12

Carewe, che non aveva mai conosciuto un detective privato, studiò Theodore Gwynne con interesse. L’investigatore era uomo piccolo, continuamente in movimento, che doveva essersi disattivato sui cinquant’anni. Possedeva due occhi svegli e un cervello che sembrava preda di un’ossessione perenne: quella di ribattere con una frase spiritosa a ogni cosa detta dagli altri. Carewe lo vide cogliere al volo persino la frase più banale, rivoltarla senza pietà da cima a fondo, per poi saltare fuori con l’immancabile aforisma. Nella biblioteca di Pleeth, ogni scambio di conversazione tra i quattro uomini terminò con uno degli epigrammi di Gwynne, detti a voce bassa e accompagnati da un sorriso vago. All’inizio, Carewe nutriva qualche dubbio sulle doti del detective, poi notò che Barenboim gli si rivolgeva con una certa deferenza, e allora cercò di non farsi sfuggire una sola parola delle risposte di Gwynne.

— Secondo me, Theo, ti stiamo affidando due lavori in un colpo solo — disse Barenboim, pensoso, intrecciando le mani paffute.

— Due lavori, però ti verrebbe un accidente se io ti mandassi due conti. — Gwynne sfoderò un attimo i denti. — Scusa, Hy. Continua pure.

Barenboim sorrise, tollerante. — Ti chiediamo di trovare la moglie di Willy. E poi c’è la faccenda di Willy. È convinto che qualcuno abbia tentato di ucciderlo.

— Terribile. — Gwynne lanciò a Carewe un’occhiata di comprensione. — C’è una sola cosa più deprimente di un tentativo d’omicidio: un tentativo d’omicidio riuscito.

Carewe annuì, dandosi arie da saggio. Si era già accorto che Barenboim avanzava riserve sulla realtà di quegli attentati alla sua vita. Una parte del suo cervello era irritata per il fatto di non essere ancora riuscito a convincere qualcuno del pericolo che correva; però il fuoco gli scaldava i piedi, il whisky che aveva bevuto gli scaldava lo stomaco, e su di lui era sceso un delizioso rilassamento. La stanchezza si era trasformata in un piacere sensuale.

— Non c’è problema — disse, pigro. — Voglio lavorare fianco a fianco con Theo mentre cerca mia moglie. Presumo che così potrà badare anche alla mia salute.

— Il dottor Gwynne, suppongo. — Gwynne si fregò le mani. — Vi manderò anche il conto per l’assistenza medica.

— Ora che ci penso, Willy, tu sei ancora in convalescenza — disse Barenboim. — Sei già stato da un medico?

— Non ancora. Mi sto abituando a usare un polmone solo.

— A me sembra una cosa seria. Manderò un ufficiale sanitario della Farma a darti un’occhiata.

— Non preoccuparti, Hy. — La diffidenza che ormai Carewe provava per ospedali e affini si riaccese di colpo. — Domattina andrò dal mio medico.

— D’accordo. Fai mettere in conto alla Farma.

— Grazie. Hy. — Carewe si accorse di essere quasi sul punto di addormentarsi. — Sarà meglio che rientri a casa.

— Non ce n’è nessun bisogno. — Pleeth, che se n’era rimasto stranamente tranquillo sulla sua poltrona invisibile Regina Vitt, parlava con un’intensità insolita, accarezzando il sigaro d’oro appeso al collo. — Il minimo che possa fare è offrirti un letto.

Carewe scosse la testa. — Preferisco tornare a casa. È lì che Athene si aspetta di trovarmi. — Si alzò, diede il suo numero di casa a Gwynne e tornò alla pallottola. Quando rientrò a casa, le gambe gli tremavano leggermente a ogni passo. Si addormentò appena coricato.

Il mattino, svegliandosi, scoprì che i timori per la sorte di Athene, dissipati con tanta facilità dagli argomenti di Barenboim, erano più forti che mai. Stando alla logica del presidente della Farma, nessuno aveva motivo di fare del male ad Athene, eppure, in base alla stessa logica, nessuno aveva motivo di fare del male nemmeno a Carewe. Invece, nel giro di ventiquattro ore era stato sul punto di morire tre volte. Non aveva fame. Fece una colazione leggera, a base di uova e spremuta di agrumi, poi chiamò lo studio del dottor Westi. Gli fissarono un appuntamento per le dieci. Passò il tempo che gli restava a depilarsi la faccia e a cercare vestiti puliti.

Lo studio del dottor Westi si trovava all’ottavo piano del centro arti mediche di Three Springs,. Carewe arrivò leggermente in anticipo, ma la segretaria lo fece entrare subito. Westi, un tipo dall’aria intellettuale che si era fatto disattivare dopo i sessant’anni, gli indicò una poltrona.

— Buongiorno, Willy — lo salutò amabilmente. — Problemi di adattamento?

— Come sarebbe a dire?

— Vedo dalla tua scheda che tu e Athene siete appena diventati immortali. Pensavo che forse…

— Oh, adesso capisco. No, il sesso non c’entra proprio per niente… Ma puoi fare qualcosa per un polmone disattivato?

Gli spiegò come meglio poté quello che gli era successo, senza accennare ai motivi che lo avevano spinto a fuggire di colpo dall’ospedale delle Nazioniunì.

— Credo che dovrei esserti grato, mio giovane Willy — commentò Westi, osservandolo con aria incuriosita. — In quasi ottant’anni di pratica, è la prima volta che mi si offre la possibilità di curare una ferita da coltello. Togliti la tunica. Intanto io vedo cosa ti hanno già fatto. — Il medico accese il terminale del computer e chiese informazioni dettagliate sulle cure ricevute da Carewe in Africa. Dopo un intervallo quasi impercettibile, da una fessura uscì un lungo foglio. Westi lo studiò con interesse, poi lo mise da parte.

Tolse la medicazione dal petto di Carewe, che evitava di guardare mentre le dita calde del medico gli toccavano la ferita.

— Mi sembra tutto a posto — disse alla fine Westi, un po’ perplesso. — Esattamente, da quanto tempo ti sei fatto disattivare, Willy?

Carewe fece qualche calcolo mentale. — Dieci giorni.

— E chi ti ha venduto il biostatico?

— Lavoro per la Farma — rispose Carewe, tenendo basso il tono di voce nonostante il crescere delle apprensioni, — quindi, ovviamente…

— Ti sei iniettato l’E-dodici della Farma, vero?

— Certo. Perché me lo chiedi?

— Niente d’importante. La velocità di guarigione è forse un tantino più lenta di quanto non mi aspetterei in un immortale. Probabilmente si sono verificate complicazioni. Adesso siediti qui. Ti controllo il polmone. — Westi appoggiò un olovisore al petto di Carewe ed esaminò il polmone destro. Carewe, terrorizzato all’idea di dare un’occhiata all’interno del proprio corpo, tenne gli occhi chiusi. — Mi sembra in perfetta salute.

— Direi che possiamo rimetterlo in attività.

— Cosa devi fare? Spingerlo in alto a pressione?

— Niente di così violento. — Westi sorrise. Ti inietterò un adesivo nel torace e risistemerò il polmone al suo posto. Non sentirai niente.

Carewe annuì, depresso, e cercò di concentrare la mente sul viso di Athene.


Scendendo dallo zenit verso l’orizzonte, il sole cambiava forma mentre attraversava i confini invisibili delle zone di controllo meteorologico. Come un’ameba, come una goccia d’olio sul vetro, si distorceva, si allungava, si divideva in lacrime color sangue, si ricomponeva. Le forze esangui dell’inverno, sconfitte dalle geometrie orbitali, si addensavano a nord ma sembravano paralizzate. Carewe passeggiava senza meta nel giardino, cercando di adeguarsi al nuovo ritmo degli avvenimenti. Da quel primo mattino in cui Barenboim lo aveva chiamato in ufficio, i giorni erano stati lampi continui di luce e di buio, lo avevano sfiorato a velocità soprannaturale. Adesso, improvvisamente, in attesa della telefonata di Gwynne, si trovava prigioniero dell’ambra del tempo. Fece diverse volte il giro del giardino, accarezzando l’idea di sistemare i licheni marziani che crescevano a dismisura, ma in realtà incapace di prendere seriamente in considerazione una cosa così banale.

— Ah, ciao, Willy — esclamò una voce dal giardino accanto. — Dove sei stato ultimamente?

Carewe si girò e incontrò la faccia abbronzata di Bunny Costello che lo guardava da sopra la palizzata. — In Africa — rispose, e desiderò di essersi accorto della presenza di Costello in tempo per evitare ogni contatto. Il suo vicino era l’uomo più vecchio che conoscesse, persino più vecchio di Barenboim: era nato nella prima metà del ventesimo secolo, e la scoperta della biostasi era giunta appena in tempo per salvarlo dalla tomba.

— In Africa, eh? — Costello sbuffò, incredulo. — C’era anche la tua signora?

— Cos’hai saputo, Bunny?

— Saputo? E di che?

— Carewe sospirò forte. — Di me e di Athene. Cos’hai saputo?

— Niente. D’altronde, io non riferisco le chiacchiere. E poi sono a favore del matrimonio vecchio stampo, ragazzo mio.

“Quindi lo sanno” pensò Carewe. — Allora perché non provi a sposarti anche tu, eh? — Carewe cominciò a indietreggiare.

— Sei crudele, Willy. Molto crudele. Sono stato sposato, sai. Già. Però non riesco più a ricordarmi la faccia di mia moglie. Nemmeno il suo nome.

Improvvisamente, l’aria del pomeriggio fu fredda sulla fronte di Carewe. — Che memoria di ferro, Bunny.

— Una memoria buona come un’altra. Arriva fino a un secolo fa.

— Però io conosco gente che ricorda il doppio di te. — “A cosa servono?” si chiese Carewe. “A cosa servono un milione di domani se non te li puoi ricordare?”

— La continuità è tutto! — disse Costello, riparandosi gli occhi dal sole. — Bisogna rinforzare i ricordi, sai. Per un po’ ho tenuto un diario, ho conservato fotografie, ma ho perso tutto. Ho anche viaggiato un po’, e ho perso la continuità. Tu tieni un diario, Willy?

— No.

— Provaci. Mi basterebbe una traccia. Una sola traccia, e potrei recuperare cinquant’anni. Ma ero in Sudamerica durante l’Unificazione, e nessuno riesce più a trovare i miei documenti.

— Hai provato con l’ipnosi?

— Non serve. Le impronte cellulari sono scomparse. Scompaiono sempre, anche nei mortali, e immagino che la biostasi acceleri il processo. — Costello sorrise tristemente. — Può darsi che invecchiare e ricordare siano la stessa cosa, ragazzo mio. E se smetti di invecchiare…

A Carewe occorse parecchio tempo per liberarsi di Costello e tornare nell’intimità della casa. Fece il bagno, bevve un po’ di caffetè, ma la depressione provocata dal dialogo col vecchio rifiutava di svanire. Possibile che giungesse il giorno, magari solo fra cento anni, in cui lui avrebbe dovuto mettersi a leggere un diario per ricordare il colore dei capelli di Athene? Senza la continuità assoluta della personalità, poteva esistere l’immortalità? Oppure sarebbe semplicemente successo che il suo corpo eterno sarebbe stato abitato da una serie di estranei, ognuno assorbito impercettibilmente dal successivo, man mano che si ripuliva la lavagna biologica?

Spinto dalla frenesia del momento, frugò tra armadi e cassetti finché non trovò un’agenda intatta. Alla prima pagina, in alto, scrisse “28 aprile 2176”.

Studiò il foglio bianco, si batté la penna contro i denti, ma non riuscì a decidere cosa dire, o come dirlo. Magari un inizio fiducioso, sereno: “Caro diario…”. Oppure qualcosa di indecifrabile: “Moglie incinta oggi, padre sconosciuto…”, per poi sperare che il Carewe di cento anni dopo riuscisse a ricostruire i frammenti?

Buttò via l’agenda, andò davanti al comunicatore e gli ordinò di autocontrollarsi. Tutti i circuiti erano in ordine. Insoddisfatto, teso, si mise a passeggiare in casa respirando a fondo, per provare l’efficienza del polmone destro. Sembrava che funzionasse bene, e le iniezioni che il dottor Westi gli aveva fatto nel petto non gli procuravano dolore. Era pronto a tutto, se solo Gwynne avesse chiamato. Gli venne in mente che forse Gwynne avrebbe impiegato giorni anche solo per trovare un indizio, e imprecò. Se l’immortalità era tutta così…

La chiamata giunse poco dopo le nove di sera. Carewe era finalmente piombato in un sonno irrequieto. Si alzò fra le tenebre. Nelle orecchie gli, risuonava ancora lo scampanellio del comunicatore. Vedendo l’immagine luminosa della testa di Gwynne che fluttuava in aria, rimase un attimo disorientato; poi gli tornò tutto in mente. Corse al comunicatore, con un brivido, e disse che accettava la chiamata.

Gli occhi morti di Gwynne tornarono in vita. — Ciao, Will. Ti ho svegliato?

— Be’, sì. Mi sento un po’ a pezzi.

— Sembra che ti abbiano sparato. — La faccia di Gwynne si contorse in una smorfia teatrale. — Magari stavi suonando il piano, eh? C’è sempre qualche imbecille che dimentica che non bisogna sparare sul pianista.

— Hai notizie di mia moglie? — ribatté gelidamente Carewe, chiedendosi a quali miracoli di competenza fosse giunto in passato il detective per guadagnarsi la stima di Barenboim.

Gwynne assunse immediatamente un’espressione contrita. — Non ho notizie sicure, però ho trovato una traccia.

— Sarebbe a dire?

— Sono partito dalla telefonata che ha ricevuto tua moglie, quella attribuita a te. La chiamata è partita da un apparecchio pubblico della zona servizi civici di Three Springs.

— Il che non ci porta da nessuna parte, o sbaglio?

— Nel mio lavoro, non arrivare da nessuna parte spesso significa arrivare da qualche parte. Nella zona di Three Springs non esistono molte aziende farmaceutiche, a parte la Farma, giusto?

— Esatto.

— Per cui mi sono messo in contatto con alcuni amici dei servizi bancari computerizzati, in via confidenziale naturalmente, e ho scoperto che un certo Solly Hyman si è fermato in città un giorno. Hyman viene da Seattle e lavora saltuariamente per un’agenzia d’affari, la Soper Bureau.

— Sono nomi che non mi dicono proprio niente.

— Infatti. Però, guarda caso, io so che la Soper è di proprietà di un’azienda che si chiama NorAmBio.

— Adesso ho capito. — I capelli si rizzarono sulle tempie di Carewe, e il suo cuore cominciò a battere veloce. La NorAmBio era un’azienda farmaceutica di dimensioni medie, specializzata nella produzione e nella ricerca nel campo dei biostatici.

Gwynne fece un sorriso smagliante. — C’è di più. L’anno scorso, una ditta consociata alla NorAmBio per il settore ricerche tecnologiche ha acquistato una fabbrichetta di Idaho Falis, la Cuscinetti Antiattrito. La fabbrica è rimasta deserta per mesi, ma adesso ho saputo che è stata teatro di un’attività insolita negli ultimi due giorni… O dovrei dire nelle ultime due notti?

— Vorresti dire…?

— Non posso esserne sicuro, Will.

— Però pensi che mia moglie sia lì!

Gwynne si strinse nelle spalle. — Faremo presto ad accertarcene. Ci vado subito. Ho pensato che ti facesse piacere sapere come procedono le cose.

— Vengo anch’io — disse Carewe.

Gwynne esitò. Un’ombra di dubbio passò sulla sua faccia dalle mascelle robuste. — Non mi piace troppo. Potrebbe essere pericoloso, e sono io quello pagato per affrontare i rischi.

— Lascia andare — esclamò, secco, Carewe. — Dimmi dove sei. Ti raggiungo subito.

Qualche minuto dopo, mentre stava uscendo di casa, il comunicatore squillò di nuovo. Carewe si voltò, impaziente, convinto di rivedere la faccia di Gwynne; invece si era accesa la spia color topazio che indicava l’arrivo di una comunicazione intercontinentale non visiva. Accettò la chiamata, e in aria apparve un messaggio stampato. Veniva dalla base delle Nazioniunì di Nouvelle Anvers. Diceva: “Ulteriori indagini sull’anfibio affondato hanno rivelato tracce di gordonite nel sensore altimetrico. Vi devo le mie scuse. Andremo a fondo della cosa. State attento. Dewery Storch”.

Carewe annuì, soddisfatto; poi fece una fotocopia del messaggio, da mostrare a Gwynne e Barenboim. Più tardi, mentre correva sulla pallottola verso il centro, capì che la sua soddisfazione era assurda: la statuina di vetro era felice di avere scoperto la prova che qualcuno stava cercando di mandarla in frantumi.

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