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Di fronte a lui si stendeva il dorso del paese, minaccioso per dimensioni, complessità e possibilità di pericolo. Finora aveva sempre pensato alla Gran Bretagna come a una piccola isola familiare, uno spiazzo erboso e affollato che lasciava spazio appena sufficiente a un jet per mettersi in linea di volo, prima che fosse di nuovo il momento di scendere a terra. Adesso il paese gli sembrava enorme, indistinto, carico di minaccia, cresciuto in proporzione inversa al numero di esseri umani a cui poteva rivolgersi per avere aiuto.

Hutchman guidava con impegno, sapendo cosa rischiava se fosse incorso in un’infrazione ai limiti di velocità o anche in un minimo incidente. Controllava lo specchio retrovisore, prendendosela con le macchine che stavano incollate alla sua ruota posteriore. Erano pronte a balzare avanti e invece si tenevano in coda, dietro di lui. Altri guidatori, sicuri e isolati nei loro piccoli sistemi. Einsteiniani di movimento relativo lo osservavano curiosamente, finché si decise a infilarsi gli occhiali da sole. Varcò il Tamigi a Henley e puntò a nord ovest, verso Oxford, facendo tappa a varie buche delle lettere.

Per mezzogiorno era entrato da un pezzo nella zona di Tolkein, nei Cotswolds, e filava attraverso paesi costruiti con pietre beige che sembravano cresciuti in virtù di qualche processo naturale, piuttosto che costruiti dall’uomo. Valli dai colori delicati si schiudevano sotto veli di nebbia bianca. Hutchman guardava la campagna, pieno di rimpianti e di ripensamenti finché, sentendo il suo nome alla radio, tornò subitamente al problema di come vivere minuto per minuto. Quando alzò il volume la radio ebbe delle scariche. Così non sentì tutto quello che veniva detto.

…la polizia è intervenuta nella casa di Moore’s Road a Camburn dove, nella giornata di ieri, sono morti due uomini. Uno era precipitato dall’ultimo piano dell’edificio, mentre l’altro era rimasto ucciso al momento del rapimento ad opera di tre uomini armati, dell’assistente di biologia Audrey Knight. L’uomo deceduto in seguito alla caduta era Aubrey Welland, un professore abitante in Ridge Road 202 a Upton Green, mentre l’altro era Richard Thomas Bilson, di cinquantanove anni, abitante in Moore’s Road 38, a Camburn. Il Bilson passava di là per caso e aveva, a quanto risulta, tentato di impedire che la signorina Knight fosse caricata sulla macchina. La polizia, fino a questo momento, non sa ancora dove si trovi. Però, sia lei sia il Welland, erano iscritti al partito comunista e si ritiene che la sua scomparsa abbia un movente politico.

Secondo gli sviluppi recenti della situazione, Lucas Hutchman, di trentanove anni, abitante a Priory Hill, a Crymchurch, un matematico che lavorava nella fabbrica di missili teleguidati Westfield, è ricercato dalla polizia che ritiene possa esserle materialmente di aiuto nel corso dell’inchiesta. Hutchman è stato portato alla stazione di polizia di Crymchurch l’altra sera, ma oggi è scomparso. Viene descritto come un individuo alto uno e ottanta, con capelli neri, magro, la faccia rasata. Indossa pantaloni grigi e una giacca di pelle scura. Si ritiene che sia al volante di una Ford Director azzurra, numero di targa SMN 836Q. Chiunque abbia visto questa macchina, o un individuo rispondente alla descrizione di Hutchman, è invitato a mettersi immediatamente in contatto col più vicino posto di polizia.

La notizia che un grave incendio è scoppiato a bordo del laboratorio orbitale è stata smentita da…

Hutchman abbassò la radio, finché non sentì che un vago rumore di fondo. Il primo pensiero che gli si affacciò alla mente fu che non avevano perso tempo. Erano passate solo tre ore da quando se n’era andato dal centro di polizia di Crymchurch, ma era evidente che la polizia non aveva aspettato che i giornalisti divulgassero la notizia, ma era andata direttamente alla BBC per chiederne la collaborazione. Non conosceva molto dei sistemi della polizia, però ricordava perfettamente che appelli al pubblico di quel tipo erano un avvenimento raro. Era chiaro che Crombie-Carson, o forse qualcuno più in su di lui, aveva capito che c’era sotto qualcosa di molto grosso. Hutchman guardò nel retrovisore. Dietro, a breve distanza, c’era un’altra macchina che si alzava e abbassava secondo le asperità della strada fiancheggiata da una siepe. E quel lampo argenteo non era per caso un’antenna? Anche il guidatore di quella macchina aveva sentito le ultime notizie? E se avesse riconosciuto la sua Ford? Hutchman premette d’istinto l’acceleratore e balzò in avanti, finché l’altra macchina sparì dalla vista. A questo punto si trovò a ridosso di un altro veicolo. Rallentò leggermente e cercò di pensare in modo costruttivo.

Aveva preso la sua macchina perché gli consentiva di imbucare le lettere in un’area vasta, e in fretta. Era necessario che tutte le buste partissero prima dell’ultimo ritiro. Una volta finito di imbucare, poteva tranquillamente abbandonare la macchina, però rischiava che lo individuassero quasi subito e che trasmettessero alla polizia l’indicazione precisa di dove si trovava. La soluzione migliore era di vagliare attentamente i dati principali trasmessi per radio e decidere quali di essi erano assolutamente intoccabili.

Quando arrivò alle prime case di Cheltenham, fermò la macchina in una strada poco frequentata, vi lasciò la giacca e prese un autobus diretto al centro della città. Salì al secondo piano del bus, tirò fuori il mazzo di banconote e le contò. Aveva in tutto 138 sterline, più che sufficienti per arrivare al famoso giorno-D. Quando scese dall’autobus nel centro della cittadina sconosciuta, si accorse di tremare nell’aria fredda di novembre, e decise che girando in pantaloni e golf avrebbe attirato troppo l’attenzione. Entrò in un negozio di abbigliamento e comprò un giubbotto grigio, con cerniera lampo. Nel bazar accanto si procurò un rasoio elettrico e, provandolo, abbozzò una barba incipiente. Era una barba di soli tre giorni, però era così nera e folta che poteva già passare per una vera e propria barba, un elemento caratteristico della sua persona.

Adesso che si sentiva più tranquillo, Hutchman scoprì un negozio di accessori per auto che forniva le targhe con consegna immediata. Inventò un numero il più anonimo possibile, ordinò due targhe e dopo aver atteso che i numeri venissero applicati sulla lastra, uscì nella luce pungente del sole, col nuovo acquisto sotto il braccio.

Lo stupì sentire fame, poi si ricordò che aveva mangiato per l’ultima volta con Audrey, in un’altra esistenza. L’idea di mangiare qualcosa di caldo in un ristorante lo attirava, ma non aveva tempo da perdere. Si procurò una borsa di plastica, la riempì con sei barattoli di vernice aerosol nera per auto e di una bottiglia di solvente. Comperò il tutto in tre negozi diversi, perché nessuno sospettasse che voleva ridipingere tutta una macchina. Appoggiò sul pacco dei panini avvolti nel cellophane e alcuni barattoli di birra scura, poi riprese un autobus diretto alla periferia che passava per la strada di prima.

Una volta sceso si avvicinò alla macchina con attenzione. Aveva impiegato poco più di un’ora, ma c’era il rischio che, nel frattempo, qualcuno avesse notato l’auto. Quando fu sicuro che non c’era pericolo nella zona, salì in macchina e si diresse a est, verso le colline, cercando un angolo tranquillo dove poter lavorare senza attirare l’attenzione. Passò una mezz’oretta, prima che riuscisse a trovare una strada poco frequentata. Portava verso una cascina disabitata ed era nascosta da una siepe di biancospini. Fermò la macchina in modo da non essere visto dalla strada principale e si mise immediatamente all’opera con l’aerosol, spruzzando la vernice. Per fare un buon lavoro, avrebbe dovuto proteggere, prima di cominciare, i vetri e le parti cromate, ma si accontentò di pulire i baffi di vernice con un fazzoletto imbevuto di solvente. Spruzzando a ondate leggere e senza insistere troppo sui particolari, cambiò, nel giro di venti minuti, la sua macchina azzurra in una nera. Buttò nel fosso i barattoli vuoti, prese un cacciavite dagli attrezzi e cambiò il numero di targa, mettendo quelle vecchie nel portabagagli.

Quando ebbe finito, aveva di nuovo fame. Consumò i panini alla svelta, innaffiandoli abbondantemente di birra, poi invertì la marcia ritornando sulla statale. Resistendo all’impulso di correre, tenne una velocità moderata, senza mai superare i cento all’ora. Attraversò paesi e cittadine e, al tramonto, il paesaggio era già cambiato. Le case, in questa zona, erano costruite con una pietra più scura, la vegetazione di un verde più intenso, velata di nebbia e carica della fuliggine che esisteva in passato nel nord industriale e che aveva lasciato come eredità un suolo più ricco. Hutchman si fermava di tanto in tanto nei centri più importanti, imbucando alla posta centrale fasci di lettere. Arrivò a Stockport la sera, imbucò l’ultimo plico e, in quel momento, scoprì che la sua missione, con tutta la serie di mete a breve termine, era l’unica cosa che gli aveva impedito di crollare. Adesso non aveva più niente da fare, fino al momento di tornare ad Hastings per il suo appuntamento con la macchina ammazza-bombe. In quella pausa fu travolto da un’ondata di tristezza e di autocompassione. Il tempo era ancora freddo e asciutto. Lui scese fino al Mersey, che scorreva tutto nero, e cercò di mettere un po’ d’ordine nei suoi pensieri.

Sedette su una panchina di legno ai margini di un giardino e si prese la testa tra le mani. Vicky, pensò, e un fiotto di immagini della vita passata irruppe nella sua mente: il sorriso di Vicky quando lui accettava di far l’amore come voleva lei, il profumo degli aghi di pino, a Natale, il fresco di una camicia appena stirata. Andare in giro per commissioni con lei, in una mattina d’estate, e tutt’e due, prima di mezzogiorno, ritrovarsi mezzi brilli senza aver comperato niente. I libri che lo tenevano sveglio fino a tardi e il mattino quando era uscito per osservare del suo tiro all’arco, e la rugiada copriva il prato rendendolo visivamente inerte, come se lo si guardasse attraverso lenti polarizzate…

Alla fine, Hutchman si alzò con gli occhi aridi e tornò alla macchina passando per vie buie, spazzate da folate di aria gelida. L’odore familiare della macchina gli diede un conforto momentaneo. Fece il pieno a una stazione self-service e si sforzò di essere più costruttivo nei suoi pensieri, dato che il momento di abbandono in riva al fiume era stato perfettamente inutile, oltre che deprimente. Aveva spedito le ultime buste, comprese quelle dirette in Gran Bretagna, e da domani chi sedeva in posti importanti le avrebbe lette. Poi ci sarebbe stato un breve intervallo, mentre gli studiosi qualificati controllavano i dati matematici, e i fisici confermavano che era possibile ottenere un laser cestron. Comunque, entro domani, la notizia sarebbe corsa. Il messaggio, da quel momento, sarebbe stato semplicissimo: Trovate Lucas Hutchman, e se è in possesso di un esemplare della macchina eliminate sia lui sia la sua opera.

Nelle poche ore di sicurezza che gli restavano, Hutchman doveva trovare un buon nascondiglio per rintanarsi. Prima di tutto era un errore fermarsi a Stockport, che era il punto più scottante della pista che s’era lasciato alle spalle. I cacciatori sapevano sicuramente che una macchina anti-bombe non è facile da trasportare e avrebbe stabilito che, se esisteva realmente, molto probabilmente era nascosta in qualche località a sud, non molto lontana dalla casa di Hutchman. Un’altra ipotesi era che, dopo una puntata a nord, la loro preda tornasse verso sud, sia per far perdere le tracce sia per avvicinarsi alla macchina. In base a questi dati, Hutchman decise di proseguire verso nord.

Si diresse a Manchester, prese la tangenziale per evitare la città e continuò in direzione ovest, attraverso il Lancashire, con la vaga idea di raggiungere la regione dei laghi del Cumberland la notte stessa. Ma altre considerazioni vennero in mente. La regione dei laghi era molto lontana da Hastings, e soprattutto in quel periodo dell’anno, era molto controllabile nelle sue vie d’accesso. Era meglio scegliere un centro popoloso e, possibilmente, vicino. Lasciò la statale e consultò una carta. La città più vicina, di una certa importanza, era Bolton che, secondo lui, era un concentrato della tipica vita monotona dell’Inghilterra provinciale. Il suo nome non suscitava impressioni freudiane associate alla fantasia di una spia tipica di Crombie-Carson e, di conseguenza, dal punto di vista di Hutchman era una buona scelta. Inoltre, a quanto ricordava, non conosceva assolutamente nessuno del posto, mentre, con ogni probabilità, i cacciatori avrebbero concentrato le ricerche in un’area dove sapevano che Hutchman aveva degli amici a cui rivolgersi per aiuto.

Una volta presa questa decisione imboccò la strada Salford-Bolton e guidò prestando la massima attenzione a quello che aveva intorno, come ormai era diventata un’abitudine. La soluzione più semplice era di andare in un albergo, ma forse era anche la più pericolosa. Meglio se restava fuori tiro. Arrivando a Bolton, attraversò la città lentamente, finché si ritrovò in un quartiere squallido, come ci sono in tutte le città e nei grossi centri, dove grandi edifici cadenti combattono una battaglia ormai persa contro il deterioramento, ricevendo aiuti minimi dai proprietari che affittano camere singole. Parcheggiò in una strada di olmi nodosi, color ruggine, prese la valigia vuota e camminò finché vide una casa col cartello: Si affittano camere, appeso a una finestra del piano terreno. La donna che rispose alla scampanellata era sulla cinquantina, con un petto imponente, e portava una maglietta rosa, traforata, che copriva un complicato groviglio di nastri di seta. I capelli biondi erano raccolti in una pettinatura elaborata su di una faccia dal mento abbondante. Un ragazzino pallido di sette o otto anni, che indossava un pigiama a righe, si teneva stretto a lei, con le braccia avvolte attorno alle sue gambe.

«Buona sera» disse Hutchman, incerto. «Sto cercando alloggio e ho visto il cartello.»

«Ah sì?» la donna sembrava sorpresa di sentire che c’era un cartello. Il ragazzo osservò Hutchman, guardingo, dietro le pieghe della sottana.

«Avete una stanza libera?» Hutchman guardò nell’ingresso male illuminato, pavimentato in linoleum marrone, con la scala buia che saliva agli altri piani. Rimpianse di non poter tornare a casa sua.

«Abbiamo una stanza, ma è mio marito che di solito se ne occupa: in questo momento non c’è.»

«Va bene» disse Hutchman, sollevato. «Proverò altrove.»

«Ma non importa. Il signor Atwood, mio marito, tornerà presto.» La donna si scostò e gli fece segno di passare. Lucas entrò. Le tavole del pavimento scricchiolarono, sotto i suoi passi. All’interno c’era un forte profumo di deodorante.

«Fino a quando intendete fermarvi?» chiese la signora Atwood.

«Fino a…» Hutchman si riprese. «Un paio di settimane, all’incirca.» Salì per vedere la stanza che, neanche a farlo apposta, era all’ultimo piano: piccola ma pulita, e il letto aveva due materassi. Faceva pensare che fosse comodo, anche se un po’ troppo alto. Lucas chiese, ottenendo risposta affermativa, di avere la pensione completa, e cioè tre pasti al giorno, e che la signora Atwood, dietro un piccolo supplemento, gli tenesse in ordine la biancheria. «Va bene» disse poi, sforzandosi di sembrare entusiasta. «Prendo la stanza.»

«Sono sicura che vi troverete bene.» La signora Atwood si toccò i capelli. «Tutti i miei ragazzi si trovano sempre bene.»

Hutchman sorrise. «Porto su la valigia.»

Si sentì un rumore sul pianerottolo e il ragazzino entrò, portando la valigia.

«Geoffrey! Lo sai che non devi…» la signora Atwood si voltò verso Hutchman. «Non sta bene, sapete. Asma.»

«È vuota» dichiarò Geoffrey, buttandola con noncuranza sul letto. «Ce la faccio benissimo a portare una valigia vuota, mamma.»

«Ah…» Hutchman guardò la signora Atwood. «Non è completamente vuota, ma ne ho lasciato buona parte del contenuto in macchina.»

Lei annuì. «Vi spiacerebbe darmi un anticipo?»

«No, di certo.» Hutchman sfilò tre banconote da cinque sterline dal mazzo, senza toglierlo dalla tasca, e gliele tese. Quando la padrona fu uscita lui chiuse la porta, notando con sorpresa che la chiave era piegata. Era una chiave sottile, per niente complicata, con un’asta lunga che, dove era piegata, presentava un alone azzurrognolo, come se il metallo fosse stato scaldato e incurvato di proposito. Hutchman scosse la testa, stupito. Poi buttò il giubbotto sul letto e fece il giro della stanza, cercando di scacciare la nostalgia che cominciava a riassalirlo. Aprì con difficoltà l’unica finestra e si sporse all’infuori. L’aria fredda della notte gli diede un senso di vertigine, procurandogli una sensazione strana, come quella di chi sogna di volare. Gli sembrava di avere la testa dissociata dal resto del corpo, fluttuante nel buio, accanto a un intrico misterioso di grondaie e di tubi, di camini e di davanzali. Tutto in giro e più in basso brillavano le finestre illuminate: certe avevano le tende tirate mentre altre lasciavano intravedere l’interno di orrende stanzette anonime. La situazione fisica, con quella sua testa che sporgeva invisibile e disincarnata vicino alle pareti di un cañon d’incubo, non era molto lontana dalla matrice di orrore che era diventata la sua vita. Rimase così, per un tempo lunghissimo, finché il gelo gli arrivò alle ossa e lo fece tremare violentemente: Allora richiuse la finestra e andò a letto.

Quella sarebbe stata casa sua per una settimana, e già lui si chiedeva come avrebbe fatto a sopravvivere.

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