1 Il leone sulla collina

La Ruota del tempo gira e le Epoche si susseguono, lasciando ricordi che divengono leggenda; la leggenda sbiadisce nel mito, ma anche il mito è ormai dimenticato, quando ritorna l’Epoca che lo vide nascere. In un’Epoca chiamata da alcuni Epoca Terza, un’Epoca ancora a venire, un’Epoca da gran tempo trascorsa, il vento si alzò fra le colline dai boschi secchi di Cairhien. Il vento non era l’inizio. Non c’è inizio né fine, nel girare della Ruota del Tempo. Ma fu comunque un inizio.

A ponente il vento soffiava su villaggi e fattorie abbandonati, molti ridotti a un mucchio di legna carbonizzata. La guerra, inclusa quella civile, aveva devastato Cairhien, come anche le invasioni e il caos e, anche adesso che erano finiti — in effetti era finito tutto — solo un pugno di uomini aveva cominciato a fare ritorno alle proprie case. Nel vento non vi era umidità e il sole cercava di bruciare il poco che rimaneva in quella terra. Il vento attraversava Andor nel punto il cui il piccolo villaggio di Maerone sorgeva di fronte alla più grande Aringill, sull’altra sponda del fiume Erinin. Le due città erano dei forni; benché da Aringill, un luogo dove i profughi di Cairhien si erano accalcati all’interno delle mura come pesci in un barile, si levavano più preghiere per la pioggia, anche i soldati attorno a Maerone offrivano parole al Creatore, a volte ubriache, altre ferventi. Ormai avrebbero dovuto vedere i tentacoli dell’inverno, le prime nevi avrebbero dovuto essere già arrivate e passate, e quelli che sudavano temevano di ammetterne il motivo, quindi non ne parlavano.

Il vento di ponente faceva agitare le foglie inaridite sugli alberi, increspando la superficie dei ruscelli semiprosciugati, con gli argini di fango indurito dal sole. Ad Andor non vi erano rovine carbonizzate, ma gli abitanti dei villaggi osservavano nervosi il sole crescente e i contadini cercavano di non guardare i campi che non avevano prodotto alcun raccolto autunnale. Il vento proseguiva la sua corsa verso occidente, soffiando su Caemlyn, facendo garrire le due bandiere sopra al palazzo reale, nel cuore della città interna costruita dagli Ogier. Una delle due bandiere era rosso sangue, e su di essa si stagliava un disco in parte bianco e in parte nero diviso da due linee sinuose: il nero era profondo quanto il bianco era brillante. L’altra bandiera, stagliata contro il cielo, era candida come la neve. La figura rappresentata su di essa, una specie di strano serpente a quattro zampe con la criniera d’oro, gli occhi color del sole e le squame rosso e oro, pareva cavalcasse il vento. Non era chiaro quale dei due vessilli incutesse maggior paura. A volte lo stesso petto che tremava per la paura, ospitava anche la speranza. Speranza nella salvezza e paura della distruzione, provenienti dalla stessa fonte.

Molti sostenevano che Caemlyn fosse la seconda città più bella del mondo e a dirlo non erano solo gli Andorani, per i quali spesso era la prima, superando in bellezza la stessa Tar Valon. Le alte torri rotonde seguivano la linea delle mura di cinta costruite in pietra grigia striata d’argento, bianco e oro, che risplendevano sotto il sole spietato. Caemlyn era abbarbicata sulle colline centrali, e l’antica città interna, circondata dalle mura bianche e lucenti con le proprie torri e cupole color porpora, bianche, oro e ricoperte di mosaici splendenti, era rivolta verso la città nuova, che aveva comunque almeno duemila anni.

Come la città interna era il cuore di Caemlyn più che il semplice centro, il palazzo reale era il cuore della città interna, la favola di un menestrello che parlava di guglie candide come la neve, cupole d’oro e mura lavorate come fine merletto. Un cuore che pulsava all’ombra di quelle due bandiere.

A torso nudo e in bilico sulla punta dei piedi, Rand in quel momento non era consapevole di trovarsi nel palazzo, in un cortile coperto di mattonelle bianche, come non lo era degli spettatori disposti fra i colonnati circostanti. Il sudore gli impregnava i capelli e li appiccicava alla testa, poi scivolava sul petto. La ferita rotonda parzialmente guarita che aveva sul fianco gli faceva male, ma Rand rifiutava di ammetterlo. Sugli avambracci erano visibili delle creature simili a quella sulla bandiera bianca che gli sventolava sopra la testa, e risplendevano di colori metallici rosso e oro. Draghi, così li avevano chiamati gli Aiel, e anche altri stavano cominciando a usare quel nome. Rand era vagamente consapevole del marchio degli aironi impresso sul palmo di entrambe le mani, ma solo perché lo sentiva premere contro la lunga impugnatura della spada di legno da esercitazione.

Lui era una sola cosa con la spada, fluiva da una figura all’altra senza pensare, gli stivali sfioravano solo lievemente le mattonelle della pavimentazione. Il leone sulla collina mutò ne L’arco della luna, quindi ne La torre di mattina. Senza pensare. Era circondato da cinque uomini sudati a torso nudo, che passavano con cautela da una posizione all’altra, spostando le spade da esercitazione. Erano la sola cosa di cui fosse consapevole. A giudicare dai volti duri e sicuri, erano i migliori che avesse trovato sino a ora. Fin da quando Lan era andato via. Senza pensare, come gli aveva insegnato Lan. Una cosa sola con la spada e con i cinque uomini.

Improvvisamente Rand scattò in avanti e gli uomini che lo circondavano si mossero rapidamente per mantenerlo al centro del gruppo. Proprio nel momento in cui quell’equilibrio vacillò sull’orlo della frattura, quando almeno due dei cinque avversari avevano incominciato ad avvicinarsi al crollo, lui si voltò di colpo a metà passo e corse dal lato opposto. Gli altri cercarono di reagire, ma troppo tardi. Con un forte rumore d’impatto Rand bloccò con la propria arma il colpo dal basso di una spada da esercitazione fatta di fascine di legno, e simultaneamente il piede destro colpì in pieno stomaco l’uomo dai capelli grigi, che sbuffando si ripiegò su se stesso. Bloccati lama contro lama, Rand costrinse l’avversario a voltarsi, colpendolo con un calcio mentre gli girava intorno. L’uomo dai capelli grigi cadde a terra affannato. L’altro avversario di Rand cercò di arretrare per poter usare la spada, ma la mossa diede l’opportunità a Rand di eseguire una voluta con la propria arma attorno a quella dell’avversario — affondando contro il petto dell’uomo, abbastanza forte da farlo cadere.

Erano trascorsi pochi istanti, talmente pochi che solo ora gli altri tre cominciavano ad avvicinarsi. Il primo, un uomo tarchiato e veloce, fece una mossa inaspettata per la propria statura scavalcando con un salto l’uomo dal naso rotto, che ruzzolò in terra. La lama da esercitazione di Rand colpì l’assalitore sugli stinchi, facendolo quasi cadere all’indietro, quindi di nuovo dietro la schiena, facendolo piombare sul lastricato.

Adesso ne rimanevano solo due, ma erano i migliori, uno alto e agile che muoveva la spada come se fosse la lingua di un serpente e un tipo dalla grossa testa rasata che non commetteva mai errori. Si separarono immediatamente per attaccarlo su due fianchi, ma Rand non attese e scattò rapidamente verso l’uomo magro; ebbe solo pochi momenti prima che l’altro girasse attorno ai caduti.

L’uomo più esile era bravo e veloce; Rand aveva offerto una ricompensa in oro per i migliori spadaccini e questi erano venuti. Era alto per essere Andorano, anche se Rand lo era di più, ma la statura aveva poco a che fare con la scherma. A volte serviva la forza. Rand lo attaccò con energia; il viso lungo dell’uomo divenne teso mentre cedeva terreno. Il cinghiale carica dalla montagna si scontrò con Il taglio della seta, spezzò Il fulmine a tre denti, e la fascina di pezzi di legno si schiantò contro il collo dell’uomo, che cadde emettendo un verso strangolato.

Rand si scagliò subito verso destra, rotolò e si trovò in ginocchio sul lastricato con la lama che compiva Il fiume taglia le rive. L’uomo dal capo rasato non era veloce, ma in qualche modo lo anticipò. Mentre la lama da esercitazione di Rand passava sullo stomaco dell’avversario, questi lo colpì sulla testa.

Rand barcollò per un istante e gli occhi gli si riempirono di puntini neri. Scosse la testa nello sforzo di schiarirsi la vista e usò la spada da esercitazione per alzarsi in piedi. L’uomo calvo lo guardò cauto mentre ansimava.

«Pagalo» disse Rand, e il sospetto lasciò il volto dell’uomo rasato. Cautela inutile. Rand aveva promesso denaro aggiuntivo a ogni uomo che fosse riuscito a colpirlo. Tripla paga a chi fosse riuscito a sconfiggerlo in un duello faccia a faccia. Era un sistema per accertarsi che nessuno si trattenesse per compiacere il Drago Rinato. Non chiedeva mai nomi e se gli avversari ci rimanevano male era anche meglio: avrebbero agito più duramente. Aveva bisogno di avversari, non di amici. I suoi amici avrebbero maledetto l’ora in cui lo avevano incontrato, se già non lo facevano. Anche gli altri si agitavano; un uomo ‘ucciso’ doveva rimanere nel punto in cui era caduto fino a quando fosse tutto finito, per creare un ostacolo come se fosse morto davvero, ma l’uomo tarchiato dovette comunque aiutare quello che aveva i capelli grigi, e lui stesso aveva problemi a reggersi in piedi da solo. Il tipo secco girò la testa e sussultò. Per quel giorno le esercitazioni erano finite. «Pagali tutti.»

Un’ondata di clamore ed elogi si levò tra la folla disposta fra le colonne scanalate, signori e signore in abiti di seta colorata, decorati da ricami e intrecci elaborati. Rand fece una smorfia e lanciò la spada da un lato. Quel gruppo era composto dai parassiti ossequiosi di lord Gaebril quando la regina Morgase — la ‘loro’ regina — era poco più che prigioniera in quel palazzo. Il proprio palazzo. Ma Rand ne aveva bisogno, se non altro per il momento. Stringi il rovo e ti pungerai, pensò. O meglio, sperava che quel pensiero fosse suo.

Sulin, la donna magra dai capelli bianchi che era a capo della sua scorta di Fanciulle della Lancia, da quel lato della Dorsale del Mondo, estrasse un marco d’oro di Tar Valon dal sacchetto appeso alla cintura e lo lanciò facendo una smorfia che deformò la brutta cicatrice che aveva su un lato del viso. Alle Fanciulle non piaceva che Rand usasse la spada, fosse anche quella da esercitazione. Non approvavano alcun tipo di spada. Nessun Aiel lo faceva.

L’uomo dal cranio rasato afferrò la moneta e rispose con un inchino cauto allo sguardo inamovibile degli occhi azzurri di Sulin. Erano tutti prudenti con le Fanciulle, che portavano sempre le loro giubbe e brache e i soffici stivali di pelle, tutto marrone e grigio, pensati per scomparire nel panorama brullo del deserto. Qualcuna aveva iniziato ad aggiungere indumenti verdi, per adeguarsi a quelle che chiamavano le terre bagnate, anche se c’era la siccità. A confronto con il deserto aiel, erano pur sempre umide. Prima di lasciare il deserto, solo alcuni Aiel avevano visto così tanta acqua da non poterla superare con un passo e avevano scatenato terribili antagonismi di sangue per pozze larghe solo due o tre passi.

Come ogni guerriero aiel e come le altre venti Fanciulle dagli occhi chiari che circondavano il cortile, Sulin portava i capelli corti a eccezione di un codino dietro la nuca. Nella mano sinistra impugnava tre lance corte e uno scudo di cuoio, mentre alla cintura era appeso un pugnale dalla lama pesante. Al pari di tutti i guerrieri aiel, fino a quelli dell’età di Jalani, sedicenni e con le guance ancora paffute, Sulin sapeva bene come usare quelle armi e lo avrebbe fatto alla minima provocazione, almeno per come la vedeva la gente da quel lato del Muro del Drago. Tranne lei, le Fanciulle osservavano tutti e tutto, ogni finestra scolpita o i balconi di pietra chiara, ogni ombra. Qualcuna impugnava corti archi di corno incurvato con le frecce incoccate e le altre di riserva pronte dentro le faretre piene, appese in vita. Far Dareis Mai, le Fanciulle della Lancia, portavano l’onore del loro profetizzato Car’a’carn, anche se a volte lo facevano a modo loro — sarebbero morte pur di mantenere in vita Rand. Il pensiero gli fece ribollire lo stomaco.

Sulin continuò a distribuire l’oro con un ghigno sgradevole sul volto — Rand era contento di usare il denaro di Tar Valon per queste ricompense — un altro marco per l’uomo rasato e una moneta per ciascuno degli altri. La considerazione che avevano gli Aiel per gli abitanti delle terre bagnate era poco migliore di quella che nutrivano per le spade, il che significava disprezzo per tutti coloro che non erano nati e cresciuti Aiel. Per la maggior parte degli Aiel, Rand avrebbe dovuto essere incluso nel gruppo, anche se di sangue aiel, ma aveva i Draghi sulle braccia. I capoclan ne avevano uno, ottenuto rischiando la vita e usando come arma la sola forza di volontà; due erano il marchio del Car’a’carn, il capo dei capi, Colui che viene con l’Alba. E le Fanciulle avevano altri motivi per accettarlo.

Dopo aver raccolto spade da esercitazione, giubbe e camicie, gli uomini si inchinarono e si allontanarono. «Domani» gridò Rand alle loro spalle. «Presto.» Gli inchini profondi che fecero furono il segno che avevano sentito.

Prima che gli uomini a torso nudo se ne fossero andati dal cortile, i nobili andorani uscirono dal colonnato, un arcobaleno di seta che si riunì intorno a Rand, mentre si tamponavano i volti sudati con dei fazzoletti bordati di merletto. Quella vista gli fece salire la bile allo stomaco. Usa ciò che devi usare o lascia che l’Ombra sommerga la terra, pensò. Glielo aveva detto Moiraine. Preferiva quasi l’onesta opposizione dei Cairhienesi e dei Tarenesi, al confronto di quel gruppo. A un tale pensiero scoppiò quasi a ridere: definire ciò che faceva quella marmaglia era davvero troppo ‘onesto’.

«Sei stato meraviglioso» sospirò Arymilla, appoggiando leggiadra una mano sulla spalla di Rand. «Così veloce e così forte.» I grandi occhi marroni apparivano anche più languidi del solito. Doveva essere abbastanza sciocca da ritenerlo influenzabile; addosso aveva un abito verde — coperto di viticci d’argento — a scollatura profonda secondo gli standard andorani, il che significava che mostrava un accenno di seno. Era carina, ma probabilmente abbastanza grande da essere sua madre. Nessuno degli altri era più giovane di lei e alcuni erano molto più anziani, ma vennero tutti a leccare gli stivali di Rand.

«È stato magnifico, mio lord Drago.» Elenia aveva quasi scansato Arymilla a gomitate. Quel sorriso pareva insolito sul viso volpino della donna bionda; aveva la reputazione di essere bisbetica, ma ovviamente non con Rand. «Non c’è mai stato uno spadaccino come te nella storia di Andor. Anche Souran Maravaile, che era il più grande generale di Artur Hawkwing e marito di Ishara, prima di sedere sul trono del Leone — morì quando venne affrontato da quattro spadaccini. Sicari assoldati durante il ventitreesimo anno della Guerra dei Cento Anni; comunque, quanto meno li uccise tutti e quattro.» Era raro che Elenia perdesse un’occasione di far notare la sua conoscenza della storia di Andor, specialmente le parti poco note, come la guerra che aveva spezzato l’impero di Hawkwing dopo la sua morte. Se non altro, non aggiunse giustificazioni per la sua pretesa al trono del Leone.

«Solo un po’ di sfortuna alla fine» intervenne gioviale il marito di Elenia. Era un uomo squadrato, scuro per essere Andorano. Spirali dorate e cinghiali d’oro, il simbolo della casata Sarand, ricoprivano i polsini e il bavero della sua giubba rossa, mentre sull’abito rosso di Elenia spiccava il leone bianco di Andor ricamato sulle maniche lunghe e sul collo alto. Rand si chiese se credesse davvero che lui non avrebbe riconosciuto i leoni per ciò che erano. Jarin era il sommo signore della sua casata, ma tutta l’ambizione a crescere in potenza era nata dalla moglie.

«Meravigliosamente ben fatto, mio signore Drago» lo osannò Karind senza mezzi termini. Il vestito era grigio splendente, con un taglio severo come il volto della donna, ma riccamente ricamato d’argento sulle maniche e sull’orlo, quasi a richiamare le striature grigie fra i capelli scuri. «Devi essere sicuramente il miglior spadaccino del mondo.» Malgrado le parole, lo sguardo piatto della donna robusta fu come una martellata. Se avesse avuto un cervello svelto come la lingua, sarebbe stata pericolosa.

Naean era una donna magra, pallida e bellissima, con dei grandi occhi azzurri e capelli neri splendenti che ricadevano in onde, ma il ghigno che rivolse ai cinque uomini fu solo finzione. «Immagino si siano messi d’accordo prima per dare modo a uno di loro di sconfiggerti. Si spartiranno il denaro aggiuntivo.» A differenza di Elenia, la donna vestita d’azzurro, con la tripla chiave d’argento della casata Arawn ricamata sulle maniche lunghe, non alludeva mai alle proprie pretese al trono, non nei pressi di Rand. Fingeva di essere contenta della sua posizione di somma signora di una casata antica. Una leonessa che faceva finta di gradire il ruolo di gatto domestico.

«Posso sempre contare sul fatto che i miei nemici non si uniranno contro di me allo stesso modo?» chiese lui con calma. La bocca di Naean si mosse sorpresa; non era stupida, eppure pareva credere che quelli che le si opponevano dovessero mettersi a pancia all’aria non appena lei li affrontava, e sembrava considerare un affronto personale quando non lo facevano.

Una delle Fanciulle, Enaila, ignorò i nobili e consegnò a Rand un asciugamano per detergersi il sudore. La capigliatura della giovane era rosso fuoco, ma era bassa per essere una Aiel e le seccava che qualcuna di quelle abitanti delle terre bagnate fosse più alta di lei. La maggior parte delle Fanciulle potevano fissare dritto negli occhi molti degli uomini presenti nella stanza. Gli Andorani fecero del loro meglio per ignorarla, ma guardare altrove rendeva un fallimento il tentativo di esibire sguardi furiosi. Enaila se ne andò come se fossero invisibili.

Il silenzio durò solo alcuni istanti. «Il mio signor Drago è saggio» osservò lord Lir facendogli un piccolo inchino, ma con un leggero cipiglio. Il sommo signore della casata Anshar era sottile come una lama e altrettanto forte, aveva addosso una giubba adornata da un intreccio d’oro, ma era troppo untuoso e troppo tranquillo. Nulla gli sfiorava il volto se non quelle occhiate occasionali che lanciava come se non ne fosse consapevole, ma non era certo il solo a rivolgere a Rand degli strani sguardi. A volte anche gli altri osservavano il Drago Rinato con incredulità pensierosa. «Prima o poi i nemici si alleano sempre. Bisogna saperli riconoscere prima che abbiano la possibilità di farlo.»

Altri elogi nei confronti della saggezza di Rand vennero da Lord Henren, un uomo robusto, calvo e dallo sguardo duro, e da lady Carlys con i suoi ricci grigi, il viso aperto e la mente contorta, dalla grassoccia Daerilla, da Elgar, nervoso e con le labbra sottili; a questi seguirono gli altri nobili che tenevano a freno la lingua fino a quando a parlare con qualcuno più potente di loro.

I signori e le dame delle casate minori si zittirono quando Elenia aprì nuovamente bocca. «È sempre difficile riconoscere i nemici prima che si svelino. Spesso a quel punto è troppo tardi.» Il marito annuì saggiamente.

«Io dico sempre» annunciò Naean «che chi non mi aiuta mi ostacola. Ho scoperto che è un’ottima regola. Quelli che ti restano alle spalle potrebbero aspettare fino a quando hai la schiena completamente voltata per affondarvi un pugnale.»

Non era la prima volta che alcuni nobili tentavano di assicurarsi un posto d’onore lanciando sospetti contro ogni signore o dama che non si schierasse dalla loro parte; Rand sperava di poterli fermare senza agire apertamente. I loro tentativi di giocare il Gioco delle Casate erano deboli a confronto delle manovre subdole dei Cairhienesi o anche dei Tarenesi, e inoltre erano irritanti, ma c’erano pensieri che Rand non voleva ancora fare affacciare nelle loro menti. Con sua sorpresa l’aiuto giunse dal canuto lord Nasin, il sommo signore della casata Caeren.

«Un altro Jearom» osservò l’uomo con un sorriso ossequioso, insolito su quel viso scarno. In cambio raccolse occhiate esasperate, anche dai nobili delle casate minori. Nasin aveva subito un declino dopo gli eventi che si erano verificati con l’arrivo di Rand a Caemlyn. Invece che la stella e la spada che rappresentavano la sua casata, mostrava dei ricami con motivi floreali, pietre di luna e nodi degli amanti, e a volte aveva un fiore fra i capelli come un ragazzo di campagna durante un corteggiamento. Eppure, la casata Caeren era troppo forte e neppure Jarid o Naean potevano metterla da parte. Nasin voltò il capo. «La tua scherma è spettacolare, mio lord Drago. Sei un altro Jearom.»

«Perché?» La parola volò nel cortile, amareggiando i volti degli Andorani.

Davram Bashere sicuramente non era Andorano. Aveva gli occhi a mandorla, quasi neri, e il naso aquilino; i baffi folti striati di grigio scendevano come corni attorno alla bocca larga. Era magro, poco più alto di Enaila, portava una corta giubba ricamata d’argento sui polsini e sul colletto, e i pantaloni a sbuffo erano infilati negli stivali con il risvolto all’altezza delle ginocchia. Il maresciallo generale della Saldea aveva fatto portare una sedia dorata nel punto in cui si erano riuniti gli Andorani per guardare e vi si era comodamente sistemato, con una gamba che penzolava da un bracciolo. La spada era legata in vita in modo da essere facilmente raggiungibile. Il sudore brillava su quel volto scuro, ma l’uomo vi prestava poca attenzione, come gli Andorani.

«Cosa vuoi dire?» chiese Rand.

«Mi chiedo quale sia il motivo di tutte quelle esercitazioni con la spada» rispose Bashere. «E con cinque uomini? Nessuno si esercita contro cinque avversari. È sciocco. Prima o poi il tuo cervello finirà sparso in terra, anche usando le spade da esercitazione.»

Rand serrò i denti. «Jearom una volta ne ha sconfitti dieci.»

Dopo aver cambiato posizione, Bashere si mise a ridere. «Credi che vivrai abbastanza a lungo da eguagliare il più grande spadaccino della storia?» Dagli Andorani provennero dei borbottii furiosi — rabbia simulata, Rand ne era certo — ma Bashere li ignorò. «In fondo, sei quello che sei.» L’uomo scattò improvvisamente come una molla; estrasse il pugnale mentre era ancora in movimento e lo lanciò dritto al cuore di Rand.

Quest’ultimo non mosse un muscolo: afferrò invece saidin, la metà maschile della Vera Fonte; fu semplice come pensare. Saidin gli scorse nelle vene, insieme alla contaminazione del Tenebroso, una valanga di ghiaccio disgustoso, un torrente maleodorante di metallo fuso. Cercò di schiacciarlo, di scorticarlo, ma Rand lo cavalcò come un uomo in bilico su una montagna che frana. Incanalò un semplice flusso d’Aria che avvolse il pugnale e lo bloccò a un braccio di distanza dal proprio petto. Il vuoto lo circondava e lui vi fluttuava al centro: nel vuoto, pensiero ed emozioni erano lontani.

«Muori!» gridò Jarid estraendo la spada mentre si avventava contro Bashere. Lir, Henren ed Elgar, come anche ogni lord andorano, estrassero le lame a loro volta, anche Nasin, benché sembrasse pronto a lasciarla cadere. Le Fanciulle si erano avvolte lo shoufa attorno alla testa, i veli neri coprivano il viso fino all’altezza degli occhi azzurri o verdi mentre le Aiel giovani sollevavano le corte lance dalle punte lunghe. Gli Aiel si velavano sempre il volto prima di uccidere.

«Fermatevi!» gridò Rand, e tutti si immobilizzarono. Gli Andorani erano confusi, le Fanciulle ancora pronte a scattare. Bashere non si era mosso se non per sedersi di nuovo, con la gamba sempre sul bracciolo.

Rand raccolse con una mano il pugnale con il manico di corno e rilasciò saidin. Anche con la contaminazione che gli torceva le budella — quella che prima o poi uccideva gli uomini capaci di incanalare — lasciar andare la Vera Fonte fu difficile. Con saidin che lo colmava vedeva con maggiore chiarezza, l’udito era più acuto. Era un paradosso che non comprendeva, ma quando fluttuava in quel vuoto apparentemente infinito, schermato in qualche modo contro sensazioni corporee, sentimenti ed emozioni, ogni senso era amplificato. Senza di esso si sentiva vivo solo a metà. Sembrava che una parte della contaminazione non svanisse, ma ciò non valeva per la gloria di saidin. Quella gloria mortale che lo avrebbe ucciso se avesse vacillato minimamente nella lotta contro di essa.

Rand camminò lentamente verso Bashere con il pugnale fra le mani. «Se fossi stato più lento» osservò sottovoce «sarei morto. Potrei ucciderti all’istante e nessuna legge di Andor o di qualunque altra nazione mi riterrebbe colpevole di un’azione scorretta.» Si rese conto di essere pronto a farlo. Una rabbia pura e fredda aveva rimpiazzato saidin. Poche settimane di conoscenza non giustificavano il comportamento di quell’uomo.

Gli occhi a mandorla dell’abitante della Saldea erano calmi come se si trovasse a casa sua. «A mia moglie non piacerebbe. Per dirla tutta, nemmeno a te. Probabilmente Deira prenderebbe il comando dei miei uomini e andrebbe di nuovo a caccia di Taim. Non è d’accordo con la mia proposta di seguirti.»

Rand scosse leggermente il capo: la sua rabbia stava spegnendosi davanti alla compostezza dell’uomo. E alle sue parole. Era stata una sorpresa apprendere che fra i novemila cavalieri di Bashere tutti i nobili si erano portati le mogli al seguito, come anche la maggior parte degli ufficiali. Rand non capiva come facesse un uomo a condurre la propria consorte in mezzo al pericolo, ma era tradizione in Saldea, a esclusione delle campagne nella Macchia.

Rand evitò di guardare le Fanciulle. Erano guerriere in tutto e per tutto, ma anche donne, e lui aveva promesso di non tenerle lontane dal pericolo, o dalla morte. Però non aveva promesso di non tirarsi indietro, e questo fatto lo dilaniava, ma manteneva la parola data. Faceva quanto doveva anche quando si odiava per questo.

Sospirando, lasciò cadere il pugnale. «Quella domanda» disse educatamente. «Perché?»

«Perché tu sei chi sei» rispose semplicemente Bashere. «Perché tu — e immagino anche quelli che intendi riunire — siete quello che siete.» Rand sentì rumore di passi alle sue spalle; per quanto provassero, gli Andorani non riuscivano a nascondere l’orrore per quell’amnistia. «Puoi fare ciò che hai fatto con il mio pugnale in ogni momento,» proseguì Bashere, appoggiando in terra la gamba sollevata e sporgendosi in avanti «ma qualsiasi assassino per raggiungerti deve prima superare gli Aiel. E i miei cavalieri, per inciso. Mah! Qualunque cosa dovesse avvicinarsi a te, non sarebbe umana.» Allargò le braccia e si sedette di nuovo. «Be’, se vuoi esercitarti con la spada, fallo pure. Un uomo ha bisogno di allenarsi e di rilassarsi. Ma non farti spaccare il cranio. Troppe cose dipendono da te e non vedo nessuna Aes Sedai qui in giro per guarirti.» I baffi quasi nascosero il sorriso fugace. «E poi se muori non credo che i nostri amici Andorani manterranno il loro caldo benvenuto per me e i miei uomini.»

Gli Andorani avevano riposto le spade, ma gli occhi rimasero puntati su Bashere con un’espressione ostile che non aveva nulla a che fare con quanto l’uomo si fosse avvicinato a uccidere Rand. Di solito ostentavano una certa tranquillità nelle vicinanze di Bashere, anche se era un generale straniero con un esercito straniero su terreno andorano. Il Drago Rinato lo voleva con sé e quest’accozzaglia avrebbe fatto buon viso anche a un Myrddraal se lo avesse voluto il Drago. Se Rand invece si fosse ribellato alla presenza dell’uomo... Non ci sarebbe stato bisogno di nascondere nulla. Erano avvoltoi che si sarebbero nutriti della carne di Morgase prima ancora che fosse morta, e avrebbero fatto lo stesso con Bashere se ne avessero avuto occasione. E con Rand. Era davvero impaziente di liberarsi di loro.

Il solo modo di vivere è morire. Quel pensiero gli venne in mente all’improvviso. Una volta gli era stata detta la stessa cosa, in un modo tale che vi aveva creduto, ma non era un suo pensiero. Devo morire. Merito solo la morte. Si allontanò da Bashere stringendosi la testa fra le mani.

Bashere si alzò in un istante e afferrò Rand per una spalla anche se era molto più alto di lui. «Cosa succede? Quel colpo ti ha davvero rotto la testa?»

«Sto bene.» Rand allontanò le mani dell’uomo; non era mai un evento doloroso, si trattava della sorpresa di percepire improvvisamente i pensieri di un altro nella propria testa. Bashere non era il solo che l’osservava. La maggior parte delle Fanciulle lo scrutava con estrema attenzione, in particolar modo Enaila e la bionda Somara, la più alta di tutte. Quelle due probabilmente gli avrebbero portato qualche tipo di infuso non appena avessero assolto al proprio dovere, e avrebbero controllato che lo bevesse tutto. Elenia, Naean e il resto degli Andorani respiravano con affanno, stringendo giubbe o gonne, e osservavano Rand con gli occhi sgrananti dalla paura, spaventati dall’idea che forse stavano assistendo ai suoi primi segni di follia. Solo le Fanciulle si rilassarono, ma Enaila e Somara non si allontanarono.

Agli Aiel non importava del ‘Drago Rinato’: per loro Rand era il Car’a’carn, l’uomo che nelle profezie li avrebbe riuniti e spezzati. Lo avevano accolto anche se al tempo stesso erano preoccupati, e avevano accettato con lui l’incanalare e tutto quello che avrebbe portato. Gli altri — gli abitanti delle terre bagnate, pensò Rand — lo chiamavano il Drago Rinato, ma non ragionavano mai sul significato di quel nome. Credevano che fosse la reincarnazione di Lews Therin Telamon, il Drago, l’uomo che tremila e più anni prima aveva sigillato il buco nella prigione del Tenebroso e posto fine alla Guerra dell’Ombra. Aveva posto fine anche all’Epoca Leggendaria, quando l’ultimo contraccolpo del Tenebroso contaminò saidin e ogni uomo che poteva incanalare cominciò a impazzire, iniziando da Lews Therin e i Cento Compagni. Chiamavano Rand il Drago Rinato e non sospettavano affatto che una parte di Lews Therin Telamon potesse albergargli in testa, pazzo come il giorno in cui erano iniziati il Tempo della Follia e la Frattura del Mondo, folle come ogni Aes Sedai maschio che avesse cambiato il volto del mondo oltre ogni immaginazione. Lo aveva raggiunto lentamente, ma più Rand imparava sull’Unico Potere, più diventava forte con saidin, più aumentava d’intensità la voce di Lews Therin, con maggior forza lui doveva lottare per evitare che i pensieri di un uomo morto prendessero per sempre il sopravvento sui suoi. Quello era uno dei motivi per cui gli piaceva esercitarsi con la spada; l’assenza di pensiero era una barriera.

«Dobbiamo trovare un’Aes Sedai» mormorò Bashere. «Se le voci sono vere... Che la Luce mi folgori gli occhi, vorrei che non l’avessimo mai lasciata andare via.»

Nei giorni seguenti la presa della città da parte di Rand e dei suoi Aiel molte persone erano fuggite da Caemlyn; il palazzo stesso si era svuotato in una sola notte. Vi erano individui che Rand avrebbe voluto trovare, persone che lo avevano aiutato, ma erano svaniti. Altri sgattaiolavano via. A fuggire in quei primi giorni era stata anche una giovane Aes Sedai, talmente giovane che il viso ancora non mostrava la tipica mancanza di età che contrassegnava quelle donne. Gli uomini di Bashere avevano segnalato di averla trovata in una locanda, ma quando lei aveva scoperto chi fosse Rand, era fuggita gridando. Letteralmente. Non ne avevano mai scoperto il nome o l’Ajah di appartenenza. Circolavano voci sulla presenza di un’altra Aes Sedai in città, ma adesso a Caemlyn pullulavano centinaia di voci, migliaia, ognuna più improbabile dell’altra. Difficilmente avrebbero portato alla scoperta dell’Aes Sedai. Le vedette Aiel ne avevano avvistate alcune di passaggio a Caemlyn, e tutte stavano recandosi da qualche parte con grande urgenza, nessuna con l’intenzione di entrare in una città occupata dal Drago Rinato.

«Posso davvero fidarmi di qualsiasi Aes Sedai?» chiese Rand. «È solo un mal di testa. E la mia non è abbastanza dura da non farmi male quando viene colpita.»

Bashere sbuffò facendo agitare i baffi. «Per quanto sia dura, prima o poi dovrai fidarti di un’Aes Sedai. Senza di loro non unirai mai le nazioni, se non conquistandole. I popoli prestano attenzione a certe cose. Per quanto abbiano sentito che hai fatto avverare una parte delle Profezie, molti aspetteranno che le Aes Sedai ti marchino.»

«Non potrò evitare i combattimenti e lo sai bene» rispose Rand. «I Manti Bianchi non mi daranno il benvenuto in Amadicia anche se Ailron è d’accordo, e di sicuro Sammael non mi consegnerà Illian senza combattere.» Sammael, Rahvin, Moghedien e... Respinse duramente quel pensiero. Non fu semplice. Giungevano senza preavviso, e non era mai facile ricacciarli indietro.

Un tonfo lo fece voltare. Arymilla giaceva in terra sul lastricato e Karind si era inchinata per tirarle giù la gonna a coprire le caviglie e per sfregarle i polsi. Elgar ondeggiò come se volesse unirsi alla donna svenuta e nemmeno Nasin o Elenia parevano in condizioni migliori. Gli altri sembravano quasi tutti pronti a vomitare. Parlare dei Reietti a volte scatenava quell’effetto, specialmente da quando Rand aveva rivelato loro che lord Gaebril in verità era stato Rahvin. Non poteva essere sicuro di quanto credessero, ma solo prendere in considerazione la possibilità era abbastanza da far cedere le ginocchia di molti. La loro reazione sorpresa era l’unico motivo per il quale erano ancora vivi. Se Rand avesse pensato che lo avevano servito spontaneamente... No, si disse. Anche se fossero stati al corrente, perfino se fossero Amici delle Tenebre, hai ancora bisogno di loro, pensò. Talvolta era così disgustato da se stesso che si sentiva davvero pronto a morire.

Se non altro, lui stava dicendo la verità. Le Aes Sedai cercavano di mantenere tutto segreto: i Reietti erano liberi e le donne della Torre temevano che se lo si fosse saputo si sarebbe creato solo maggior caos. Rand tentava di diffondere la verità. Forse le persone sarebbero cadute in preda al panico, ma avrebbero avuto il tempo di riprendersi. Con il sistema delle Aes Sedai, consapevolezza e panico avrebbero potuto giungere troppo tardi. E poi la gente aveva il diritto di sapere cosa stessero fronteggiando.

«Illian non resisterà a lungo» intervenne Bashere. Rand si voltò, ma Bashere era un vecchio soldato e non avrebbe parlato di ciò che non doveva quando altri potevano sentire. Stava solo deviando l’argomento dai Reietti, anche se Rand non credeva ci fosse un argomento in grado di innervosire Bashere. «Illian cederà come una noce sotto un martello.»

«Tu e Mat avete elaborato un ottimo piano.» Le idee di fondo erano state di Rand, ma Mat e Bashere avevano aggiunto quelle migliaia di dettagli che lo avrebbero fatto funzionare; Mat più di Bashere.

«Un tipo interessante, il giovane Mat Cauthon» concordò Bashere. «Non vedo l’ora di parlargli ancora. Non vuole mai rivelarmi con chi ha studiato. Agelmar Jagad? Ho sentito che siete stati tutti e due nello Shienar.» Rand non rispose. I segreti di Mat appartenevano solo a lui; nemmeno Rand ne era del tutto al corrente. Bashere reclinò il capo e si tirò uno dei baffi. «È troppo giovane per aver studiato con chiunque. Non può essere più grande di te. Ha scovato una biblioteca da qualche parte? Mi piacerebbe vedere i libri che ha letto.»

«Dovrai chiederlo a lui» rispose Rand. «Io non lo so.» Supponeva che Mat avesse letto qualcosa da qualche parte, ma in genere non era molto interessato ai libri.

Bashere annuì. Quando Rand non voleva parlare di qualcosa, l’uomo di solito lo lasciava in pace. Di solito. «La prossima volta che vai a fare un giro a Cairhien, perché non riporti indietro la Sorella Verde che si trova lì? Egwene Sedai? Ho sentito gli Aiel parlare di lei; dicono che proviene dal tuo stesso villaggio. Di lei ti potresti fidare, no?»

«Egwene ha altri doveri» rise Rand. Una Sorella Verde. Se solo Bashere avesse saputo... Somara gli apparve accanto con in mano la camicia e la giubba, delicata lana rossa di taglio andorano, con dei draghi ricamati sul colletto, foglie di alloro sul bavero e sulle maniche. La donna era alta anche per essere Aiel, poco più bassa di Rand. Aveva calato il velo come le altre Fanciulle, ma lo shoufa grigio e marrone le copriva ancora il capo. «Il Car’a’carn potrebbe raffreddarsi» mormorò.

Rand ne dubitava. Forse gli Aiel consideravano normale quel caldo, ma lui sudava quasi come quando si stava esercitando. Indossò la camicia lasciandola sbottonata, quindi la giubba. Non credeva che Somara avrebbe cercato di vestirlo, non davanti agli altri, ma in quel modo lui si sarebbe evitato le ramanzine di Enaila e, probabilmente, l’arrivo di qualcuna delle altre con l’infuso di erbe.

Per la maggioranza degli Aiel lui era il Car’a’carn, e lo stesso valeva per le Fanciulle. In pubblico. Da solo, con quelle donne che avevano scelto di non sposarsi e non avere una casa in cambio della lancia, la faccenda si complicava. Supponeva che avrebbe potuto porre fine a quella situazione — forse — ma non poteva far loro una cosa simile. Qualcuna era già morta per lui e altre erano pronte a farlo — che la Luce lo folgorasse! Se poteva lasciarle morire, poteva anche permettere tutto il resto. Il sudore stava già filtrando dalla giacca, lasciando degli aloni scuri.

«Hai bisogno dell’Aes Sedai, al’Thor.» Rand sperava che in battaglia Bashere fosse testardo almeno la metà di quanto lo era adesso. Doveva essere così, stando alla reputazione di quell’uomo, ma Rand poteva basarsi solo su di essa e su qualche settimana trascorsa insieme. «Non puoi permetterti di averle come nemiche, e potrebbero diventarlo se non credono di avere almeno qualche filo che la leghi a te. Le Aes Sedai sono ingannevoli, nessun uomo riesce a indovinare come agiranno o perché.»

«Cosa faresti se ti dicessi che ci sono centinaia di Aes Sedai pronte a sostenermi?» Rand era consapevole che gli Andorani stavano ascoltando; doveva fare attenzione a non parlare troppo. Non che ne sapesse comunque molto. Le informazioni che aveva probabilmente erano fondate su esagerazioni e speranze. Dubitava che fossero centinaia, qualsiasi cosa gli avesse lasciato intuire Egwene.

Bashere socchiuse gli occhi. «Se è giunta un’ambasciata dalla Torre, vorrei saperlo, in modo da...» la voce dell’uomo divenne un sussurro. «La divisione? La Torre si è davvero divisa?» Pareva non credere alle proprie parole. Tutti sapevano che Siuan Sanche era stata deposta dalla carica di Amyrlin Seat e quietata — altre voci aggiungevano anche giustiziata —, eppure per molti la divisione nella Torre era solo una congettura, cui pochi credevano. La Torre Bianca era rimasta unita, un monolite che aveva torreggiato sui troni per tremila anni. Ma l’uomo della Saldea valutava tutte le possibilità. Proseguì in un sussurro, avvicinandosi per non farsi sentire dagli Andorani. «Allora sono le ribelli quelle pronte a sostenerti. Potresti ottenere di più accordandoti con queste donne — hanno bisogno di te quanto tu di loro, forse di più — ma delle ribelli, anche se Aes Sedai, non avranno la metà dell’influenza della Torre Bianca, certo non con i regnanti. La gente comune potrebbe non riconoscere la differenza, ma i re e le regine sì.»

«Si tratta pur sempre di Aes Sedai,» rispose Rand con voce altrettanto bassa «chiunque siano.» E qualsiasi cosa siano, pensò. Aes Sedai... Serve di tutti... la Sala dei Servitori spezzata... spezzata per sempre... spezzata... Ilyena, amore mio... Rand annientò senza pietà i pensieri di Lews Therin. In alcune occasioni gli erano stati d’aiuto, fornendogli le informazioni di cui aveva bisogno, ma adesso stavano diventando troppo forti. Se avesse avuto un’Aes Sedai con sé — una Gialla, loro ne sapevano più di tutte sulla guarigione — forse lei... C’era stata un’Aes Sedai di cui si era fidato, anche se solo durante l’ultimo periodo prima che morisse, e Moiraine gli aveva lasciato dei consigli in una lettera sul conto delle Aes Sedai, e di ogni donna che portasse scialle e anello. «Non mi fiderò mai di nessuna Aes Sedai» disse sommessamente. «Le userò perché ho bisogno di loro, ma che appartengono alla Torre o siano ribelli, so che cercheranno di usarmi, perché è ciò che fanno le Aes Sedai. Non mi fiderò mai di loro, Bashere.»

L’uomo della Saldea annuì con lentezza. «Allora usale, se puoi. Ma ricordati una cosa. Nessuno resiste a lungo se segue la strada che hanno scelto le Aes Sedai.» Scoppiò improvvisamente a ridere. «Artur Hawkwing fu l’unico, per quanto ne sappia. Che la Luce mi folgori gli occhi, forse tu sarai il secondo.»

Il rumore di passi annunciò un nuovo arrivo nel cortile, uno degli uomini di Bashere, dalle spalle pesanti e il naso aquilino, un giovane più alto del suo generale, con una bella barba nera e folta, come i baffi. Camminava come se fosse più abituato alla sella che ai propri piedi, ma mise la mano sulla spada con una movenza fluida e si inchinò. Si era rivolto a Bashere più che a Rand. Forse Bashere seguiva il Drago Rinato, ma Tumad — Rand credeva che fosse quello il suo nome, Tumad Ahzkan — seguiva Bashere. Enaila e altre tre Fanciulle rimasero a fissare il nuovo arrivato; non si fidavano degli abitanti delle terre bagnate quando erano vicino al Car’a’carn.

«C’è un uomo ai cancelli» disse Tumad a disagio. «Dice di chiamarsi... Mazrim Taim, mio lord Bashere.»

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