La dottoressa Warren era pallida come un cadavere quando finalmente la finestra fu di nuovo chiusa e i due Gizmo, che si erano introdotti nella roulotte, distrutti. Uno l’aveva attaccata, ed era stato ucciso da Lane sempre con lo stesso sistema: il giornalista l’aveva imprigionato dentro al lenzuolo, staccandolo dalla vittima, e poi aveva girato e rigirato la tela finché dentro non era rimasto più niente. Il secondo era stato individuato dal suo sibilo rabbioso e dai latrati di Mostro. Con un colpo ben assestato, la Warren l’aveva fatto finire sulla cucina a gas accesa, e lì era morto tra le fiamme, in una vampata guizzante, quando i gas di cui era composto avevano preso fuoco.
Fuori regnavano di nuovo tenebre e silenzio. Dentro, la luce era accesa e la Warren era ancora sconvolta. Da tempo la scienziata aveva avuto dalla sua prestigio, sicurezza e autorità, e adesso non si capacitava che potessero attentare alla sua vita, e che ad attentarvi fossero dei campioni biologici, come lei li chiamava.
— Che stupida — disse, con un tremito nella voce. — Non riuscivo a credere che ci fosse davvero pericolo. Sono proprio una vecchia stupida a considerare queste cose orrende soltanto come oggetti di studio!
— Sono qualcosa di peggio — le disse Lane. — Non li hanno mai scoperti, ma sono sicuro che hanno già ucciso altre persone.
— È spaventoso! — mormorò la Warren. — Per farmene un’idea devo pensare all’epidemia di idrofobia che è scoppiata tempo fa tra i pipistrelli nel Sud. Quella abbiamo potuto vincerla. Si sono prese delle misure, la gente è stata avvertita, ma adesso…
— Già, adesso è un po’ diverso — commentò Lane. — Pipistrelli e idrofobia, si sapeva che cos’erano, e in quel caso è bastato dimostrarne la relazione. Ma adesso bisogna addirittura dimostrare che queste “cose” esistono. E la gente che non le ha mai conosciute non ci crederà tanto facilmente.
— A questo ci penso io — disse la Warren. — Vado a telefonare.
— Non credo che sarà tanto facile — osservò Lane. — Come ci arrivate a un telefono?
La Warren lo guardò a bocca aperta: — Come sarebbe? Voi credete che queste… queste “cose”, questi Gizmo insomma… — s’interruppe di colpo, con un brivido.
— Se non sono troppo intelligenti — disse Lane — probabilmente non avremo guai. A un certo punto si stancheranno di starsene lì fuori. Ma se sono intelligenti, preferisco non pensarci!
Si avvicinò al finestrino. Fuori, c’era soltanto la notte. Con la mano si fece schermo agli occhi per vedere meglio nel chiarore lunare. Le montagne spiccavano nel cielo pieno di stelle. Verso oriente e sul fondovalle si stendeva un velo di nebbia, chiara sotto la luna. Una pace profonda. Ma tendendo l’orecchio percepì un lieve sibilo, più leggero del ronzio di una zanzara. I Gizmo erano in attesa.
Distolse lo sguardo. La Warren lo fissò.
— Avete detto che hanno ucciso animali dappertutto, e forse, ormai, qualcuno ne ha già scoperto l’esistenza. Sentiamo la radio.
Lane girò la manopola: qualche scarica, le ultime note di una canzonetta, poi la voce dell’annunciatore:
— … Abbiamo trasmesso il programma per i ragazzi. Tra pochi istanti, il giornale radio…
Lane sospirò profondamente. La loro situazione, per fortuna, non era diventata generale. Si sedette. La pubblicità di una marca di fertilizzanti, detta con grande entusiasmo. E finalmente il giornale radio.
Si senti meglio, quando l’annunciatore cominciò con gli avvenimenti internazionali. Notizie rassicuranti perché avevano il primo posto, anche se inquietanti in sé, in quanto potevano distruggere la pace del mondo. Notiziario politico. Poi gli avvenimenti della giornata. In tutti gli Stati Uniti le stazioni radar segnalavano un numero straordinario di Gizmo. L’annunciatore spiegò che le tanto discusse apparizioni, connesse alle storie di dischi volanti, in realtà erano zone super-ionizzate dell’atmosfera.
— Anch’io li ho chiamati Gizmo — commentò la Warren. — La parola è esatta: se c’è metabolismo gassoso, c’è anche ionizzazione. Ma come possono parlare così tranquillamente di queste cose orrende!
Lane ascoltò attento quel che diceva la radio. Non si parlava più di Gizmo. Notiziario locale. Un camionista era stato trovato morto nel suo automezzo, a una quindicina di chilometri da Danville. Evidentemente si era lasciato cogliere dal sonno, era uscito di strada e non si era più svegliato. Il parabrezza e i finestrini laterali della cabina di guida erano in frantumi.
La Warren si torse le mani. Nei dintorni di Pittsburgh erano stati trovati i cadaveri di due bambini, scomparsi da una settimana. Secondo le apparenze erano morti di freddo poco dopo la scomparsa, benché il clima fosse clemente e non ci fossero stati temporali.
La Warren si torse ancora le mani.
In alcune foreste in Aroostook County, nel Maine, era in corso un’eccezionale migrazione di selvaggina. Era facile incontrare per le strade branchi di animali che fuggivano dalle zone dove risiedevano abitualmente. Un aviogetto delle linee civili, fornito di radar, era arrivato a Kansas City con due piloti che sudavano freddo. Durante il volo il radar aveva segnalato in continuità oggetti volanti proprio sulla rotta dell’aereo e il pilota aveva dovuto continuare a dirottare per evitare collisioni. Eppure non avevano visto niente. Il fatto concordava perfettamente con le segnalazioni delle stazioni radar terrestri che annunciavano un numero crescente di Gizmo.
— I Gizmo — disse la Warren quando Lane ebbe spento la radio — sono ionizzazioni dell’atmosfera. Ma sono anche qualcosa di più! I Gizmo sono vivi, e si nutrono di gas della decomposizione. Ora perché questi gas sprigionino energia a una temperatura inferiore alla fiamma, bisogna che ci sia ionizzazione. Cosa direbbero se comunicassimo che i loro Gizmo sono sistemi dinamici gassosi viventi? Probabilmente ciò che hanno detto i medici quando si è scoperto che le malattie sono portate dai germi!
Di nuovo silenzio. Lane disse calmo: — Se non passano attraverso il lenzuolo…
Fuori i Gizmo aspettavano, aerei come fantasmi. In un certo senso erano fragilissimi. Ma erano anche astuti e pericolosi. Inoltre si trovavano sparsi un po’ dappertutto, in posti dove la loro presenza era insospettata.
Lane e la Warren discussero a lungo su come difendersi dai Gizmo, sempre in attesa là fuori.
Impossibile riposarsi. La roulotte era assediata da quegli esseri del tutto invisibili a meno che, sapendolo, ci si accorgesse del lieve tremolio, dell’incrinarsi dello sfondo, dietro ad essi.
Dentro alla roulotte l’aria ormai sapeva di chiuso. A un tratto Lane si sentì inquieto; gli parve di aver trascurato qualcosa, e che quel qualcosa fosse un pericolo imminente, reale.
Si alzò di scatto e controllò l’interno del veicolo, porte e finestre, per assicurarsi che fossero ben chiuse. Esaminò il ventilatore sopra la cucina a gas, accertandosi che non fosse manomesso. Ogni minima apertura, dalla quale potesse passare del fumo, era sospetta.
Tutto era a posto, eppure Lane continuava a sentirsi preoccupato. Andò nel laboratorio situato a un’estremità della roulotte, e accese la luce.
Lievi tocchi sul volto. Si chiuse subito la porta alle spalle: avrebbe perso troppo tempo a uscire. Si tolse la giacca e intanto urlava:
— Dottoressa Warren! Attenzione, i Gizmo sono qui dentro!
Tutto attorno risuonava il caratteristico sibilo insistente. Lane vedeva il laboratorio nitidissimo, senza tremolii. Su un cavalletto c’era una macchina fotografica col teleobiettivo puntato attraverso una minuscola apertura praticata nella parete della roulotte. Quando l’automezzo era in viaggio il foro veniva tappato da un coperchio d’alluminio, ma quando la macchina era montata davanti all’apertura, sul buco veniva messo semplicemente un cartone. Un mezzo di ripiego valido quanto un altro.
Adesso però il cartone era sul pavimento. Forse, per rovesciarlo, i Gizmo avevano dovuto compiere uno sforzo immenso, pari a quello necessario a un gruppo di uomini per spostare una locomotiva; comunque c’erano riusciti e il laboratorio era pieno di quegli esseri dal leggero sibilo.
Dick Lane si appoggiò alla porta, assicurandosi che fosse ben chiusa. Respirò profondamente, prima che quelli glielo impedissero, e si avvolse la testa nella giacca. Poi tornò a gridare alla Warren di non aprire la porta.
Nella rabbia che lo invadeva si sentiva quasi contento, sicuro com’era di sapere ormai come trattare quelle creature. Sentì la Warren dirgli di proteggersi come aveva fatto prima nella radura.
Le risposte attraversavano la giacca. I Gizmo non potevano fargli niente finché lui teneva l’indumento sulla faccia. Sentiva, è vero, dei leggeri sibili nelle orecchie e dei tocchi lievi sulla fronte e sui capelli. Ma con aria soddisfatta scrutava la stanza apparentemente vuota guardando al di sopra della giacca, stretta sulla bocca e sul naso. Parlò ancora pieno di fiducia. Avrebbe attaccato i Gizmo con uno straccio che aveva trovato in un angolo, adoperandolo come un flagello per spazzarli via. Intanto la Warren doveva sistemare un lenzuolo intorno alla porta. Appena ripulito il laboratorio, poi, lui avrebbe aperto e richiuso subito la porta, mettendosi tra il battente e il lenzuolo. Quello spazio sarebbe stato, insomma, una specie di camera d’aria, e se qualche Gizmo sopravvissuto vi fosse entrato con lui, sarebbe stato facile individuarlo ed eliminarlo. Per adesso era salvo, quindi non c’era fretta.
Si mosse. Subito avvertì una strana resistenza, una sensazione orribile. Colpì l’aria con una mano, sempre tenendo con l’altra la giacca. Qualcosa cedette e per l’aria si sparsero dei miasmi orribili. Colpì ancora.
Poi si rese conto di non muoversi nell’aria, ma di trovarsi immerso nei Gizmo, che avevano sostituito l’aria. Niente ossigeno, oltre il poco rimasto sotto la giacca; era come se fosse premuto tra palloni di gas venefico. Poteva farli scoppiare, ma questo non gli avrebbe ridato l’ossigeno. Aria respirabile non ce n’era. C’erano soltanto Gizmo. Boccheggiava e gli girava la testa.
Cominciò a colpire alla cieca di qua e di là per spezzare l’implacabile barriera che lo serrava tutt’attorno. Come da lontano gli venne il fracasso di oggetti infranti: gli strumenti del laboratorio. I vetri di una finestra andarono in pezzi, ma non gli arrivò l’aria. Lane continuava a lottare, ansimando con sempre minor vigore.
Infine stramazzò a terra, sentì un sibilo di trionfo e senza neppure un rantolo perse conoscenza…
Molto, molto tempo dopo, lentamente si rese conto di essere ancora vivo.
Era all’aperto e in alto scintillavano le stelle. Poteva respirare. Si mosse adagio e sentì la Warren esclamare: — È vivo!
Mormorò qualcosa, poi si alzò a sedere. Avvertì dei sibili intorno, ma non si sentì toccare. — Che cosa è successo? — balbettò.
— Sentite — esplose la Warren infuriata — sentite questa! Siamo prigionieri dei Gizmo! Sono esseri intelligenti e noi siamo loro prigionieri. Non ci hanno uccisi perché per loro costituiamo una interessante novità. Siamo gli unici esseri umani che conoscano la loro esistenza! Così faranno degli esperimenti su di noi. Insomma, siamo delle cavie!