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Evitando lo sguardo perplesso di suo figlio, Hutchman si diresse lentamente verso la cucina. Vicky era in piedi intenta a preparare la cena e gli voltava le spalle. Cantava e, come al solito, non sembrava del tutto al suo posto in quelle mansioni da casalinga. Hutchman detestava l’idea di rovinare quella serata che erano riusciti a salvare da una giornata nerissima.

«Vicky» disse, sentendosi in colpa. «È successo qualcosa di grave. Un minuto fa ho sentito una notizia alla televisione. Dicono che Damasco è stata cancellata dalla terra da una bomba all’idrogeno.»

«È spaventoso!» lei si voltò, le mani piene di pezzetti di formaggio, e accennò a un armadio dalle ante di cristallo. «Che orrore! Ti prego, sii gentile, passami quel pentolino. Vuol dire che ci sarà una guerra?»

Lui trovò, meccanicamente, la pirofila e l’appoggiò sul piano della cucina. «Non sanno ancora chi sia il responsabile, ma forse c’è stato mezzo milione di morti. Mezzo milione!»

«Doveva succedere, prima o poi. Vuoi un’insalata?»

«Un’insalata? Io… ma si mangia lo stesso?»

«E cosa vuoi che facciamo?» Vicky lo guardò, stupita. «Lucas, spero che per questo fatto non ti rinchiuderai nel tuo solito egoismo.»

«Egoismo?»

«Sì, il tuo famoso badare a qualunque foglia che si muova… Sta’ sicuro che se ti viene un collasso nervoso nessuno ci guadagnerà, eppure tu non la smetti mai di assumerti la responsabilità per cose che avvengono a diecimila miglia di distanza.»

«Damasco, veramente, è a duemila miglia di qui.»

«Sarebbe lo stesso se fossero duemila metri.» Lei posò con violenza la casseruola sul ripiano, facendo volare una nuvola bianca di farina. «Lucas, ma se tu non ti occupi neanche di quello che succede ai nostri vicini, fammi il favore di…»

«Ho fame» annunciò David sulla porta. «A che ora si esce?»

Hutchman scosse la testa. «Mi dispiace, figliolo, ma per stasera dobbiamo rinunciare.»

«Eh?» la faccia del ragazzo si allungò visibilmente. «Ma avevi detto…»

«Lo so, ma stasera non possiamo.»

«E perché non si può?» chiese Vicky. «Non crederai mica che resti tutta la sera davanti al televisore ad ascoltare un branco di esperti che non ha la minima idea di quello che succederà ma che si ostina lo stesso a volercelo spiegare! Abbiamo promesso a David di andare alla corsa, e ci andremo.»

Una visione di corpi torturati e maciullati passò per un secondo nella mente di Hutchman, che tornò con David nel soggiorno dove, nel rettangolo del televisore, si rincorrevano lentamente le righe. Poi Hutchman si sedette. David manovrò il pulsante dei canali, trovò un vecchio film comico, e, tutto felice, si accoccolò davanti al televisore per guardarlo. Stupito e rassicurato, vedendo che trasmettevano un programma normale, Hutchman riprese in mano il bicchiere e si concentrò nel film. Un inseguimento frenetico di macchine si scatenava lungo i viali soleggiati della Hollywood degli anni venti. Hutchman ignorò i personaggi principali per studiare gli edifici inospitali che si allineavano in pieno sole. Sembravano più capannoni che vere e proprie case, eppure quelle costruzioni erano realmente esistite e, a osservarle con attenzione, si scoprivano, nella vecchia celluloide, frammenti della vita di tutti i giorni di quel tempo. Vite anonime, con ghiacciaie sgocciolanti e radio enormi chiuse in mobiletti di legno scolpito che, tuttavia, avevano la sicurezza di un passato in cui il peggio che poteva capitare era di trovarsi per qualche anno nelle liste della pubblica assistenza, o, in tempo di guerra, una morte comprensibile, provocata da un ordigno bellico.


Ci sono riuscito, pensava Hutchman, riesco a far ballare i neutroni. Al film seguì il carosello pubblicitario, ma più spezzato del solito. Quando Lucas Hutchman cominciava a rilassarsi, il quadro sparì e poi, bruscamente, ritornò. Sullo schermo apparve una nube a forma di fungo, ribollente ma immobile, che sotto le sue volute tumultuose nascondeva le casette bianche e cubiche di Damasco. L’immagine sussultava violentemente: evidentemente era stata ripresa da un elicottero sprovvisto della normale attrezzatura. Il commento musicale, stridulo e incalzante, riempì la stanza. Al diavolo questi appelli apocalittici, pensò Lucas. Non potevano farne a meno, per una volta. Non si tratta di uno sciopero, e neanche di quelle eterne, noiose conferenze sindacali. Sullo schermo apparve l’annunciatore che parlò rapido e conciso. Ripeté i fatti già noti, aggiunse che il numero dei morti ammontava, secondo le ultime valutazioni, ad almeno 400.000. Proseguì descrivendo la febbrile attività diplomatica in corso nelle diverse capitali. Finalmente toccò un punto che, secondo Hutchman, era uno degli elementi più importanti: L’ordigno nucleare, secondo le ipotesi più recenti, non è stato sganciato né da un missile né da un aereo militare. Ci viene comunicato che si trovava a bordo di un apparecchio civile che, nell’istante in cui avvenne la deflagrazione, sorvolava la città diretto verso l’aeroporto di Mezze, a sette chilometri in direzione sudovest.

La sede del governo siriano è stata trasferita ad Aleppo, dove continuano a giungere offerte di aiuto immediato e messaggi di solidarietà e di indignazione da parte di tutti i paesi del Medio Oriente, compresi Israele e i membri della Repubblica Araba Unita, da cui la Siria, nel mese di aprile scorso, si era staccata.

Le forze armate siriane sono state mobilitate al completo ma, in mancanza di un aggressore dichiarato, non è stata ancora intrapresa alcuna azione militare. L’intero paese è in preda a uno stato di sbalordimento e di angoscia.

Vicky passò tra Hutchman e lo schermo. «Quali sono le ultime notizie? Ci sarà la guerra?»

«Non lo so. La bomba, a quanto risulta, era a bordo di un aereo civile e forse, alle spalle, c’è qualche organizzazione di guerriglieri. In Siria ne esistono almeno una dozzina, se non di più.»

«La guerra, comunque, non ci sarà.»

«Lo sai tu? Che nome si può darle, quando i presunti autori sono guerriglieri? Sono passati dagli attacchi con missili contro le scuole materne fino a… fino…»

«Alludevo a una guerra che coinvolgerebbe anche noi.» Lei parlava con voce aspra, per ricordargli che non era il caso di sentire sensi di colpa che riguardavano altra gente.

«No, cara» disse lui, grave. «Forse ne sarà coinvolta la razza umana, ma noi, no.»

«Oh Dio» sospirò Vicky. «Dammi qualcosa da bere, Lucas. Mi sa che passeremo una serata difficile.»


Hutchman, finito di mangiare, andò nell’ingresso per cercare il numero dello stadio dove correvano le vecchie auto. Fece il numero, poi rimase in ascolto. Quando stava per riappendere, qualcuno, dall’altra parte, rispose.

«Pronto» disse la voce di un uomo, secca. «Qui parla Bennet.»

«Pronto, lo stadio di Crymchurch?» Hutchman era talmente sicuro che nessuno avrebbe risposto che, per un secondo, gli mancarono le parole.

«Sì.» La voce era diffidente. «Sei tu, Bert?»

«No.» Hutchman respirò a fondo. «La corsa ci sarà lo stesso, oggi?»

«Ma certo che ci sarà» l’uomo fece una risata stridula, come se muovesse dei chiodi in un barattolo. «E perché non dovrebbe svolgersi? Fa bello, no?»

«Direi di sì. Comunque, volevo essere sicuro. Da come vanno le cose…» Hutchman riappese e si fermò a guardarsi in uno specchio dorato. Il tempo è bello e non c’è traccia di pioggia radioattiva.

«A chi hai telefonato?» Vicky aveva aperto la porta di cucina e lo fissava.

«Allo stadio» le rispose.

«E perché?»

Hutchman ebbe la tentazione di chiederle se l’esistenza in più o in meno di una città proprio non importava a nessuno. «Per chiedere a che ora cominciava la prima gara.»

Lei gli diede un’occhiata veloce, poi rientrò in cucina, nel suo universo privato e, un momento dopo, lui la sentì cantare mentre riordinava le stoviglie. David uscì dalla cucina masticando vorticosamente, e andò in camera sua lasciandosi dietro un vago profumo di menta. Hutchman fece il padre severo.

«David» urlò. «Cosa ti ho detto, a proposito della gomma da masticare?»

«Mi hai detto di non masticarla.»

«E allora?»

David, per tutta risposta, diede ancora due masticate violente, chiaramente percettibili dietro la porta chiusa. Hutchman scosse la testa, però lo ammirava. Suo figlio era indomabile, proprio come i ragazzini di sette anni sanno esserlo. Ma quanti ragazzini come lui, erano morti a Damasco? Seimila? E quelli di sei, di cinque anni, e quelli ancora più piccoli?

«Lascia in pace David» disse Vicky mentre gli passava vicino, diretta in camera loro. «Che male può fargli un chewing-gum

I muri, che sembravano sul punto di crollargli addosso, tornarono all’istante al loro posto. «Ma lo sai che lo manda giù sempre?» Lucas articolò le parole, obbligando la mente e il cervello a seguire quelle futilità domestiche. «È assolutamente indigeribile.»

«E allora? Su, dammi una mano a vestirmi.» Lucas la seguì in camera da letto fingendo di essere sensibile alla sua civetteria, e intanto pensava agli oceani di tempo che bisognava superare, prima di potersi allungare finalmente in un letto e abbandonarsi al sonno.

La folla, allo stadio, era abbastanza numerosa per quel periodo dell’anno. Hutchman sedeva indifferente nell’oscurità della tribuna: non faceva caso alla presenza di sua moglie e del figlio, ed era incapace di seguire lo spettacolo delle macchine che sbandavano, si impennavano, cozzavano l’una contro l’altra. Dopo, a letto, si addormentò istantaneamente.

Quando si svegliò, era ormai sicuro che avrebbe costruito la macchina anti-bombe.

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