4

Situazione, atmosfera, e fatti erano quelli di un incubo insensato. Su in cielo brillavano le stelle, e bassa sull’orizzonte splendeva una falce di luna. Sulle pendici del monte spiccavano le sagome contorte degli alberi. Li vicino una roulotte di alluminio scintillava sotto la luna. E dappertutto silenzio. O quasi.

Lane sentì nelle orecchie un sibilo, e quasi gli si rizzarono i capelli.

La Warren, aguzzando gli occhi nel buio, disse in fretta:

— È un segnale. Quando sono in collera, fanno un sibilo continuo. Quando lanciano sibili brevi vogliono che facciamo qualcosa.

Lane strinse i denti. — Come le sapete, queste cose? — domandò.

— Siete rimasto molto tempo privo di conoscenza. Avevo una gran paura che foste morto. Nel frattempo però ho capito qualcosa: i Gizmo, quando ci toccano, vogliono che ci muoviamo.

Dietro al collo, Lane avvertì un leggerissimo tocco. Rimanendo immobile, disse con rabbia: — Qualcosa sta toccandomi.

— Obbedite subito — disse la Warren, in fretta. — Alzatevi… muovetevi!

Lane si alzò. L’umiliazione di sapersi impotente contro quei cosi assurdi lo rendeva furioso. Un altro colpetto.

— Mi hanno toccato ancora — disse. — Perché? — E risedette.

— Ci stanno studiando — spiegò la Warren — e io sto studiando loro. Finiremo per scoprire che cosa vogliono, fino a che punto sono intelligenti, e come possiamo ingannarli o evitarli…

— Se ci studiano — ribatté Lane pieno di rabbia — significa che sono troppo int…

Non riuscì più a respirare. Rimase fieramente seduto, senza cercare di tirare il fiato, come in una vana sfida. Ma mentre sedeva immobile, ignorando la cosa che voleva asfissiarlo, pensò che così avrebbe forse potuto ingannare quelle creature non umane. Gli animali inferiori, uccelli, bestie o insetti, reagivano direttamente al tentativo di soffocamento, lottando contro il vuoto. Perciò un Gizmo, vedendo la vittima immobile, avrebbe dovuto concludere che era morto. E allora, se Lane teneva il fiato, il Gizmo forse l’avrebbe creduto morto…

Rimase assolutamente immobile, stringendo le mani a pugno.

La cosa che l’opprimeva si allontanò. Lane, in silenzio, si riempì i polmoni d’aria pura. Sentì allora, nel buio, dei lievi suoni magici: non sibili, stavolta, ma note musicali.

— Ho trattenuto il fiato — disse il giornalista — e la “cosa” se n’è andata.

— Benissimo! — approvò la Warren, con voce tesa. Poi aggiunse: — Adesso vogliono che mi alzi. Obbedisco.

Si alzò, nel chiarore fantastico della falce lunare. Mosse qualche passo avanti, si fermò, tornò indietro, si volse.

La sua voce ora tremava di angoscia e di umiliazione. — Maledetti! — imprecò. — Non capisco se ci studiano davvero, come noi facciamo con loro, o se soltanto giocano, come il gatto con il topo.

— Forse fanno l’uno e l’altro — disse Lane. — Ma può anche darsi che sia tutt’un’altra cosa. Gli animali non pensano come gli uomini.

— Ma non sono animali! — protestò la Warren. — Sono gas, non hanno neppure il protoplasma! Come possono essere animali?

La rigidezza della donna mentre obbediva agli ordini delle creature invisibili, scomparve a poco a poco, e tremando, la Warren ritornò vicino a Lane.

— Mi hanno lasciata — disse, ancora sconvolta. — Li odio! — Poi, più calma, aggiunse: — Il trucco di trattenere il fiato è efficace, penso. Infatti un carnivoro continua ad attaccare finché la sua preda non offre più resistenza per essere divorata. Ma questi esseri non sono carnivori, sono miasmivori, se possiamo chiamarli così, divoratori di miasmi. Attaccano finché la vittima sta per decomporsi. Perciò, quando si smette di respirare… — S’interruppe per riempirsi di aria i polmoni, e aggiunse in fretta: — Di nuovo degli ordini. Proverò anch’io a tenere il fiato.

Sedette assolutamente immobile, nel grande silenzio. Si trovava forse a cinque metri da Lane, anche lui seduto con i pugni serrati, nella luce lunare quasi macabra, in quel mondo immerso nel silenzio. Non un moto. La Warren era come pietrificata, e qualcosa mandava un leggero sibilo. Lane teneva gli occhi addosso alla scienziata.

Dopo un tempo lunghissimo, la Warren respirò di nuovo. — Funziona davvero — disse, con un tremito. — Quelli adesso cercheranno di capire perché noi possiamo smettere di respirare e poi riprendere. Almeno, credo che lo faranno.

Poi, dopo una pausa piuttosto lunga, riprese: — Quando voi siete caduto esanime, nella roulotte, ero disperata. Mi sono messa un lenzuolo in testa, ho fatto dei buchi per gli occhi, e sono entrata nel laboratorio. Avevo anche un lenzuolo per voi. Ma c’erano troppi Gizmo. Mi hanno lasciata respirare, ma mi hanno imprigionata e si sono persino infilati sotto il lenzuolo, con quello spaventoso sibilo… Poi, a poco a poco mi hanno tolto l’aria. Soffocavo, e sono stramazzata a terra. Allora evidentemente se ne sono andati. Forse mi credevano morta. Quando mi sono riavuta vi ho trascinato all’aperto. Non si sentivano sibili. Ho cercato di rianimarvi. Poi quelli sono tornati… — ebbe un brivido. — Tre volte hanno tentato di asfissiarmi, e se ne sono andati, tutt’e tre le volte, appena in tempo. Eravamo in loro potere, anche nella roulotte — concluse, brusca.

— Credo di sì — disse Lane, lentamente. — Il modo in cui si sono comportati con me nel laboratorio, e poi poco fa… — S’interruppe di colpo. Sentiva i sibili e qualcosa lo sfiorava. Disse. — Si sono accorti che respiro di nuovo. Questa volta obbedisco, per disorientarli.

Si alzò. Lo fecero avanzare, poi lo fermarono con un tocco sulla fronte. Obbedì sentendosi pieno di vergogna per quella sua docilità, fosse pure per guadagnare tempo. Inciampò e cadde con le mani affondate nell’erba. Ne strappò alcune manciate e quando si rialzò, se ne riempì le tasche.

— Ho raccolto dell’erba secca — disse, mentre i Gizmo lo spingevano a destra. — Ho un accendisigaro. Cercate di raccoglierne anche voi. Nella roulotte abbiamo bruciato un Gizmo, ricordate?

La Warren rispose con un grugnito di approvazione, e si diede da fare a raccogliere erba secca.

Lane si fermò, obbedendo a un tocco, poi, a un altro tocco, tornò indietro. Sentiva il frusciare dell’erba strappata dalla Warren.

— Forse vogliono impaurirci, o farci camminare fino all’esaurimento, per poterci soffocare più facilmente. Se perdiamo il fiato…

Qualcosa gli tappò di colpo bocca e narici. Lane si lasciò cadere a terra, con il naso contro il suolo, e intanto strappava altra erba secca.

Né colpetti né sibili, come se i Gizmo che l’avevano tormentato fino a quel momento fossero paghi di vederlo a terra. In fretta raccolse altri sterpi. Poi si rialzò.

— Ecco il mio contributo di fieno — disse in fretta. — Ho anche dei fiammiferi oltre all’accendisigaro. Ma non c’è abbastanza erba…

La Warren corse poco lontano a raccoglierne altra. Lane osservò il cielo pieno di stelle. Una ondeggiava senza brillare. Tutt’attorno lo stesso fenomeno. E come delle ondulazioni di gas nell’aria: i Gizmo.

— Nella roulotte c’è della benzina — disse la Warren, sempre strappando erba. — È per il generatore di corrente. Sono una decina di litri.

— Ci servirà — disse Lane.

Radunarono l’erba raccolta e ne fecero un bel mucchio. Nessun sibilo ora, soltanto suoni flautati.

— Stanno discutendo di noi — disse la Warren. Stava ritta davanti al mucchio di fieno, in atteggiamento battagliero. — Che ora è? — domandò.

— Le quattro. Adesso credo che l’erba sia sufficiente. Meglio farne un fascio da tenere in mano. Non penso che ci lasceranno vivere fino all’alba. Sono stati commessi dei delitti anche di giorno ma di solito…

— Sì, di solito uccidono di notte, e di giorno si nutrono. I gas che i Gizmo divorano si sviluppano più in fretta col calore del sole.

Nella notte risuonò un coro di grida lamentose: forse un Gizmo, forse il vento tra i rami.

Ma era troppo sinistro, per essere il rumore naturale del vento.

— Forse questo è il segno che hanno preso una decisione — disse Lane. — Ammesso che finora abbiano discusso di noi.

I due erano tesi e Lane, con il fieno, formò dei fasci, legandoli con fili d’erba ad un’estremità e lasciandoli liberi dall’altra.

— Si muovono in massa — annunciò la Warren. — E vengono verso di noi! Forse stavano aspettando ordini, e adesso li hanno ricevuti.

Con gesti cauti Lane tolse di tasca l’accendino e lo tenne pronto, con la fiamma al minimo, immota nell’aria stagnante della radura.

Verso sud le stelle ondeggiarono. Alzò gli occhi: lo stesso fenomeno a est e a nord. Quasi dappertutto le stelle ondeggiavano avanti e indietro, proprio come se masse di gas si muovessero tra terra e cielo.

— Ci circondano! — disse Lane in fretta.

Una fiammella. La Warren, china in avanti, sfregava un fiammifero contro il coperchio della scatola.

Delle cose toccarono Lane, e intorno a lui non ci fu più aria. L’abito gli si incollava addosso, come se le cose invisibili lo premessero, fremendo ed emettendo sibili che non promettevano niente di buono. Viso e collo erano imprigionati, come da migliaia di ragnatele, che lo coprissero e lo avvolgessero. Lane non vedeva niente. Sentiva soltanto i sibili. E non poteva respirare.

La mano che teneva l’accendisigaro era ancora libera. L’avvicinò alla torcia d’erba secca, e subito le fiamme si levarono alte. Intorno i sibili divennero urla strane, indicibili, spaventose. I Gizmo, a contatto con il suo corpo formavano un autentico muro gassoso, che adesso le fiamme scuotevano con orrendi sussulti, così violenti che per poco Lane non venne buttato a terra.

Agitava disperatamente la torcia, e le scintille si spandevano da tutte le parti, e quegli strani suoni lamentosi, simili a gemiti, aumentavano.

Finalmente riuscì a respirare, ma tutt’attorno l’aria era piena di miasmi fetidi. Si volse, con aria di trionfo, verso la Warren, per vedere come se la cavava.

La scienziata era caduta a terra, il primo fiammifero si era spento, e lei tentava disperatamente di accenderne un altro, senza riuscirci.

Lane le corse vicino, agitando la fiaccola. Sembrava un selvaggio che compisse degli scongiuri. Dalla torcia le scintille si spandevano intorno, dilagavano, mentre i Gizmo ardevano con sottili sibili, disumani.

— Anche questa volta — disse alla Warren che ricominciava a tirare il fiato — anche questa volta ce l’abbiamo fatta. Per il momento siamo salvi.

La sua torcia ormai era quasi consumata. Lane ne prese un’altra dal mucchio, e l’accese. Le fiamme divamparono, e Lane agitò gli sterpi in alto, sopra il suo capo. La scena aveva qualcosa di allucinante: due esseri umani, sulle pendici di un monte, agitavano minacciosamente delle torce sotto la luce lunare.

— La roulotte — ansimò Lane. — Dobbiamo riposare un po’ prima di decidere cosa fare!

Aiutò la Warren, e insieme si avviarono alla roulotte.

— Eppure dovevano essere interessanti da studiare! — commentò la scienziata.

Tutt’intorno si levavano ancora sibili rabbiosi. Anche la seconda torcia di Lane era consumata, e la Warren agitò la sua finché lui ne ebbe accesa un’altra. Poi raggiunsero la roulotte.

Anche quando furono al riparo continuarono ad agitare le torce. Poi la Warren accese tutte le fiamme della cucina a gas liquido.

— Non mi è mai piaciuto tanto il fuoco come in questo momento! — commentò.

Con un guaito, Mostro sbucò dal suo rifugio, e la coperta che l’aveva protetto dai Gizmo, cadde sul pavimento. La bestia era in uno stato pietoso, guaiva, e tremava convulsamente.

— Per ora — disse Lane — siamo salvi. Non so però fino a quando…

— Dobbiamo avvertire gli altri, informarli che esistono i Gizmo, e che sono pericolosi! Questa è la prima cosa da fare — decise la Warren. — Poi dobbiamo catturarne uno…

— L’abbiamo già fatto una volta — ribatté Lane — e quello ha chiamato gli altri. Non vorrete che ce ne trasciniamo dietro un’orda decisa a ucciderci pur di riavere il prigioniero! Sarebbe troppo!

— Avete ragione. Allora faremo le nostre relazioni, io all’università e voi alla vostra rivista. Le autorità così saranno informate, e prenderanno le disposizioni necessarie per fronteggiare la situazione. Però se ne potessimo catturare uno…

— Vedremo. Per ora voglio fare una fiaccola. Bastano dei barattoli e un paio di bastoni. C’è un apriscatole?

La Warren ne scovò uno, e Lane aprì due scatolette di viveri, ne tolse il coperchio e infisse un bastoncino nel fondo, riempiendo poi la scatola con stracci imbevuti di benzina.

— Credo che i Gizmo staranno alla larga da aggeggi del genere — disse il giornalista mentre collaudava la maneggiabilità della torcia primitiva. Visto che funzionava, Lane ne costruì una seconda per la Warren, quindi si mise in spalla il bidone di benzina, si riempì le tasche di pezzi di legno ricavati da una cassa, e finalmente i due abbandonarono la roulotte, lasciando tutte le luci accese.


Camminavano protendendo davanti a sé le rudimentali fiaccole e di tanto in tanto le agitavano sopra le teste, vigorosamente, e più volte vicino a terra per liberare Mostro, quando il cane si rotolava, ringhiando all’aria.

Gli passavano vicino al corpo i tizzoni ardenti e il cane tornava a rizzarsi. Indugiarono anche vicino a certi tronchi morti, strappando rami e pezzi di corteccia per alimentare le fiaccole.

La montagna si levava alta alle loro spalle mentre Lane e la Warren avanzavano nel buio. Lei, piena di propositi bellicosi, pensava alla sconfitta che avrebbe inflitto ai Gizmo, e intanto teneva d’occhio il suo barattolo, attenta a ogni parola di Lane che camminava davanti e pensava a come comunicare la notizia agli altri non ancora attaccati dai Gizmo.

Si scambiarono poche parole lungo la mulattiera. In certi punti gli alberi si chiudevano sulle loro teste nascondendo il cielo e rendendo più fondo il buio. Il lieve riverbero rossastro delle fiaccole però guidava i loro passi in mezzo ai tronchi caduti e ai massi che affioravano sul sentiero.

Non un suono né un movimento, ma i due sapevano che i Gizmo li seguivano nelle tenebre sperando che alla fine i loro fuochi si spegnessero.

Finalmente le stelle brillarono di nuovo sopra di loro e le montagne si aprirono, permettendo allo sguardo di spaziare per chilometri e chilometri.

A volte li sfiorava la brezza notturna, e loro, scambiando i lievi tocchi del vento per un segnale d’attacco di quei demoni mostruosi senza corpo, subito agitavano le fiaccole, sprizzando scintille da ogni parte.

Non un lumicino, non un canto d’uccello. Poi, in fondo, sulla linea dell’orizzonte apparve una lievissima sfumatura grigiastra. Fu la Warren a notarla per prima.

— È l’alba — annunciò, calma.

Con infinita emozione sentirono, lontanissimo, il grido isolato di un uccello. Finalmente una creatura viva, la prima che incontravano in quella zona.

— Mi stupisco di essere ancora in vita — disse Lane — ma non mi illudo certo che i nostri guai siano finiti.

— Bisogna far venire qui subito una squadra di ricercatori. Quei Gizmo sono pericolosi, ed è indispensabile prendere immediatamente delle misure — commentò la Warren, col tono di un generale abituato a veder eseguiti i suoi ordini.

Aveva ancora la fiducia inconscia nella superiorità dell’uomo, fiducia che risaliva a migliaia di generazioni. Lane, invece, non ne era del tutto convinto. Sapeva che i Gizmo erano dappertutto. Quanti? E quei mostri apparentemente fragili, erano più forti, se più numerosi?

Poco dopo il sole spuntò sui monti disegnando davanti a Lane, alla Warren e a Mostro le loro lunghe ombre. Alcune nuvolette bianche brillavano ai raggi del sole, c’era ancora una lieve sfumatura rosata nell’aria, foglie ed erba scintillavano di rugiada, l’atmosfera era fresca e luminosa, e gli uccelli si chiamavano da un fianco all’altro dei monti. Un cane abbaiava, e si sentivano di nuovo ronzare gli insetti.

La Warren studiava il posto. Erano sbucati da un folto di alberi su una strada battuta, che sembrava arrivare dal nulla e portare da nessuna parte. Non una casa in vista, appena un prato, attraversato da sentieri, che forse era stato un pascolo. A poca distanza, una civetta appollaiata su un ramo gettava il suo grido rauco.

La Warren si guardava intorno con evidente soddisfazione. — Gli uccelli cantano qui — disse — e sento stridere gli insetti. Qui, almeno, non ci sono Gizmo. Metteremo subito le cose in moto… — Poi, con improvvisa indignazione, esplose. — Al diavolo i Gizmo! — E buttando via i resti degli stracci bruciati, sbuffò: — Mi sentivo ridicola, a portare questa roba! Adesso finalmente siamo in salvo! Da che parte andiamo?

— Da queste parti ci dev’essere Murfree — disse Lane, indicando a sinistra. — Probabilmente a una distanza di sette o otto chilometri.

— A me fanno terribilmente male i piedi — si lamentò la Warren. — Io…

Un rumore, in distanza. La scienziata si fermò guardando attentamente in direzione del rumore. Era il ronzio di un motore e poco dopo comparve la macchina, verde-scuro, malandata, vecchia di almeno cinque o sei anni.

— Chiediamo un passaggio — disse la Warren con autorità. — Dobbiamo cercare di guadagnar tempo!

Fece dei gran segnali con le braccia, e la macchina si fermò. L’uomo al volante li guardò incuriosito.

— Ci date un passaggio per favore? — domandò Lane.

Inutile cercare di spiegare la loro situazione a una persona del tutto normale. Li avrebbe presi per pazzi.

— Saltate su — disse l’automobilista. — Dove andate?

— Al più vicino posto telefonico — rispose la Warren in tono deciso. — Dove si possa fare una interurbana.

Sali in macchina. Dietro c’erano pacchi e fagotti, e la Warren dovette spostarli per trovare posto sul sedile posteriore. Poi diede un’occhiata a Lane, senza parlare, mostrandogli la fiaccola che teneva ancora in mano e in cui c’era ancora qualche brace accesa. Lane diede un’occhiata a Mostro: il cane era esausto, ma non sembrava spaventato.

— Penso che la si possa svuotare — disse adagio. — Comunque ho sempre la benzina e l’accendisigaro. E poi la macchina fila.

Il giornalista buttò via i tizzoni accesi, ma né a lui né alla Warren venne in mente di disfarsi delle preziose scatolette che li avevano protetti dai Gizmo durante la notte. Mostro fu issato a bordo, poi salì anche Lane. L’automobilista li scrutò attento. Infine mise in moto, e con un sussulto la macchina partì.

L’uomo domandò allegramente: — Voi siete la scienziata che studia gli avvoltoi, vero?

— È esatto — rispose la Warren.

— E quello — continuò l’altro — è il signore che scrive articoli sulla caccia.

— Proprio così — disse la Warren.

— Io mi chiamo Burke — aggiunse l’uomo. — Lieto di conoscervi. Avete scoperto che cos’è che uccide gli animali?

Lane non rispose, e la Warren brontolò qualcosa di incomprensibile.

Cominciavano a rendersi conto che in quel bel sole caldo, con uccelli e insetti che riempivano l’aria di voci, l’idea di creature viventi non di carne né di ossa, e che cercano di asfissiare gli esseri normali per potersi nutrire con i miasmi della decomposizione… ecco, in quel bel sole, una persona normale poteva mostrarsi scettica. Ma…

Io l’ho scoperto — continuò Burke. — Non riesco a crederci, eppure è vero. È per questo che me ne vado e mi porto dietro i bagagli. Vado in qualche altro posto.

— Ma che cos’avete scoperto? — domandò Lane.

— Non ci badate — disse Burke. — Se ve lo dicessi, non mi credereste.

Premette l’acceleratore e la macchina si lanciò verso il mattino che spuntava, mentre le pendici dei monti rimandavano l’eco del motore. La strada, dopo una curva a destra, correva verso uno stretto ponte, a cavallo di un torrentello largo un metro e mezzo. Poi piegava di nuovo a sinistra, e qui Burke abbandonò la strada asfaltata e si mise, tra grandi scossoni, su una pista secondaria, stretta e polverosa. La macchina, passando, sollevava un polverone rossastro.

— Il posto telefonico più vicino è di qua, in una stazione di rifornimento — disse Burke. — Quella che abbiamo fatta è una strada nuova. Il padrone ha costruito qui il distributore, credendo che ci passasse la strada. L’hanno imbrogliato!

— Ormai possiamo stare tranquilli — disse Lane alla Warren, sottovoce. — I Gizmo non si spostano tanto in fretta. Anche se ci hanno seguiti, devono essere rimasti indietro.

La scienziata annui, ma i tratti del suo volto rimasero tesi, quasi avesse un presentimento.

La macchina girò attorno a un campo di grano, sollevando un gran polverone, e andò a fermarsi davanti a un distributore moderno, nuovo di zecca, che sembrava costruito per una grande arteria di traffico, e non per una strada secondaria e polverosa come quella. Burke fermò la macchina sulla spianata di cemento.

— Qui c’è un telefono. Ehi, Sam, ti ho portato dei clienti!

Il padrone del distributore uscì senza fretta, seguito da un gatto.

La Warren scese, fece un breve cenno di saluto, ed entrò nella cabina frugandosi nelle tasche dei pantaloni in cerca di gettoni.

— Hai visto ancora i fantasmi? — domandò Sam.

— Al diavolo! Non ho mai detto di aver visto qualcosa! Non si possono vedere! Si muovono, sibilano, e lasciano tracce vicino ai polli morti, ma non si vedono, te l’ho già detto!

La Warren, in cabina, infilava un gettone dopo l’altro nell’ap parecchio.

— Quando li vedrò — osservò Sam — comincerò a crederci.

La Warren salutò qualcuno, poi cominciò a parlare, con tono deciso e autoritario.

— Uccidono, quelle cose, ti dico — ribatté Burke, con violenza. — Sono loro che hanno sterminato tutta la selvaggina di cui parlavamo, e anche qualche mucca.

Sam osservò, ridendo: — Me non mi hanno ancora ucciso.

— Ma uccideranno anche te — sentenziò Burke, serio. — Finora hanno risparmiato soltanto gli uomini e io non voglio aspettare che ammazzino anche noi. Preferisco andarmene prima.

— Hai paura? — domandò Sam, incredulo. — Paura di una cosa che non si vede?

— Ho paura di quello che non posso combattere. Come si fa a lottare contro una cosa che non si vede?

Dentro alla cabina, la faccia della Warren diventò convulsa. Cominciò a urlare infuriata nel ricevitore, e qualche parola arrivò fino all’esterno: la scienziata esprimeva tutto il suo disprezzo alla persona all’altro capo del filo. Poi s’interruppe, scuotendo il gancio con violenza, e infine riappese il ricevitore e uscì, schiumante di rabbia.

— Idiota! — urlò. — Stupido pazzo! Crede che mi diverta e continua a ripetere che non è uno scherzo da fare, buttarlo giù dal letto per prenderlo in giro con queste sciocchezze. E che vada pure a lamentarsi dal rettore! Pezzo di cretino!

Stava quasi per piangere, dalla rabbia. In quel momento Mostro fece sentire un brontolio, poi latrò e infine, abbaiando, andò a cacciarsi sotto un sedile. Cercava disperatamente un nascondiglio, e latrava sempre più forte.

Istintivamente Lane girò attorno lo sguardo, mentre la sua mano andava immediatamente alla latta di benzina, ancora intatta.

Con un sussulto, la Warren puntò il dito.

All’inizio della strada che la macchina aveva infilato per arrivare al distributore, si vedeva una gran nube di polvere in movimento. A prima vista sembrava che stesse arrivando un’altra macchina, ma la nube era assai più grande di quella che normalmente solleva un’auto, e poi non ricadeva a terra, si muoveva in avanti come se fosse un tutto unico, e rotolava sulla strada: un enorme globo di polvere rossastra, che avanzava adagio, inesorabile, alto come un palazzo di sei piani. Un fenomeno innaturale, voluto da un’intelligenza e certamente organizzato con uno scopo.

L’enorme palla polverosa rotolava adagio verso la stazione di rifornimento.

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