«Se avete qualcosa di più o meno privato che interferisce nel vostro lavoro, perché non me lo dite?» Arthur Boswell, capo del dipartimento ricerche missilistiche della Westfield, s’infilò gli occhiali cerchiati d’oro e osservò attentamente Hutchman. Gli occhi, dietro le lenti, erano azzurri e molto inquisitori.
«Non c’è alcun problema particolare, Arthur.» Hutchman fissava l’uomo più anziano di lui, dietro il tavolo in legno di rosa, chiedendosi se non era meglio ammettere una crisi personale se questo voleva dire stare in pace per alcuni giorni, in ufficio.
«Capisco.» Lo sguardo di Boswell errò con nostalgia attorno all’ufficio spazioso, con i muri pieni di fotografie di lanci di missili di vent’anni prima. «Recentemente, non vi ho visto niente bene, Hutch.»
«Ah, no.» Anche lui si guardava attorno, cercando una risposta adatta ma pensando che quelle fotografie di missili erano assolutamente fuori posto, nell’atmosfera che voleva creare Boswell. Sarebbero state meglio alcune incisioni di vecchi aerei, dell’epoca di Asquith e Lloyd George, con ali fragili, come gli uccelli. «È che da un po’ di tempo non riesco a dormire. Immagino che dovrò andare dal medico a farmi dare qualche pillola.»
«Il sonno è importante. Non si può farne a meno per lungo tempo» proclamò Boswell. «E perché non riuscite a dormire?»
«Non c’è un motivo particolare.» Devo inventarne uno, pensò Hutchman. Arthur ha in mente qualcosa.
«Sto pensando di darvi un assistente, Hutch.»
«Non ne ho bisogno» rispose Lucas, improvvisamente scocciato. L’ultima cosa che desiderava era un estraneo che ficcasse il naso nel suo ufficio. «Voglio dire, un assistente è inutile. Entro un paio di settimane il lavoro sarà finito, e uno nuovo, per orientarsi, impiega lo stesso tempo.»
«Due settimane?» Boswell si fissò su quella data precisa. «Va bene, ma non possiamo dedicarvi molto di più. La direzione vuole che entro il prossimo mese si giunga a una decisione finale sul Jack-and-Jill.»
«Mi bastano due settimane» lo rassicurò Hutchman. Uscì dall’ufficio di Boswell, mentre l’ultimatum che si era autoimposto gli martellava nelle orecchie. Salì negli uffici meno lussuosi dove lavorava il gruppo Razzi e Missili della Westfield. Due settimane erano il tempo giusto per informare le potenze nucleari mondiali dell’esistenza della sua macchina, a patto di non perdere tempo, e di evitare mosse false. Ce la metterò tutta Vicky, e non commetterò errori. Soltanto per te. Come primo compito, era opportuno stendere immediatamente un sommario dei calcoli e dei particolari relativi alla macchina. Bisognava fare diverse copie del lavoro, e inviarle ad istituzioni e personaggi sparsi in tutto il mondo. Le spedizioni, e questa era una difficoltà minore, andavano scaglionate, tenendo conto dei tempi di consegna variabili nei diversi paesi, in modo che i plichi arrivassero a destinazione praticamente nello stesso tempo. Una difficoltà maggiore era rappresentata dal fatto che, appena le buste fossero state aperte, una quantità di gente, potente e senza scrupoli, avrebbe cercato di liberarsi di lui. L’unico modo per riguardarsi, pensava, era mantenere un segreto impenetrabile. Fino a oggi aveva ritenuto il cassetto della sua scrivania un posto abbastanza sicuro per chiuderci disegni e note originali, però, secondo alcuni colleghi, l’apparato di sicurezza della Westfield faceva ridere. Consegniamo pure i nostri piani ai sovietici, diceva la battuta più sfruttata, e resteranno cinque anni indietro di noi. Molto preoccupato, Hutchman scoprì che, di solito, non si ricordava neppure di chiudere il cassetto a chiave. Accellerò il passo, fece il corridoio quasi di corsa e piombò nel suo ufficio. Don Spain, curvo sulla sua scrivania, frugava tra le carte del cassetto di sicurezza.
«Ah finalmente, Hutch» disse, roco, sorridendo. «Ma dov’è il temperino?»
«Non lì dentro» scattò Hutchman, aggiungendo quasi involontariamente: «Tu stai spiando, brutto bastardo.»
Il sorriso di Spain si gelò all’istante. «Ma cosa ti prende? Stavo solo cercando il temperino.»
Hutchman andò alla porta di comunicazione con l’ufficio di Muriel, e la chiuse con violenza. «Non è vero» disse senza mezzi termini. «Sei venuto tante volte a cercare sul mio tavolo, che potresti trovare il temperino anche al buio. No, Spain, la verità è che sei un ficcanaso bastardo, e una spia.»
Delle chiazze color mattone apparvero sulle guance di Spain. «Ma chi credi…»
«E se ti trovo ancora in questo ufficio, ti faccio a pezzi.»
Sulla faccia di Don comparve uno sguardo incredulo, seguito da uno di rabbia. «Sta’ calmo, Hutch! Non mi interessano minimamente i tuoi maledetti scarabocchi, e se credi che permetterò a un pidocchio come te di parlarmi con quel tono…»
Hutchman alzò dal tavolo il pesante fermacarte e fece il gesto di buttarglielo addosso. Spain balzò di lato con comica agilità e sparì nell’ufficio di Muriel. Hutchman sedette alla scrivania, aspettando che i suoi nervi si calmassero. Erano anni che aspettava quel momento, però, nella situazione attuale, forse doveva controllarsi ancora per un po’. Ci avrebbero pensato Muriel e Spain a raccontare per tutta la Westfield la faccenda, e proprio nel momento in cui lui voleva passare inosservato.
Controllò il cassetto di sicurezza e si calmò scoprendo che la lista dei dipartimenti di stato, degli uomini politici e degli scienziati influenti era quasi in fondo al cassetto, piegata in modo che Spain, con tutta probabilità, non l’avrebbe mai notata. Comunque, d’ora in poi avrebbe sempre tenuto con sé i documenti importanti. Restava il problema della macchina. Hutchman balzò dalla seggiola e guardò fuori dalla finestra bagnata di pioggia, gli alberi con i colori dell’autunno. La macchina, che era facile da trasportare, non poteva rimanere al Jeavons. Se voleva ricattare le potenze nucleari e convertire le mega-morti in mega-vite, doveva metterla in un luogo segreto. Non aveva importanza se, alla fine, il nascondiglio veniva scoperto, perché la sua macchina sarebbe stata la prima di una lunga serie. Una volta reso pubblico il sistema di costruzione, altri ne avrebbero fabbricati nuovi esemplari, e di nascosto.
Hutchman, in piedi, si guardò nella parete di cristallo. La sagoma che vedeva riflessa nel vetro, l’altra persona con i capelli neri tagliati corti e le mani lunghe messe in rilievo da un raggio di luce, era il Lucas Hutchman che il resto del mondo vedeva. E quel Lucas Hutchman stava per avere in pugno il mondo intero. E quando, finalmente, la moglie di quest’uomo avesse capito, ormai sarebbe stato troppo tardi perché avrebbe riconosciuto la sua colpa.
Turbato dal piacere che gli dava quel gioco, Hutchman si sedette di colpo, mettendosi a sfogliare appunti e disegni. Erano stati fatti tutti sulla carta della Westfield, però si potevano rendere quei fogli anonimi tagliando via l’intestazione. Il guaio era che i suoi scarabocchi erano incomprensibili per un estraneo e, indubbiamente, sarebbe stato meglio che la sua scrittura non comparisse nel documento. Entrò nel bugigattolo di Muriel e, ignorando lo sguardo sospettoso di lei, prese, in silenzio, un fascio di fogli da macchina dal suo tavolo. Impiegò un’ora a trascrivere la parte matematica del risonatore a neutroni e a specificarne le parti meccaniche.
Finito il lavoro mise i fogli nella borsa e cominciò a pensare a un nascondiglio per la macchina. Per esempio, in qualche località della costa meridionale? Cercò nella guida telefonica, trovò sei nomi di agenti immobiliari a Crymchurch e cominciò a interpellarli in ordine alfabetico. Il secondo gli offrì una villetta ad Hastings. Hutchman cercò il blocco per segnare l’indirizzo e si ricordò che era rimasto nella libreria. Imprecò, e trascrisse l’informazione sul lato di una gomma nuova.
«Mi pare che vada bene» disse alla ragazza che gli aveva risposto. «Passerò da voi più tardi.»
Avvertita Muriel che sarebbe uscito per un’ora, portò con sé sulla macchina la preziosa borsa. Faceva caldo, per essere in novembre, ma il cielo grigio spuntava oltre le cime degli alberi e delle case, e la pioggia cadeva sicura e tranquilla, minacciando di continuare per il resto della giornata. Mentre Lucas filava verso Crymchurch, le gocce d’acqua si rincorrevano, come tante amebe frenetiche, lungo i finestrini laterali della macchina. Hutchman parcheggiò in centro, poi andò in un negozio di forniture per ufficio dove acquistò una copiatrice e una riserva di carta per un totale di trenta sterline. Pagò in contanti, usando il denaro che gli aveva dato Vicky per sistemare il conto in banca, e non diede il suo nome. Messa la copiatrice sul retro della macchina, percorse lentamente la strada principale, cercando l’agenzia immobiliare a cui aveva telefonato poco prima. Era la terza della serie, e aveva in vetrina la fotografia della casa. Si trattava di una villetta con terrazza, affittabile solo per i mesi invernali. Hutchman calcolò che Hastings si trovava a una novantina di chilometri, cioè a novanta minuti di macchina, e che era proprio quello che faceva per lui. Abbastanza vicina per andarci a sistemare la macchina senza creare sospetti con assenze non giustificate da casa e, nello stesso tempo, abbastanza lontana da costituire, venuto il momento, un buon nascondiglio. Entrò nell’agenzia e, in meno di mezz’ora, affittò la casa fino all’inizio di aprile, dichiarando di essere uno scrittore che cercava la solitudine per terminare un libro. Anche stavolta diede un nome falso, pagò l’affitto anticipato in contanti e uscì, munito di due chiavi nuove e di un indirizzo trascritto su un foglio di carta.
La seconda tappa fu da Woolsworth, dove comprò molte buste da poco prezzo, del tipo comune in uso in tutto il paese. Acquistò anche la carta per via aerea e francobolli per l’interno. Poi mise il tutto nella borsa. Guardò l’ora: vedendo che era quasi mezzogiorno andò in uno dei suoi locali preferiti, a Crymchurch. Joe’s era un locale piccolo e un po’ triste, ma serviva un whisky caldo come piaceva a lui. Seduto in un angolo in penombra, con davanti la bevanda aromatica e dolce, Lucas tirò fuori dalla borsa un foglio di carta e si mise a scrivere la lettera.
Cominciò con le parole: A tutti quelli a cui può interessare. Le parole erano molto banali, ma Hutchman le trovava adattissime allo scopo. Prima di finire la lettera prese altri due whisky, poi la rilesse.
Questa è la lettera più importante che abbiate mai letto.
Il suo contenuto è importantissimo per la sicurezza del vostro paese e per l’avvenire dell’intera razza umana.
Quando l’avrete letta, sarete personalmente responsabile delle misure che si dovranno prendere.
I documenti che accompagnano questa lettera sono:
a) La dimostrazione matematica che è possibile costruire un risonatore a neutroni basato su un laser cestron. La radiazione sarà ad autodiffusione e avrà come effetto la stimolazione artificiale del flusso di neutroni in tutte le concentrazioni di materiale fissile prossimo alla massa critica. In altre parole, l’attivazione dell’apparecchio causerà praticamente la detonazione istantanea di tutte le bombe atomiche esistenti!
b) Lo schema di fabbricazione del risonatore a neutroni, costruibile in pochi giorni.
Vi prego di leggere con attenzione il seguente paragrafo:
QUESTA MACCHINA ESISTE GIÀ. SARÀ ATTIVATA A MEZZOGIORNO, ORA DI GREENWICH, DEL 10 NOVEMBRE 1978. QUINDI PRENDETE, SENZA TARDARE, LE MISURE INDISPENSABILI!
Vista con l’occhio critico di Hutchman, la lettera gli faceva venire in mente una delle tante ingiunzioni che riceveva frequentemente dal club del libro, però era convinto che sarebbe servita allo scopo. Le pagine, fitte di simboli matematici, avrebbero parlato in suo favore a ogni membro della famiglia mondiale dei matematici in grado di lavorare a quel progetto, che, a sua volta, avrebbe influenzato altri, che da parte loro… Quella lettera, lo capì subito, era già una forma di risonatore a neutroni, destinato a produrre una reazione a catena a livello umano.
Trovare il nascondiglio per la macchina era stata un’impresa più semplice e più rapida del previsto, e gli aveva dato l’impressione che tutto si mettesse in moto con facilità soprannaturale. Hutchman, d’impulso, andò al telefono sul retro del locale, chiamò la Westfield e Muriel. La segretaria parlava con voce soffocata, evidentemente perché aveva la bocca piena di wafer al cioccolato che mangiava invariabilmente a mezzogiorno, in compagnia delle altre segretarie che si riunivano nel suo ufficio per discutere di cantanti pop.
«Mi spiace interrompere le vostre riunioni culturali» disse Lucas. «Ma desidero avvertire che non tornerò in ufficio, oggi pomeriggio. Sbrigate pure tutto voi, se non vi spiace.»
«E dove devo dire che vi trovate?» La voce, adesso, era più chiara, ma irritata.
«Dite che sono andato al mare.» Gli venne in mente la spiaggia rossiccia di Hastings, e rimpianse di avere accennato a quello. «No, è meglio che diciate come stanno le cose. Devo fare alcune ricerche alla biblioteca Morrison.»
«Ricerche alla biblioteca Morrison» ripeté meccanicamente Muriel, mostrando apertamente la sua incredulità. A quell’ora, s’era già sparsa la notizia, opportunamente riveduta e corretta, della lite fra Hutchman e Spain. Muriel, sebbene non potesse soffrire Spain, l’avrebbe considerato un altro esempio di quanto era peggiorato il signor Hutchman. Forse era meglio, pensò Lucas, essere più attenti con lei.
«Va bene» disse. «Ci vediamo domattina.»
Muriel riappese senza parlare. Lui ritornò alla macchina e, nel grigiore pomeridiano, si diresse verso l’Istituto Jeavons. L’edificio di pietra fumigava sotto la pioggia, e nessuno si accorse che Lucas aveva parcheggiato nel recinto interno. Impiegò venti minuti a smontare la macchina nelle parti principali e a trasferire i singoli pezzi, con le relative protezioni, a bordo dell’auto. Alla fine le braccia e le spalle, sebbene irrobustite dall’esercizio continuo del tiro all’arco, gli facevano male. Passò dall’ingresso, senza incontrare anima viva, e si diresse a sud, verso Hastings,
Per arrivare ci vollero più di novanta minuti, e ce ne mise altri dieci per individuare la casa che aveva affittato, al 31 di Channing Way. Era una villetta abbastanza ben tenuta due stanze sopra e due sotto, in una fila di casette tutte uguali. Il mare era visibile in fondo alla via in salita. Hutchman si sentì stranamente importante infilando la chiave nella serratura e aprendo la porta della villetta sconosciuta, che da poco era diventata sua. Entrò nel piccolo ingresso e diede un’occhiata alle stanze del piano terreno. C’erano pochi mobili, appena sufficienti per essere in regola con le norme d’affitto delle case. La villetta era fredda, senza vita. Preso da una strana eccitazione sessuale, Lucas salì le scale e scoprì che la camera da letto sul retro era completamente vuota, salvo un’unica seggiola incurvata color verde mela. La finestra dava su un muro nudo, che sembrava far rimbalzare i suoi pensieri come se fossero delle pallottole.
Forse morirò proprio in questa stanza! Quell’idea lo fece sentire depresso, dopo l’euforia che gli aveva ispirato l’atmosfera di mistero e di segreto di poco prima. Scese le scale di corsa e cominciò a trasportare all’interno i pezzi della macchina. Le casse gli sembravano ancora più pesanti di prima, ma la distanza era breve e, in dieci minuti, tutte le parti della macchina erano riunite sul pavimento della camera da letto. Subito gli venne l’idea di montarla, ma poi decise di tornare a Crymchurch. A questo punto bisognava far conoscere in tutto il mondo, e con assoluta priorità su ogni altra cosa, l’esistenza della macchina.
«David sta dormendo, e io esco per un paio d’ore» disse Vicky dalla porta dello studio. Indossava un abito di tweed color ruggine che Lucas non le aveva mai visto: la faccia, sotto il trucco ben fatto, era dura. Hutchman fu preso da una tristezza profonda nel capire che, nonostante tutto, sperava ancora che lei si fosse placata, dopo il colpo che gli aveva già inferto.
«Dove vai?»
«Andrei a trovare mia madre.»
«Andresti a trovare tua madre» rise, sarcastico. «Va bene, Vicky, ho capito.»
«A meno che tu non voglia uscire» continuò lei, ignorando le sue parole. «Allora resto a casa io, a badare a David.»
Hutchman diede un’occhiata ai fogli di carta bianca già sistemati nella copiatrice. «No, non esco.»
«Benissimo.» Gli lanciò uno sguardo inquisitore, e lui capì che si domandava come aveva fatto a sopportare così bene il colpo. Secondo le buone consuetudini, avrebbe dovuto inginocchiarsi davanti a lei, piangere e supplicarla. E l’avrebbe anche fatto, se lei non avesse commesso l’errore di voler strafare. Un adulterio o una dozzina, un megaton o un centinaio… Hutchman non difendeva più la sua vita, perché era già morto.
«Ci vediamo più tardi» disse Vicky.
Lui annuì. «Salutami tua madre.»