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L’incidente di St. Joseph non trovò posto nei giornali. Vi era, nei sobborghi della città, un grandissimo allevamento di polli specializzato non in uova, ma nella produzione di polli da vendere. Le bestie erano sistemate all’aperto e avevano dei ripari dove passavano la notte. Il pollaio costeggiava la strada per un bel tratto, e dei cartelli avvertivano gli automobilisti di passaggio che li c’erano polli vivi, polli eviscerati, polli spennati, polli congelati, quarti di pollo. In una vetrina c’erano anche due spiedi, e si poteva entrare a mangiare polli arrosto.

Un mattino, alle nove, il panico si diffuse tra i pennuti in pieno pollaio. All’estremità della cinta metallica, le povere bestie cominciarono a starnazzare disperatamente, a stramazzare a terra una dopo l’altra, a sbattere le ali istericamente. Altre fuggirono disperate, dall’altra parte del recinto. I sorveglianti corsero a vedere quel che capitava. Fino ad allora le imprese dei Gizmo a St. Joseph si sapevano per sentito dire, e la gente era inquieta, ma non terrorizzata.

Uno degli addetti aprì la porta nell’ultimo recinto ed entrò.

I polli, tra sussulti frenetici, erano ammucchiati contro la rete di fondo. L’uomo sentì dei sibili e avanzò per liberare le povere bestie che rischiavano di morire soffocate nella calca. Afferrò una gallina che si dimenava freneticamente senza un grido. La bestia si contorceva, col becco spalancato, senza un suono, con gli occhi fuori dalla testa. In quel momento il sorvegliante sentì nell’orecchio un sibilo, la gallina smise di dimenarsi, diede ancora qualche guizzo convulso, ormai in agonia. Senza apparente motivo, la povera bestia cessai di vivere.

Poi, di colpo, qualcosa sfiorò il volto dell’uomo. Un sibilo acuto e frenetico e lui non poté più respirare. Rimase paralizzato per lo spavento, mentre i polli starnazzavano pazzamente, tutto intorno. Uno gli sbatté sulla faccia e gli salvò la vita. Il sibilo si fece più acuto: l’uomo riuscì di nuovo a tirare il fiato.

Scappò di corsa.

Senza ancora ben connettere, balbettò che certe cose avevano tentato di soffocarlo, e che in certi recinti i polli morivano mentre in altri se ne stavano ancora tranquilli. La morte invisibile avanzava adagio, inesorabilmente, lungo i vari recinti, e uno dopo l’altro i polli stramazzavano a terra soffocati.

Troppi erano stati i testimoni del fatto, troppo chiara la successione degli avvenimenti, per considerarli frutto di un’epidemia. Erano presenti quelli che stavano comperando polli e gli uomini che lavoravano alla fattoria: c’era anche una guardia, l’unico che collegò i sibili con la morte dei polli e concluse che le bestie erano state uccise da uno sciame d’insetti, troppo piccoli per essere visibili a occhio nudo. Premessa sbagliata, è vero, ma il ragionamento filava. La guardia concluse che se si respirava attraverso un pezzo di stoffa, gli insetti non sarebbero entrati nei polmoni. E provò a farlo per poter salvare i presenti: un uomo intelligente e coraggioso, quel poliziotto.

La nube mortale calò sull’intera fattoria, dopo che la gente era stata allontanata. Avanzò terribile, inesorabile, toccò l’abitato che confinava con la cascina. Vi furono due morti.

La guardia aveva cercato di avvertire tutti, aveva spedito quelli che già sapevano ad avvertire gli altri, ma due ostinati, pieni di sospetto, non vollero ascoltarlo. Tutti gli altri si salvarono. Sui due terzi di un quartiere nuovo calarono i Gizmo invisibili che sibilavano rabbiosamente e avanzavano seminando la morte.

Poi, alla cieca, senza ragione, così come era entrato nell’abitato, lo stormo mostruoso svanì, lento, sinistro, in direzione dei boschi vicini, dove fece strage di api selvatiche, di conigli, di larve, di formiche, d’insetti.

Tutto questo non comparve sui giornali. La gente era già troppo spaventata, e si dovettero prendere precauzioni per impedire che l’allarme si diffondesse. Bisognava prevenire il panico, ma i mezzi usati per contenere il terrore ebbero effetti curiosi, sotto un certo aspetto. Per esempio, la Warren non riuscì assolutamente a mettersi in contatto con Washington per comunicare quel che era più opportuno fare.

Le comunicazioni telefoniche dalle varie province, infatti, erano state interrotte perché il panico dalle campagne non si diffondesse in città. Quando la Warren volle chiamare Washington, le dissero che tutte le linee erano occupate. E lo stesso avvenne per le altre sei volte che Lane si fermò per tentare da altri telefoni.

— Hanno appena trasmesso il giornale radio — disse Lane, mentre la Warren usciva sconfitta per la settima volta da una cabina telefonica. — Non una parola sugli avvenimenti di St. Louis o di Kansas City. Forse pensano che la gente se ne dimentichi se non ne sente parlare. Tentano anche di minimizzare il fatto di Chicago. I batteriologi, dicono, ritengono di aver isolato il germe sospetto. E l’altra notte davano la colpa ai russi! Non una parola su tutti quegli incidenti stradali! Per due terzi del radiogiornale hanno trasmesso notizie estere.

— Non riesco ancora a parlare con Washington — brontolò la Warren, delusa. — Non ci lasceranno entrare in città, Dick, ma andiamo avanti lo stesso. Ormai rinuncio alle soluzioni razionali, però qualcosa dobbiamo fare!

— Questo sì — promise Lane.

L’ultimo fiasco la Warren lo fece a pochi chilometri da Winchester. Tentò ancora a Martinsburg, dove almeno si poteva liberamente entrare in città. Pranzarono molto tardi, e tentarono di nuovo inutilmente di parlare con Washington.

Ormai era il terzo giorno che provavano diversi tentativi per fare una cosa che normalmente si sarebbe sbrigata nel giro di una giornata. Anzi, quel terzo giorno fu quasi una ripetizione del primo.

Via sbarrata per Hagerstown: persero ore e ore per trovare qualche strada senza posti di blocco. Bloccata anche Chambersburg, e di nuovo dovettero fare un lungo giro. Lane voleva provare con l’autostrada della Pennsylvania ma al distributore dove si fermò a fare il pieno, in un gruppetto di case dette “Green Village”, gli dissero che era chiusa al traffico. “Quarantena o qualcos’altro” riferì l’uomo che manovrava la pompa.

Lane fece qualche domanda. Sì, nelle cascine di Chippensburg la notte scorsa era morto tutto il bestiame. E anche due uomini. Lane pensò che se c’erano poche vittime umane ciò era dovuto esclusivamente al fatto che i Gizmo non erano intelligenti. Proprio come gli avvoltoi, trovavano cibo nei cadaveri e potevano benissimo attaccare gli uomini, ma in fondo preferivano sempre gli esseri inferiori.

Lane piegò verso est, evitando le grandi arterie. Appena ne avvistava una, svoltava ostinatamente o l’attraversava in fretta per ricacciarsi nelle strade di campagna, meno frequentate. Per tre volte attraversò zone dove non c’erano canti d’uccelli né ronzii d’insetti, e passò accanto ai resti ancora fumanti di una cascina, divorata dal fuoco senza che nessuno tentasse di salvare qualcosa. A sinistra, su un prato, vide un cavallo morto.

Nel tardo pomeriggio apparvero in cielo squadre di aerei. Un lontano ronzio, e Lane avvistò un elicottero librato in aria. Poco dopo la macchina superò un dosso e Lane vide una nuvola di fumo sul nastro stradale tutto nero di auto.

— Stanno bloccando il traffico — osservò Lane — probabilmente da Harrisburg. Le macchine andavano verso la grande strada a quattro corsie, li hanno fermati perché non morissero per strada. Però se un’orda di Gizmo gli cala sopra, così ammassati…

Cercò un’altra strada, vi entrò e poco dopo attraversò la rotabile bloccata e deserta e proseguì in una traversa polverosa dall’altra parte. Filava tra Harrisburg e York, in Pennsylvania. Intorno a Lancaster le strade erano praticamente deserte: forse la polizia aveva agito prontamente, forse c’erano meno sbocchi da controllare.

Puntò a nord della “quattro corsie”, prendendo una traversa meno frequentata, poi piegò a est. Non era consigliabile passare per Filadelfia o arrivare nel New Jersey da sud. Nei pressi di Reading s’imbatterono in colonne compatte di macchine che si allontanavano da Filadelfia.

— Credo — disse Lane — tenendo conto di quel che han detto i giornali e di quello che non hanno detto, che le mie profezie a Jim Holden l’abbiano convinto che non parlavo a vanvera.

— Holden? — disse Burke.

— Quel mio amico del laboratorio — spiegò Lane. — Siamo andati spesso a caccia insieme. È il direttore dei Laboratori Diebert, dove siamo diretti.

— Jim Holden? — domandò ansiosa la Warren. — Il dottor Jim Holden? Quello che si è occupato di trapianto di tessuti viventi? Santo cielo, Dick, ma voi lo conoscete?

— Credo che sia lui. Perché?

— Ma perché non me l’avete detto? — domandò la Warren. — Abbiamo perso tempo. Se riesco a parlargli per mezz’ora… Holden conosce i miei lavori, metterà di sicuro laboratori e uomini a mia disposizione. E finalmente in pochi giorni avremo una relazione completa e documentata sui Gizmo, e tutto sarà finito.

Lane si voltò a guardarla. Era sinceramente stupito. La Warren era stata attaccata dai Gizmo, quanto lui. Aveva visto tutte quelle cose orribili come lui. Adesso Lane si accorgeva di colpo che l’idea che lei aveva dei Gizmo come biologa era del tutto diversa dalla sua. Probabilmente ne sapeva molto più di lui sul loro metabolismo e certo aveva idee più chiare delle sue sulle forme di movimento che reggevano quei sistemi dinamici gassosi. Un sistema senza dubbio complesso molto più di un anello di fumo, che variava di forma in risposta agli stimoli esterni. Quando la Warren pensava ai Gizmo, li pensava così. Lane invece era un cacciatore e un pescatore e pensava soprattutto a quel che facevano quegli esseri. E mentre la studiosa non vedeva l’ora di completare l’esame dei Gizmo, Lane si domandava quale sarebbe stata la loro prossima mossa.

E gli sembrava una cosa ovvia.

Dal fatto che all’inizio i decessi tra gli animali erano stati pochi ed erano diventati sempre più numerosi in seguito, Lane s’era fatta una sua opinione. I fenomeni realmente preoccupanti imputabili ai Gizmo s’erano verificati la settimana precedente. Ancora tre giorni prima, soltanto chi aveva a che fare con la selvaggina o l’allevamento del bestiame, si era trovato alle prese con i Gizmo; adesso invece c’erano la censura sui giornali, le restrizioni nella circolazione, le fughe frenetiche dalle città, insomma tutti i sintomi di una guerra.

Forse tra poche ore i Gizmo avrebbero attaccato città e uomini.

Il ragionamento era semplicissimo. Degli esseri viventi con cibo in abbondanza e nessun nemico, si moltiplicavano con progressione geometrica. Sei mesi fa, nelle foreste americane c’era forse appena un centinaio di Gizmo; ma cinque mesi fa diecimila; poi un milione; e tre mesi prima forse un centinaio di milioni. E a due mesi di distanza, forse diecimila milioni. Le regioni non abitate non potevano più contenerli. Non c’era abbastanza da vivere per tutti. Dovevano uscire. Gli animali domestici avrebbero soddisfatto la loro fame solo fino a un certo punto, perché era molto probabile che appena si fossero nutriti, subito si sarebbero moltiplicati… E tutti gli animali dei pascoli, li avrebbero saziati per breve tempo. Non mesi, né settimane: giorni. E due… tre giorni, erano già passati.

— Sto pensando — disse Lane, prudente — che forse è meglio cercare di arrivare prima che ci sia impossibile muoverci. Non si potrà telefonare dalla campagna in città per non diffondere il panico, ma da una città all’altra si potrà bene! Voglio tentare.

Fermò davanti a un negozio, tutto chiuso, con finestre e porte sbarrate. All’ingresso un cane ringhiò; e al primo piano si socchiuse una finestra. Fece capolino la canna di un fucile, mentre il cane urlava rabbiosamente.

— Il negozio è chiuso — disse una voce con l’accento della Pennsylvania. — Non c’è più niente. Andatevene o sparo!

— Dieci dollari per telefonare — disse Lane. — Tenetemi pure il fucile puntato addosso mentre parlo. Non voglio comperare, voglio soltanto usare il telefono.

Una breve discussione, e infine l’uomo si lasciò persuadere. L’aspetto dei tre lo convinse: la Warren non sembrava davvero tipo da andare in giro con individui pericolosi.

Lane fece la sua chiamata. Il negoziante lo lasciò solo, tenendo il fucile pronto, ma non puntato. Finalmente Lane ottenne la comunicazione attraverso tre città e poté parlare con il suo amico Jim Holden, tra continui disturbi, è vero, che tuttavia non gli impedirono di avvertire un vivo senso di sollievo nella voce dell’amico, non appena questi riconobbe Lane.

Le profezie di Lane s’erano verificate. Tutti i fabbricanti di prodotti farmaceutici erano stati tenuti informati degli avvenimenti e potevano anche fare domande, e Holden ne aveva risolte, in base a quanto Lane gli aveva detto.

La predizione di Lane che alcuni degli uomini addetti ai bulldozer nel Minnesota sarebbero morti, s’era verificata in pieno. E anche quella che chi fumava sigari o sigarette sarebbe stato immune, purché fumasse. Tutto era andato esattamente come aveva previsto Lane. La cosa era talmente assurda che il direttore dei laboratori aspettava ansiosamente altre notizie da Lane.

Lane parlò, con fermezza. Holden ascoltava impaziente, disposto a fare qualsiasi cosa l’amico gli avesse suggerito. Il collegamento era sempre più difettoso, si sentivano sibili continui, come se i Gizmo fossero in linea, ma Lane riuscì lo stesso a parlare, ad assicurare che era in viaggio verso di loro. Quando tornò alla macchina, una donna parlava con la Warren dalla finestra al primo piano, e mentre si metteva di nuovo al volante, la donna disse, soddisfatta:

— Sì, aglio. Mia nonna diceva sempre che l’aglio protegge dagli spiriti. Proverò. Grazie!

Lane mise in moto, e intanto la Warren si scusava: — Non so se sia molto scientifico, ma funziona. E se quella lo dice ai suoi conoscenti, saranno tante vite salvate.

— Holden mi ha detto che ci sono stati casi di bestie morte vicino al suo stabilimento — riferì Lane. — Cercherà di catturare un Gizmo, e intanto fa fumare tutti. Se ci riesce, siamo a posto. Ma dobbiamo arrivare fin là. L’ho avvertito che se ne prende uno gli arriverà addosso uno stormo di Gizmo… E anche a noi — gridò, guardando in su.

Si lanciò a tutta velocità lungo la strada, inseguito da una nuvola di polvere. Era prossimo il tramonto, il momento cioè in cui i Gizmo si provvedono di cibo. Oggi la loro orrenda fame era più forte di ieri, e lo sarebbe stata di più stanotte, e domani…

Ormai aveva finalmente parlato con qualcuno in grado di far qualcosa di utile su vasta scala, perciò l’ansia di Lane poteva calmarsi. Invece sembrava sempre più inquieto. Sotto un certo aspetto la situazione era migliorata; la gente poteva credere a un’epidemia, ma era anche disposta a credere a un qualcosa di mortale che appariva sugli schermi radar e faceva strage di animali e di uomini. Poche le macchine che filavano al buio. I profughi delle città, bloccati dai soldati armati, cercavano di non stare soli, e si riunivano in gruppi. Si accesero dei falò, altra gente sopraggiunse, i falò si moltiplicarono. Lungo le strade bloccate al traffico, quelli che avevano cercato di lasciare le città si raccolsero intorno a grandi falò fiammeggianti, traendo conforto dalla reciproca presenza e dalle fiamme. Ottima cosa: il fuoco tenne lontano i Gizmo che non cercarono preda tra gli uomini.

Lane sulla sua vecchia carcassa continuava a filare tra grandi sobbalzi su strade secondarie, attraversava paesi immersi nel silenzio, correva nel buio su una camionabile tutta curve a nord di Filadelfia, poi nel New Jersey per una strada quasi altrettanto impossibile, e di nuovo nella zona di Trenton, lungo una pista deserta e non sorvegliata.

Finalmente i Laboratori Diebert, a quaranta chilometri da Trenton.

Burke s’era addormentato tranquillamente sul sedile posteriore, ma Mostro diede improvvisamente segni d’irrequietezza. Cominciò ad abbaiare nella macchina chiusa.

— Holden deve aver affrettato i tempi — disse Lane. — Mi sembra che siamo nei pressi dello stabilimento. — Scrutò nell’alone di luce dei fari. — Il segnale dice di girare a destra. Qui davanti ci deve essere l’edificio. Ma…

Diede un leggero fischio. Davanti vedeva i laboratori con tutte le luci accese, i fari inquadravano l’edificio principale, modernissimo… Ma tutto sembrava ondulato e sfocato. La strada privata portava fin sotto all’edificio, ma era tutto incerto, come cose viste attraverso una cascata d’acqua. Luci anche qui.

La Warren diede fuoco a una torcia portatile a benzina, aspettò che fosse alla temperatura giusta e aprì la benzina. Una vivida fiamma azzurrognola.

La tese a Lane e ne preparò un’altra.

— Dureranno almeno due ore — disse assorta. — E adesso una federa!

Lane inspirò profondamente e si diresse verso l’edificio dove un centinaio di persone erano alle prese con un’orda di Gizmo molto più grande dello stormo di Chicago. All’interno tutti rischiavano di soffocare.

— Meglio aprire i finestrini — disse Lane. — Queste torce probabilmente sprigionano biossido di carbonio: è bene non respirarne troppo.

La macchina avanzava. L’aria sembrava spessa e viscosa. Erano Gizmo, naturalmente, tutti intorno all’edificio, in masse mostruose che Lane neppure avrebbe immaginato.

La Warren protese la destra fuori del finestrino. Agitò la sua torcia.

La fiamma divampò, si levò altissima e parve che tutto il cielo prendesse fuoco. Degli urli striduli, inumani. Tutt’attorno l’aria era agitata violentemente dalle masse di Gizmo che lottavano per fuggire e creavano turbini e correnti che scuotevano l’auto. Una colonna di fuoco si levava sopra al finestrino anteriore destro, e la fiamma divampava nel cielo infuocato, e altre fiamme dilagavano da tutte le parti. E su tutto un sibilo, una sorta di lamento, un grido d’orrore che lasciava appena sentire i latrati di Mostro.

Poi un puzzo spaventoso di Gizmo morti, e le fiamme non si levarono più altissime dalla torcia che la Warren protendeva fuori del finestrino.

La macchina arrivò davanti all’edificio tra un profondo silenzio. Lane suonò il clacson, poi i tre scesero di macchina.

Il dottor Holden apparve sulla soglia, proprio mentre vi arrivavano i tre con le torce.

— Un sistema a cui non abbiamo pensato — dichiarò Holden tranquillamente. — Stavamo preparando qualcosa di più tecnico. Abbiamo messo una mucca morta su un carretto, con tutti noi intorno che fumavamo sigari, l’abbiamo lasciata un momento e l’abbiamo portata in un piccolo laboratorio preparato prima. Sulla carcassa c’erano i Gizmo… come li chiami tu, Dick, così li abbiamo potuti prendere. Quelli hanno protestato, e hanno chiamato i loro amici. Hanno strillato per ore, e i compagni stanno ancora arrivando adesso. Quando siete giunti voi non avevamo ancora risolto il problema di quelli di fuori. Entrate!

Lane sentì la Warren sbuffare e si affrettò a prensentarla al dottor Holden.

— Lieta di conoscervi — disse bruscamente la Warren. — Ho un regalo per voi: un Gizmo appena catturato, in una federa. È in piena forma…


I Gizmo si moltiplicavano per una specie di scissione gassosa e quando un Gizmo aveva trovato da nutrirsi in quell’orrendo modo, alla fine del pasto i Gizmo erano due. E si moltiplicavano con velocità astronomica. Quando Lane e i suoi compagni arrivarono al laboratorio si era letteralmente all’ultimo minuto per prevenire una strage di uomini e forse lo sterminio di ogni essere animato.

Ma ormai era facilissimo prendere in pugno la situazione, facendo ricorso a mezzi tecnici anziché lottare a furia di torce a mano o di fuochi. Nel laboratorio erano stati registrati i sibili dei Gizmo prigionieri, e Holden inviò un telegramma alle autorità che l’avevano incaricato di occuparsi della cosa.

Lane era arrivato al laboratorio poco dopo le undici di sera. A mezzanotte, le basi aeree e militari e i Comandi della difesa civile in tutto il paese avevano già registrato i sibili dei Gizmo. A mezzanotte e mezzo, quei sibili raccapriccianti furono ritrasmessi dovunque, e potenti altoparlanti furono installati nei pressi delle città per diffondere quelle strida rabbiose.

E i Gizmo arrivarono. E subito vennero attaccati con lanciafiamme, torce e altre armi.

Più tardi gli altoparlanti furono piazzati accanto a enormi ventilatori, che ridussero a pezzi quei grandi sistemi dinamici turbinanti.

E i Gizmo morivano come si avvertiva dall’orrendo fetore sottovento. Sulle piste degli aeroporti, gli altoparlanti chiamavano i Gizmo perché li stritolassero le pale delle eliche.

Gli stormi furono mandati a morte nel Newark e nel Poughkeepsie e a Yonkers e nell’Hartford e a Boston e a Pittsburgh. Ci furono orribili miasmi — accolti come una liberazione — a Tallahasee, a Laramie, a Salt Lake City, e a Missoula, a San Diego, a Omana e a Houston e a Cincinnati.

Non si conosceva il numero esatto dei Gizmo, e fu difficile sbarazzarsene completamente. Per settimane gli elicotteri si librarono sulle zone deserte trasmettendo quei sibili rabbiosi che subito richiamavano altri mostri furiosi, perché li raggiungessero e morissero.

Tre mesi dopo fu ancora segnalata una banda isolata di Gizmo nel Dakota, e subito eliminata.

La guerra con i Gizmo finì con la vittoria degli uomini, e con l’unica forma di vittoria che abbia un significato, oggi. Una grossa parte, cioè, venne sterminata. Altre cose giunsero a una conclusione, poco dopo. La Warren ad esempio scrisse uno studio interessantissimo sul quarto regno della natura — il gassoso — opera a volte criticata per l’indignazione dimostrata dall’autrice verso chi l’accusava d’avere una fantasia troppo sbrigliata…

Burke tornò ai suoi affari, e Lane prese con sé Mostro, al quale diede un’onorevole sistemazione.


FINE
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