16

— Prima che vengano fuori di qui — disse Barenboim, che respirava a fatica e si stava ancora massaggiando lo stomaco, prendi la mia torcia. Il nostro amico qui me l’ha rubata poco fa.

Pleeth annuì, infilò le mani sotto la plastica dei palloni pneumatici. Si acquattò un attimo sul sedile anteriore e trovò la torcia. La linea sottile della sua bocca s’incurvò leggermente in un sorriso di piacere.

— Così va meglio. Non credevo che le cavie potessero essere tanto pericolose. — Barenboim prese la torcia. — Pensi che dalla strada si siano accorti dell’incidente?

Pleeth scosse la testa. — Non credo. Avevamo tutt’e due i fari spenti.

— Buon per noi. — Barenboim fece il giro della sua auto, ispezionandola con aria critica. Carewe sentì che Athene si spostava quando Barenboim le giunse più vicino, come limatura di ferro smossa da una calamita. Cercò di prenderle la mano.

L’albero di trasmissione è partito — disse Barenboim, fermandosi a fianco di Pleeth. — Puoi trovare un cavo e trainare la macchina in cortile?

— Dovrebbero essercene in magazzino.

— Ottimo. Pensaci tu. Intanto io accompagno dentro i nostri ospiti. — Barenboim sfiorò un comando sulla fiancata dell’auto e il gas uscì con un sibilo dai palloni, che si sgonfiarono. Non appena riuscì a muoversi, Carewe scese dal veicolo e aiutò Athene a uscire dalla stessa portiera. Quella dalla sua parte era troppo accartocciata per riuscire ad aprirla. Barenboim, tenendosi alla larga da Carewe, con la torcia pronta a colpire, fece un cenno in direzione del laboratorio. Carewe scrollò le spalle, abbracciò Athene alla vita e s’incamminò. Arrivato nell’atrio, fece per salire la scalinata a destra.

— Di lì no. Scendiamo nel seminterrato. — Barenboim indicò una porta alla base della scala. Carewe l’aprì, si tirò dietro Athene. Discesa una rampa di scalini, si trovarono in un seminterrato adibito a laboratorio per esperimenti alle alte temperature. Il centro del locale era occupato da quella che gli sembrò una fornace elettronica. Tutt’attorno, telemicroscopi, servomani e proiettori di campi di calore.

— Will — mormorò Athene, — non dovevi venire qui. Ci uccideranno.

Carewe tentò, inutilmente, d’inventare una bugia rassicurante. — Sembra proprio di sì — disse, distrutto.

— E io che credevo che tu non fossi il tipo… Non hai paura, Will?

— Di’ pure che sono completamente terrorizzato. — Gli sarebbe piaciuto spiegarle quello che aveva scoperto in quei giorni, e cioè che vivere all’ombra della paura, come lui aveva sempre fatto, era un po’ come essere morti, ma temeva di sembrare ridicolo. E, siccome lei era Athene, forse aveva già capito.

— Athene — disse Carewe, disperato, — ti ho delusa…

— No, Will, no. — Gli occhi di lei si riempirono di lacrime, mentre si portava alle labbra la mano del marito.

— Questo è troppo — commentò Barenboim, in tono annoiato. — Risparmiatemi la scena della riconciliazione.

— Hy — disse lentamente Carewe, — mi spiace moltissimo di non essere riuscito ad aprirti in due quando ho lanciato il coltello. Però, in un certo senso, la cosa non è troppo importante. Tu non esisti, quindi non c’era nessun bisogno che ti uccidessi. — Restò a osservare gli occhi di Barenboim, ed ebbe la magra soddisfazione di constatare che per la prima volta era riuscito a entrare in contatto con la mente glaciale dell’altro. Adesso capiva che in passato Barenboim non aveva fatto altro che servirsi di lui con lo stesso distacco con cui avrebbe fatto a pezzi un animale di laboratorio per un esperimento. Improvvisamente, si sentì quasi vecchio quanto Barenboim.

Le labbra effeminate dell’immortale furono scosse da un rictus, poi si tesero in un sorriso. — Bello, Will — disse. — Molto profondo.

Tenendo la torcia puntata su Carewe, Barenboim si avvicinò a un quadro di comando montato sulla parete e alzò una serie di interruttori. I campi di forza che si vennero a creare erano versioni enormemente amplificate dei tenui campi usati per il controllo meteorologico, e servivano a contenere l’ambiente caldo come il sole che si stava sviluppando nella fornace. Le griglie installate sul soffitto, direttamente sopra la fornace, risucchiavano il calore in eccesso, trasferendolo a un impianto che provvedeva a riscaldare il resto dell’edificio.

— Sei in ritardo — disse Carewe. Athene seppellì la faccia nella sua spalla. — Sono già stato alla polizia. Ho raccontato tutto quello che so di te.

— Che non è poi molto. — Barenboim regolò un cursore.

— Sanno che hai tentato di farmi uccidere in Africa e a Idaho Falls.

— Una piccola correzione, Willy. Sanno che qualcuno ha tentato di ucciderti, ma siccome Gwynne, ahimè, è sparito dalla circolazione, nessuno potrà risalire fino a me. E poi, che movente potrei avere?

— Soldi — rispose Carewe. — Sanno che la Farma sta andando verso il tracollo.

Per un attimo, la faccia di Barenboim si rannuvolò. — Temo, Willy, di aver commesso un errore di valutazione quando ti ho scelto. Non so come tu abbia fatto a eliminare Gwynne, e per tutto questo tempo hai dato prova di una resistenza insospettabile… Però non sai ancora spiegarmi come la tua morte possa risolvere i miei eventuali problemi finanziari.

— Speravo che me lo dicessi tu.

— Ci credo. — Barenboim era tornato del solito umore gioviale. Diede un ultimo tocco al quadro dei comandi e se ne allontanò. — A quanto ne so, nei telefilm, a questo punto il criminale spiega tutto. Però, giusto per dimostrarti quanto sono inumano, penso che non starò alle regole del gioco. Che ne dici? Ti sembra una buona vendetta?

— Non c’è male — ammise Carewe, bilanciandosi su un piede. Poco prima, le reazioni di Barenboim si erano dimostrate alquanto lente; la sua unica speranza era scattare in avanti e tentare di impossessarsi della torcia. — Però mi chiedo cosa l’abbia ispirata. Tu sei fiero della tua disumanità, quindi dev’ essere stato… ah… il mio accenno alla tua incompetenza negli affari.

— Incompetenza! — Barenboim sembrava veramente arrabbiato.

— Tu come la chiameresti? — Carewe si scostò leggermente da Athene. — Quando un uomo con due secoli d’esperienza permette che un’azienda ben avviata come la Farma finisca in…

— La Farma! — esclamò Barenboim. — La Farma non conta niente di niente. Nel giro di poche ore, io, io personalmente, mi guadagnerò un miliardo di neodollari… Questa la chiameresti incompetenza?

— Non… — La tensione di portare avanti quella conversazione fasulla riempiva di sudore la fronte di Carewe. Cercando di essere il più naturale possibile, si liberò completamente dall’abbraccio di Athene. — Non capisco…

— Certo che non capisci. Non hai nemmeno capito che l’E-ottanta, il biostatico miracoloso che ti sei iniettato, era una balla. Non hai capito che mi stavo servendo di te, Willy. Di te e di tua moglie.

— Ti servivi di noi? — Carewe guardò Athene: la faccia di lei era quasi fosforescente per il pallore. — Ma…

— Sono stato io a inventare la storia dell’E-ottanta, Willy. E non l’ho tenuta segreta, come credevi tu. Ho fatto in modo che un gruppo eurasiatico ricevesse le poche informazioni sufficienti a…

— Al diavolo queste porcate — sbottò Carewe, invaso da un senso di premonizione. — Cos’hai fatto a me e ad Athene?

Barenboim tornò padrone di sé, sorrise gelido. — Naturalmente, Willy, non avevo calcolato che la tua strana fissazione emotiva avrebbe distorto il tuo giudizio sull’intera operazione.

Carewe fece un passo in avanti, incurante del laser. — Allora? Cosa ci hai fatto?

— Eravate solo due cavie, amico. E per dimostrare l’efficienza dell’E-ottanta dovevate fare un figlio. La tua iniezione era soltanto acqua pura. Quella di tua moglie era una cosa molto diversa.

— Cioè?

— Non hai notato niente di strano nel suo comportamento, dopo l’iniezione?

Carewe ripensò ai tre giorni trascorsi al lago Orkney. Athene era stata invasa da un fuoco erotico praticamente impossibile in condizioni normali. — Vuoi dire…

— Un afrodisiaco alquanto costoso, Willy, ma era indispensabile per far restare subito incinta tua moglie. — Barenboim sorrise ancora. — E senz’altro anche tu ci avrai guadagnato qualcosa.

Carewe si voltò verso la moglie. — Athene, io… — Gli mancò la voce.

— Tutto a posto, Will.

Carewe si mosse verso Barenboim, lentamente, le gambe irrigidite. — Sarà meglio che tu mi uccida adesso — sussurrò. — Altrimenti…

Barenboim si strinse nelle spalle, accese la torcia, spinse avanti il cursore.

— Fermo — urlò una voce dalla scala. — Cosa stai facendo.

— Hy? — Manny Pleeth apparve sugli scalini, gli occhi venati di rosa puntati su Barenboim.

— A te cosa sembra?

— Mi sembra un omicidio… E questo non l’ho mai accettato. — Pleeth scese gli ultimi scalini, avanzò nel laboratorio. Il solito sigaro d’oro gli pendeva dal collo. Il cervello di Carewe, prigioniero di una stasi gelida, notò un particolare assurdo: Athene si ritraeva davanti a Pleeth, davanti all’uomo che stava tentando di salvarle la vita.

E dai, Manny. — Barenboim sembrava stanco. — Pensavo che tu fossi un realista.

— Niente omicidi!

— Manny, tra qualche ora tu e io riceveremo un miliardo di neodollari. — Barenboim teneva la torcia puntata sul petto di Carewe. — In cambio di questo miliardo di neodollari, daremo una formula che vale esattamente zero. Quando i nostri clienti scopriranno la verità, si infurieranno. Mi segui? È abbastanza semplice fin qui?

— Non ho mai accettato di arrivare all’omicidio.

Barenboim proseguì con una precisione estrema, beffarda. Prevedendo la collera dei nostri clienti, e quindi il desiderio molto naturale di vendicarsi, noi due abbiamo predisposto le cose in modo da sparire. Per riuscirci, ci occorrono parecchi giorni di vantaggio. E dove credi che potremmo arrivare, nel mondo di oggi, se i nostri due amici si mettessero a strillare?

— Potremmo legarli e imbottirli di droga.

— Vero, però qualcun altro potrebbe slegarli e annullare l’effetto della droga. Lo sapevi che il nostro Willy è già stato alla polizia?

La faccia liscia come la plastica di Pleeth si girò verso Carewe. — Ma perché?

— Perché il tuo socio — Carewe caricò d’enfasi quel termine, — cerca di uccidermi da diversi giorni. Sei in guai grossi, Manny.

— Esattissimo — intervenne Barenboim. — Persino Willy ha capito che ormai è troppo tardi perché tu ti lasci prendere dagli scrupoli, Manny. Ora…

Athene, che era indietreggiata verso la scala, emise un singhiozzo tremulo, e Barenboim puntò su di lei la torcia. Carewe si lanciò in avanti, ma fu troppo lento: Pleeth, molto più veloce, si era già messo tra Athene e il laser.

— Va bene — disse Pleeth. — D’accordo, bisogna chiudere la bocca a Carewe. Ma non alla donna. Portiamola… portiamola con noi.

— Che cosa ti è successo, Manny?

— Ma è incinta! — Le parole parvero squassare la gola di Pleeth.

— E allora? — La fronte di Barenboim si corrugò leggermente. — Non sei tu il padre.

— Io… — La gola di Pleeth si agitò freneticamente. La sua bocca priva di labbra si tese nella parodia di un sorriso. — Il padre sono io, Hy. Non vorrai farmi rinunciare a mio figlio.

— Sei impazzito?

— No, Hy, no. — Pleeth avvolse le mani attorno al sigaro d’oro, lo tese a Barenboim. — Avevo vent’anni, Hy. Vent’anni, e non avevo mai posseduto una donna. Colpa di mia madre. Mio padre se n’era andato prima che io nascessi, ma lei non ha mai voluto trasferirsi in una comune. Eravamo soltanto noi due. Più tardi ho capito cos’è successo. Io ero il sostituto di mio padre, ma non dovevo rappresentare nessun pericolo. Dovevo essere incapace di far gravare il peso di un figlio sulle spalle di una donna. Mia madre mi ha raccontato tutte quelle cose sul sesso… mi ha fatto vedere quei vecchi libri su malattie antiche… forse aveva contratto una forma di uretrite, e credeva che fosse… — Pleeth rabbrividì, tirò il fiato, accelerò il ritmo delle parole. — Lei… voglio dire mia madre… non le piaceva che la chiamassero “lei”, odiava i pronomi personali… un pomeriggio è entrata nella mia stanza. La tridì era accesa, e si vedeva una ragazza… non sono mai stato uno che si eccita con le immagini, mai, Hy… quella ragazza stava ballando… ma lei, mia madre, ha detto che era una cosa sconcia… Aveva una pistola ipodermica, non so dove l’avesse trovata, e mi ha fatto l’iniezione… Mi ha costretto a inginocchiarmi davanti a lei… e mi ha fatto l’iniezione…

— Non avvicinarti — disse Barenboim, quasi senza voce.

— Avevo solo vent’anni. — Pleeth, perso nei ricordi, fissava il sigaro d’oro. — Però l’ho fregata, ho fregato mia madre… Si era dimenticata dei due giorni di grazia, Grazia! — I suoi occhi si persero un attimo nel vuoto, forse per riflettere sull’ironia di quel termine. Barenboim si agitò, irrequieto; ma Pleeth tornò padrone di sé, ricominciò a dominare la scena con il dolore che metteva a nudo. — Mi restavano due giorni per salvare il mio seme. Studiavo chimica, non mi è stato difficile conservarlo in batteriostasi… poi ho fuso questo fallo che potesse contenere il seme… lei, mia madre, non l’ha mai capito.

— Sei malato — sussurrò Barenboim.

— Non io. — Pleeth sorrise, svelò finalmente il suo trionfo segreto. — Io sono ancora attivo, Hy. Non sono come te… Possiedo ancora la mia virilità. E ho avuto anche altre donne, a volte, persino senza usare afrodisiaci… Ma nessuna di loro è mai rimasta incinta. Quando ho saputo che l’iniezione di Athene conteneva un afrodisiaco e un enzima della fertilità… Be’, esiste un uomo che avrebbe potuto rinunciare a un’occasione del genere? — Pleeth sorrise a Barenboim. Le curve rosee della sua faccia si tesero.

— Sei andato a casa sua! — La faccia di Barenboim tra una maschera di rabbia e di sorpresa. — Hai rischiato un affare da un miliardo di dollari… per questo! — Strappò il sigaro d’oro dalle mani di Pleeth, spezzò con un movimento isterico la catenella, lo lanciò verso la fornace. La traiettoria di volo lo portò a superare i campi di calore, lo fece precipitare nell’inferno rosso della fornace. Un lampo brevissimo, e il sigaro si dissolse.

— Anche tu — sussurrò Pleeth, scuotendo la testa in un movimento quasi impercettibile. — Mi hai disattivato, Hy.

Si lanciò su Barenboim. I due uomini restarono avvinghiati per un attimo, poi il laser scavò un foro fumante nel corpo di Pleeth. Pleeth si afflosciò immediatamente. Carewe si mosse, come in sogno. L’aria stessa era diventata una melassa tenera, avvolgente. Si buttò sul corpo di Pleeth mentre il laser veniva puntato nella sua direzione, colpì Barenboim con un pugno che sembrava di piombo. Barenboim si piegò in due. Carewe gli strappò di mano la torcia. La puntò nello spazio fra gli occhi di Barenboim, rimase a guardare le pupille che rimpicciolivano come universi sempre più lontani, e fece avanzare il cursore.

— Will! — La voce di Athene giungeva da molto lontano. — No!

Carewe si fermò, recuperando l’autocontrollo. — Nemmeno io — disse a Barenboim che si stava rialzando — sono come te.

Attraversò il laboratorio, raggiunse Athene, che era crollata su uno scalino, e si sedette al suo fianco. — Avresti dovuto raccontarmi la verità.

— Non potevo parlare di quella notte con nessuno. — Lei gli prese la mano, la baciò. — Non sapevo cosa mi fosse successo. Mi sentivo così sporca, Will… Ho dovuto scacciarti.

— Ma avrei capito. Avrei trovato una soluzione.

Athene sorrise, triste. — Davvero, Will? Io non ti ho creduto quando hai cercato di parlarmi del nuovo biostatico… Cosa mai poteva farci pensare di essere tanto importanti? Perché anche il nostro matrimonio doveva essere immortale?

— Non eravamo pronti — le rispose. — Ma adesso lo siamo.

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