42 La Torre Nera

Rand e Min rimasero in piedi e si guardarono, senza muoversi, fino a quando lui disse: «Ti piacerebbe venire con me alla fattoria?»

Min sobbalzò leggermente nel sentirlo parlare. «La fattoria?»

«Per la verità si tratta di una scuola. Per gli uomini che vengono da me in seguito all’amnistia.»

Min impallidì. «No, non penso... Merana starà aspettando mie notizie e io dovrei riferire le tue condizioni il più presto possibile. Ognuna di loro potrebbe entrare nella città interna senza saperlo e tu non vorresti... Devo davvero andare.»

Rand non capiva. Senza nemmeno aver incontrato uno degli studenti, aveva paura di loro, uomini che potevano incanalare, uomini che volevano incanalare. In una qualsiasi altra persona sarebbe stato comprensibile, ma lui poteva incanalare e lei era pronta ad arruffargli i capelli, punzecchiarlo nelle costole e insultarlo direttamente. «Vuoi una scorta per ritornare a La corona di Rose? Ci sono malviventi anche alla luce del giorno. Non molti, ma non mi piacerebbe se ti succedesse qualcosa.»

La risata di Min fu leggermente instabile. Era davvero sconvolta per la fattoria. «Mi sono presa cura di me stessa mentre tu ancora accudivi le pecore, pastore.» Fra le mani di Min apparvero improvvisamente due pugnali, leili fece roteare e scomparvero di nuovo nelle maniche, non con la stessa facilità con cui erano usciti. Con un tono di voce molto più sobrio, Min aggiunse: «Devi prenderti cura di te stesso, Rand. Riposa. Sembri stanco.» Sorprendentemente, la ragazza si sollevò in punta di piedi per appoggiare con delicatezza le sue labbra su quelle di Rand, baciandolo. «È bello rivederti, pastore.» Ridendo ancora, stavolta deliziata, uscì.

Rand s’infilò la giubba parlando da solo e andò in camera da letto per prendere la spada riposta in fondo al guardaroba, un mobile scuro e intagliato con motivi floreali che riproducevano delle rose, abbastanza alto e largo da contenere gli abiti di quattro uomini. Stava davvero trasformandosi in una capra libidinosa. Min si stava solo divertendo a sue spese. Rand si chiese per quanto tempo ancora lo avrebbe preso in giro per una frase sfortunata che aveva detto.

Un sacchetto di pezza di dimensioni moderate, che tintinnò quando Rand lo prese da sotto le calze, riposto in una cassettiera decorata con dei lapislazzuli, finì in una delle tasche, e un sacchetto molto più piccolo di velluto fu riposto sopra al ter’angreal. L’argentiere che aveva creato il contenuto del sacchetto grande era stato molto felice di lavorare per il Drago Rinato e aveva cercato di rifiutare il pagamento, bastandogli l’onore di averlo servito. L’orafo che aveva creato il pezzo singolo nell’altro sacchettino aveva chiesto quattro volte più di quanto gli aveva riferito Bashere, e anche una coppia di Fanciulle a sorvegliarlo fino a quando aveva finito, ma il lavoro era valso tutto il denaro speso.

Il viaggio alla fattoria Rand lo aveva in mente da diverso tempo. Non gli piaceva Taim, e Lews Therin sarebbe esploso nelle vicinanze dell’uomo, ma non poteva continuare a evitare quel posto. Soprattutto, non ora. Per quanto ne sapeva, Taim aveva avuto successo nel tenere gli studenti fuori della città — Rand non aveva sentito parlare di alcun incidente, quando in caso contrario gli sarebbe certamente giunta voce — ma le novità su Merana e l’ambasciata avrebbero raggiunto la fattoria, con il carro dei viveri o con i nuovi allievi e, per come si propagavano le voci, nove Aes Sedai sarebbero diventate nove Sorelle Rosse, o novanta, a caccia di uomini da domare. Il risultato poteva essere una fuga di studenti durante la notte o studenti che si sarebbero recati a Caemlyn per colpire per primi. Doveva fermare quella situazione prima ancora che nascesse.

A Caemlyn c’erano già troppe voci sulle Aes Sedai; un altro motivo per andare via. Alanna, Verin e le ragazze dei Fiumi Gemelli si erano trasformate in metà della Torre, secondo la gente, e c’erano molti racconti su Aes Sedai che entravano furtive in città, oltrepassando i cancelli di nascosto durante la notte. Le voci su un’Aes Sedai che guariva i gatti randagi era talmente diffusa che avrebbe quasi potuto crederci, ma tutti gli sforzi di Bashere di risalire all’origine delle dicerie erano stati inutili, vuoti come la storia secondo la quale le donne che accompagnavano il Drago Rinato fossero Aes Sedai camuffate.

Rand si voltò inconsciamente, fissando un muro decorato con delle bande a rilievo che ritraevano leoni e rose, e guardò oltre. Alanna non si trovava più a Il segugio di Culain. Era al limite della sopportazione. Se non fosse stata un’Aes Sedai, Rand avrebbe detto che i nervi della donna stavano vacillando. Una volta si era svegliato di notte certo che stesse piangendo. La sensazione era stata molto forte. A volte dimenticava quasi la presenza della donna fino a quando... non succedeva qualcosa, per esempio lei che lo svegliava. Quella mattina Alanna era... impaziente, sì, impaziente era la parola giusta. Avrebbe scommesso tutta Caemlyn che la linea fra lui e lei correva dritta verso La corona di Rose. Avrebbe anche scommesso che Verin era con lei. Non nove Aes Sedai. Undici.

Lews Therin mormorò a disagio. Erano i versi che faceva un uomo che si chiedeva se si trovasse con le spalle al muro. Anche Rand se lo chiese. Undici, e tredici avrebbero potuto prenderlo facilmente, come tenere in braccio un bambino. Se avesse offerto loro la possibilità di farlo. Lews Therin incominciò a ridere sommessamente, un tipo di risata lamentosa, quindi scomparve di nuovo.

Per un istante Rand prese in considerazione Enaila e Somara, quindi aprì un passaggio proprio lì dove si trovava, sopra il tappeto blu e oro della camera da letto. Visto l’umore del mattino, una di loro sicuramente avrebbe spifferato qualcosa prima che la visita alla fattoria finisse e, ricordando l’occasione precedente, non voleva che gli studenti si guardassero le spalle per paura che venti Fanciulle li attaccassero. Quel tipo di cosa non aumentava il senso di sicurezza di un uomo e gli studenti ne avevano bisogno, se volevano sopravvivere.

Taim aveva ragione su un punto; rimanendo in contatto con saidin un uomo sapeva di essere vivo, e quel contatto era qualcosa di più dei soli sensi amplificati. Malgrado la contaminazione del Tenebroso, la sensazione oleosa che ricopriva le ossa quando il Potere cercava di fondere un corpo o di congelare un uomo fino a farlo cadere a pezzi, quando un passo falso o un istante di debolezza significavano la morte — Luce, si sapeva di essere ancora vivi. Rand respinse comunque la Fonte non appena uscì dal passaggio e non solo per liberarsi della contaminazione prima di dare di stomaco; sembrava peggio di prima, più vile, se possibile.

Il vero motivo per abbandonare il Potere era che non osava incontrare Taim colmato da saidin e con Lews Therin nella testa.

La radura era più arida di quanto ricordasse, c’erano più foglie che si sbriciolavano sotto i suoi piedi e ancora meno alberi. Alcuni dei pini erano completamente gialli e diverse eriche erano morte, grigie e spoglie. La radura era cambiata, la fattoria alterata oltre ogni immaginazione.

Il corpo delle abitazioni sembrava in condizioni migliori con il tetto di paglia nuovo, e il fienile era stato ricostruito; era molto più largo di prima e perfettamente dritto. Il recinto accanto al fienile era pieno di cavalli, mentre quello delle mucche e l’ovile erano stati spostati oltre. Anche per le capre adesso esisteva un recinto, e le galline erano disposte in file ordinate. La foresta era stata fatta arretrare. Una dozzina di lunghe tende bianche formavano una fila oltre il fienile e non lontano erano visibili le strutture di altri due edifici molto più grandi della fattoria, dove un capannello di donne era seduto di fuori a cucire e vegliare su un gruppo di bambini che giocavano con il cerchio, la palla o le bambole. Il cambiamento più grosso erano gli studenti: molti indossavano delle giubbe nere aderenti con il colletto alto e pochi sudavano. Dovevano essere più di cento, di tutte le età. Rand non aveva idea che le ricognizioni di Taim alla ricerca di nuove reclute fossero andate tanto bene. La presenza di saidin sembrava saturare l’aria. Alcuni uomini stavano esercitandosi con dei flussi, incendiavano tronchi, spaccavano pietre o si chiudevano a vicenda in spire d’Aria. Altri incanalavano per trasportare l’acqua mantenendo sospesi i secchi con Aria, o spingevano i carri di letame o accatastavano la legna per il fuoco. Non tutti incanalavano. Henre Haslin teneva sott’occhio una fila di uomini a torso nudo che si esercitavano nelle posizioni della scherma. Aveva solo un ciuffo di capelli bianchi, il naso butterato, e sudava più degli studenti: senza dubbio aveva voglia di bere del vino, ma li osservava e correggeva con la stessa attenzione di quando era Mastro della Spada delle guardie della regina. Saeric, un Goshien delle Acque Rosse dai capelli grigi e senza la mano destra, ne controllava altre due file. Un gruppo scalciava molto in alto, quasi all’altezza della testa, piroetta e calcio, prima con un piede e poi con l’altro, di continuo. Gli altri prendevano a pugni l’aria davanti a loro più velocemente che potevano. Era decisamente diverso dal pietoso insieme di uomini che Rand aveva visto l’ultima volta.

Un tizio quasi di mezza età con la giubba nera si mise davanti a Rand. Aveva il naso aquilino e un ghigno fisso sulla bocca. «E tu come stai?» chiese con l’accento di Tarabon. «Suppongo che sia venuto alla Torre Nera per imparare, sì? Avresti dovuto aspettare il carro di trasporto a Caemlyn. Ti saresti goduto quella bella giubba per un altro giorno.»

«Io sono Rand al’Thor» rispose lui con calma, per non scoppiare in preda a un attacco d’ira. Essere civile non costava nulla e se quello sciocco non avesse capito molto presto che era la cosa migliore da fare... Come se non bastasse, il ghigno dell’uomo divenne più profondo. «Ah, così sei tu, eh?» Guardò Rand dall’alto in basso con insolenza. «A me non sembri tanto grandioso. Penso che io potrei...» Un flusso d’Aria si solidificò proprio prima di colpirlo sotto l’orecchio e farlo crollare a terra.

«A volte serve una dura disciplina» disse Taim, avvicinandosi al caduto. La voce era quasi gioiosa, ma gli occhi scuri a mandorla erano prossimi a un’espressione omicida, puntati contro l’uomo che aveva appena colpito. «Non puoi dire a un uomo che ha il potere di far tremare la terra e poi aspettarti che si comporti con modestia.» I draghi ricamati sulle maniche nere della giubba splendevano al sole; i fili d’oro brillavano ed era naturale, ma cosa faceva splendere il blu? Di colpo Taim alzò la voce: «Kisman! Rochaid! Portate via Tolvar e lavategli la testa fino a quando si sveglia. Nessuna guarigione, badate bene. Forse l’emicrania gli insegnerà a tenere a freno la lingua, la prossima volta.»

Arrivarono due uomini con la giubba nera più giovani di Rand e si chinarono sopra Tolvar, quindi esitarono lanciando un’occhiata a Taim; dopo un istante Rand sentì saidin colmarli; flussi d’Aria sollevarono l’uomo privo di sensi e i due si allontanarono di corsa con il corpo che fluttuava fra loro.

Avrei dovuto ucciderlo molto tempo fa, ansimò Lews Therin. Avrei dovuto... Avrei dovuto... Cercò di protendersi verso la Fonte.

No, che tu sia folgorato! pensò Rand. Non puoi! Sei solo una maledetta voce! Lews Therin fuggì gridando.

Rand respirò lentamente. Taim lo guardava con quel suo mezzo sorriso fisso in volto. «Gli hai insegnato la guarigione?»

«Il poco che so, come prima cosa. Ancor prima del trucco per non sudare a morte con questo tempo. Un’arma perde la sua utilità se rimane a terra alla prima ferita. Finora uno si è ammazzato da solo per aver attinto troppo e tre si sono bruciati la capacità, ma nessuno è ancora morto per un colpo di spada.» Riuscì a infondere il massimo disgusto nella parola ‘spada’.

«Capisco» rispose semplicemente Rand. Uno morto e tre con l’abilità bruciata. Le Aes Sedai perdevano così tante ragazze alla Torre? Ma in fondo loro procedevano lentamente. «Cos’è la Torre Nera di cui parlava quel tizio? Non mi piace il suono di quel nome, Taim.» Lews Therin si lamentò e gemette di nuovo, quasi come se volesse parlare.

L’uomo con il naso aquilino alzò le spalle e studiò la fattoria e gli studenti con un certo orgoglio. «Un nome che usano loro. Non puoi continuare a chiamarla ‘la fattoria’. A loro non sembra giusto; vogliono qualcosa di più. La Torre Nera per bilanciare la Torre Bianca.» Taim reclinò il capo guardando Rand quasi in tralice. «Posso eliminarlo, se lo desideri: è abbastanza facile togliere una parola dalle labbra di un uomo.»

Rand esitò. Forse sarebbe stato abbastanza facile togliere quella parola dalle loro labbra, ma non dalla mente, e doveva comunque essere chiamata in qualche modo. Non ci aveva pensato. Perché non ‘Torre Nera’? Guardò la fattoria e le strutture per i futuri edifici — grandi, ma solo di legno — e il nome lo fece sorridere. «Lascia che lo usino.» Forse la Torre Bianca aveva iniziato umilmente. Non che la Torre Nera avrebbe avuto tempo di crescere, trasformandosi in qualcosa che potesse rivaleggiare con la Torre Bianca. L’ultimo pensiero cancellò il sorriso e Rand guardò i bambini con tristezza. Lui stava giocando come loro, fingeva che ci fosse una possibilità di costruire qualcosa di duraturo. «Raduna gli studenti, Taim. Devo dire loro alcune cose.»

Rand era giunto aspettandosi di riunirli attorno a sé, poi, visto quanti erano, avrebbe voluto parlare dal retro del carro traballante che adesso sembrava scomparso. Taim aveva fatto costruire una piattaforma dalla quale fare gli annunci ufficiali, un blocco di semplice pietra nera lucidato con tanta cura che brillava come uno specchio al sole, con due scalini intagliati sul retro. Si trovava in un’area aperta dietro la fattoria, e il terreno era stato spianato tutto attorno. Le donne e i bambini si riunirono da un lato per guardare e ascoltare.

Dal blocco Rand ebbe la possibilità di vedere degli indizi su quanto si fosse spinto lontano Taim con i suoi reclutamenti. Jahar Narishma, di cui Taim gli aveva parlato, il giovane con la scintilla innata, aveva gli occhi scuri grandi come quelli di una ragazza e il volto pallido, ma era molto scuro e portava i capelli acconciati in due lunghe trecce con dei campanelli d’argento legati in fondo. Taim gli aveva detto che era originario dell’Arafel, ma Rand aveva riconosciuto delle teste rasate con il codino, tipiche dello Shienar, e due uomini con i veli trasparenti, indossati di solito da uomini e donne a Tarabon. Vedeva occhi a mandorla della Saldea e tizi bassi e pallidi di Cairhien. Un vecchio uomo aveva la barba oleata e tagliata a punta come quella dei lord tarenesi, anche se assicurava di non esserlo, e non meno di tre avevano la barba che lasciava scoperto il labbro superiore. Sperava che non reclutando uomini a Illian Taim avesse destato l’interesse di Sammael. Rand si era aspettato soprattutto giovani, ma i volti freschi come quelli di Eben e Fedwin erano bilanciati da teste grigie o calve, alcune anche più grigie di quella di Damer. Adesso che ci pensava non c’era alcun mistero, nessun motivo per cui non dovessero esserci vecchi ai quali poteva essere insegnato qualcosa come ai giovani.

Rand non era bravo con i discorsi, ma aveva pensato a lungo a cosa voleva dire. Non alla prima parte, che comunque, con un po’ di fortuna, sarebbe finita presto. «Probabilmente avrete sentito dei racconti sulla Torre... la Torre Bianca... divisa. Be’, sono veri. Vi sono alcune Aes Sedai ribelli che potrebbero decidere di seguirmi e hanno inviato delle emissarie per parlarmi. Nove, che si trovano a Caemlyn proprio in questo momento e aspettano che io le riceva. Quindi, quando sentirete parlare di Aes Sedai a Caemlyn, non date ascolto a tutte le voci. Sapete per quale motivo si trovano qui e potrete ridere in faccia a chi vi riferirà qualcosa di diverso.»

Non vi fu alcuna reazione. Rimasero in piedi a fissarlo, senza quasi battere ciglio. Taim sembrava a dir poco beffardo. Rand toccò la sacca più grande che aveva in tasca e proseguì con la parte che aveva elaborato.

«Avete bisogno di un nome. Nella lingua antica. Aes Sedai significa Servitrici di Tutti, o qualcosa di simile. La lingua antica non si traduce con facilità.» Lui ne conosceva solo poche parole, da Asmodean, qualcuna imparata da Moiraine e altre che apprendeva di volta in volta da Lews Therin. Era stato Bashere, però, a suggerire quella giusta. «Un’altra parola nella lingua antica è asha’man. Significa guardiano, o guardiani. Forse difensori o qualche altro termine simile. Vi ho detto che la lingua antica è molto flessibile. Guardiano mi sembra la traduzione più appropriata. Non un comune difensore o guardiano. Non potreste definire asha’man un uomo che difende una causa ingiusta e nemmeno uno cattivo. Un asha’man difendeva la verità, la giustizia e i diritti di tutti. Un guardiano che non si sarebbe arreso nemmeno dopo che fosse svanita la speranza.» La Luce sola sapeva se la speranza sarebbe svanita una volta giunta Tarmon Gai’don, se non prima. «Voi siete qui per diventare come loro. Quando avrete finito l’addestramento, sarete Asha’man.»

I mormorii si levarono come un fruscio di foglie al vento mentre il nome venne ripetuto, ma si spensero subito. Volti attenti lo osservavano; poteva quasi vedere le orecchie impazienti di sentire le parole successive. Se non altro era leggermente meglio di prima. Il sacchetto di stoffa tintinnò sommessamente quando l’estrasse dalla tasca.

«Le Aes Sedai iniziano diventando novizie, quindi Ammesse e alla fine Aes Sedai. Anche voi avrete dei gradi, ma non come i loro. Nessuno verrà mandato via, fra noi.» Mandato via? Luce, avrebbe fatto di tutto tranne che legarli mani e piedi per evitare che andassero via, se potevano incanalare. «Quando un uomo arriva alla Torre Nera...» davvero non gli piaceva quel nome «...verrà chiamato soldato, perché questo è ciò che diventa quando si unisce a noi, ciò che diventerete voi, soldati che combattono l’Ombra e chiunque si opponga alla giustizia e opprima i deboli. Quando un soldato raggiungerà una certa perizia nelle sue capacità, verrà chiamato Dedicato e avrà una di queste.» Dal sacchetto estrasse l’emblema che aveva creato l’argentiere, una piccola spada d’argento, perfetta, con la lunga elsa a croci inclinate e la lama ricurva.

«Taira.»

Taim si diresse verso il blocco con passo rigido, e Rand si inchinò per appuntare la spada d’argento sull’alto collo della giubba. Sembrava risplendere anche di più contro la lana nera. Il volto di Taim era espressivo come la roccia sotto i piedi di Rand, che gli passò il sacchetto sussurrando: «Consegnale a chiunque pensi sia pronto. Sii sicuro di scegliere bene.»

Tirandosi su, sperò che i gioielli fossero in numero sufficiente. Non si aspettava affatto tutti quegli uomini. «I Dedicati che imparano abbastanza verranno chiamati Asha’man e indosseranno questo.» Prendendo il piccolo sacchetto di velluto, ne mostrò il contenuto. Il sole brillava sull’oro finemente lavorato e sullo smalto rosso. Una sagoma sinuosa esattamente come quella sulla bandiera del Drago. Anche quella fu appuntata sul colletto di Taim, dall’altro lato, quindi ora spada e Drago risplendevano da entrambi i lati della gola. «Suppongo che io sia stato il primo Asha’man,» disse Rand agli studenti «ma Mazrim Taim è il secondo.» Il volto di Taim faceva sembrare morbida la pietra; cosa c’era di sbagliato in quell’uomo? «Spero che tutti voi diventerete Asha’man, ma che succeda o meno, ricordatevi che siamo tutti soldati. Ci aspettano molte battaglie, forse non sempre quelle che penseremo e, alla fine, l’Ultima Battaglia. Che la Luce voglia sia l’ultima. Se la Luce risplende su di noi, vinceremo. Vinceremo perché dobbiamo.»

Nei suoi piani, avrebbero dovuto acclamarlo una volta che si fosse fermato. Rand non si considerava il tipo di oratore che poteva far saltare e gridare gli uomini, ma questi sapevano perché si trovavano lì. Dire loro che avrebbero vinto avrebbe dovuto sortire qualche effetto, anche flebile. Invece vi fu solo silenzio.

Rand scese dal blocco di pietra e Taim scattò: «Tornate alle vostre lezioni o ai vostri doveri.» Gli studenti — i soldati — si incamminarono quasi con lo stesso silenzio con cui avevano assistito al discorso, se non per qualche mormorio. Taim fece un cenno verso la fattoria. Strinse il sacchetto con tale forza che fu stupefacente che nessuna spilla lo pungesse. «Il mio lord Drago ha tempo per un boccale di vino?»

Rand annuì; voleva arrivare in fondo alla faccenda prima di andare via.

La sala anteriore della fattoria era come si aspettava, un pavimento spoglio e pulito, con delle sedie scompagnate disposte davanti a un camino di mattoni rossi, talmente pulito che sembrava impossibile avesse mai ospitato un fuoco. Vide poi un tavolo coperto da una tovaglia bianca ricamata con motivi floreali. Sora Grady entrò silenziosamente e sistemò un vassoio di legno sopra la tovaglia, con una brocca azzurra colma di vino e due boccali bianchi. Rand pensava che ormai non avrebbe dovuto avere lo sguardo addolorato, ma l’accusa negli occhi della donna lo indusse a gioire quando lasciò la stanza. La donna sudava. Taim lanciò il sacchetto sul vassoio e bevve subito un boccale di vino.

«Non insegni alle donne quel trucco di concentrazione?» chiese Rand. «È crudele farle sudare quando i loro uomini non lo fanno.»

«Molte non ne vogliono sapere» rispose secco Taim. «I loro mariti e fidanzati cercano di insegnarlo, ma la maggior parte rifiuta di ascoltare. Pensano che potrebbe avere a che fare con saidin.»

Rand scrutò il suo boccale di vino. Doveva ascoltarlo, non poteva esplodere solo perché era irritato. «Sono contento di vedere che il reclutamento procede così bene. Hai detto che avresti eguagliato la Torre... la Torre Bianca...» Torre Bianca, Torre Nera.

Che cosa sarebbe successo nelle storie? Se ce ne fossero state... «...in meno di un anno e, se continui di questo passo, penso che ci riuscirai. Non riesco a capire come hai fatto a trovarne così tanti.»

«Setaccia abbastanza sabbia,» rispose risoluto Taim «e prima o poi troverai qualche pezzo d’oro. Adesso lascio che altri svolgano il compito, io faccio solo un viaggio o due. Damer, Grady, ci sono dozzine di uomini che so di poter lasciare soli per un giorno. Sono abbastanza grandi da non fare stupidaggini e ci sono giovani a sufficienza abbastanza forti per creare un passaggio, se non altro per accompagnare i vecchi che non possono. Avrai i tuoi mille prima della fine dell’anno. Che mi dici di quelli che ho mandato a Caemlyn? Ne hai ricavato un esercito? Ne hai mille e più.»

«È un compito che lascio a Bashere» rispose con calma Rand. Le labbra di Taim si contrassero derisorie e Rand appoggiò il boccale sul tavolo prima che potesse spezzarlo fra le mani. Bashere stava facendo quanto poteva con loro, Rand lo capiva bene, in un accampamento da qualche parte a ovest della città; ciò che poteva, considerando quel che erano, come aveva detto l’uomo della Saldea, un’accozzaglia di contadini squattrinati, apprendisti fuggiaschi e artigiani falliti che non avevano mai brandito una spada, non erano mai saliti su un cavallo con la sella e non si erano mai trovati a più di cinque chilometri da dove erano nati. Rand aveva troppe cose a cui pensare per preoccuparsi di questioni simili; aveva detto a Bashere di fare ciò che voleva con loro e di non disturbarlo a meno che non si sollevasse una sommossa.

Guardando Taim che non faceva nessuno sforzo per nascondere il suo disprezzo, si mise le mani dietro la schiena e strinse i pugni. Lews Therin si lamentava in lontananza, un’eco della propria rabbia. «Che cosa c’è che non va? Sei nervoso da quando ti ho appuntato quelle spille. Ha a che fare con quegli oggetti? Se è così, non capisco. Questi uomini avranno un’opinione migliore su quelli che riceveranno, vedendo che tu li hai avuti dal Drago Rinato. Avranno un’opinione migliore anche di te. Forse non dovrai più mantenere la disciplina colpendoli sulla testa. Be’, che cos’hai da rispondere?» Aveva iniziato abbastanza bene, con un tono calmo, anche se non moderato — non aveva intenzione di essere tranquillo — ma mentre parlava aveva alzato la voce. Non gridò, ma l’ultima domanda schioccò come un colpo di frusta.

La trasformazione più palese la riscontrò nell’altro uomo. Taira tremava visibilmente — Rand avrebbe detto dalla rabbia, non dalla paura — ma quando smise di tremare, fu di nuovo se stesso. Non amichevole e derisorio, ma molto più rilassato e con un grande controllo di se stesso. «Visto che vuoi saperlo, a preoccuparmi siete tu e le Aes Sedai. Nove Aes Sedai a Caemlyn, più altre due, fa undici. Potrebbero arrivarne una o due in più. Non sono ancora riuscito a trovarle, ma...»

«Ti ho detto di stare fuori dalla città» rispose atono Rand.

«Ho trovato alcuni uomini che fanno domande per mio conto.» Il tono di Taim era secco come la polvere. «Non mi sono allontanato da qui fin da quando ti ho salvato dall’Uomo Grigio.»

Rand tollerò la risposta. Appena. La voce nella testa era troppo bassa perché ne capisse le parole, ma rombava come il tuono. «Riusciranno a catturare il fumo a mani nude, prima di poter scoprire qualcosa.» La risposta giunse con tutto il disgusto che provava — Taim lo aveva salvato? — e l’uomo scattò. Esteriormente sembrava ancora a suo agio, ma gli occhi avrebbero potuto essere pietre nere.

«E se si uniscono alle Rosse?» La voce di Taim era fredda e divertita, ma gli occhi brillavano. «Ci sono Sorelle Rosse nelle campagne qui intorno. Diversi gruppi, giunti negli ultimi giorni. Cercano di intercettare gli uomini che vengono da noi.»

Lo ucciderò, gridò Lews Therin, e Rand sentì che cercava di raggiungere saidin.

Vai via, gli ingiunse Rand con fermezza, ma il tentativo di prendere il controllo continuò, come anche la voce.

Lo ucciderò, e loro con lui. Devono essere al suo servizio. Mi sembra chiaro; devono essere al suo servizio.

Vai via, gridò Rand nella propria mente. Sei solo una voce! Che si protende verso la Fonte, pensò.

Oh, Luce, li ho uccisi tutti. Tutti quelli che amavo. Se però uccido questo, sarà un bene. Potrò pareggiare i conti, se finalmente lo uccido. No, nulla pareggerà i conti, ma devo comunque ucciderlo. Ucciderli tutti. Devo. Devo.

No! gridò ancora Rand nella sua testa. Sei morto, Lews Therin. Io sono vivo, che tu sia folgorato, e tu sei morto! Sei morto!

Rand si accorse di colpo di essere appoggiato al tavolo, tenendosi in piedi a forza sulle ginocchia tremanti, mentre borbottava: «Sei morto! Io sono vivo e tu sei morto!» Ma non aveva afferrato saidin. E nemmeno Lews Therin. Guardò Taim tremare e fu sorpreso di riscontrare che l’uomo era preoccupato.

«Devi resistere» disse sottovoce Taim. «Se la sanità mentale può essere protetta, devi farlo. Se dovessi fallire il prezzo sarà troppo alto.»

«Non fallirò» rispose Rand, alzandosi. Lews Therin era silenzioso. Non sembrava esserci null’altro nella sua testa se non se stesso. E la sensazione di Alanna. «Quelle Rosse hanno preso qualcuno?»

«Non che io sappia.» Taim l’osservò con cautela, come se si aspettasse un’altra esplosione. «La maggior parte degli studenti adesso giunge attraverso i passaggi e, con tutta la gente che c’è in strada, non dev’essere facile riconoscere un uomo che si dirige qui a meno che non parli con troppa libertà.» Fece una pausa, quindi aggiunse: «In ogni caso, possiamo liberarcene facilmente.»

«No.» Lews Therin era davvero andato via? Lo avrebbe voluto e sapeva che sarebbe stato uno sciocco se lo avesse creduto. «Se iniziano a catturare uomini dovrò fare qualcosa, ma al momento attuale non sono una minaccia e, credimi, nessuna inviata di Elaida si unirà a quelle Aes Sedai in città. Entrambi i gruppi probabilmente preferirebbero dare il benvenuto a te anziché incontrarsi.»

«E quelle che non sono in campagna? Le undici? Qualche incidente le potrebbe ridurre a un numero più sicuro. Se non vuoi sporcarti le mani, io sono disposto a...»

«No! Quante volte devo dirti di no? Se percepissi un uomo che incanala a Caemlyn, verrò a cercarti, Taim. Giuro che lo farò. E non pensare che se ti trovassi abbastanza lontano dal palazzo da non farti percepire da me, saresti al sicuro per questo. Se una di quelle Aes Sedai muore senza motivo apparente, saprò chi incolpare, ricordatelo!»

«Le restrizioni che m’imponi sono vaste» rispose asciutto Taim. «Se Sammael o Demandred decidessero di farsi beffe di te eliminando qualche Aes Sedai, ucciderai me anche per questo?»

«Finora non lo hanno fatto e farai meglio a sperare che non comincino adesso. Come ho detto, vedi di darmi ascolto.»

«Ho sentito, mio lord Drago, e naturalmente obbedisco.» L’uomo con il naso aquilino si inchinò leggermente. «Ma undici rimane un numero pericoloso.»

Rand rise pur non volendo. «Taim, ho intenzione di insegnar loro a ballare al suono del mio flauto.» Luce, da quanto tempo non suonava più il flauto? Dov’era il suo flauto? Sentì Lews Therin ridere.

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