33 Il coraggio di fortificarsi

Egwene s’inginocchiò con addosso solo la camicia da notte e aggrottò le sopracciglia nel vedere l’abito da cavallo di seta verde scuro che aveva indossato nel deserto, in un tempo che sembrava molto lontano. C’era così tanto da fare. Aveva riservato qualche momento per scrivere un appunto, svegliando poi Cowinde per darle istruzione di lasciarlo a L’uomo alto la mattina seguente. Diceva poco oltre al fatto che doveva andare via — non ne sapeva di più — ma non poteva scomparire senza comunicarlo a Gawyn. Alcune delle frasi la fecero arrossire al ricordo — dirgli che lo amava era una cosa, ma chiedergli di aspettarla! — ma si era presa cura di lui meglio che poteva. Adesso doveva prepararsi e non sapeva nemmeno per cosa.

L’ingresso della tenda si sollevò per ammettere Amys, quindi Bair e Sorilea. Erano in fila e la guardavano dall’alto in basso. Tre volti pieni di disapprovazione. Fu molto difficile per Egwene non stringersi il vestito al petto; in camicia da notte si sentiva svantaggiata. Anche con un’armatura addosso sarebbe stata in svantaggio. Sapeva di essere in torto. Era anche sorpresa che ci avessero messo tanto a venire. Egwene sospirò profondamente. «Se siete venute per punirmi, non ho tempo di trasportare acqua, scavare buche o cose simili. Mi dispiace, ma ho detto che mi sarei mossa prima possibile e credo proprio che le Aes Sedai intendessero in questo preciso istante.»

Le sopracciglia pallide di Amys si sollevarono in segno di sorpresa e Sorilea e Bair si scambiarono delle occhiate perplesse. «Perché dovremmo punirti?» chiese Amys. «Hai smesso di essere una nostra allieva nel momento in cui le tue Sorelle ti hanno convocata. Devi andare da loro in veste di Aes Sedai.»

Egwene nascose un sussulto esaminando di nuovo il vestito da cavallo. Non era molto sgualcito per essere stato nella cesta tutti quei mesi. Quindi si costrinse a guardarle di nuovo.

«So che siete arrabbiate con me e ne avete motivo...»

«Arrabbiate?» chiese Sorilea. «Non lo siamo. Pensavo che ci conoscessi meglio.» Era vero che la voce non sembrava arrabbiata, ma i volti dicevano tutt’altro, anche il suo.

Egwene spostava lo sguardo da una all’altra, specialmente Amys e Bair. «Ma mi avete detto quanto credete sia sbagliato quello che sto per fare; avevate detto che non dovevo nemmeno pensarci e io avevo promesso che non lo avrei fatto, invece sono andata avanti e ho capito da sola come riuscirci.»

Sorprendentemente, sul viso rugoso di Sorilea apparve un sorriso. La moltitudine di braccialetti tintinnò mentre si sistemava lo scialle soddisfatta. «Vedete? Vi avevo detto che avrebbe capito. Potrebbe essere un’Aiel.»

Da Amys scomparve un po’ di tensione, e ancor più dal volto di Bair, quindi Egwene capì. Non erano arrabbiate per il fatto che volesse tentare di entrare nel tel’aran’rhiod in carne ossa. Era sbagliato ai loro occhi, ma una persona doveva fare ciò che sentiva di dover fare e, anche se avesse funzionato, non coinvolgeva alcun obbligo se non nei confronti di se stessa. Non erano affatto arrabbiate. Quello che le seccava era la bugia. Lo stomaco di Egwene era a soqquadro. La bugia che aveva ammesso. Forse quella minore. Dovette sospirare di nuovo prima di essere in grado di parlare. «Ho mentito anche su altri argomenti. Sono entrata da sola nel tel’aran’rhiod quando avevo promesso che non lo avrei fatto.» Amys divenne di nuovo scura in volto. Sorilea, che non era una camminatrice dei sogni, scosse il capo mestamente. «Ho promesso di obbedire come allieva, ma anche dopo che mi avevate detto che il Mondo dei Sogni era troppo pericoloso per accedervi una volta ferita, ci sono andata lo stesso.» Bair incrociò le braccia, inespressiva. Sorilea mormorò qualcosa sulle ragazze stupide, ma non sembrava risentita. Seguì un terzo, lungo sospiro. L’ultima sarebbe stata la cosa più difficile da dire. Lo stomaco adesso non era solo a soqquadro, ballava talmente che Egwene era sorpresa di non tremare. «La parte peggiore è che non sono un’Aes Sedai. Sono solo un’Ammessa. Diciamo che sono un’apprendista. Non diventerò Aes Sedai ancora per anni, se mai me lo permetteranno.»

Sorilea sollevò il capo a quest’ultima confessione, con le labbra serrate. Nessuna di loro disse una parola. Spettava a Egwene mettere tutto a posto. Le cose non sarebbero mai più state come prima, ma...

Hai ammesso tutto, si disse. Adesso sarà meglio che trovi un modo rapido per raggiungere Salidar. Un giorno potresti ancora diventare Aes Sedai, ma solo se non le fai infuriare più di quanto non lo siano adesso.

Egwene abbassò gli occhi fissando il tappeto colorato, con la bocca distorta dallo sdegno a quel pensiero. E si vergognava anche solo di averlo pensato. Stava andando via, ma prima doveva sistemare le cose. Era possibile, secondo il ji’e’toh. Si faceva quel che si doveva e poi se ne pagava il prezzo. Molti mesi prima, nel deserto, Aviendha le aveva mostrato come si ripagava una bugia.

Egwene raccolse tutto il coraggio che riuscì a trovare, sperando che fosse sufficiente, mise l’abito di seta da una parte e si alzò. Stranamente iniziare fece sembrare le cose più facili. Dovette sollevare il capo per guardarle negli occhi, ma lo fece con orgoglio, a testa alta, e non fece fatica a parlare. «Ho un toh.» Lo stomaco adesso era calmo. «Vi chiedo il favore di aiutarmi a compiere il mio toh.» Salidar avrebbe dovuto aspettare.

Mat si appoggiò all’arco ed esaminò il gioco di serpenti e volpi sistemato sul pavimento. Di tanto in tanto, dal mento gli scivolava una goccia di sudore, mancando di poco il tabellone. In effetti non era proprio una tavola. Solo un pezzo di panno rosso con una rete di linee disegnate con l’inchiostro nero e delle frecce che mostravano quali permettessero un movimento in una sola direzione e quali in due. Dieci dischi di legno chiaro, ciascuno con un triangolo disegnato per simboleggiare le volpi, altri dieci con una linea sinuosa che rappresentava i serpenti.

Due lampade sistemate da entrambi i lati offrivano abbastanza luce. «Stavolta vinceremo, Mat» disse Olver eccitato. «So che vinceremo.»

«Forse» rispose Mat. I due dischi macchiati di nero erano quasi vicino al circolo nel centro del tabellone, ma il seguente lancio di dadi sarebbe stato per i serpenti e le volpi. La maggior parte delle volte non si riusciva a superare il margine esterno. «Lancia i dadi.» Lui non toccava mai il contenitore dei dadi, fin dal giorno in cui lo aveva regalato al ragazzo; se dovevano giocare avrebbero dovuto rinunciare all’ausilio della sua fortuna.

Olver sorrise e fece rullare i dadi nel contenitore di pelle, facendo rotolare i dadi di legno che gli aveva costruito il padre. Si lamentò mentre contava i punti. Stavolta tre dadi mostravano dei triangoli, gli altri tre le linee ondulate. Quando uscivano bisognava muovere i serpenti e le volpi verso i propri pezzi seguendo il percorso più breve, e se uno atterrava nel punto occupato da una pedina avversaria... Un serpente toccò Olver, una volpe Mat e questi vide che se il resto dei punti fosse stato giocato lo avrebbero raggiunto altri due serpenti.

Solo un gioco per bambini, uno che non si poteva vincere seguendo le regole. Presto Olver sarebbe stato abbastanza grande da capirlo e, come altri bambini, avrebbe smesso di giocare. Solo un gioco per bambini, ma a Mat non piaceva essere raggiunto dalle volpi e ancor meno dai serpenti. Gli faceva ritornare in mente brutti ricordi, anche se l’uno non aveva nulla a che fare con l’altro.

«Be’,» mormorò Olver «avevamo quasi vinto. Un’altra partita, Mat?» Senza attendere la risposta fece il segno che apriva il gioco, un triangolo e poi una linea ondulata che lo attraversava, quindi recitò il canto. «Coraggio per rinforzarsi, fuoco per accecare, musica per abbagliare, ferro per legare. Mat, perché lo diciamo? Non c’è fuoco, musica o ferro.»

«Non lo so.» Quella frase gli suggeriva qualcosa in qualche luogo recondito della mente, ma non riusciva a rammentarla. I vecchi ricordi dal ter’angreal avrebbero anche potuto essere stati scelti a caso — probabilmente era vero — e c’erano tutti quei vuoti nella sua memoria, tutte quelle parti confuse. Il ragazzo gli faceva sempre domande delle quali non conosceva le risposte, e di solito iniziavano con ‘perché’.

Daerid infilò il capo nella tenda e rimase sorpreso. Il volto brillava per il sudore e aveva ancora addosso la giubba, anche se sbottonata. Le cicatrici più recenti creavano un solco rosa che attraversava quelle bianche che gli zigzagavano sul viso.

«Penso che sia ora di andare a dormire, Olver» disse Mat, alzandosi. Le ferite gli dolevano leggermente, ma stavano guarendo bene. «Metti a posto il tabellone.» Si avvicinò a Daerid e ridusse la voce a un sussurro. «Se ti azzardi a parlarne ti taglio la gola.»

«Perché?» chiese Daerid. «Ti stai trasformando in un padre meraviglioso, il ragazzo mostra delle somiglianze considerevoli con te.» Sembrava reprimere a fatica un sorriso che svanì in un istante. «Il lord Drago sta venendo all’accampamento» disse, serio come la morte.

Il pensiero di colpire Daerid sul naso svanì. Mat sollevò i lembi della tenda e si immerse nella notte in maniche di camicia. Sei degli uomini di Daerid, in circolo attorno alla tenda, si irrigidirono alla sua comparsa. Balestrieri; i picchieri non sarebbero stati molto utili come guardie. Era notte, ma nell’accampamento non era molto scuro. Il bagliore della luna, ormai a tre quarti in un cielo terso, era sovrastato dalla luce dei fuochi da campo accesi fra le file di tende e gli uomini addormentati in terra. Ogni venti passi c’erano delle sentinelle, per tutto il percorso fino alla palizzata. Non il modo che Mat avrebbe preferito, ma se un attacco poteva giungere dal vuoto...

Il territorio era quasi piatto, quindi ebbe una visuale perfetta su Rand che gli veniva incontro. Non era solo. Due Aiel velati camminavano in punta di piedi, voltando la testa di scatto ogni volta che un membro della Banda si girava nel sonno o una sentinella cambiava posizione per guardarli. L’Aiel di nome Aviendha era con lui, con un fagotto dietro le spalle, e camminava a lunghi passi, con l’aria di una che avrebbe sgozzato chiunque l’avesse ostacolata. Mat non capiva perché Rand se la tenesse accanto. Le donne aiel portano solo guai, pensò tetro, e non ho mai visto una donna più predisposta a creare guai di quella.

«È davvero il Drago Rinato?» chiese Olver senza fiato. Teneva il tabellone da gioco arrotolato e premuto contro il corpo, e stava quasi saltellando.

«Lo è» rispose Mat. «Adesso vai a letto. Questo non è un posto adatto ai ragazzi.»

Olver se ne andò borbottando, ma solo fino alla tenda più vicina. Mat lo vide nascondersi con la coda dell’occhio; il volto riapparve osservando tutto da dietro l’angolo.

Mat lo lasciò in pace, anche se, dopo aver osservato con attenzione il volto di Rand, si chiese se quello fosse il posto adatto agli uomini adulti, non solo ai ragazzi. Con quel volto avrebbe potuto martellare i chiodi in un muro, ma qualche emozione si dibatteva per emergere, eccitazione o forse impazienza; negli occhi di Rand brillava una luce febbricitante. Aveva una grande pergamena arrotolata stretta in una mano, mentre con l’altra carezzava inconsciamente l’elsa della spada. La fibbia con il Drago risplendeva alla luce del fuoco; a volte brillava anche la testa di uno dei Draghi che gli spuntava dalla manica.

Quando lo raggiunse, Rand non perse tempo in saluti. «Ho bisogno di parlarti. Da solo. Ho bisogno che tu faccia qualcosa.» La notte era nera come la pece e Rand aveva addosso una giubba verde ricamata con il collo alto, ma non sudava, nemmeno una goccia.

Daerid, Talmanes e Nalesean si trovavano a qualche passo di distanza, indossavano diverse combinazioni di abiti, e osservavano. Mat fece loro cenno di aspettare, quindi indicò con il capo verso la sua tenda. Seguendo Rand all’interno, toccò il medaglione con la testa della volpe attraverso la camicia. Non aveva nulla di cui preoccuparsi. Se non altro, lo sperava.

Rand aveva detto da solo, ma evidentemente Aviendha non riteneva che la cosa la riguardasse. Rimaneva sempre a due passi di distanza da lui; niente di più e niente di meno. Più che altro guardava Rand con espressione illeggibile, ma di tanto in tanto lanciava delle occhiate a Mat, aggrottando le sopracciglia e guardandolo dall’alto in basso. Rand non le prestò attenzione e, malgrado l’evidente fretta di un attimo prima, adesso non ne mostrava affatto. Si guardò intorno nella tenda, anche se Mat si chiese a disagio cosa vedesse. Non c’era molto da osservare. Olver aveva acceso le lampade sul tavolo pieghevole. Anche le sedie erano pieghevoli, come il lavabo e la branda. Tutto era laccato in nero, con degli accenni di doratura. Se un uomo aveva del denaro, tanto valeva che lo spendesse. Le fessure che gli Aiel avevano fatto nella tenda erano state cucite con cura, ma erano ancora visibili.

Il silenzio fece incuriosire Mat. «Cosa succede, Rand? Spero che tu non abbia deciso di cambiare il piano a questo punto.» Nessuna risposta, solo uno sguardo, come se Rand si fosse appena ricordato che anche lui era lì. Rendeva Mat nervoso. Qualunque cosa Daerid e il resto della Banda pensassero, lui lavorava sodo per evitare i combattimenti. A volte però essere ta’veren operava contro la sua fortuna; almeno per come la vedeva lui. Pensava che Rand avesse qualcosa a che vedere con tutto ciò. Rand era il ta’veren più forte, al punto tale che a volte Mat si sentiva quasi trainare fisicamente. Quando c’era di mezzo Rand, lui non si sarebbe sorpreso di ritrovarsi nel mezzo di una battaglia, anche se fosse rimasto a dormire in un fienile. «Qualche altro giorno e sarò a Tear. Il traghetto trasporterà la Banda oltre il fiume e dopo pochi giorni ci uniremo a Weiramon, è maledettamente tardi per...»

«Voglio portare Elayne a... Caemlyn» lo interruppe Rand. «Voglio vederla al sicuro a Caemlyn, qualsiasi cosa accada. Non lasciare il suo fianco fino a quando non sarà sul trono del Leone.» Aviendha si schiarì la gola. «Sì» disse Rand. Per qualche motivo, la sua voce divenne fredda e dura come l’espressione del viso. Ma in fondo, aveva bisogno di motivi particolari, se stava impazzendo? «Aviendha verrà con te. Penso che sia meglio.»

«Tu pensi che sia meglio?» ripeté la donna indignata. «Se non mi fossi svegliata al momento giusto, non avrei mai scoperto che l’avevi trovata. Tu non mi mandi da nessuna parte, Rand al’Thor. Devo parlare con Elayne per miei... motivi personali.»

«Sono molto contento che tu abbia trovato Elayne» osservò Mat circospetto. Se fosse stato al posto di Rand, avrebbe lasciato la donna dove si trovava. Luce, persino Aviendha era meglio! Almeno le Aiel non se ne andavano in giro con il naso per aria e nemmeno pensavano che dovevi saltare solo perché lo dicevano loro. Certo, alcuni dei loro giochi erano rozzi e avevano l’abitudine di cercare di ucciderti di tanto in tanto. «Non capisco perché tu abbia bisogno di me. Salta in uno dei tuoi passaggi, dalle un bacio, prendila fra le braccia e poi torna indietro.» Aviendha lo fissò oltraggiata; sembrava avesse suggerito che baciasse lei.

Rand srotolò la pergamena sul, tavolo, usando le lampade per tenere stesi i bordi. «Si trova qui.» Era una mappa, uno schizzo del fiume Eldar e forse di altri cinquanta chilometri da entrambi i lati. Vi era stata disegnata una freccia con l’inchiostro blu, a indicare una foresta. Vicino alla freccia era scritto ‘Salidar’. Rand mise il dito sul lato orientale della mappa. «Qui c’è una grande radura. Puoi vedere che il villaggio più vicino si trova a circa venti chilometri a nord. Aprirò un passaggio nella radura per te e la tua Banda.»

Mat riuscì a trasformare una smorfia in un sorriso. «Senti, se devo essere io, perché non da solo? Apri il passaggio a Salidar, le passo un cavallo e...» E cosa? Rand avrebbe aperto un passaggio da Salidar a Caemlyn? Era una lunga cavalcata dall’Eldar a Caemlyn. Un viaggio molto lungo, con solo una nobile con la puzza sotto il naso e un’Aiel come compagnia.

«La Banda, Mat» scattò Rand. «Tu e tutta la Banda!» Respirò a fondo e il tono della voce divenne più calmo. Il volto non perse rigidità, anche se gli occhi erano febbricitanti. Mat era quasi convinto che fosse malato o in preda al dolore. «Ci sono delle Aes Sedai a Salidar, Mat. Non so quante; ho sentito dire che sono centinaia e non sarei sorpreso se fossero almeno cinquanta. Da come parlano della Torre, intera e pura, dubito che ne vedrai di più. Voglio farti arrivare con il passaggio a due o tre giorni di distanza, in modo che sappiano che stai andando lì. Non ha senso prenderle di sorpresa — potrebbero pensare che si tratti di un attacco dei Manti Bianchi. Si sono ribellate a Elaida e probabilmente sono talmente spaventate che dovrai solo torreggiare leggermente su di loro e dire che Elayne deve essere incoronata a Caemlyn per convincerle a lasciarla andare. Se credi di poterti fidare di loro, offri la tua protezione. E la mia; in teoria dovrebbero essere dalla mia parte e ormai potrebbero addirittura essere contente di avere la mia protezione. Quindi scorterai Elayne — e tutte le Aes Sedai che la vogliono accompagnare — proprio in mezzo ad Altara e Murandy fino a Caemlyn. Mostra le mie bandiere, annuncia cosa stai facendo. Non credo che questi due regni creeranno problemi, fino a quando resterai in movimento. Se trovi dei fautori del Drago lungo il percorso, falli venire con te. Probabilmente si trasformeranno in banditi se non gli mettiamo presto un laccio al collo — ho già sentito diverse voci — ma tu li attirerai con le mie bandiere.» Rand sorrise di colpo, ma quel sorriso non gli raggiunse gli occhi. «Quanti uccelli si possono prendere con una pietra, Mat? Cavalca attraverso Murandy e Altara con seimila uomini e portati appresso i fautori del Drago: in questo modo probabilmente conquisterò entrambe le nazioni.»

La richiesta presentava tali implicazioni da far innervosire Mat al punto che non gli importava più se a Rand facessero male dieci denti e se avesse entrambi gli stivali pieni di foglie di cardo. Far credere alle Aes Sedai che voleva attaccarle? Assolutamente no. Doveva intimidirne cinquanta? Le Aes Sedai non lo spaventavano, forse nemmeno cinque o sei assieme, ma cinquanta? Toccò il medaglione con la testa di volpe sotto la camicia prima ancora di rendersene conto. Forse presto avrebbe scoperto quanto era fortunato. Per quanto riguardava cavalcare in Altara e Murandy, adesso capiva. Ogni nobile che possedesse le terre che lui avrebbe attraversato si sarebbe impettito come un gallo da combattimento e avrebbe cercato di beccarlo non appena avesse voltato le spalle. Se fosse intervenuta quella follia ta’veren, probabilmente avrebbe trovato qualche lord o lady con un esercito pronto ad affrontarlo.

Mat fece un altro tentativo. «Rand, non credi che tutto questo potrebbe attirare l’attenzione di Sammael a nord? Tu vuoi che guardi a est. È il motivo per cui mi trovo qui, ricordi? Per farlo guardare da questa parte.»

Rand scosse il capo. «Tutto ciò che vedrà è una scorta d’onore verso Caemlyn per la regina di Andor, sempre che lo scopra prima che raggiungiate la città. Quanto ci metti a prepararti?»

Mat aprì la bocca, ma poi si arrese. Non gli avrebbe fatto cambiare idea. «Due ore.» La Banda avrebbe potuto essere pronta in minor tempo, ma lui non aveva fretta e l’ultima cosa che voleva era che la Banda pensasse a un attacco.

«Bene. Io ho bisogno di un’ora.» Per cosa, non lo disse. «Rimani vicino a Elayne, Mat. Proteggila. Voglio dire che tutto questo non avrebbe senso se non raggiungesse Caemlyn viva per essere incoronata.» Rand pensava davvero che Mat non fosse al corrente di lui ed Elayne che si sbaciucchiavano in ogni angolo della Pietra, l’ultima volta che erano rimasti assieme?

«La tratterò come una sorella.» Le sue sorelle avevano fatto del loro meglio per rendergli la vita impossibile. Be’, si aspettava lo stesso da Elayne, solo in modo diverso. Forse Aviendha sarebbe stata leggermente meglio. «Non la perderò di vista fino a quando la depositerò nel palazzo reale di Caemlyn.» E se cerca di fare la signora altezzosa con me una volta di troppo, la prendo a calci!

Rand annuì. «Questo mi fa venire in mente qualcosa. Bodewhin si trova a Caemlyn. Con Verin, Alanna e qualche altra ragazza dei Fiumi Gemelli. Verranno addestrate come Aes Sedai. Non sono certo di dove lo faranno; sicuramente non permetterò loro di andare alla Torre, visto come stanno le cose. Forse se ne occuperanno le Aes Sedai che torneranno con te.»

Mat rimase a bocca aperta. Sua sorella Aes Sedai? Bode, che andava sempre a fare la spia alla madre ogni volta che lui faceva qualcosa di divertente?

«Un’altra cosa» proseguì Rand. «Forse potresti incontrare anche Egwene a Salidar. Credo che abbiano scoperto che si faceva passare per Aes Sedai. Fai quanto puoi per tirarla fuori di lì. Dille che la riporterò dalle Sapienti il prima possibile. Probabilmente verrà molto volentieri con te. Forse no; sai quanto è testarda. La cosa più importante è Elayne. Ricorda, non lasciarla da sola fino a quando non raggiungerete Caemlyn.»

«Lo prometto» mormorò Mat. Come faceva, per la Luce, Egwene a trovarsi da qualche parte lungo l’Eldar? Era certo che fosse a Cairhien quando aveva lasciato Maerone. A meno che non avesse imparato il trucco di Rand per fare i passaggi. In quel caso avrebbe potuto tornare indietro in ogni momento. O saltare a Caemlyn e aprirsi un passaggio per lui e la Banda. «Non preoccuparti per Egwene. La tirerò fuori da qualsiasi rogna in cui si sia cacciata, malgrado la sua ostinazione.» Non sarebbe stata la prima volta che le avrebbe tolto le castagne dal fuoco prima che si bruciasse. Molto probabilmente non l’avrebbe ringraziato nemmeno stavolta. Bode sarebbe diventata Aes Sedai? Sangue e maledette ceneri!

«Bene» fu la risposta di Rand. «Bene.» Ma fissava con attenzione la mappa. Distolse gli occhi e, per un attimo, Mat pensò che stesse per dire qualcosa ad Aviendha. Invece si allontanò bruscamente da lei. «Con Elayne dovrebbe esserci anche Thom Merrilin.» Rand estrasse una lettera di tasca, piegata e sigillata. «Consegnagli questa.» Infilò la lettera fra le mani di Mat e lasciò la tenda mestamente.

Aviendha fece un passo per seguirlo, sollevò una mano, pronta a parlare. Improvvisamente serrò la bocca, mise entrambe le mani sulla gonna e chiuse gli occhi. Quindi il vento soffiava da quella direzione, vero? E voleva parlare con Elayne. Come aveva fatto Rand a infilarsi in un tale imbroglio? Sapeva sempre cosa fare con le donne, come anche Perrin.

Non era comunque un problema suo. Fece girare la lettera fra le mani. Il nome di Thom era scritto con grafia femminile. Il sigillo non lo riconosceva, un albero rigoglioso sormontato da una corona. Quale nobildonna voleva scrivere a un vecchio rugoso come Thom? Nemmeno quello lo riguardava. Lanciò la lettera sul tavolo e prese la pipa di tasca. «Olver,» disse caricando la pipa «chiedi a Talmanes, Nalesean e Daerid di venire da me.» Da fuori la tenda si sentì un gridolino stridulo, quindi: «Sì, Mat», seguito dal rumore di piedi in corsa.

Aviendha lo guardò, le braccia conserte e l’espressione ferma.

Mat l’anticipò. «Fino a quando viaggerai con la Banda sarai ai miei ordini. Non voglio problemi e mi aspetto di non averne.» Se la donna gli avesse causato il minimo fastidio, l’avrebbe consegnata a Elayne legata come un salame dietro la sella, anche se fossero serviti dieci uomini per farlo.

«So come seguire, condottiero.» Sottolineò l’ultima parola tirando su con il naso. «Ma dovresti sapere che non tutte le donne sono rammollite come le abitanti delle terre bagnate. Prova a mettere una donna su un cavallo quando non vuole e potresti ritrovarti con un pugnale fra le costole.»

A Mat cadde quasi di mano la pipa. Sapeva che le Aes Sedai non potevano leggere nel pensiero — se avessero potuto la sua pelle avrebbe penzolato appesa a una parete della Torre Bianca da parecchio tempo — ma forse le Sapienti aiel... Ma certo che no. È solo uno dei trucchi delle donne, si disse. Se si fosse concentrato avrebbe capito come aveva fatto, solo che non gli importava di scoprirlo.

Si schiarì la gola e s’infilò la pipa spenta fra i denti, quindi si piegò a studiare la mappa. La Banda probabilmente avrebbe coperto la distanza fra la radura e Salidar in un giorno, se avesse fatto pressione, anche su quel territorio boscoso, ma lui voleva impiegarci due o forse tre giorni. Dare alle Aes Sedai ampio preavviso; non le voleva più spaventate di quel che erano. Un’Aes Sedai spaventata era quasi una contraddizione. Anche con il medaglione non era impaziente di scoprire cosa potesse fare un’Aes Sedai spaventata.

Avvertì gli occhi di Aviendha sulla nuca e sentì anche il rumore di qualcosa che scivolava. La donna era seduta a gambe incrociate, appoggiata contro la parete della tenda, e stava affilando la lama del pugnale da cintura mentre l’osservava.

Quando Nalesean entrò con Daerid e Talmanes, Mat li accolse con: «Andremo a fare il solletico a qualche Aes Sedai, a soccorrere un mulo e a mettere una ragazza con la puzza sotto il naso sul trono del Leone. Oh, sì. Aviendha. Non guardatela storto o cercherà di aprirvi la gola, tagliandosi probabilmente la sua per errore.» La donna rise come se Mat avesse fatto la battuta più divertente del mondo, ma non smise comunque di affilare il pugnale.

Per un istante Egwene non capì perché il dolore avesse smesso di aumentare. Quindi si alzò dal tappeto della sua tenda singhiozzando e tremando. Voleva soffiarsi il naso. Non sapeva da quanto tempo stesse piangendo; sapeva solo di sentirsi in fiamme dai fianchi fin dietro le ginocchia. Rimanere ferma in piedi era difficile. La sottoveste che pensava l’avrebbe protetta leggermente, gliel’avevano tolta da tempo. Le lacrime le scivolavano sul viso e se ne stava in piedi, nuda e frignante.

Sorilea, Amys e Bair la guardavano solenni e non erano le sole, anche se le altre erano sedute sui cuscini o sdraiate, mentre parlavano sorseggiando il tè servito da un gai’shain. Una donna, grazie alla Luce. Erano tutte donne. Apprendiste delle Sapienti e donne alle quali Egwene aveva detto di essere Aes Sedai. Era contenta che non contasse il fatto di averlo solo fatto credere; a quello non sarebbe sopravvissuta! Veniva punita perché aveva detto una bugia, ma c’erano state delle sorprese. Cosain, una donna magra e bionda dei Miagoma Solco della Dorsale, aveva detto che Egwene non aveva un toh nei suoi confronti ma che sarebbe rimasta solo per il tè, come anche Estair. Aeron, d’altro canto, sembrava la volesse tagliare a metà, e Surandha...

Egwene cercò di schiarirsi gli occhi dalle lacrime e lanciò un’occhiata a Surandha. Sedeva con tre Sapienti, chiacchierava e di tanto in tanto guardava in direzione di Egwene. Lei non aveva avuto alcuna pietà. Non che le altre avessero avuto la mano leggera. La cintura che Egwene aveva trovato in una delle sue ceste era sottile e morbida, ma molto larga, e quelle donne avevano tutte braccia forti. Una mezza dozzina di colpi da ognuna facevano davvero male.

Egwene non si era mai vergognata tanto in vita sua. Non per essere nuda, con il viso rosso e in lacrime come una bambina. Be’, i singhiozzi erano una parte. Nemmeno il fatto che le altre avessero assistito alla punizione, quando non facevano a turno per frustarla. Si vergognava della sua reazione. Una bambina aiel sarebbe stata più stoica, anche se una bambina non avrebbe mai dovuto affrontare una cosa simile.

«È finita?» Quella voce rotta e tremante era davvero la sua? Quelle donne avrebbero riso a crepapelle se avessero saputo quanto le era risultato difficile trovare il coraggio.

«Solo tu conosci il valore del tuo onore» rispose Amys atona. Aveva la cinghia in mano, usava la fibbia come impugnatura. Il mormorio della conversazione cessò.

Egwene sospirò fra i singhiozzi. Tutto quello che doveva fare era dire che era finita, e tutto si sarebbe concluso. Avrebbe potuto dirlo dopo il primo colpo. Avrebbe potuto...

Fece una smorfia e s’inginocchiò, distendendosi sul tappeto. Con le mani raggiunse le caviglie di Bair per reggersi. Stavolta avrebbe fatto ricorso al suo coraggio. Stavolta non avrebbe gridato. Stavolta non avrebbe scalciato, non si sarebbe mossa, o... la cinghia non l’aveva colpita. Sollevò il capo, batté le palpebre e le guardò. «Cosa state aspettando?» La voce era ancora tremula, ma adesso anche leggermente arrabbiata. Farla aspettare oltre che punirla? «Stanotte devo affrontare un viaggio, nel caso lo aveste dimenticato. Muovetevi.»

Amys lanciò la cintura vicino alla testa di Egwene. «Questa donna non ha un toh nei miei confronti.»

«Questa donna non ha un toh nei miei confronti.» Era la voce di Bair.

«Questa donna non ha un toh nei miei confronti.» La voce di Sorilea. La donna si piegò e scostò i capelli bagnati dal viso di Egwene. «Sapevo che in fondo al cuore eri Aiel. Non essere troppo orgogliosa adesso, ragazza. Hai soddisfatto il tuo toh. Alzati prima che pensino che ti stai dando delle arie.»

A quel punto l’aiutarono, abbracciandola, asciugandole le lacrime e porgendole un fazzoletto per soffiarsi il naso. Le altre Aiel si riunirono, ognuna annunciando che quella donna non aveva un toh nei loro confronti prima di aggiungere i propri abbracci e sorrisi. Furono questi ultimi il colpo maggiore. Surandha le sorrise come sempre. Era chiaro. Il toh non esisteva più una volta soddisfatto; qualunque cosa si fosse guadagnata, sembrava non l’avesse mai commessa. La parte di Egwene che non era rimasta invischiata nel ji’e’toh pensava che forse quanto aveva detto alla fine l’aveva aiutata, come anche sdraiarsi di nuovo a terra. Forse all’inizio non aveva affrontato la punizione con l’indifferenza aiel, ma alla fine Sorilea aveva avuto ragione. In fondo al cuore era Aiel. Pensava che una parte del suo cuore sarebbe sempre rimasta aiel.

Le Sapienti e le apprendiste se ne andarono lentamente. In teoria avrebbero dovuto rimanere tutta la notte, per ridere e scherzare con Egwene, ma era solo un’usanza, non ji’e’toh e, con l’aiuto di Sorilea, riuscì a convincerle che non aveva tempo. Alla fine rimasero lei, Sorilea e le due camminatrici dei sogni. Tutti gli abbracci e i sorrisi avevano rallentato le lacrime, le labbra le tremavano ancora, ma poteva sorridere. Adesso aveva voglia di piangere di nuovo, anche se per motivi differenti. Solo in parte; era davvero in fiamme.

«Mi mancherete molto.»

«Sciocchezze» sbuffò Sorilea. «Se sei fortunata, adesso ti diranno che non potrai mai più essere Aes Sedai. A quel punto potrai tornare da noi. Sarai la mia apprendista. In tre o quattro anni avrai la tua fortezza. So anche chi farti sposare. Taric, il figlio più giovane di mia nipote Amaryn. Un giorno sarà un capoclan, quindi devi guardarti intorno per cercare una sorella moglie che faccia da padrona di casa.»

«Grazie» rispose Egwene ridendo. Se non altro adesso avrebbe avuto un luogo dove fare ritorno se il Consiglio a Salidar l’avesse mandata via.

«Amys e io t’incontreremo nel tel’aran’rhiod» aggiunse Bair «e ti racconteremo quanto sappiamo di ciò che succede qui e con Rand al’Thor. Adesso seguirai la tua via nel Mondo dei Sogni, ma se lo desideri continuerò a darti degli insegnamenti.»

«Lo desidero.» Se il Consiglio l’avesse lasciata avvicinare al tel’aran’rhiod. Ma in fondo non avrebbero potuto costringerla a rimanerne fuori; qualsiasi errore avesse commesso, quello non avrebbero potuto farlo. «Per favore, tenete d’occhio Rand e le Aes Sedai. Non so quale sia il loro gioco, ma sono sicura che sia più pericoloso di quanto pensi Rand.»

Amys non disse nulla riguardo altre lezioni. Egwene aveva dato la sua parola e, anche soddisfacendo il ji’e’toh, non aveva cancellato il fatto. Invece disse: «So che Rhuarc rimpiangerà di non essere qui stasera. Si è recato a nord per controllare gli Shaido di persona. Ma non temere che il tuo toh nei suoi confronti non venga soddisfatto. Te ne offrirà l’opportunità quando vi incontrerete di nuovo.»

Egwene rimase a bocca aperta e camuffò il tutto soffiandosi il naso almeno per la decima volta. Aveva totalmente dimenticato Rhuarc. Non era comunque detto che avrebbe dovuto pagare l’obbligo nei suoi confronti allo stesso modo. Forse il suo cuore era parzialmente aiel, ma per un istante cercò un altro sistema, in preda al panico. Doveva essercene uno. Avrebbe avuto molto tempo per scoprirlo, prima di rivederlo. «Ve ne sarei grata» rispose sottovoce. C’era anche Melaine. E Aviendha. Luce! E lei che pensava fosse finita. Continuava a cambiare posizione, anche se cercava di rimanere ferma. Doveva esserci un altro sistema.

Bair aprì la bocca, ma Sorilea la interruppe. «Adesso dobbiamo lasciare che si vesta. Deve partire.» Bair irrigidì il collo e Amys assunse un’espressione seria. Ovviamente a nessuna piaceva quanto Egwene stava per tentare.

Forse avrebbero voluto rimanere e cercare di convincerla, ma Sorilea cominciò a borbottare sottovoce qualcosa riguardo delle sciocche che cercavano di impedire a una donna di fare ciò che riteneva giusto. Le due più giovani si sistemarono lo scialle — Bair doveva avere settanta o ottant’anni, ma era comunque più giovane di Sorilea — l’abbracciarono e la lasciarono mormorando: «Che tu possa sempre trovare acqua e ombra.»

Sorilea attese un altro momento, quindi aggiunse: «Pensa a Taric. Avrei dovuto chiedergli di venire nella sauna per permetterti di vederlo. Fino a quel momento ricorda, siamo sempre più spaventate di quanto desideriamo, ma possiamo sempre essere più coraggiose di quel che ci aspettiamo. Segui il tuo cuore, e le Aes Sedai non potranno mai ferire la vera te stessa. Non sono così superiori a noi come credevamo. Che tu possa trovare sempre acqua e ombra, Egwene. E ricorda di seguire sempre il tuo cuore.»

Una volta rimasta sola, Egwene rimase un po’ in piedi, fissando nel vuoto e pensando. Il suo cuore. Forse era più coraggiosa di quanto pensasse. Aveva fatto ciò che doveva; era stata Aiel. A Salidar ne avrebbe avuto bisogno. I metodi delle Aes Sedai erano per certi versi differenti da quelli delle Sapienti, ma non ci sarebbero andate leggere sapendo che si era fatta passare per una di loro. Sempre che lo sapessero. Non riusciva a immaginare per quale altro motivo l’avessero convocata con tale freddezza, ma gli Aiel non si arrendevano mai prima di essersi uniti alla battaglia.

Sobbalzò e riprese il controllo. Se non voglio arrendermi prima di combattere, si disse, tanto vale che mi tuffi nella battaglia.

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