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Mostro lanciò un lungo ululato, così pieno di disperazione e di angoscia che a Lane venne voglia di allungargli un calcio. Invece disse a Burke: — Date a me il volante. So cosa fare!

Burke obbedì senza perdere tempo; spalancò lo sportello della sua parte e balzò agilmente al posto lasciato libero da Lane. Gli battevano i denti dalla paura mentre si assicurava che il finestrino fosse ben chiuso. Lane diresse l’auto verso le enormi palle di polvere. Una era già a cavallo della strada, a circa un chilometro e mezzo, e l’altra che rotolava dalle pendici del monte stava per unirsi alla prima.

— Che cosa fate? — domandò Burke, inquieto.

Lane non filava molto forte. — Scommetto che i Gizmo non hanno mai guidato un’auto in mezzo al traffico! — disse, per tutta risposta.

Andava più lento dei due globi alle loro spalle. A quella velocità li avrebbero raggiunti in poco tempo.

— Ci prendono! — strillò Burke.

— Così pensano loro, ammesso che quei “cosi” pensino — rispose Lane.

La palla a sinistra si fermò. Diventava sempre più densa di polvere. Quella di fronte avanzò, bloccando la strada.

— Dio mio! — gemette Burke. — Ci piomberanno addosso tutt’e quattro assieme.

Lane non fece commenti. Quaranta chilometri all’ora, mentre i quattro globi mortali si mettevano al passo con lui, inesorabilmente vicini. Ogni palla di polvere aveva almeno trenta metri di diametro, ed era più o meno densa, a seconda che il turbine dei Gizmo che la formava era più o meno serrato. Le palle erano sistemi dinamici, paragonabili alla carica di una mandria di animali, ma ben più pericolosi. Evidentemente, erano in grado di agire coordinatamente, come fanno i lupi quando cacciano il cervo.

— Si comincia a vedere la struttura del sistema! — esclamò la Warren. — Almeno avessi una macchina fotografica!

— Se ci mandate tutti a soffocare in mezzo a quella polvere, fatemi scendere qui! Voglio scendere! — gridò Burke.

La Warren allungò una mano e bloccò lo sportello. — Dick sa quello che fa — disse. — State calmo, se no saremo noi a farvi scendere e tanto peggio per voi.

Burke rimase a bocca aperta, ma poi capì. Una nube di polvere formata di migliaia di Gizmo non si sarebbe certo messa a inseguire un uomo isolato, ma intorno al nucleo centrale ce n’erano di più piccoli, che potevano benissimo staccarsi e soffocare un fuggiasco. Si calmò.

— Se quella massa davanti a noi si ferma — disse Lane — e lascia cadere la polvere, blocca la strada in modo tale che non sarebbe possibile attraversare il turbine. Per questo vado adagio, perché continui a muoversi verso di noi.

Parlava abbastanza calmo, ma stringeva convulsamente il volante. Si voltò un momento per rendersi conto della enorme massa rossastra lassù sul monte. Guardando nello specchietto retrovisore, calcolò la velocità del globo che li inseguiva. Il quarto, che rotolava lungo una via traversa, a un certo punto l’abbandonò, e si buttò attraverso i prati e i campi, verdi o di terra rossastra.

— La vostra macchina ha una buona ripresa, Burke? Le nostre vite dipendono da questo — disse.

— Ripresa ottima — rispose Burke, con voce tesa.

Un altro incubo, come quello appena finito. Di fronte, un globo di polvere rossastro, che turbinava e rotolava, alto come una dozzina di case una sull’altra: non una cosa solida, ma una nube. E ci si poteva vedere attraverso. C’erano vene e nuclei, come in un vivente sistema circolatorio, che s’intrecciavano, si suddividevano e di nuovo si incrociavano. In certi punti la polvere era più densa, più compatta, e rendeva visibile il tutto.

Il globo ormai era così vicino che Lane non poteva più scorgerne la cima attraverso il parabrezza. A sinistra, giù per le pendici del monte, scendeva un altro globo mostruoso, ancor più grosso e più spaventoso. A destra e alle spalle, altre masse gigantesche, sempre più vicine. Quasi si toccavano, ormai, e sembravano fare tetto sopra l’auto: la polvere sarebbe piovuta giù, e la macchina ne sarebbe stata sommersa.

Di colpo, Lane premette a fondo l’acceleratore. Settanta, ottanta, novanta all’ora. L’auto superò il punto dove convergevano i quattro enormi globi, dove la macchina avrebbe dovuto scontrarsi con le quattro sfere mostruose e si buttò contro la palla che bloccava la strada. Almeno era una sola, non quattro!

Dentro alla sfera, il turbinio dei Gizmo e il loro sibilo stridulo.

La macchina vibrava, e fuori si vedeva soltanto polvere. Il rombo del motore arrivava smorzato, come attutito. Le ruote giravano sullo strato morbido, i tergicristalli andavano avanti e indietro, ma non se ne sentiva il fruscio in quel turbinare, in quel rombo di tempesta che li circondava, e nel frenetico latrare di Mostro che fiutava Gizmo dappertutto, e tentava di lanciarsi in ogni direzione.

Uno scroscio di polvere contro i vetri nel buio sempre più fitto, che divenne totale, per poi di nuovo diradarsi mentre la macchina sbucava all’aperto, rovesciando polvere da tutte le parti.

Lane si lanciò a rotta di collo per la strada oltre il monte.

Dall’auto non si poté assistere all’urto delle quattro palle, perché il finestrino posteriore era opaco di polvere. Ma i globi mostruosi si urtarono e si fusero insieme in un caos turbinante, che si levò, ondeggiò e si allargò, tra convulsioni continue. Era alto come un edificio di dieci piani almeno e largo, nel punto massimo, due volte l’altezza. E la strada coperta da dune di polvere alte una decina di metri.

Sulla macchina, intanto, i tergicristallo andavano su e giù freneticamente, e, alla fine, riuscirono a ripulire un po’ i vetri, quanto bastava perché Lane vedesse dove andava. Lungo la strada percorsa prima dalla palla mostruosa, c’era polvere dappertutto.

Lane filava come un pazzo senza guardarsi alle spalle; abbordò una curva e non yide più le tracce del globo orrendo. La macchina ormai correva senza sollevare nubi di polvere. Anche Mostro smise di urlare e giacque immobile, esausto, sul fondo della macchina.

— Burke, abbassate un vetro e guardate cosa capita laggiù — disse Lane.

Poco più avanti attraversarono un ponte a cavallo di un torrentello largo poco più di un metro. La strada ora saliva lungo il fianco della montagna, abbandonando la valle.

Burke, battendo i denti, abbassò il finestrino e guardò.

— C’è come del fumo — riferì con voce tremante — ma non si muove… Sembra fermo…

— Forse i Gizmo sono rimasti disorientati — disse Lane — o forse ci seguono senza portarsi dietro la polvere. Possono sempre rifornirsene quando vogliono.

— No — disse la Warren Mostro è tranquillo, quindi niente Gizmo. O almeno, niente Gizmo male intenzionati. E poi deve esserci un limite alla loro velocità, e ai loro sforzi: non sono certamente aerodinamici.

Lane continuava a tenere l’acceleratore premuto al massimo, e la macchina correva su per una salita lunga circa tre chilometri.

— Non vi siete domandato quale sistema di comunicazione usino quei “cosi” mostruosi? — domandò la Warren al giornalista.

— Me lo sono chiesto, infatti — rispose Lane — Ma non abbiamo prove che ne esista uno secondo il senso che diamo noi alla definizione. Rimane però il fatto che possono chiamarne altri in un numero enorme. Se possono chiedere aiuto, dunque, e di ciò abbiamo avuto tre esempi, possono anche inviare messaggi per avvertire che noi dobbiamo venire eliminati…

— Non mi sembra probabile — disse la scienziata in tono deciso.

Burke rimise dentro la testa.

— Sono fuori vista ormai — riferì. — Forse li abbiamo seminati per strada. Signor Lane, pensate davvero che possano ordinare agli altri più avanti di attaccarci?

— Io credo di no — replicò la Warren. — Anche gli animali inferiori possono chiedere aiuto. Le formiche chiamano le compagne, quando trovano una preda troppo grossa per trasportarla da sole, e altri esseri viventi mettono anche delle sentinelle, per difesa. Ma soltanto l’uomo può trasmettere l’idea d’un’identità personale.

Ora che non c’erano più nubi di polvere in giro, Burke tornò improvvisamente loquace. — Ma i Gizmo sono davvero inferiori agli uomini? Se arrivano da Marte o da un altro mondo, devono essere molto evoluti. Forse più intelligenti di noi.

— Signor Burke — scattò la Warren — c’è un limite a quello che posso credere senza prove!

La strada correva in piano, a mezza costà, con in basso il fondovalle che apparve dopo poche centinaia di metri, dietro una curva. In quel punto il paesaggio si apriva dinanzi a loro, e in tutt’altra situazione, a quella vista spettacolare si sarebbero sentiti mozzare il respiro.

Avevano superato l’ultima barriera di monti, e il loro sguardo spaziava per chilometri e chilometri: tutto era verde e splendido: fattorie, strade, boschi, paesi… Verso nord, una cittadina, Murfree, che si stendeva per quasi due chilometri quadrati. Lungo le vie alberate, le cuspidi delle chiese; tutt’attorno, prati punteggiati di mucche al pascolo, e sulle strade file di automezzi.

Lane si lanciò lungo la discesa. — O i Gizmo sono esseri intelligenti e hanno un motivo ben preciso per seguire proprio noi, oppure sono strani animali. Forse si sono moltiplicati troppo, come le bestie selvatiche, non hanno più potuto rimanere in luoghi isolati, e hanno dovuto uscir fuori per procurarsi il cibo. Se è vera la prima ipotesi, ci conviene mescolarci al traffico per non farci riconoscere. Se davvero sono intelligenti, forse non spazzeranno via tutte le macchine per eliminare noi tre.

— Penso che valga la pena di tentare — disse la Warren. — Se ci uccidono mentre siamo soli, la nostra morte non servirebbe a nessuno: ma se li costringiamo a rivelare la loro esistenza, almeno la nostra morte servirà d’avvertimento a quelli che non hanno ancora alcun sospetto. Forse, con la nostra mettiamo in pericolo altre vite, ma bisogna assolutamente far conoscere al mondo la minaccia dei Gizmo!

Lane sapeva di dover attraversare Murfree se voleva andare verso nord. Non aveva scelta. Anche a rischio di scatenare un attacco di Gizmo contro la cittadina, doveva arrivare a una qualche autorità governativa, o scientifica, che potesse fare buon uso delle loro scoperte.

Ma non poteva far piani prima di sapere qual era la situazione generale. Forse i Gizmo avevano commesso altre atrocità ed erano stati scoperti. Accese la radio: soltanto canzonette.

Spense e puntò verso la valle.


Era tempo ormai di esaminare a fondo i fatti. Ad esempio, le difficoltà che loro avevano dovuto affrontare e superare per sopravvivere, erano state diverse di volta in volta. Finora i Gizmo li avevano sempre colti di sorpresa. Lane non era mai riuscito a prevedere quello che avrebbero fatto quei fantomatici assassini. Ogni volta, avevano spiegato nuove forze e nuovi stratagemmi, per portare a compimento i loro piani di distruzione. E ogni volta avevano accresciuto le forze ed escogitato nuove tattiche per cogliere a tradimento gli uomini. Bisognava cercare di prevedere le mosse future.

Ma questo dipendeva dal loro grado d’intelligenza, e a questo proposito, Lane non sapeva niente con sicurezza.

Se i Gizmo esistevano da sempre, e le vecchie storie di spiriti e di demoni sembravano dimostrarlo, era chiaro che si erano moltiplicati e ora costituivano una minaccia per l’umanità. Se poi aveva ragione Burke, e davvero quelli erano sbarcati sulla Terra da un altro mondo, allora erano più intelligenti degli uomini, e per l’umanità era la fine.

Lane però non credeva alla loro origine extraterrestre. Avrebbero dovuto avere navi spaziali, ed era impensabile che i Gizmo potessero costruire e controllare delle macchine. E poi il radar avrebbe dovuto segnalarle. I Gizmo comparivano sullo schermo radar, ma isolati, non troppo veloci e non a grandi altezze. E poi se fossero stati in grado di servirsi di macchine e di navi spaziali, si sarebbero fabbricate delle armi; se avessero potuto uccidere le loro vittime con armi adatte non avrebbero formato quelle enormi nubi di polvere. No, i Gizmo non venivano dagli spazi celesti: erano creature della Terra. E anche se la drammatica descrizione di Burke, con basi, avamposti e pattuglie di rifornimento, era esatta, l’organizzazione dei Gizmo poteva benissimo essere come quella delle formiche e delle api.

Un’altra possibilità ancora, la più inquietante di tutte. Forse i Gizmo erano creature terrestri, dotate di intelligenza usata purtroppo per scopi malefici. Se gli antichi Gizmo erano dei, che esigevano tributi di vittime e di sangue, i discendenti non erano meno feroci dei predecessori, amanti della corruzione e della putredine. Forse intendevano fare della Terra un fetido Olimpo per i loro festini mostruosi. Ipotesi possibile, come tutte le precedenti, che però Lane si rifiutava di accettare pur avendola prospettata. Strana situazione la sua: con quelle idee in testa, dirigersi verso una cittadina adagiata al sole, rinfrescata dall’ombra dei suoi alberi, e pensare che potevano anche essere inseguiti dai discendenti di Ares o di Vulcano o di Asta, di Bali o di Loki, o di altri esseri infernali.

Il giornalista non si sentiva tranquillo, e la sua apprensione aumentò quando vide un gatto morto nella strada principale di Murfree. Attraversò rapidamente il centro della città.

La Warren ruppe improvvisamente il silenzio.

— Dick, vorrei comperare qualcosa. Vi spiacerebbe fermare?

Lane parcheggiò la macchina e la scienziata scese e scomparve in una drogheria. Mentre aspettavano, Burke affrontò di nuovo l’argomento preferito.

— Ci ho pensato, signor Lane — disse. — Questi Gizmo dispongono di una rete di comunicazioni e di riserve strategiche, e le palle di polvere sono le truppe mobili. Hanno anche un sistema di comandi, dei Comandanti di Divisione, un Quartier Generale, e un piano di battaglia. Operano in modo strettamente militare! Sapete quale sarà la prossima mossa?

— Tento d’indovinare — rispose Lane, senza entusiasmo.

— Quando un esercito deve battere il nemico — riprese Burke, con occhi scintillanti — prima cerca di smantellare le linee difensive. Noi però non ne abbiamo. Ci siamo solo noi che conosciamo la verità. E allora gli invasori possono dilagare in tutto il paese e impadronirsi di tutto. E allora sapete che cosa capita?

— Ditemelo — invitò Lane.

— Distruggono tutto — rispose Burke — si accaniscono contro tutto quanto potrebbe servire a un contrattacco! Fabbriche, stazioni, nodi ferroviari, depositi, vie di comunicazione. Si impadroniscono di tutto e distruggono tutto quello con cui il paese invaso potrebbe organizzare la resistenza. Pura strategia! Gli attaccanti mettono i difensori in condizione di non potere più combattere. Mi seguite?

Lane fece segno di sì con la testa.

— I Marziani… I Gizmo insomma — continuò Burke — occuperanno tutto quel che potranno. La gente è sparsa qua e là, non è in grado di opporre resistenza. Non si accorgerà neppure che ci sono. E allora occuperanno le zone intorno alle città. Anzi, forse l’hanno già fatto, o lo stanno facendo! Ma gli scienziati che devono scoprire i Gizmo stanno in città e in città ci sono esplosivi e mezzi per produrre fuoco. Ed è qui che si preparerà il contrattacco.

— E allora? — chiese Lane.

— E allora i Gizmo assaliranno le città — riprese Burke — cercheranno di distruggere il nostro potenziale industriale. La gente scapperà nei rifugi, le strade saranno congestionate di fuggiaschi che scappano davanti all’epidemia, come loro credono. Il governo si darà da fare per organizzare lo sfollamento, assicurare i rifornimenti e combattere l’epidemia, e neppure immaginerà, la gente, di aver di fronte un esercito d’invasori! — Proseguì, assorto: — Possono distruggere la civiltà, così! Le città si svuoteranno e le strade saranno congestionate, e la gente morirà nei campi-profughi, e allora dappertutto scapperanno, e cadranno per strada, e altri cercheranno di cavarsela da soli. E così diventeranno di nuovo selvaggi! E quando tutto sarà finito e i Gizmo saranno padroni del mondo, andranno a caccia dell’uomo nelle foreste. Forse ci saranno delle riserve, dove gli esseri umani potranno vivere, e quando i Gizmo ne avran voglia andranno a caccia… E se prendono le città deserte per riserva, snideranno e strangoleranno tutti quelli che cercano di nascondersi nelle case vuote.

— No — tagliò corto Lane — non è possibile.

— È possibile — insisté Burke — è possibile in certi punti, anzi, quasi dappertutto. Ci saranno certo dei posti dove la gente scoprirà il modo di difendersi. Uno solo forse, ma basterà. In qualche cittadina la gente sarà cosi in gamba da munirsi di lanciafiamme e di esplosivi, e studierà i Gizmo e capirà come quelli ammazzano. E allora gli uomini cacceranno i Marziani, i Gizmo insomma, e a un certo momento ne sapranno abbastanza per prendere l’offensiva. Per tutto il mondo faranno guerra ai Marziani, per mare e per terra, e li distruggeranno, vendicando le città che quelli hanno distrutto e le campagne che hanno spopolato.

La Warren ritornò di furia alla macchina con dei sacchetti colmi di roba. Disse in fretta: — C’è un negozio di ferramenta dall’altra parte della strada. Vi viene in mente qualcosa di utile?

Lane scese di macchina.

— Un minuto e torno — disse. — Avete dei fiammiferi?

— Ne ho comperati varie scatole — rispose la Warren — e anche qualcosa per preparare dei panini, e benzina per il vostro accendisigaro. Pensavo a una torcia a benzina. Avete danaro?

Lane annui, e attraversò la strada, fermandosi due volte per lasciar passare le macchine. Posò gli occhi sulle tremolanti ondate di calore che salivano dal cofano arroventato di un’auto, e si senti gelare. Un effetto del calore, pensò, ma poteva essere un Gizmo.

Entrò nel negozio. Faceva fresco, c’era l’aria condizionata: in condizioni normali, non se ne sarebbe neppure accorto.

Comperò due torce a benzina, tra lo stupore del commesso. In vetrina vide un saldatore portatile che funzionava a gas liquido. Bastava girare la levetta del gas, dar fuoco, e subito sprizzava la fiamma bianco-azzurra. Si poteva persino graduarla. Poi comperò altri accenditori, e benzina.

Pagò e uscì, impaziente di tornare all’auto. Si affrettò lungo la strada, dove regnava la calma sonnolenta delle cittadine di provincia. Quando lo vide ricomparire, la Warren, un po’ imbarazzata, nascose qualcosa. Lane spiegò subito come funzionavano le torce, e Burke guardava distratto, assorto in altri pensieri.

— Ho capito — gli disse la scienziata. — Vediamo un po’…

Accese e manovrò la torcia con perizia, mentre Lane approvava.

— Ho dimenticato una cosa — esclamò poi il giornalista — ci vuole una latta per i rifiuti.

Riattraversò la strada e spinto dalla fretta non lasciò neppure che il commesso gli incartasse il recipiente. Quando ritornò alla macchina, la Warren era andata in un altro negozio.

— È corsa a comperare delle federe. Voi avete parlato di una latta per i rifiuti e lei ha pensato che serviva anche una federa. E prenderà un lenzuolo o due — spiegò Burke.

Lane sedette al volante. Intorno, la gente di Murfree se ne andava tranquillamente per i fatti suoi. Il centro commerciale occupava quattro isolati, ed era l’unica zona della città senza alberi: il sole picchiava forte.

In macchina, Lane non si sentiva a suo agio. Eppure non s’era più vista traccia di Gizmo da quando avevano lasciato l’ultima valle, in direzione est. Aspettava, sempre più impaziente, il ritorno della Warren. Voleva uscire in fretta dalla città: ormai erano armati, e potevano difendersi meglio di prima, ma non gli sarebbe piaciuto un attacco proprio nel centro della città, con la gente che non sapeva quel che capitava, tranne che si moriva.

Un cane stava attraversando la strada, badando saggiamente a scansare le macchine, con quella accettazione rassegnata del mondo degli uomini tipica dei cani, e di cui nessun altro animale sembra capace.

Lane lo seguì con gli occhi. Il cane si fermò in mezzo alla strada, lasciò passare una macchina, poi cominciò la sua corsa. Dal marciapiede un uomo lo chiamò, cosa insolita in una città dove i cani hanno soltanto i loro padroni a cui far festa. Il cane educatamente mosse la coda e trotterellò via.

Lane si sentiva inquieto, eppure doveva aspettare. Aprì la bocca per parlare…

L’uomo sul marciapiede aprì la bocca per respirare, affannosamente, vacillò, annaspò, gli occhi sbarrati dal panico, cadde in ginocchio. Mosse la testa, a bocca spalancata, lottando pazzamente contro il nulla.

Mostro cominciò a latrare.

— Chiudete i finestrini — gridò Lane.

Poi si lanciò fuori dall’auto verso l’uomo stramazzato a terra. Altri accorrevano in aiuto. Lane li spinse da parte e accese l’accendisigaro davanti al viso dell’uomo semisvenuto e in preda al panico. Si levò una fiammata, e subito si sentì un gran puzzo e come un sottile sibilo stridulo, finito ancora prima di cominciare. Il caduto poteva di nuovo riempirsi i polmoni e respirò a lungo, ansante.

Mostro riprese ad abbaiare.

Lane disse in fretta: — Ho già visto altre volte casi del genere. Se vi capita ancora, accendete un fuoco e agitatelo davanti al viso. Potrete di nuovo tirare il fiato.

Intorno al caduto, s’erano radunate uria ventina di persone; e altre accorrevano per vedere cos’era capitato. Lane si guardò in giro e lesse lo sbalordimento sulle facce dei presenti.

Ed ecco che uno del gruppo cominciò ad annaspare disperatamente, in cerca d’aria. Con gli occhi spalancati dal terrore lottava per non asfissiare. Lane si buttò verso l’uomo e gli agitò davanti la fiammella, ma alle sue spalle un altro stramazzò a terra, tra grida d’allarme. Uno di quelli che accorrevano si fermò di botto e cominciò a boccheggiare; e intanto sulla macchina, Mostro latrava, tentando di nascondersi.

Era chiaro ormai: i Gizmo calavano su Murfree con l’intenzione di uccidere. Non restava che fuggire abbandonando quella gente alla loro sorte, ma a Lane non venne nemmeno in mente. Un uomo stramazzò a due metri da lui. La folla, sconcertata, non riusciva a rendersi conto del pericolo. Lane s’inginocchiò vicino al caduto più prossimo e accese l’accendisigaro, ma si sentì mozzare il respiro e dovette agitare la fiammella davanti alla propria faccia. Ed ecco che un’altra persona era caduta a terra, una donna questa volta, e dappertutto c’erano sibili.

Sapeva quel che sarebbe capitato, ma non poteva non tentare tutto il possibile: in quel momento lottava contro un’orda di Gizmo con un accendisigaro tascabile. Brandì la sua ridicola fiammella in alto e altre fiammelle si accesero, e dappertutto si sentirono dei sottili sibili.

La Warren intanto si faceva strada a fatica nella calca brandendo una federa. Tenendo il fiato l’applicò, dal lato aperto, sul viso convulso di un grosso uomo stramazzato a terra, e la federa fluttuò: dentro c’era qualcosa che si agitava e si contorceva paurosamente. La scienziata chiuse il sacco, lo strinse con aria vivamente soddisfatta, continuando a trattenere il respiro. E finalmente brandì trionfalmente il Gizmo prigioniero. La creatura lanciava sibili frenetici.

Lane intanto si strappava dal volto un Gizmo: aveva le sopracciglia strinate dal fuoco, e l’aria che introdusse nei polmoni era irrespirabile. Barcollò e si sentì pieno d’odio e gli sembrò che avrebbe potuto continuare per sempre a distruggere i Gizmo, uno per uno, vivendo solo di odio.

Ma, naturalmente, non fu così.

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