino…

— Idioti! — scattò la Warren. — Pazzi! Bisogna avvertirli che…

— No — interruppe Lane. — Avevate ragione voi: c’è un solo sistema per convincerli. Mostreremo loro i Gizmo.

Burke gli passò accanto, con il suo triste fardello. Lo depose all’interno della stazione, poi si avvicinò alla macchina esaminandola attentamente. Spazzò via dal cofano uno strato di polvere di una quindicina di centimetri. Ripulì bene il radiatore, poi salì e accese il motore, ascoltandone il battito con orecchio critico. Con un cenno di soddisfazione, mise in moto, e la macchina partì, adagio nella polvere.

Lo scappamento lasciava un solco dietro di sé e le ruote sollevavano enormi baffi impalpabili.

Poi, lo spesso strato depositatosi sul tetto della macchina volò via.

Liberatosi finalmente dall’incrostazione di polvere, Burke fermò la macchina, saltò giù, ritornò alla stazione e si munì di spazzola e stracci per pulire l’auto e ridare trasparenza ai vetri. Una volta finito, si dedicò agli abiti, e alla fine fu di nuovo presentabile.

— Gli sportivi — stava dicendo Lane — mi conoscono come un passabile giornalista di argomenti di caccia, ma non è detto che per questo accettino tutte le notizie che do. E d’altra parte la situazione è troppo seria per perdere tempo in opere di persuasione. Voi avete una via più sicura?

La Warren si torse le mani: — Se si sono fatti l’idea che si tratta di un’epidemia, sarà dieci volte più difficile farli ricredere! Non c’è niente di più limitato dei cervelli dei ricercatori: parlano sempre di lavoro di gruppo, ma soltanto perché nessuno osa pensare qualcosa che gli altri potrebbero non accettare! Io, per giunta, mi sono fatta la fama di possedere una fantasia sbrigliata, qualità che sgomenta ogni mente cosiddetta scientifica. Crederebbero a chiunque, meno che a me… intendiamoci, a chiunque fosse fornito di laurea!

Burke si avvicinò, sempre spazzolandosi gli abiti, con una strana aria, tra il preoccupato e il soddisfatto.

— Io parto — annunciò. — Voi mi avete salvato da una fine come quella del povero Sam… e avete dimostrato di sapervela cavare benissimo. Ora, siccome incontrerò ancora quelle “cose”, vorrei saperne di più. Venite con me?

— Non staremo qui di sicuro — rispose Lane, e si volse di nuovo verso la Warren: — La cosa migliore è che voi torniate all’Università con i dati che possedete — disse.

— Dati? E credete che servano? Neanche a mostrare i Gizmo, vivi, morti, pronti per l’esame istologico, l’opinione scientifica accetterà l’esistenza di una cosa viva; che non è di carne e ossa! Ma quelli hanno cercato di soffocarmi: sono pericolosi!

— Ecco — disse Lane — io ho diversi amici. Qualcuno mi crederà di sicuro, ma poi nessuno ascolterà loro, come non ascolterebbero me: sono soltanto uomini d’affari che vanno a caccia e a pesca. Però ce n’è uno a capo di un laboratorio farmaceutico nel New Jersey. Fabbrica antibiotici e cose simili. Siamo andati a caccia e a pesca insieme. Forse non accetterà proprio tutto senza prove, ma almeno lascerà che gli mostri una prova, se riesco a portargliela.

La Warren si strinse nelle spalle.

— Una telefonata e partiamo — disse Lane, poi volgendosi a Burke, aggiunse: — Verremo con voi e vi diremo tutto quel che sappiamo. Quando vorrete separarvi da noi ci lascerete alla stazione ferroviaria più vicina. Va bene così?

— Affare fatto — approvò Burke. — Faccio il pieno, poi partiamo.

Lane tornò alla stazione, e sentì subito uno strano rumore: allarmato, corse a vedere. Veniva da sotto un bidone di benzina vuoto e capovolto. Lo alzò e ne vide balzare fuori Mostro, che latrava, guaiva, tremava. Il cane s’era cacciato nell’angolo più remoto suggeritogli dall’istinto, e se l’era cavata. I Gizmo questa volta avevano concentrato l’attacco sugli uomini.

Lane aveva bisogno di gettoni per il telefono e li prese tranquillamente dalla cassa. “Fra poco i diritti di proprietà sembreranno ridicoli” pensò.

E infilò un gettone nell’apparecchio.

Fuori, Burke riempiva il serbatoio. Nel magazzino aveva scovato una mezza dozzina di latte da cinque litri, per i casi d’emergenza. Le aveva riempite tutte e si era portato via anche qualche lattina d’olio.

— Mi preparo a riceverli! — disse.

Passarono venti minuti, prima che Lane riagganciasse. Quando usci di cabina era teso e con gli occhi spiritati. Burke, al volante della macchina, gli disse, deciso: — Temevo che quelli tornassero con qualche altra diavoleria. Se fossero tornati sarei partito, lasciandovi a terra. E non ditemi che sono un vigliacco!

Lane non rispose. La Warren era già in macchina. Il giornalista salì, spingendo Mostro: dovette prenderlo in braccio. Burke mise in moto e la macchina partì.

— “Quelli” credono che torni indietro a cercare una strada col fondo buono, ma si sbagliano. Sono furbi quei maledetti — aggiunse. — Scommetto che sono Marziani, sbarcati già da un bel pezzo. Ci hanno studiato, hanno schierato le truppe, e adesso sono pronti per attaccarci. Ma non sanno chi siamo!

La Warren domandò angosciata: — Dick, avete saputo qualcosa al telefono?

Lane strinse i denti. Gli avevano parlato di un’epidemia scoppiata improvvisamente, e che prima colpiva soltanto gli animali e adesso anche gli uomini. Erano morti tutti a Serenity, nel Colorado. Lane conosceva bene quel paese.

Tre mesi prima era stato sulla Costa Occidentale, sempre alla ricerca della “cosa” che faceva strage della selvaggina. Una notte s’era fermato nel minuscolo paesetto di Serenity: nei pressi c’erano stati molti casi di morte. Il paese era annidato in una valle, circondato da monti altissimi, più alti delle più alte cime della Virginia, e tutt’attorno le vette erano incoronate di nevi perenni.

Lane se ne ricordava benissimo. A pochi chilometri dalle prime case aveva trovato un orso grigio e due orsacchiotti, morti tra erba calpestata e arbusti abbattuti. Lane s’era recato coscienziosamente sul campo della lotta, accompagnato da un guardacaccia del Colorado: una morte inspiegabile.

Più tardi i due avevano pranzato in paese, mangiando trote di montagna, ascoltando quel che diceva la gente del posto di quelle stragi. Erano ripartiti il mattino seguente senza aver la minima idea di che cosa potesse causare tante morti.

Ora, dopo la notizia, una quantità di particolari gli si affollarono in mente. Ricordava il paesetto: un centinaio di case e tre negozi.

Lo vedeva benissimo: annidato tra le montagne, con le luci nelle case, come doveva essere la notte prima, con in alto le stelle e una falce di luna.


Quasi tutti i lumi dovevano essere già spenti, quando ci furono i primi sintomi della strage.

Alle undici si sentì improvvisamente un gran trambusto, fuori, all’aperto. I gatti lottavano, tra miagolii e soffi, i cani uggiolavano, ululavano e latravano in preda al terrore. Un gran frastuono insomma, che svegliò tutti gli abitanti del paese.

Si accesero le luci: la gente uscì con fanali e lumi per vedere che cosa stava succedendo. Ma intanto, man mano che gli uomini uscivano con le lanterne in mano, il frastuono diminuiva e quando tutto il paese fu sveglio regnava di nuovo il silenzio. Si sentivano soltanto le voci di quelli che chiamavano le bestie o si interrogavano a vicenda su cosa fosse capitato.

Poi qualcuno ritrovò il suo cane. Morto, senza ferite, ma con i denti scoperti e gli occhi vitrei sbarrati. Si ritrovarono a poco a poco gatti e cani esanimi. Tutte le povere bestie rimaste fuori casa erano morte, e non di morte naturale. A nessuno venne in mente l’orso ammazzato con i due piccoli pochi mesi prima.

A Serenity scoppiarono subito violente discussioni. Si parlò di veleno: i pochi che erano riusciti a identificare le loro bestie giunsero subito a quella conclusione. Gli abitanti del paese se la prendevano con il misterioso responsabile di quelle morti. Era quasi mezzanotte. La gente cominciò a imprecare con chi aveva lasciato in giro il veleno o, peggio ancora, lo aveva distribuito alle povere bestie. Poi pieni di rabbia tutti ritornarono a letto.

Questo si seppe perché il postino lasciò il paese a mezzanotte meno un quarto, addolorato e furente perché gli era morto un bel cane. S’incamminò su per la mulattiera di montagna, nel buio, verso il centro di distribuzione della posta, per il solito giro di metà settimana. Partendo così presto, poteva tornare verso l’alba e raggiungere due amici che andavano a pesca. Ma non poté farlo.

Lane immaginava quel che era capitato più tardi. Vedeva la scena come se fosse stato presente. A notte fonda, mentre tutto il paese era immerso nel sonno, si sentirono sibili attorno alle case di Serenity. Non c’erano luci, e così nessun lume ondeggiò quando le masse di gas gli passarono davanti. Le stelle invece tremolarono un po’ mentre le “cose” sibilanti si muovevano in mezzo alle case. Scesero dai camini, s’infilarono nelle finestre aperte, entrarono attraverso le persiane, come farebbe un anello di fumo, si librarono invisibili dentro alle case del paese. Poi tutto fu silenzio, come se “quelli” aspettassero il momento convenuto.

E il momento arrivò. Di colpo, dappertutto ci furono sibili, grida e rantoli, e i vetri qua e là andarono in pezzi, come se in una lotta disperata e cieca la gente cercasse l’aria, rompendo i vetri delle finestre. Il trambusto non fu grande come per le bestie, e non durò neppure tanto. In breve a Serenity regnò di nuovo un assoluto silenzio.

Ma poco dopo all’interno di una casa ci fu un bagliore. Si era rovesciato un vecchio lume a petrolio e ben presto si alzarono fiamme altissime, che toccarono il tetto e divamparono nel paese immerso nel silenzio.

Nessuno uscì fuori, nessuno chiamò aiuto. La casa bruciò fino alle fondamenta, senza che nessuno si muovesse tra le case silenziose.

Quando il postino ritornò poco dopo l’alba, scoprì quello che era accaduto.

E Dick Lane, mentre attraversava le montagne della Virginia occidentale, imprecava forte, pensando a quanto gli avevano appena detto al telefono. Era pieno di odio e di indignazione. Serenity era stata distrutta, e uomini, donne e ragazzi avevano nutrito i Gizmo in quel modo orribile.

A tremila chilometri dal paesino, Lane fremeva d’orrore e di disgusto.

La Warren lo osservava preoccupata. — Dick, c’è altro?

Lui scosse la testa, cercando di dominare il furore. Poco dopo la sentì che spiegava a Burke cosa avevano scoperto. Di tanto in tanto Burke interrompeva con domande intelligenti, sensate, che sorprendevano Lane. Burke era un tipo solido, con la faccia che sembrava di cuoio, e due incredibili occhi azzurri. Annuiva, mentre la Warren gli dava le spiegazioni richieste.

— Prima hanno cercato di uccidere il signor Lane — disse a un certo punto — e quando lui l’ha scampata grazie alle foglie secche, lo hanno seguito. Fino a quel momento nessuno si era salvato, e loro sapevano che lui sapeva. Capite dove voglio arrivare?

— No — rispose la Warren.

— Immaginiamo che siano dei Marziani — proseguì Burke, conquistato dalla propria teoria. — O addirittura che vengano da Orione, dal Cigno, o dal qualche altra costellazione, e che siano sbarcati in una foresta. Se sbarcassimo noi su un pianeta lontanissimo, e trovassimo una foresta con dentro degli animali cosa credete che faremmo?

— Inutile pensarci — disse la Warren. — Siamo già immersi abbastanza nell’assurdo!

Burke sogghignò. — Lasciatemi finire. Se noi sbarcassimo su un qualche pianeta, per prima cosa penseremmo a nasconderci. Non credo che ce ne andremmo in giro a dire: “Portateci dai vostri capi”. Dovremmo cercarci un nascondiglio e studiare la situazione; dovremmo provare le nostre armi sugli animali. Se scoprissimo che gli abitanti locali sono civilizzati, manderemmo a chiamare altri rinforzi, formeremmo un esercito, e, lontani come siamo da casa, faremmo fuori gli animali della foresta dove siamo sbarcati, per nutrirci e risparmiare le provviste a favore degli uomini. E quando fossimo abbastanza forti, costituiremmo degli avamposti per sorvegliare il nemico. Studieremmo un piano di guerra e ci terremmo nascosti finché non fossimo pronti ad attaccare. È o non è così?

— No — ribatté la Warren, indignata. — Se sbarcassimo su un altro pianeta, abitato da esseri civili, cercheremmo di fare amicizia!

— Sì? — disse Burke, con ironia. — È così che hanno fatto con gli Indiani, quattrocento anni fa? E in Africa, e in Australia? C’erano degli indigeni in quei paesi, e noi, popoli civili, abbiamo fatto amicizia?

— Non è la stessa cosa — tagliò corto la Warren.

— Però potrebbe essere come dico io, per le “cose” che voi chiamate Gizmo — riprese Burke. — Se arrivano da qualche altro mondo, sbarcando qui, devono aver organizzato le proprie forze e ucciso la selvaggina per evitare di trasportare i rifornimenti. Supponiamo che abbiano costituito delle basi avanzate nelle maggiori foreste, con avamposti e punti di osservazione nei boschi più vicini alle zone abitate. Se hanno già sbarcato un grosso esercito, devono mandare in giro delle pattuglie per provvedere ai rifornimenti. Ed ecco che qua e là, ci sono gruppetti di Gizmo a caccia di cibo con l’ordine di non toccare gli esseri umani ma di non lasciarsi sfuggire quelli che hanno scoperto la loro presenza.

— Insomma — interruppe la Warren con asprezza — secondo voi i Gizmo non sarebbero al livello degli animali inferiori; ma sono intelligenti come gli uomini, e in grado di ragionare?

— Esatto! Proprio così! — approvò Burke, poi continuò nel suo racconto. — Confrontate i fatti con la mia ipotesi. Il signor Lane è sfuggito a un attacco di una pattuglia grazie alle foglie secche. Si è allontanato e la pattuglia lo ha seguito. Ma qualcuno di loro ha chiesto ordini per sapere come comportarsi con un uomo che è riuscito a non finire soffocato premendosi sulla faccia delle foglie. Gli ordini sono di aspettare il momento opportuno e di ucciderlo a tradimento. Allora mettono una spia nella roulotte, ma voi la catturate e l’uccidete. Tentano di farvi fuori in ogni modo, e intanto chiedono rinforzi. Dopo un po’, attaccano di nuovo e vi prendono vivi, tutt’e due. Allora decidono di studiarvi, di scoprire se siete intelligenti e vi tengono in vita. E voi gliel’avete fatta, con il fuoco. — Ai suoi piedi, Mostro si mise a uggiolare. — Siete scappati — continuò Burke con una strana aria divertita — agitando le fiaccole contro le quali loro erano impotenti. In quel momento arrivo io. E cosa fanno i Gizmo? Informano il Comando che siete più abili di quanto credevano e che non hanno abbastanza forze per bloccarvi. Il signor Lane nella radura forse si è imbattuto in una squadra, e alla roulotte loro magari hanno mandato un battaglione, ma con la palla di polvere ci hanno mandato contro un’intera divisione per soffocare il fuoco e ucciderci tutti, perché ormai la sapevamo troppo lunga.

S’interruppe. La macchina si stava arrampicando per una strada di montagna, in una valle tra pascoli e campi di grano. Il cielo, in alto, era sereno e luminoso.

— Il problema — riprese Burke — è di sapere quante divisioni hanno, qual è il loro sistema di comunicazioni, e se hanno una testa di ponte qui a Murfree, o se invece stanno per scatenare un’offensiva generale. — Burke faceva sfoggio, con grande compiacimento, di tutti i termini militari di sua conoscenza.

— Ho letto un mucchio di trattati sulla tattica bellica, e sono sicuro che entreremo in guerra con i Gizmo, e che sarà una guerra difficile. Ci saranno molti morti prima della fine e potremmo anche perdere! Ma sarà un notevole vantaggio sapere che cosa sono i Gizmo, quello che possono e quello che non possono fare. E io voglio essere tra quelli che sanno. Qualcuno dovrà condurre la lotta contro di loro, nelle zone da loro occupate, e io mi preparo proprio per questo!

E se ne stava tutto fiero al volante della macchina sferragliante. Lane capì: Burke era uno dei tanti che credono con entusiasmo a qualsiasi cosa purché sia altamente drammatica. Stavolta però l’immaginazione di Burke non esagerava il dramma. Che i Gizmo venissero da altri mondi era pura immaginazione, troppo romanzesca, come l’ipotesi sulla loro organizzazione militare. Ma se le deduzioni erano sbagliate, la valutazione del pericolo era esatta.

— E le prove? — domandò la Warren. — Perché ci sia l’intelligenza ci deve essere un sistema nervoso. E che razza di sistema nervoso può avere un Gizmo? Scovano la preda, sono anche astuti, ma si può parlare di sistema nervoso?

Di colpo s’interruppe e tese un braccio.

Lane strinse i denti. Dalle pendici del monte di fronte si era staccata una palla di polvere, che si faceva sempre più grossa via via che avanzava tra i campi coltivati. Si muoveva come un tutto, un sistema dinamico, dotato di volontà.

Burke, con gli occhi sbarrati dal terrore, schiacciò il freno. A sinistra un’altra palla cominciava a rotolare giù per la montagna, più grossa di quella che era piombata sul distributore di benzina.

Freneticamente Burke fece marcia indietro per girare la macchina e filare in direzione opposta.

— No — disse Lane — è meglio andare avanti! Guardatevi alle spalle!

Dietro alla macchina si vedevano altre due dense nubi di polvere. Una rotolava lungo la strada percorsa dalla macchina, l’altra raccoglieva polvere da una strada del fondovalle.

I quattro enormi globi convergevano sulla macchina ferma.

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