10 Un proverbio delle Marche di Confine

Per un istante Rand si trovò a rimpiangere i giorni in cui aveva potuto passeggiare da solo nei corridoi del palazzo. Oggi era in compagnia di Sulin e venti Fanciulle, di Bael, il capoclan degli Aiel Goshien con una mezza dozzina di Sovin Nai, le Mani del Pugnale, dei Goshien Jhirad per l’onore di Bael e di Bashere con altrettanti uomini dal naso aquilino della Saldea. Il gruppo affollava l’ampio corridoio coperto di arazzi, le Far Dareis Mai con il cadin’sor e i Sovin Nai fissavano i servitori, i quali si inchinavano o facevano la riverenza andando subito via, e i giovani della Saldea camminavano con aria tracotante, con addosso le giubbe corte e i pantaloni a sbuffo infilati negli stivali. Faceva caldo anche in quei corridoi ombreggiati, e l’aria era piena di pulviscolo. Alcuni dei servitori indossavano la livrea rossa e bianca che avevano portato durante la reggenza di Morgase, ma molti erano nuovi e vestivano gli stessi indumenti che avevano avuto al momento dell’assunzione, una collezione multicolore di abiti da contadino o da commerciante, in prevalenza scuri e semplici, ma in diversi colori e, di tanto in tanto, adornati da ricami o merletti.

Rand prese nota mentalmente di chiedere a comare Harfor, la prima cameriera, di trovare delle livree per tutti in modo che i nuovi arrivati non si sentissero in dovere di indossare i loro abiti migliori per lavorare. La livrea di palazzo era senza dubbio un indumento più fine di quelli che ogni contadino avesse mai posseduto: nemmeno il vestito della festa la eguagliava. I camerieri erano meno che ai tempi di Morgase, e molti di quelli che indossavano la livrea rossa e bianca erano per lo più uomini e donne anziani e ricurvi, e venivano dagli alloggi dei pensionati. Invece di fuggire come stavano facendo tanti, avevano rinunciato alla pensione pur di non veder decadere il palazzo. Un’altra nota mentale. Chiedere a comare Harfor — prima cameriera era un titolo antipatico, ma Reene Harfor faceva andare avanti il palazzo, giorno dopo giorno — di trovare abbastanza servitori per permettere agli anziani di godersi il riposo. Ma le pensioni venivano ancora pagate dopo la morte di Morgase? Avrebbe dovuto pensarci prima; Halwin Norry, il capo contabile, doveva saperlo. Tutto gli ricordava qualcos’altro che andava fatto. Le Vie; quella non era una cosa da poco. Aveva messo sotto controllo la Porta delle Vie a Cairhien, ma non poteva essere certo di quante altre ce ne fossero.

Sì, avrebbe barattato tutti gli inchini e le riverenze, tutte le scorte d’onore, tutte le domande e gli oneri, tutti i bisogni delle persone che doveva accontentare, tutto per i giorni in cui doveva preoccuparsi solo di trovare una giubba. Era anche vero che a quei tempi non gli sarebbe stato permesso di passeggiare in questi corridoi, sicuramente non senza una scorta di natura diversa, per accertarsi che non si infilasse in tasca una coppa d’argento o d’oro rubata da una nicchia nel muro, o una statuina d’avorio presa da un tavolo tempestato di lapislazzuli.

Almeno quel mattino la voce di Lews Therin non si lamentava. Per giunta, sembrava proprio che Rand avesse raggiunto un discreto controllo del trucco mentale che gli aveva insegnato Taim; il sudore colava sul viso di Bashere, ma quasi non toccava Rand. Oggi aveva addosso una giubba di seta grigia ricamata d’argento abbottonata fin sotto al collo, e anche se sentiva un po’ caldo, non sudava affatto. Taim gli aveva garantito che con il tempo non avrebbe neppure percepito il caldo o il freddo che mettevano in difficoltà gli altri uomini. Si trattava di prendere le distanze da se stessi, di concentrarsi interiormente, come quando si preparava ad abbracciare saidin. Era strano essere così vicini al Potere senza usarlo. Le Aes Sedai facevano lo stesso? Non le aveva mai viste sudare. O sì?

Rand scoppiò in una risata improvvisa. Chiedersi se le Aes Sedai sudavano! Forse non era ancora pazzo, ma poteva sicuramente passare per un idiota completo.

«Ho detto qualcosa di buffo?» chiese asciutto Bashere toccandosi i baffi. Alcune delle Fanciulle lo guardarono piene di aspettativa; stavano sforzandosi di capire il senso dell’umorismo degli abitanti delle terre bagnate.

Rand non capiva come facesse Bashere a rimanere sereno. Quello stesso giorno era giunta una voce al palazzo sui combattimenti nelle Marche di Confine, fragli abitanti delle Marche di Confine. Le voci che giungevano con i viaggiatori spuntavano come erba dopo la pioggia, ma quella era arrivata dal Nord, portata da alcuni mercanti che si erano spinti almeno fino a Tar Valon. Nulla però indicava con precisione dove fossero insorte le battaglie o fra chi. Poteva benissimo trattarsi anche della Saldea e Bashere non aveva ricevuto nessuna notizia dalla sua terra fin da quando era partito mesi prima, eppure pareva avesse sentito che il prezzo delle rape era aumentato, per tutto l’effetto che quelle storie avevano avuto su di lui.

Nemmeno Rand sapeva cosa stesse succedendo nei Fiumi Gemelli — solo delle vaghe storie di sommosse da qualche parte a occidente; in quei giorni poteva significare tutto e niente — ma per lui non era lo stesso. Aveva abbandonato i Fiumi Gemelli. Le Aes Sedai avevano spie ovunque e non avrebbe scommesso un centesimo che i Reietti non stessero facendo lo stesso. Il Drago Rinato non aveva interesse per il villaggio microscopico dov’era cresciuto Rand al’Thor. Era ben oltre. Se non lo fosse stato, allora Emond’s Field sarebbe stata usata come arma per ricattarlo. L’abbandono era abbandono.

Se potessi trovare il modo di sfuggire al mio destino, ne sarei poi all’altezza? Quello era un suo pensiero, non di Lews Therin.

Muovendo le spalle che d’improvviso sembravano fargli molto male, mantenne un tono spensierato. «Perdonami, Bashere. Mi è venuta in mente una stranezza, ma ti stavo ascoltando. Mi stavi dicendo che Caemlyn è piena. Per ogni uomo che è fuggito perché spaventato dal falso Drago, due sono giunti perché non lo sono e non hanno paura. Capisci?»

Bashere sbuffò, il che poteva significare qualunque cosa.

«Quanti sono venuti per altre ragioni, Rand al’Thor?» Bael era l’uomo più alto che Rand avesse mai visto, ben più alto di lui. Il contrasto con Bashere era eclatante dato che questi era più basso di tutte le Fanciulle a eccezione di Enaila. I capelli rosso scuro di Bael erano ricchi di grigio, ma il viso era scarno e duro, gli occhi azzurri attenti. «Hai nemici che bastano per cento persone. Fai attenzione a quanto ti dico: cercheranno di colpirti ancora. Forse fra loro potrebbero anche esserci dei Servi dell’Ombra.»

«Anche se non ci fossero Amici delle Tenebre,» intervenne Bashere «i problemi bollono in città come le foglie di tè in una teiera. Diverse persone sono state malmenate, ovviamente per aver dubitato che sei il Drago Rinato, e un poveraccio è stato trascinato da una taverna in un fienile e impiccato ai travi perché aveva riso dei tuoi miracoli.»

«I miei miracoli?» chiese Rand incredulo.

Un cameriere rugoso che aveva i capelli bianchi e indossava una livrea fin troppo larga teneva fra le mani un vaso, e cercava di inchinarsi e camminare allo stesso tempo, ma inciampò e cadde all’indietro. Il vaso verde chiaro di fine porcellana del Popolo del Mare gli volò di mano e ricadde rimbalzando sulle maioliche rosso scuro del pavimento, rotolò e rimbalzò fino a quando si fermò a circa trenta passi di distanza. L’uomo si rialzò con sorprendente agilità e corse a raccogliere il vaso, fece scorrere le mani su di esso e proruppe in un’esclamazione, stupito che non si fosse nemmeno sbeccato. Gli altri camerieri l’osservarono altrettanto increduli, prima di riprendere d’improvviso le loro attività. Stavano evitando di guardare Rand con tale sforzo che alcuni dimenticarono di inchinarsi o di fare la riverenza.

Bashere e Bael si scambiarono delle occhiate e il primo si soffiò sui baffi.

«Allora chiamali fatti insoliti» spiegò. «Ogni giorno c’è un nuovo racconto su un bambino caduto a testa in giù sul lastricato di pietra da una finestra a dodici metri d’altezza senza nemmeno procurarsi un livido. O di una vecchia che si è ritrovata davanti a una dozzina di cavalli in fuga che non l’hanno nemmeno sfiorata, tantomeno fatta cadere o travolta. Alcuni tipi hanno ottenuto cinque corone ventidue volte di seguito in una partita a dadi e tutto viene imputato a te.»

«Si dice» aggiunse Bael «che ieri un cesto pieno di tegole sia caduto da un tetto atterrando intero in strada, e che le tegole si sono disposte formando l’antico simbolo Aes Sedai.» Guardò il vecchio servitore che stringeva a bocca aperta il vaso al petto mentre lo oltrepassavano. «Non ho dubbi che sia accaduto.»

Rand sospirò lentamente. Non parlarono dell’altro tipo di eventi. Dell’uomo che aveva inciampato in un gradino ed era rimasto impiccato con la sciarpa agganciata al chiavistello. Della tegola che era volata via da un tetto a causa del forte vento, era entrata in una finestra aperta e aveva ucciso una donna seduta a tavola con la famiglia. Il tipo di cose che accadevano raramente. Solo che ora, attorno a lui, non erano più rare. Nel bene o nel male, in uguale proporzione, Rand modificava il fato con la sua sola presenza. Anche se i Draghi fossero scomparsi dalle sue braccia e gli aironi dai palmi delle mani, era comunque marchiato. Nelle Marche di Confine vi era un proverbio: «Il dovere è più pesante di una montagna, la morte più leggera di una piuma.» Una volta che avevi quella montagna saldamente sulle tue spalle, non c’era modo di posarla. Non c’era comunque nessun altro che potesse trasportarla, e lamentarsi non sarebbe servito a nulla.

Rand rese la sua voce energica. «Avete scoperto gli uomini che hanno eseguito l’impiccagione?» Bashere scosse il capo. «Allora trovali e arrestali per omicidio. Voglio porre fine a tutto ciò. Subito. Dubitare di me non è un crimine.» Le voci narravano che in effetti il Profeta lo avesse reso un crimine, ma Rand non poteva ancora farci nulla. Non sapeva nemmeno dove fosse Masema, se non che si trovava da qualche parte nel Ghealdan o in Amadicia. Sempre che nel frattempo non si fosse spostato altrove. Prese un’altra nota mentale; doveva trovare l’uomo e in qualche modo tenerlo a freno.

«Non importa quanto ci spingiamo avanti?» chiese Bashere. «Circolano voci che tu sia un falso Drago e abbia ucciso Morgase facendoti aiutare da un’Aes Sedai. Quella gente in teoria dovrebbe sollevarsi e vendicare la propria regina. Forse ce n’è più d’uno. Non è chiaro.»

L’espressione di Rand si indurì. Con la prima parte della voce poteva convivere — doveva; c’erano troppe varianti per metterla definitivamente a tacere, per quante volte negasse — ma non avrebbe tollerato l’incitamento alla ribellione. Non avrebbe diviso Andor con la guerra. Avrebbe consegnato a Elayne un reame incontaminato, così com’era arrivato nelle sue mani. Se mai l’avesse trovata, lo avrebbe fatto. «Scopri chi ha dato il via al tutto,» disse brusco «e buttali in prigione.» Luce, com’era possibile trovare chi aveva messo in circolazione una voce? «Se vogliono il perdono, possono rivolgersi a Elayne.» Una giovane inserviente con addosso un rozzo abito marrone, che stava spolverando una coppa di vetro soffiato blu, lo vide in volto e la coppa le cadde di colpo dalle mani tremanti, finendo in mille pezzi. Rand non sempre riusciva a cambiare il destino. «Ci sono delle buone notizie? Mi piacerebbe sentirne qualcuna.»

La giovane donna si inchinò malferma per raccogliere i pezzi di vetro, ma Sulin la guardò, solo uno sguardo, e la ragazza balzò indietro appiattendosi con gli occhi sgranati contro un arazzo che ritraeva una scena di caccia al leopardo. Rand non capiva, ma alcune donne parevano avere più paura delle Fanciulle che degli uomini aiel. La ragazza guardava Bael come se sperasse che l’avrebbe protetta. L’uomo non sembrava averla notata.

«Dipende da cosa intendi per buone notizie.» Bashere sollevò le spalle. «Ho scoperto che Ellorien della casata Traemane e Pelivar della casata Coelan sono entrati in città qualche giorno fa. Di soppiatto, direi, e nessuno si è avventurato oltre la città interna, almeno che io abbia sentito. Le voci per le strade sostengono che lord Dyelin della casata Taravin si trovi nelle campagne circostanti. Nessuno di loro ha risposto al tuo invito, ma non ho sentito nulla che collegasse uno di loro alle storie su Andor.» Lanciò un’occhiata a Bael, che scosse leggermente il capo.

«Ne sappiamo meno di te, Davram Bashere. Quelle persone parlano più liberamente con altri abitanti delle terre bagnate.»

In ogni caso erano buone notizie. Si trattava di individui di cui Rand aveva bisogno. Se lo ritenevano un falso Drago, avrebbe trovato una soluzione. Se credevano che avesse ucciso Morgase... Be’, tanto meglio se fossero rimasti leali alla sua memoria e al suo sangue. «Rinnova gli inviti a venirmi a trovare. Includi il nome di Dyelin; forse sanno dove si trova.»

«Se porto io un invito del genere,» rispose dubbioso Bashere «finirebbe solo per ricordargli ancora una volta che ad Andor adesso c’è un esercito della Saldea.»

Rand esitò, quindi annuì ridendo improvvisamente. «Chiedi a lady Arymilla di consegnarlo. Non no dubbi che scatterà davanti a un’occasione così ghiotta di mostrare quanto mi sia vicina. Ma scrivilo tu.» Le lezioni di Moiraine nel Gioco delle Casate si erano rivelate ancora una volta utili.

«Non so se si tratti di buone notizie o meno,» aggiunse Bael «ma gli Scudi Rossi mi hanno riferito che due Aes Sedai hanno preso delle stanze in una locanda nella città nuova.» Gli Scudi Rossi aiutavano Bashere nelle azioni di polizia a Caemlyn. Bael sorrise leggermente al cambio d’espressione di Bashere. «Sentiamo di meno, Davram Bashere, ma forse a volte vediamo di più.»

«Una di loro è la nostra amica che ama i gatti?» chiese Rand. I racconti sulle Aes Sedai in città non calavano di frequenza; a volte si trattava di due o tre donne, altre di un intero gruppo. La cosa più concreta che avessero scoperto Bashere o Bael era qualche storia su un’Aes Sedai che guariva cani e gatti, sempre nella strada accanto, raccontata da qualcuno che l’aveva sentito dire da un uomo, che a sua volta l’aveva sentito in una taverna o al mercato.

Bael scosse il capo. «Non credo. Gli Scudi Rossi dicono che quelle due dovrebbero essere arrivate la scorsa notte.» Bashere pareva interessato — era difficile che perdesse l’occasione di ricordare a Rand che aveva bisogno di un’Aes Sedai — ma Bael era cupo, anche se lo dava a vedere così poco che nessuno se non gli Aiel lo avrebbero notato. Gli Aiel erano molto attenti nei loro rapporti con le Aes Sedai, addirittura riluttanti.

Quelle poche parole avevano dato a Rand molto da pensare, e ogni ipotesi ritornava al punto di partenza. Due Aes Sedai dovevano avere un motivo per venire a Caemlyn, quando le loro Sorelle evitavano la città fin dalla sua comparsa. Molto probabilmente aveva a che fare con lui. Anche in tempi migliori erano poche le persone che viaggiavano di notte, e quei tempi non erano certo i migliori. Le Aes Sedai giunte durante la notte forse cercavano di non essere notate, e nello specifico stavano evitando di richiamare la sua attenzione. D’altro canto, forse stavano solo recandosi urgentemente da qualche parte, il che poteva essere tradotto con una missione per conto della Torre. La verità in quel momento era che non sapeva cosa potesse essere più importante di lui per la Torre. O forse stavano andando a unirsi alle Aes Sedai che Egwene sosteneva lo avrebbero appoggiato.

Quale che fosse il motivo, voleva conoscerlo. Solo la Luce sapeva cosa stessero progettando le Aes Sedai — la Torre o il gruppo nascosto di Elayne —, ma doveva scoprirlo. Ce ne erano troppe in giro e potevano essere troppo pericolose per permettersi di non scoprire cosa volessero. Come avrebbe reagito la Torre quando Elaida avesse saputo dell’amnistia? Come avrebbero reagito le Aes Sedai? Ne erano già state informate?

Mentre si avvicinavano alle porte in fondo al corridoio, Rand aprì la bocca per dire a Bael di chiedere a una delle Aes Sedai di venire a palazzo. Poteva vedersela con due di loro se ne avesse avuto bisogno — se non lo prendevano di sorpresa — ma non c’era motivo di correre rischi fino a quando non avesse saputo chi erano e cosa volevano.

Sono pieno di orgoglio, sono malato dell’orgoglio che mi ha distrutto!

Rand incespicò. Era la prima volta quel giorno che Lews Therin parlava — ed era troppo simile a un commento ai suoi pensieri sulle Aes Sedai per sentirsi a suo agio — ma non fu quello a fargli rimangiare quanto stava per dire, fermandosi di colpo.

Per via del caldo, le porte erano spalancate su uno dei giardini del palazzo. I fiori non c’erano più e i cespugli delle stelle bianche erano avvizziti, ma gli alberi resistevano ancora, anche se con poche foglie, attorno alla fontana di marmo bianco che zampillava nel cuore del giardino. Una donna con una gonna marrone e una blusa bianca di algode stava accanto alla fontana; dalle braccia le pendeva uno scialle grigio e fissava la fontana meravigliata, come faceva spesso con l’acqua che non serviva a nulla se non a guardarla. Gli occhi di Rand si riempirono dei lineamenti del volto di Aviendha, i capelli rossi ondulati che le ricadevano sulle spalle sotto una fascia grigia. Luce, com’era bella. Impegnata a guardare l’acqua, non lo aveva visto arrivare.

Era innamorato di lei? Non lo sapeva. La donna si confondeva nei suoi sogni con Elayne e anche con Min. Però sapeva di essere pericoloso. Non aveva nulla da offrire a una donna se non il dolore.

Ilyena, pianse Lews Therin. L’ho uccisa! Che la Luce mi consumi per sempre!

«Una coppia di Aes Sedai che si presentano in quel modo potrebbe essere importante» osservò Rand con calma. «Penso che dovrei visitare la locanda e controllare perché sono venute.» Si «erano fermati quasi tutti quando lo aveva fatto lui, ma Enaila e Jalani si scambiarono alcune occhiate e lo oltrepassarono dirigendosi nel giardino. Rand alzò la voce e assunse un tono di voce decisamente più duro. «Le Fanciulle qui presenti verranno con me. Chiunque voglia indossare un vestito e discutere l’organizzazione dei matrimoni può restare indietro.»

Enaila e Jalani si bloccarono e si voltarono di colpo per guardarlo, con gli occhi colmi di indignazione. Era un bene che Somara oggi non facesse parte della guardia; forse avrebbe proseguito in ogni caso. Le dita di Sulin scattarono nel linguaggio delle Fanciulle, e qualsiasi cosa avesse detto estinse l’indignazione e fece arrossire dall’imbarazzo le due Fanciulle. Gli Aiel avevano ogni genere di segnale da usare quando era più ragionevole tacere. Ogni clan aveva un codice segreto, come anche ogni società, poi c’erano i segni che tutti gli Aiel conoscevano, ma solo le Fanciulle ne avevano fatto un linguaggio.

Rand non attese che Sulin finisse prima di dare le spalle al giardino. Le Aes Sedai potevano lasciare Caemlyn con la stessa velocità con cui erano giunte. Si guardò alle spalle. Aviendha fissava ancora l’acqua; non lo aveva visto. Rand allungò il passo. «Bashere, vorresti inviare uno dei tuoi uomini a preparare i cavalli? Al cancello sud delle stalle.» I cancelli principali del palazzo si aprivano sulla piazza della regina, sicuramente piena di gente che sperava di poterlo vedere. Ci avrebbe impiegato almeno mezz’ora per procedere, se fosse stato fortunato.

Bashere fece un cenno e uno dei giovani della Saldea scattò con quell’andatura ondeggiante tipica di chi è più abituato alla sella che a camminare. «Un uomo deve sapere quando indietreggiare davanti a una donna,» disse Bashere senza rivolgersi a nessuno in particolare «ma un saggio sa che a volte deve fermarsi e affrontarla.»

«I giovani» aggiunse Bael con indulgenza. «Un giovane dà la caccia alle ombre e scappa dalla luce della luna, ma alla fine si conficca la propria lancia in un piede.» Alcuni Aiel risero, le Fanciulle e le Mani del Pugnale. Sicuramente lo fecero gli anziani.

Rand si guardò ancora alle spalle, stavolta irritato. «Nessuno di voi avrebbe un bell’aspetto con addosso un vestito.» Sorprendentemente le Fanciulle e le Mani del Pugnale risero ancora e forte. Forse stava cominciando a capire il senso dell’umorismo aiel.

Quando cavalcò dal cancello sud verso una delle strade della città interna, trovò la situazione che si aspettava. Gli zoccoli di Jeade’en echeggiavano sul lastricato mentre lo stallone scalciava; ormai era raro che il pezzato uscisse dalla stalla. Le strade erano affollate, ma mai quanto dall’altro lato del palazzo, e tutti avevano un gran da fare. Anche così furono in molti a indicarlo e la gente si metteva fianco a fianco mormorando. Forse alcuni avevano riconosciuto Bashere — a differenza di Rand, era uscito spesso — ma chiunque provenisse dal palazzo, specialmente con una scorta di Aiel, doveva essere importante. Furono seguiti dai mormorii e da dita puntate.

Malgrado gli sguardi, Rand cercò di gustarsi le meraviglie della città interna costruita dagli Ogier. Le rare occasioni che aveva per limitarsi a godere semplicemente di qualcosa erano preziose. Le strade si allontanavano curvando dallo splendente palazzo reale tutto bianco e seguivano i contorni delle colline come se appartenessero al paesaggio. Ovunque si stagliavano sottili torri coperte da tegole colorate, o cupole d’oro, porpora o bianche, che risplendevano sotto la luce del sole. In alcuni punti lo spazio era stato lasciato libero per consentire la vista sui parchi pieni di alberi, quindi una salita riportava gli occhi sulla città e sulle distese erbose e le foreste oltre le alte mura bianche striate d’argento che racchiudevano Caemlyn. La città interna era stata costruita per la gioia e la delizia dell’occhio. Secondo gli Ogier, solo Tar Valon e la favolosa Manetheren la sorpassavano, e molti umani, gli Andorani per primi, ritenevano che Caemlyn le eguagliasse entrambe.

Le candide mura bianche della città interna definivano i contorni della città nuova, con le sue cupole e guglie, che a tratti cercavano di eguagliare l’altezza di quelle della città interna sulle colline più alte. In quel punto le strade erano gremite di umanità e anche gli ampi viali, separati al centro da file di alberi, erano pieni di persone e di carri trainati da buoi o cavalli, persone in groppa ai cavalli o nelle carrozze e portantine. Nell’aria era sospeso un brusio, come se provenisse da un enorme alveare.

Il passaggio fu lento, anche se la folla si allargava per far loro strada. Non sapevano chi fosse Rand, ma nessuno voleva intralciare gli Aiel. Ma con così tante persone, ci voleva comunque del tempo. Contadini con addosso gli abiti di lana grezza e commercianti vestiti con maggior classe. Artigiani indaffarati nei loro commerci e ambulanti che pubblicizzavano le loro merci, dagli spilli e i nastri alla frutta e i fuochi d’artificio, questi ultimi adesso molto preziosi. Un menestrello con il mantello di pezze colorate stava spalla a spalla con tre Aiel che controllavano le lame esposte su un tavolo davanti a una coltelleria. Due tipi smilzi che avevano i capelli scuri acconciati in una treccia e le spade dietro la schiena — Cercatori del Corno, sospettava Rand — parlavano con un gruppo di uomini della Saldea mentre ascoltavano una donna che suonava il flauto e un uomo con il tamburo all’angolo di una strada. C’erano Cairhienesi, più bassi e pallidi, fra gli Andorani e gli scuri Tarenesi, ma Rand aveva visto anche qualcuno proveniente dal Murandy, con le tipiche giacche lunghe, abitanti di Altara con le vesti elaborate, uomini con le barbe biforcute alla moda di Kandor e anche una coppia di Domanesi con i lunghi baffi sottili e gli orecchini.

Fra la folla si poteva vedere anche un’altra categoria di persone, che vagavano con addosso giacche stropicciate e vestiti spiegazzati, spesso impolverati e sempre con lo sguardo fisso, chiaramente senza alcuna meta e nessuna idea di cosa fare. Quelle erano le persone che si erano spinte fino al punto estremo raggiungibile nella loro ricerca. Lui. Il Drago Rinato. Cosa ne avrebbe fatto di loro non lo sapeva, eppure erano sua responsabilità, in un modo o nell’altro. Non contava che non fosse stato lui a chiedere loro di gettare alle ortiche le proprie vite, o di abbandonare tutto: l’avevano fatto comunque. A causa sua. E se avessero scoperto chi era avrebbero potuto sopraffare gli Aiel e farlo a pezzi per la sola impazienza di toccarlo.

Rand toccò la statuina dell’uomo grasso che aveva in tasca. Un oggetto utile se avesse dovuto usare il Potere per proteggersi da chi aveva rinunciato a tutto per lui. Era il motivo per cui si spingeva raramente in città. Uno dei motivi. Aveva troppo da fare per uscire a cavalcare oziosamente.

La locanda dove li guidò Bael, verso l’estremità occidentale della città, si chiamava Il segugio di Culain, tre piani di pietra con il tetto di tegole rosse. La folla di passaggio occupava entrambi i lati della contorta strada laterale e, quando si fermò, si strinse attorno al gruppo di Rand, che toccò ancora il ter’angreal — due Aes Sedai; doveva essere in grado di occuparsi di loro senza ricorrervi — prima di smontare di sella ed entrare nella locanda. Non prima di tre Fanciulle e una coppia di Mani del Pugnale, tutti circospetti e pronti a sollevare il velo. Per lui sarebbe stato più facile insegnare a un gatto a cantare. Bashere e gli altri lasciarono due soldati della Saldea con i cavalli e lo seguirono con Bael, quindi si mosse anche il resto degli Aiel, tranne quelli che erano rimasti fuori di guardia. Ciò che trovarono non era quanto Rand si aspettava.

La sala comune era uguale a tante altre a Caemlyn, grandi barili di birra e vino appoggiati alla parete intonacata, sormontati da barilotti di acquavite e un gatto tigrato sdraiato su uno di essi, una coppia di camini di pietra con il focolare spento e tre o quattro cameriere con il grembiule bianco che camminavano fra i tavoli e le panche sparse sul pavimento di legno sotto il soffitto a travi. Il locandiere, un uomo dal viso rotondo con il triplo mento e un grembiule bianco legato in vita, andò loro incontro sfregandosi nervosamente le mani. La gente di Caemlyn sapeva che gli Aiel non avrebbero saccheggiato e incendiato tutto ciò che trovavano sul loro camino — convincerli che Andor non era terra di conquista e che non potevano prendere il quinto era stata un’impresa ardua — ma proprio per questo i locandieri erano abituati ad averne una ventina nella sala comune tutti in una volta.

Il locandiere si concentrò su Rand e Bashere. Soprattutto su Bashere. Erano chiaramente due uomini di potere a giudicare dagli indumenti, ma Bashere era più anziano e di conseguenza più importante. «Benvenuto mio signore, miei signori. Cosa posso offrirvi? Ho dei vini del Murandy e di Andor, acquavite di...»

Rand lo ignorò. Ciò che ciò che differenziava quel luogo dalle altre sale comuni, erano gli avventori. A quell’ora si sarebbe aspettato uno o due uomini, ma non ce n’era nessuno. Invece la maggior parte dei tavoli era occupata da ragazze con addosso abiti semplici, che si voltarono con le tazze in mano per osservare i nuovi arrivati. Più di una si lasciò sfuggire un’esclamazione per la statura di Bael. Non tutte fissavano gli Aiel, molte erano concentrate su Rand, e gli fecero sgranare gli occhi. Le conosceva. Non bene, ma le conosceva. Una in particolare attirò la sua attenzione.

«Bode?» chiese incredulo. Quella ragazza dai grandi occhi che lo fissava — da quando era diventata abbastanza grande da portare la treccia? — era Bodewhin Cauthon. La sorella di Mat. E c’era la paffuta Hilde Barran, seduta vicino alla magra Jerlin al’Caar e la graziosa Marisa Ahan, con le mani sulle guance come faceva sempre quando era sorpresa. La prosperosa Emry Lewin ed Elise Marwin, Darea Candwin e... erano tutte di Emond’s Field, o dei paraggi. Dopo aver lanciato un’occhiata ai tavoli intorno si accorse che anche le altre dovevano essere dei Fiumi Gemelli, almeno la maggior parte — vide una Domanese e una o due che forse erano di luoghi anche più remoti — ma ogni vestito avrebbe potuto essere indossato a una festa sul prato comune di Emond’s Field. «Che cosa ci fate qui, per la Luce?»

«Stiamo andando a Tar Valon» riuscì a rispondere Bode anche se era rimasta a bocca aperta. La sola cosa che ricordasse Mat era un che di malizioso negli occhi. Lo stupore nel vederlo svanì rapidamente, rimpiazzato da un ampio sorriso deliziato. «Per diventare Aes Sedai, come Egwene e Nynaeve.»

«Potremmo rivolgerti la stessa domanda» intervenne la longilinea Larine Ayellin, sistemandosi la treccia sulla spalla con studiata indifferenza. La più grande delle ragazze di Emond’s Field — almeno tre anni più piccola di lui, ma la sola oltre Bode ad avere la treccia —, aveva sempre avuto un’alta opinione di se stessa. Era abbastanza carina per riceverne conferma da tutti i ragazzi. «Lord Perrin non ha mai detto più di due parole su di te, se non che eri partito in cerca di avventure. E che indossavi delle belle giubbe, come vedo.»

«Mat sta bene?» chiese Bode, improvvisamente ansiosa. «È con te? Anche mamma si preoccupa molto per lui. Non si ricorda nemmeno di cambiare i calzini, se qualcuno non glielo dice.»

«No,» rispose lentamente Rand «non è qui, ma sta bene.»

«Non ci aspettavamo di trovarti a Caemlyn» osservò Janacy Torffin con la voce acuta. Non doveva avere più di quattordici anni. Era la più giovane, almeno fra le ragazze di Emond’s Field. «Verin Sedai e Alanna Sedai saranno contente, scommetto. Chiedono sempre notizie su di te.»

Quindi erano quelle le due Aes Sedai. Conosceva abbastanza Verin, una Sorella Marrone. Però non sapeva cosa pensare della sua presenza in quel posto. Ma non era molto importante. Quelle ragazze venivano da ‘casa’. «È tutto a posto nei Fiumi Gemelli? A Emond’s Field? Perrin è giunto sano e salvo a quanto pare. Aspettate! ‘Lord’ Perrin?»

Fu la domanda che spalancò le chiuse. Le altre ragazze dei Fiumi Gemelli erano più interessate agli Aiel e lanciavano loro delle occhiate in tralice, specialmente a Bael, e qualcuna si interessava anche ai soldati della Saldea, ma quelle di Emond’s Field si erano affollate intorno a Rand e cercavano tutte di raccontare i fatti in una sola volta, creando una confusione tremenda, interponendo domande su lui e Mat, su Egwene e Nynaeve, alla maggior parte delle quali non sarebbe stato in grado di rispondere in meno di un’ora, se gli avessero lasciato la possibilità di parlare.

I Trolloc avevano invaso i Fiumi Gemelli, ma lord Perrin li aveva cacciati. Proseguirono raccontando la grande battaglia, parlando tutte simultaneamente, tanto che era difficile cogliere i dettagli. Tutti avevano combattuto, ma era stato lord Perrin a salvarli. Sempre lord Perrin; ogni volta che lo chiamava solo Perrin, lo correggevano in quel modo meccanico che si usa quando invece di dire cavalletto si dice cavallo.

Alla notizia che avevano battuto i Trolloc, Rand trattenne il fiato. Li aveva abbandonati in quella situazione. Se fosse andato con Perrin, forse la lista dei morti non sarebbe stata tanto lunga. Erano tanti i nomi che conosceva. Ma se fosse andato, adesso non avrebbe avuto il seguito aiel. Cairhien non sarebbe stata sua, nei limiti in cui lo era, e Rahvin forse avrebbe inviato gli Andorani contro di lui e i Fiumi Gemelli. Doveva pagare il prezzo di ogni decisione che prendeva. C’era anche un prezzo da pagare per ciò che era. Lo pagavano altri. Doveva continuare a ricordarsi che era inferiore a quanto avrebbero pagato se lui non ci fosse stato. Ma quel pensiero non lo aiutava molto.

Avendo scambiato la sua espressione per costernazione nell’ascoltare la lista dei morti di Emond’s Field, le ragazze si affrettarono a parlare di argomenti più felici. Sembrava che Perrin avesse sposato Faile. Rand gli augurava molta felicità, ma si chiese quanto sarebbe durata. Le ragazze avevano un punto di vista romantico e meraviglioso e parevano solo rimpiangere che non ci fosse stato tempo per la solita festa nuziale. Apprezzavano Faile, la ammiravano, e alcune erano anche un po’ invidiose, come Larine.

C’erano stati i Manti Bianchi e con loro Padan Fain, il vecchio ambulante che arrivava ogni primavera a Emond’s Field. Le ragazze sembravano incerte se i Manti Bianchi fossero nemici o amici, ma su Rand Fain non esistevano dubbi. Fain era un Amico delle Tenebre, forse peggio di un Amico delle Tenebre, e avrebbe fatto di tutto per fare del male a Rand, Mat e Perrin. In particolar modo a Rand. Forse la notizia peggiore che avevano per lui era che nessuno sapeva se Fain fosse morto. In ogni caso, i Manti Bianchì erano andati via, i Trolloc anche, e i profughi arrivavano in gran numero da oltre le montagne della Nebbia portando ogni tipo di novità, dalle usanze del commercio, alle piante, o ai semi e i tessuti. Una delle ragazze era domanese e ce ne erano due di Tarabon e tre della piana di Almoth.

«Larine ha comperato un vestito domanese,» rise la piccola Janacy socchiudendo gli occhi «ma la madre glielo ha fatto portare dalla sarta.» Larine sollevò una mano, quindi ci ripensò e si sistemò la treccia tirando su con il naso. Janacy rise ancora.

«A chi importa dei vestiti?» obiettò Susa al’Seen. «A Rand no di certo.» Susa era sempre stata eccitabile, e ora saltellava addirittura. «Alanna Sedai e Verin Sedai hanno esaminato tutte noi, be’, quasi tutte...»

«Anche Cilia Cole voleva essere esaminata» intervenne la robusta Marce Eldin. Rand non se la ricordava bene, solo che passava tutto il tempo a studiare, anche quando camminava. «Ha insistito! Alla fine è passata, ma le hanno detto che era troppo vecchia per essere una novizia.» Susa proseguì il racconto: «Siamo passate tutte...»

«Abbiamo viaggiato un giorno e una notte dopo Ponte Bianco» intervenne Bode. «È bello fermarsi nello stesso posto per un breve periodo.»

«Hai visto Ponte Bianco, Rand?» chiese Janacy sovrapponendosi a Bode. «Il vero Ponte Bianco?»

«...E stiamo andando a Tar Valon per diventare Aes Sedai!» concluse Susa lanciando un’occhiataccia a Bode, Marce e Janacy.

«Ma non andremo subito a Tar Valon.»

La voce proveniente dalla porta che dava sulla strada distolse l’attenzione delle ragazze da Rand, ma le due Aes Sedai che stavano entrando in quel momento misero a tacere in maniera sbrigativa le loro domande. L’interesse delle Aes Sedai era tutto per Rand. Erano due donne diametralmente opposte, malgrado l’assenza dei segni del tempo che le accomunava. Entrambe avrebbero potuto avere qualunque età, ma Verin era bassa e grassoccia, con il viso squadrato e un tocco di grigio fra i capelli, mentre l’altra, che doveva essere Alanna, era scura e snella, una bellissima donna scaltra che aveva i capelli neri e una luce negli occhi che suggeriva un carattere collerico. Gli occhi erano anche leggermente rossi, come se avesse pianto, benché Rand dubitasse che le Aes Sedai piangessero. L’abito da cavallo che aveva addosso era di seta grigia con delle striature verdi, e pareva che lo avesse appena indossato, mentre quello marrone chiaro di Verin sembrava leggermente stropicciato. Anche se Verin prestava poca attenzione all’abbigliamento, gli occhi scuri erano molto vigili. Si fissarono su Rand come una cozza su uno scoglio.

Due uomini con gli indumenti verdi le seguirono nella sala comune, uno robusto e con i capelli grigi, l’altro alto, scuro e magro, ma entrambi avevano la spada al fianco e le movenze fluide che li avrebbero identificati come Custodi, anche senza Aes Sedai. Ignorarono Rand e si concentrarono sugli Aiel e i soldati della Saldea immobili, anche se parevano allo stesso tempo pronti a scattare. Nemmeno gli Aiel si mossero, ma erano pronti a velarsi da un istante all’altro, e lo stesso valeva per le Fanciulle e le Mani del Pugnale; i giovani soldati invece avvicinarono le mani alle else delle spade. Solo Bael e Bashere sembravano a loro agio. Le ragazze notarono solamente le Aes Sedai, ma il grasso locandiere percepì gli umori e cominciò a sfregarsi le mani, senza dubbio vedendo già la sala comune distrutta, se non tutta la locanda.

«Non ci saranno problemi» disse Rand a bassa voce ma deciso, rivolto al locandiere e agli Aiel. A tutti, sperava. «Nessun problema a meno che non inizi tu, Verin.» Molte delle ragazze ridacchiarono, sentendo qualcuno rivolgersi in quel modo a un’Aes Sedai, e Larine tirò su con il naso.

Verin lo studiò con attenzione. «Chi siamo noi per dare adito a dei problemi nelle tue vicinanze? Sei arrivato lontano, dall’ultima volta che ti ho visto.»

Per motivi suoi, Rand non voleva parlarne. «Se avete deciso di non andare a Tar Valon, allora dovete aver saputo che la Torre è spezzata.» L’osservazione diede il via a un brusio stupito fra le ragazze; loro sicuramente non ne avevano sentito parlare. Le Aes Sedai non reagirono in alcun modo. «Sapete dove si trovano quelle che si oppongono a Elaida?»

«Ci sono argomenti che dovremmo discutere in disparte» intervenne Alanna con calma. «Mastro Dilham, avremo bisogno della tua sala da pranzo privata.»

Il locandiere cadde quasi in terra mentre le assicurava che era a loro disposizione.

Verin si avviò verso una porta laterale. «Da questa parte, Rand.» Alanna lo guardò sollevando un sopracciglio con fare interrogativo.

Lui trattenne un sorriso sarcastico. Erano semplicemente entrate e avevano preso il comando, ma pareva che per le Aes Sedai fosse naturale come respirare. Le ragazze dei Fiumi Gemelli lo fissarono con diversi gradi di commiserazione. Senza dubbio erano convinte che le Aes Sedai lo avrebbero spellato vivo se non si fosse rivolto loro nel modo opportuno. Forse Verin e Alanna la pensavano allo stesso modo. Rivolgendole un lieve inchino, Rand fece cenno ad Alanna di precederlo. Quindi era andato molto lontano, vero? Non avevano nemmeno idea di quanto.

Alanna rispose all’inchino con un cenno del capo, raccolse le gonne e seguì Verin, ma la situazione precipitò immediatamente. I due Custodi si mossero per seguire le Aes Sedai e, prima che avessero fatto un passo, una coppia di Sovin Nai dagli occhi freddi si mosse per bloccarli mentre le mani di Sulin scattavano nel linguaggio delle Fanciulle, inviando Enaila e una giovane robusta di nome Dagendra verso la porta che le Aes Sedai stavano raggiungendo. I soldati della Saldea guardarono Bashere che fece loro cenno di rimanere fermi, ma lui stesso rivolse a Rand un’espressione interrogativa.

Alanna emise un verso di frustrazione. «Parleremo con lui da sole, Ihvon.» Il Custode snello corrugò la fronte, quindi annuì lentamente.

Verin si guardò alle spalle sembrando leggermente stupita, come se fosse stata distolta da pensieri profondi. «Cosa? Oh, sì, ma certo. Tomas, resta qui per favore.» Il Custode dai capelli grigi pareva dubbioso e rivolse a Rand una dura occhiata prima di appoggiarsi contro la parete vicinoalla porta che dava sulla strada, sempre che fosse possibile per un uomo così simile a un palo appoggiarsi da qualche parte. Solo a quel punto le Mani del Pugnale si rilassarono, per quanto potessero rilassarsi gli Aiel.

«Voglio parlare con loro da solo» disse Rand guardando Sulin. Per un istante pensò che la donna avrebbe protestato. Lo fissò dura e alla fine il linguaggio delle mani scattò facendo arretrare Enaila e Dagendra, che lo guardarono e scossero il capo in segno di disapprovazione. Le mani di Sulin si mossero di nuovo e tutte le Fanciulle risero. Gli sarebbe piaciuto imparare quel linguaggio delle mani; Sulin si era scandalizzata quando glielo aveva chiesto.

Le ragazze dei Fiumi Gemelli si scambiarono delle occhiate confuse e Rand si incamminò seguendo le Aes Sedai, chiudendosi la porta alle spalle mentre il brusio aumentava. Era una stanza piccola, ma con delle sedie lucidate invece delle panche, candelabri di peltro su entrambi i tavoli, anch’essi lucidati, e un camino con la mensola decorata a viticci. Le due finestre erano chiuse ma nessuno cercò di aprirle. Rand si chiese se le due Aes Sedai avessero notato che il caldo non lo toccava come non toccava loro.

«Le porterete dalle ribelli?» chiese subito Rand.

Aggrottando la fronte, Verin si lisciò il vestito. «Ne sai molto più di noi su quest’argomento.»

«Non abbiamo sentito parlare degli avvenimenti alla Torre fino a quando non abbiamo raggiunto Ponte Bianco.» Il tono di Alanna era freddo, ma gli occhi che teneva fissi su di lui erano roventi. «Che cosa nei sai delle... ribelli?» Insieme a quella parola, nella voce della donna entrò un mondo di disgusto.

Quindi avevano sentito le prime voci a Ponte Bianco e si erano recate subito a Caemlyn, nascondendo tutto alle ragazze. E, a giudicare dalla reazione di Bode e le altre, la decisione di non andare a Tar Valon era stata appena presa. Apparentemente avevano ricevuto conferma delle voci quella mattina. «Suppongo che non vogliate dirmi chi sia la vostra spia a Caemlyn.» Le due si limitarono a guardarlo, e Verin reclinò il capo per osservarlo meglio. Era strano pensare che una volta lo sguardo delle Aes Sedai lo avesse messo a disagio, sempre sereno malgrado gli eventi, così ricco di conoscenza. Adesso avere un’Aes Sedai che lo fissava anzi, due, non gli provocava più i crampi allo stomaco. Orgoglio, rise follemente Lews Therin, ma Rand trattenne una smorfia. «Mi è stato detto che ci sono delle ribelli. Non avete negato di sapere dove si nascondono. Non voglio far loro del male, tutt’altro. Ho motivo di credere che mi appoggerebbero.» Nascose loro la ragione principale per cui voleva scoprire il nascondiglio. Forse Bashere aveva ragione, forse aveva bisogno dell’aiuto delle Aes Sedai, ma soprattutto avrebbe desiderato saperlo perché gli avevano detto che Elayne si trovava con loro. Aveva bisogno di lei per mantenere la pace ad Andor. Era la sola ragione per cui la cercava. Il solo motivo. Lui era pericoloso per lei come lo era per Aviendha. «Per amore della Luce, se lo sapete, ditemelo.»

«Anche se lo sapessimo,» rispose Alanna «non avremmo alcun diritto di rivelarlo a nessuno. Se dovessero decidere di schierarsi dalla tua parte sta’ pur certo che ti cercheranno.»

«Quando vorranno loro», aggiunse Verin «non quando lo desideri tu.»

Rand sorrise cupo. Doveva aspettarselo. Aveva il consiglio di Moiraine che gli risuonava in testa. Non fidarti di nessuna donna che porta lo scialle, glielo aveva detto il giorno in cui era morta.

«Mat si trova con te?» chiese Alanna, come se fosse l’ultima cosa che le era passata per la testa.

«Se anche sapessi dove si trova, perché dovrei dirvelo? Una volta per uno, non vi pare?» Non sembrò che lo trovassero divertente.

«È sciocco trattarci da nemiche» mormorò Alanna avvicinandosi a Rand. «Sembri stanco. Stai riposando abbastanza?» Rand si allontanò dalla mano sollevata della donna, che si fermò. «Nulla di quanto farò qui ti provocherà alcun male.»

Visto che lo aveva detto, doveva essere vero. Rand annuì e la donna gli portò la mano alla testa. Mentre lei abbracciava saidar, Rand sentì la pelle formicolare e fu percorso dalla familiare ondata di calore, la sensazione che la donna stesse controllando il suo stato di salute.

Alanna annuì soddisfatta. Di colpo il calore divenne intenso, un lampo enorme, e Rand ebbe l’impressione di trovarsi per un istante nel centro di una fornace. Anche dopo che la sensazione fu svanita si sentiva strano, consapevole di se stesso come non era mai stato prima; di se stesso e di Alanna. Rand ondeggiò, sentendo la testa vuota e i muscoli molli. Da Lews Therin proveniva un’eco di disagio e confusione.

«Che cos’hai fatto?» le chiese. Furioso, afferrò saidin. La forza del Potere lo aiutò a restare in piedi. «Che cos’hai fatto?»

Qualcosa colpiva il flusso fra lui e la Vera Fonte. Stavano cercando di schermarlo! Intessendo il proprio schermo di protezione, le rimise al loro posto. Si era davvero spinto lontano e aveva imparato molto, dall’ultima volta che Verin lo aveva visto. Verin barcollò e appoggiò una mano sul tavolo per sostenersi; Alanna sbuffò come se l’avesse colpita. «Che cos’hai fatto?» Anche nel profondo del vuoto senza emozioni la voce era furiosa. «Dimmelo! Non ho promesso di non farti del male. Se non me lo dici...»

«Ti ha legato» rispose rapida Verin e, anche se la sua serenità per un istante era stata turbata, la recuperò subito. «Ti ha legato come Custode. Ecco tutto.»

Anche Alanna recuperò rapidamente la compostezza. Schermata, lo affrontò con calma a braccia conserte e un accenno di soddisfazione negli occhi. Soddisfazione! «Ho detto che non ti avrei causato del male e infatti ho fatto esattamente l’opposto.»

Rand cercò di calmarsi, respirando profondamente. Era entrato nella trappola come un cucciolo. La rabbia strisciava attorno al vuoto. Calmo. Doveva rimanere calmo. Uno dei suoi Custodi. Allora era una Verde; ma non faceva alcuna differenza. Ne sapeva poco dei Custodi, certo non aveva idea di come spezzare il legame, o se era possibile farlo. Tutto ciò che Rand percepiva da Lews Therin era una specie di stupore inebetito. Non per la prima volta, Rand desiderò che Lan non se ne fosse andato dopo la morte di Moiraine.

«Avete detto che non andrete a Tar Valon. In tal caso, visto che non sembra sappiate dove si trovano le ribelli, potete rimanere a Caemlyn.» Alanna aprì la bocca, ma Rand la precedette. «Siate grate se deciderò di non legare questi schermi e lasciarvi nelle condizioni in cui siete!» Questo attirò la loro attenzione. Verin tese le labbra e gli occhi di Alanna parevano eguagliare in intensità la fornace che Rand aveva percepito. «Resterete alla larga da me. Tutte e due. A meno che non vi mandi a chiamare, per voi la città interna è proibita. Se tentate d’infrangere questo comando vi lascerò schermate, rinchiuse in cella. Mi avete capito bene?»

«Perfettamente.» A differenza degli occhi, la voce di Alanna era glaciale. Verin si limitò ad annuire.

Rand spalancò la porta e si fermò. Aveva dimenticato le ragazze dei Fiumi Gemelli. Qualcuna adesso parlava con le Fanciulle, qualcuna le guardava solamente mentre sorseggiavano il tè. Bode e una manciata delle ragazze di Emond’s Field stavano interrogando Bashere, che aveva un boccale di peltro in una mano e un piede appoggiato su una panca. La porta che si spalancò li fece girare tutti di scatto.

«Rand,» mormorò Bode «quest’uomo sta dicendo un mucchio di cose terribili sul tuo conto.»

«Dice che sei il Drago Rinato» balbettò Larine. Le ragazze nella stanza non avevano sentito Bashere e rimasero a bocca aperta.

«Lo sono» rispose stanco Rand.

Larine tirò su con il naso incrociando le braccia al petto. «Non appena ho visto quella giubba ho capito che ti eri montato la testa: scappare con un’Aes Sedai come hai fatto. Lo avevo capito prima che parlassi con tanta mancanza di rispetto ad Alanna Sedai e Verin Sedai. Ma non sapevo che fossi diventato uno sciocco totale.»

La risata di Bode fu più spaventata che divertita. «Certe cose non dovresti dirle nemmeno per scherzo, Rand. Tarn ti ha cresciuto troppo bene per permetterti di parlare in questo modo. Tu sei Rand al’Thor. Adesso smettila con queste sciocchezze.»

Rand al’Thor. Era il suo nome, ma non sapeva più chi fosse. Tarn al’Thor lo aveva cresciuto, ma suo padre era stato un capoclan Aiel, morto ormai da molto tempo. Sua madre invece era stata una Fanciulla, ma non Aiel. Era tutto ciò che sapeva sulle sue origini.

Rand era ancora saturo di saidin. Avvolse gentilmente Bode e Larine in alcuni flussi d’Aria e le sollevò fino a quando i piedi non si staccarono dal pavimento. «Io sono il Drago Rinato. Negarlo non cambierà i fatti. Desiderarlo non cambierà i fatti. Non sono l’uomo che conoscevate a Emond’s Fieli Lo capite adesso? Lo capite?» Si accorse che stava gridando e chiuse la bocca. Lo stomaco gli faceva male, e tremava. Perché Alanna aveva fatto ciò che aveva fatto? Quale trama da Aes Sedai sì nascondeva dietro quel viso grazioso? Non fidarti di nessuna di loro, gli aveva detto Moiraine.

Una mano si posò sul braccio di Rand, che voltò la testa di scatto.

«Ti prego, rilasciale» chiese Alanna. «Ti prego. Sono spaventate.»

Erano più che spaventate. Il viso di Larine pareva anemico e stava a bocca aperta, come se volesse gridare ma avesse dimenticato come farlo. Bode piangeva talmente forte che tremava. E non erano le sole. Le altre ragazze dei Fiumi Gemelli si erano radunate il più lontano possibile da lui, e la maggior parte piangeva. Le cameriere facevano parte del gruppo e piangevano forte come le altre. Il locandiere si era inginocchiato, con gli occhi sgranati e senza parole.

Rand appoggiò le ragazze in terra e rilasciò subito saidin. «Mi dispiace. Non intendevo spaventarvi.» Non appena poterono muoversi, Bode e Larine corsero dalle altre, abbracciandole. «Bode? Larine? Mi dispiace. Non vi farò del male, lo prometto.» Le ragazze non lo guardarono. Nessuna di loro lo fece. Sulin sicuramente lo guardava, come anche il resto delle Fanciulle, con i visi e gli occhi inespressivi o con sguardi di disapprovazione.

«Quel che è fatto è fatto» disse Bashere, appoggiando il boccale. «Chi lo sa? Forse è per il meglio.»

Rand annuì lentamente. Probabilmente lo era. Sarebbe stato meglio se si fossero tenute alla larga da lui. Meglio per loro. Avrebbe solo voluto parlare più a lungo di casa sua. Una breve conversazione con delle ragazze che vedevano solo Rand al’Thor. Le ginocchia ancora gli tremavano per il legame, ma una volta che iniziò a muoversi non si fermò fino a quando non fu in sella a Jeade’en. Preferiva che avessero paura di lui. Doveva dimenticare i Fiumi Gemelli. Si chiese se quella montagna a volte fosse più leggera o se si limitasse a divenire sempre più pesante.

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