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Carr non si mosse. Il suo primo impulso sarebbe stato quello di affrontare la donna, ma si rese conto che la bionda non poteva comportarsi in quel modo senza un’autorizzazione, e non avrebbe certo ottenuto un’autorizzazione senza un valido motivo.

La sua mente riandò fulminea al fugace sospetto che Jane si trovasse immischiata in una qualche attività criminosa. E quella bionda poteva essere una detective. D’altro canto, poteva anche essere entrata nell’ufficio senza chiedere il permesso a nessuno, confidando di cavarsela bluffando proprio grazie alla sua impudenza e al piglio sicuro.

Carr la studiò da dietro il pannello di vetro. Era innegabilmente molto bella. Con quella figura giunonica, gli impeccabili capelli biondi e le labbra provocanti, avrebbe potuto essere una modella per cartelloni pubblicitari. Perfino quei suoi occhi leggermente fuori centro non guastavano quell’aspetto attraente. E il suo completo sportivo grigio pareva un capo d’alta classe, da cento dollari o giù di lì.

Eppure c’era qualcosa di stonato, di sgradevolmente esagerato, di troppo maturo perfino nel suo aspetto e nel suo abbigliamento. Muoveva quella figura giunonica con una completa sicurezza animalesca; c’era un’ostentata crudeltà in quelle labbra provocanti, una spudorata barbarie nei due vistosi spilloni d’argento che le trafiggevano il grigio cappello sportivo di foggia mascolina. Pareva infischiarsene completamente della gente che era intorno a lei, mostrando il più totale e completo disprezzo. Scorreva le sue cartelle col freddo distacco di un biologo che stesse esaminando i vetrini di un tessuto canceroso. Se mai c’era stata una donna che desse l’impressione di usare, semplicemente, il mondo e la gente, quella era lei. Carr si sentì stranamente intimorito.

Ma la situazione stava diventando impossibile, si disse. Tom, in apparenza indaffarato con alcune carte alla scrivania accanto, doveva chiedersi cosa mai gli fosse successo e cosa diavolo stesse combinando quella donna.

Ma in quel preciso momento la bionda lasciò cadere l’ultima cartella, chiuse un cassetto e si alzò. Carr tornò a eclissarsi nella toilette per uomini. Aspettò una quindicina di secondi, poi uscì con cautela. La bionda non era più visibile. Carr guardò nel corridoio esterno: era vuoto. Non aveva sentito funzionare l’ascensore in quegli ultimi istanti. Intravide l’abito sportivo grigio attraversare la porta girevole. Si affrettò a scendere le scale, poi esitò un attimo, quindi attraversò di corsa l’atrio ed entrò nella piccola edicola-tabaccheria adiacente. Forse sarebbe riuscito a intravederla attraverso la vetrina del negozio. In ogni caso sarebbe stato meno appariscente che lanciarsi direttamente fuori sul marciapiede.

Il negozio era vuoto, salvo per un uomo di mezza età che, in assenza del proprietario, si stava flemmaticamente sporgendo attraverso il bancone per prendersi un pacchetto di sigarette. Carr ignorò quella scena lievemente imbarazzante e si avvicinò in silenzio alla vetrina. Con notevole coraggio (forse era anche un po’ sordo) l’uomo di mezza età aprì il pacchetto rubato senza guardarsi attorno. Era ben vestito e tendente alla pinguedine. Proprio allora Carr s’accorse di una macchia d’un grigio familiare che si avvicinava, e si rese conto che la bionda stava per entrare nella tabaccheria dall’ingresso della strada.

La porta sull’atrio era troppo lontana. Carr s’infilò dietro una rastrelliera di riviste.

La prima voce che udì fu quella della donna. Era sgradevole come i suoi modi.

— Ho frugato nella sua scrivania. Non c’era niente di sospetto.

— E naturalmente avete fatto un buon lavoro. — La voce dell’uomo corpulento era molto allegra. — Siete stata minuziosa e precisa. Non avete trascurato niente.

— Naturalmente.

— Uhm. — Carr udì lo sfregarsi di un fiammifero e il lieve crepitio di una sigaretta che veniva accesa. Il suo volto era a pochi centimetri da una fila di riviste dalle copertine sensazionalistiche.

— Cosa vi preoccupa tanto? — La bionda sembrava propensa al litigio. — Non potete accettare la mia parola? Ricordate che li ho controllati anche ieri.

— Preoccuparsi rende, signorina Hackman, come scoprirete quando vi sarete trovata in questa situazione un po’ più a lungo. — L’uomo corpulento aveva una voce assai gradevole. — Abbiamo forti motivi di sospettare della ragazza. Rispetto la vostra intelligenza ma non sono completamente soddisfatto. Controlleremo di nuovo la ragazza stanotte.

— Un’altra volta? Non dovremmo avere anche il tempo per divertirci?

— Il divertimento dev’essere garantito, signorina Hackman. Non ci sarebbe nessun divertimento se sapessimo che qualcuno ce lo può guastare, non è vero? E poi, se qualcun altro dovesse capirlo… No, faremo un altro controllo.

— Oh, d’accordo. — La voce della bionda esprimeva rassegnazione e disgusto. — Anche se suppongo che questo significherà andare in giro per parecchie ore con la bestia.

— Uhm. No, non credo proprio che la bestia sarà necessaria, signorina Hackman.

Carr, fissando senza vederle le riviste di astrologia e i pulp, si sentì accapponare la pelle. Non lo impressionavano tanto le sinistre implicazioni, quanto la naturalezza di quella conversazione.

— Perché non lasciare che se ne occupi Dris? — sentì insistere la donna. — In questi ultimi tempi se l’è passata anche troppo comoda.

— Uhm. È una possibilità, certo. — La voce dell’uomo corpulento andò smorzandosi, indicando che si stava spostando verso l’uscita sulla strada. — Ora, faremo meglio a muoverci.

Parecchi secondi più tardi Carr osò sbirciare da dietro la rastrelliera. Attraverso la vetrina poté vedere la bionda prosperosa e l’uomo corpulento che salivano su una decappottabile nera. Il conducente era un giovanotto dall’aria annoiata con i capelli tagliati a spazzola. Quando si girò verso gli altri due gettando il braccio destro di traverso alla sommità del sedile, Carr vide che non terminava con una mano ma con un uncino. Provò un brivido nel riconoscerlo. Quelle erano proprio le tre persone che Jane aveva citato nel suo biglietto: “…un uomo anziano dal comportamento affabile…” Sì, tutto quadrava.

Il conducente aveva appoggiato il braccio con l’uncino sul volante, ma l’automobile ancora non si muoveva. Parevano tutti intenti a discutere di qualcosa. Ancora una volta Carr provò quella minacciosa impressione di potere che aveva avvertito quando aveva osservato la bionda al piano di sopra.

Il conducente parve perdere interesse alla discussione. Si voltò di nuovo di lato, facendo pendere un’altra volta l’uncino sopra il sedile posteriore. Vi fu una sorta d’intenso sfarfallio nero, che subito scomparve. Carr sentì un nuovo brivido scorrergli giù per la schiena. Forse il conducente si era limitato a sollevare l’angolo di un qualche soprabito di pelliccia nera… Ma era quasi estate, e quella sorta di lampo nero era stato fulmineo.

L’uomo di mezza età parve rivolgersi in tono secco al conducente. La decappottabile cominciò a muoversi. Carr si avvicinò in fretta alla vetrina. Arrivò in tempo per vedere l’auto che svoltava all’angolo successivo, un po’ troppo veloce per viaggiare con la dovuta attenzione nel centro cittadino.

Carr rimase là immobile per alcuni secondi poi si girò. Il proprietario della tabaccheria era tornato, ma Carr lo ignorò. A lenti passi tornò al piano di sopra.

Giunto alla scrivania, esitò un attimo. Provò l’impulso di parlarne a Tom, di chiedergli della bionda, ma il grosso svedese era impegnato con un candidato. E un altro candidato si stava avvicinando alla sua scrivania. Accigliandosi, Carr prese posto.

Si sentiva estremamente perplesso e inquieto. Avrebbe voluto, soprattutto, ripensare con attenzione all’accaduto, ma sfortuna volle che quel pomeriggio il lavoro non gli concedesse tregua.

Tuttavia, in mezzo a tutti i particolari dei curriculum, e delle qualifiche, delle referenze e delle lettere di presentazione, i suoi pensieri (o meglio le sue sensazioni) continuarono a divagare. Talvolta ricordava una frase qua e là: “Preoccuparsi rende”. “Il divertimento dev’essere garantito”. “Non credo proprio che la bestia sarà necessaria”. Altre volte le riviste sensazionalistiche sulla rastrelliera della tabaccheria non ricordava di averle guardate con attenzione prima ma ora le loro copertine si stagliavano con chiarezza nella sua mente. Riusciva a leggerne i titoli farneticanti. A un certo punto ebbe perfino la sensazione che l’uomo corpulento fosse entrato nell’ufficio. E per parecchi minuti fu infastidito da qualcosa di nero e ruvido che sporgeva di tanto in tanto da dietro l’estremità di una delle panche in sala d’attesa fino a quando, guardando meglio, s’accorse che era la borsetta di una donna.

Con un sospiro di sollievo vide allontanarsi l’ultimo candidato. Si era quasi convinto che non avrebbe più smesso di parlare ed era già passato un minuto dalla fine dell’orario della giornata, e gli altri intervistatori si stavano già affrettando verso i loro cappelli e le sciarpe.

Il suo sguardo planò sopra un mozzicone di matita accanto al cestino di fil di ferro sulla sua scrivania. Lo fece rotolare verso di sé con la punta di un dito. Era profondamente rosicchiato e gli fece pensare a unghie morse fino alla carne viva. Lo riconobbe per quello che il giorno prima Jane aveva lasciato cadere sulla sua scrivania.

Maledizione, lui non voleva rimanere immischiato in… in… qualunque cosa fosse. Non adesso che aveva fatto la pace con Marcia e avrebbe dovuto concentrarsi sulla proposta di Keaton Fisher. Ieri aveva lasciato che i suoi nervi a fior di pelle avessero la meglio su di lui, e adesso non voleva che gli succedesse di nuovo. Quell’episodio piuttosto ridicolo con Jane era qualcosa che doveva rimanere un incidente concluso. E come avrebbe fatto ad avvertirla anche se avesse voluto? Non conosceva neppure il suo cognome.

Inoltre non pareva che quelle tre persone volessero veramente farle del male, quando analizzava la conversazione che aveva ascoltato nella tabaccheria. Avevano parlato di “controllarla”. L’impressione era che quei tre temessero che lei potesse danneggiarli più che il contrario. I riferimenti a una “bestia”, anche se bisognava ammettere che al momento avevano avuto un che di minaccioso, erano probabilmente una figura retorica. La “bestia” poteva essere soltanto una persona antipatica, oppure un’automobile, o perfino una macchina fotografica o una valigia.

Inoltre Jane gli aveva fatto capire parecchie volte che non voleva che lui ne sapesse di più delle tre persone contro le quali l’aveva messo in guardia, né che interferisse con loro perché ciò avrebbe potuto significare un pericolo per lei se lui l’avesse fatto. Cos’era che aveva detto di loro?… “Orribili e osceni…”

Chi potevano essere e cosa potevano volere? Agenti segreti di qualche tipo? Al giorno d’oggi, molta gente veniva “controllata”. Eppure c’era stato quell’accenno a “altra gente”, quel discorso sul “divertimento”. Comunque c’era da presumere che perfino gli agenti segreti volessero “divertirsi” di tanto in tanto. Carr immaginava che Jane fosse ricca. Ma ancora una volta non pareva che quella gente cercasse denaro, ma soltanto una qualche forma di sicurezza così da potersi “divertire” in perfetta tranquillità.

“Divertirsi” in perfetta tranquillità… Ancora una volta gli ritornò alla memoria la tremenda impressione di spietata potenza che quei tre gli avevano dato. La sua scrivania invasa, le cartelle del suo archivio tirate fuori ed esaminate una ad una… le sigarette rubate… lo schiaffo. No, maledizione, non poteva lasciar cadere così la cosa. Qualunque cosa Jane avesse tentato di fargli capire, era suo dovere riferirle ciò che lui aveva udito per avvertirla di ciò che i tre avevano in progetto quella sera.

E c’era un modo perfettamente ovvio per farlo: dalla scorsa notte lui sapeva dove lei abitava. Ci sarebbe andato subito.

Si alzò in piedi, accorgendosi soltanto in quell’attimo che l’ufficio si era svuotato mentre lui era rimasto lì a pensare. La donna delle pulizie, con gli strofinacci sulla spalla, stava spingendo dentro un cartello per la carta straccia. Lo ignorò.

Carr prese il cappello e uscì. Scese a rapidi passi le scale.

Fuori la giornata si era mantenuta bella e luminosa, cosicché, invece della tetraggine del giorno prima, le strade erano inondate da una luce bianca diffusa, che impartiva una lieve atmosfera carnevalesca alla spasmodica fretta delle ore di punta.

Carr percepì un tocco di eccitazione danzante che si stava aggiungendo alla sua tensione. Invece di dirigersi verso il Michigan Boulevard, prese una strada più diretta verso nord, attraversando uno dei ponti più anneriti, dove le travi d’acciaio, scrostate e arrugginite, ostentavano tutta la loro nudità. Qui il cielo si stendeva immenso sopra le alte, remote pareti formate dai depositi privi di finestre e dagli edifici adibiti a uffici con le guglie di marmo decorato, dorato o nero come l’ebano. Poi a ovest si profilavano i cantieri delle ferrovie.

Al di là del fiume la strada scendeva gradualmente addentrandosi in una zona in cui i flussi e i riflussi dell’economia della città cambiavano a velocità vertiginosa. Le piccole vetrine maltenute dei negozi appartenevano più che altro a tavole calde, con in mostra file per niente appetitose di hot-dog, botteghe con articoli di seconda mano, piccoli bar dalle vetrine completamente oscurate e in parte ricoperte dai manifesti pubblicitari di questa o quella birra, cubicoli in cui si potevano incassare assegni, piccoli empori dalle esposizioni chiassose e di pessimo gusto con la polvere di sei mesi… Più in alto si accalcavano gli appartamenti. Qua e là una chiesa annerita dalla fuliggine con le porte sprangate.

La scena continuò per otto o dieci isolati senza troppi cambiamenti, salvo per il numero sempre crescente di night-club con ammiccanti insegne azzurre e fotografie di ragazze dal sorriso stanco che elargivano un “divertimento” continuato.

Poi, nello spazio d’un solo isolato, grazie all’austera e inflessibile stregoneria delle leggi distrettuali, quello squallido circondario si trasformò in un’opulenta zona residenziale. Prima qualche residence, massiccio e altero, con il pianoterra buio e sbarrato come le antiche città-stato Firenze o Venezia. Poi case dall’aspetto greve con spesse tende alle finestre, i prati recintati e indenni che ricordavano, appunto, gli spazi sgombri intorno alle fortezze, con le siepi che fungevano da cavalli di frisia. Se la memoria non lo tradiva, la casa di Jane doveva trovarsi a un solo isolato di distanza dopo una curva a sinistra.

Ma adesso, per la prima volta, Carr rallentò il passo. Gli era venuto in mente che forse avrebbe dovuto comunicare il suo avvertimento in circostanze piuttosto difficili. Cosa sarebbe accaduto se i genitori non gli avessero permesso d’incontrare Jane o gli avessero chiesto come minimo una spiegazione preliminare? Avrebbe dovuto dir loro della notte precedente, ma Jane l’avrebbe voluto? O avrebbe detto che lui era un tizio che lei aveva raccattato per strada, dato che non conosceva neppure il suo cognome (salvo che lo trovasse sulla cassetta delle lettere)?

Accelerò il passo. Rimuginamenti come quelli erano inutili si disse. Avrebbe dovuto valutare la situazione una volta arrivato sul posto, inventando le bugie adeguate, se fosse stato necessario.

Girò l’angolo, notando il lampione rotto. Ricordò il curioso disegno di luce che aveva proiettato la notte prima.

Giunse a un’alta recinzione metallica, fino a un alto cancello che riconobbe.

Si fermò di botto. Fissò la scena, fece un passo indietro.

Non poteva essere. Doveva essersi sbagliato.

Ma le schegge di vetro del lampione rotto non potevano essere state imitate, no di certo, e neppure quel cancello di ferro battuto. Il sole era già sceso sotto l’orizzonte, ma i suoi raggi venivano riflessi dalla superficie inferiore d’un banco di nubi. A quel bagliore spettrale, tutto spiccava con molta chiarezza.

Un viale coperto di ghiaia conduceva proprio alla grande dimora di pietra che aveva immaginato: torrette, il tetto spiovente, i massicci cornicioni, tutto nello stile degli anni intorno al 1890.

Ma il cancello e la recinzione erano arrugginiti, alte erbacce avevano invaso il viale, il prato e le aiuole erano inselvatichiti, le finestre al piano superiore erano vuote e senza tende e per la maggior parte rotte; quelle del pianterreno erano sbarrate con assi, e così pure la porta d’ingresso. Il guano dei piccioni imbiancava la cupa pietra bruna e, al centro del prato, seminascosto dalle erbacce, si ergeva un cartello sbiadito dalle intemperie:


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