49 Lo specchio delle nebbie

Rand fumava contento la sua pipa, seduto in maniche di camicia con la schiena appoggiata a una delle colonne bianche che circondavano un cortiletto ovale, e osservava l’acqua che zampillava nella fontana di marmo, brillando come pietre preziose al sole. Quella parte del cortile era ancora piacevolmente in ombra. Anche Lews Therin era silenzioso. «Sei sicuro di non voler prendere ancora in considerazione Tear?»

Seduto vicino alla colonna accanto e senza giacca c’era Perrin, che soffiò due anelli di fumo prima di rimettersi in bocca la pipa, un oggetto riccamente decorato che riproduceva teste di lupo. «Che cosa ne dici della visione di Min?»

Il tentativo di Rand per fare anche lui un anello di fumo fallì, e dopo aver sbuffato rilasciò una normale nuvoletta. Min non avrebbe dovuto parlarne dove Perrin poteva sentire. «Vuoi davvero rimanere legato alla mia cintura, Perrin?»

«Quello che voglio non sembra aver contato molto fin da quando abbiamo visto Moiraine per la prima volta, a Emond’s Field» rispose secco Perrin, quindi sospirò. «Tu sei ciò che sei, Rand. Se fallisci, crolla tutto.» D’improvviso si sedette dritto, guardando verso un’ampia arcata dietro le colonne alla loro sinistra. Dopo un lungo istante Rand sentì dei passi provenire da quella direzione, troppo pesanti per essere umani. L’immensa figura che passò sotto la soglia e si fece avanti nel cortile era alta più del doppio della cameriera, che quasi correva per mantenere il passo dell’Ogier.

«Loial!» esclamò Rand alzandosi in piedi. Lui e Perrin raggiunsero l’Ogier insieme. Il sorriso sul largo volto di Loial sembrava quasi lo separasse in due, ma la lunga giubba che si allargava sopra il risvolto degli stivali era ancora coperta dalla polvere del viaggio. Le grandi tasche erano squadrate dalla forma dei libri. Loial non stava mai lontano dai suoi volumi. «Stai bene, Loial?»

«Sembri stanco» disse Perrin, facendo cenno all’Ogier di andare verso la fontana. «Siedi sul bordo.»

Loial si lasciò guidare, ma le lunghe sopracciglia si sollevarono e le orecchie pelose si agitarono perplesse mentre guardava da uno all’altro. Seduto, era alto quanto Perrin in piedi. «Tutto a posto? Stanco?» La voce era un rombo pari a una scossa di terremoto. «Certo che sto bene e certo che sono stanco. Ho camminato per un lungo tratto. Devo dire che è una bella sensazione andare di nuovo a piedi. Sai sempre dove ti portano i tuoi piedi, con un cavallo invece non puoi mai essere sicuro. E poi i miei piedi sono più veloci.» Loial rise all’improvviso. «Mi devi una corona d’oro, Perrin. Tu e i tuoi dieci giorni. Scommetterei un’altra corona che non sei arrivato da più di cinque giorni.»

«Avrai la tua corona» rise Perrin. Con una divagazione rivolta a Rand che fece tremare le orecchie di Loial per l’indignazione, aggiunse: «Gaul lo ha corrotto. Adesso gioca a dadi e scommette alle corse dei cavalli, anche se non riesce nemmeno a riconoscere un animale da un altro.»

Rand sorrise. Loial guardava i cavalli sempre molto dubbioso, cosa che non lo meravigliava, visto che le sue gambe erano più lunghe delle loro zampe.

«Sei sicuro di stare bene, Loial?»

«Hai trovato lo stedding abbandonato?» chiese Perrin mentre fumava.

«Ti sei trattenuto abbastanza?»

«Di cosa state parlando voi due?» Lo sguardo incerto di Loial fece scendere le punte delle sopracciglia sulle guance. «Volevo solo rivedere uno stedding, sentirlo. Sono pronto a stare lontano altri dieci anni.»

«Non è quanto sostiene tua madre» rispose serio Rand.

Loial si alzò in piedi prima ancora che lui finisse di parlare, guardando selvaggiamente in tutte le direzioni, con le orecchie tremanti tirate indietro. «Ma madre? Qui? Si trova qui?»

«No, non c’è» rispose Perrin, e le orecchie di Loial quasi si afflosciarono per il sollievo. «Sembra che si trovi nei Fiumi Gemelli. Se non altro era lì un mese fa. Randa ha usato il suo metodo per viaggiare e ha portato lei e l’Anziano Haman... cosa succede?»

Mentre stava sedendosi di nuovo, Loial si bloccò nel sentire il nome dell’altro Ogier. Finì di sedersi a occhi chiusi. «L’Anziano Haman» mormorò strofinandosi il viso con la mano dalle dita enormi. «L’Anziano Haman e mia madre.» Guardò Perrin. Guardò Rand. Con voce bassa e fin troppo spensierata chiese: «C’era qualcun altro con loro?» Be’, era bassa per essere la voce di un Ogier, il ronzio di un calabrone gigante chiuso in una giara enorme.

«Una giovane donna ogier di nome Erith» rispose Rand. «Tu...» non aggiunse altro.

Loial si alzò di nuovo, gemendo. Le teste dei camerieri apparvero dalle finestre e le porte per scoprire cosa fosse quel rumore, e svanirono di nuovo quando videro Rand. Loial cominciò a camminare avanti e indietro, orecchie e sopracciglia afflosciate, tanto che sembrava stessero squagliandosi. «Una moglie» mormorò. «Non può significare altro, non con mia madre e l’Anziano Haman. Una moglie. Sono troppo giovane per sposarmi!» Rand nascose il sorriso dietro la mano. Loial era giovane per un Ogier, ma nel suo caso significava avere più di novant’anni. «Mi trascinerà indietro allo stedding Shangtai. So che non mi lascerà viaggiare con voi e non ho ancora raccolto abbastanza appunti per il mio libro. Oh, sorridi pure, Perrin. Faile fa tutto quello che vuoi tu.» Perrin si strozzò quasi con la pipa, rantolando fino a quando Rand lo colpì in mezzo alla schiena. «Per noi è diverso» proseguì Loial. «È considerato molto maleducato non fare quanto tua moglie ti chiede. Molto maleducato. So che farà in modo che mi sistemi con un’attività solida e rispettabile, come cantare agli alberi o...» Di colpo aggrottò le sopracciglia e smise di camminare. «Hai detto Erith?» Rand annuì; Perrin sembrava stesse recuperando il fiato, ma fissava Loial con una specie di divertimento malevolo. «Erith, figlia di Iva figlia di Alar?» Rand annuì ancora e Loial ricadde seduto al suo posto sul bordo della fontana. «La conosco. Ti ricordi di lei, Rand? Ci siamo incontrati a stedding Tsofu.»

«È quello che cercavo di dirti» rispose Rand, insieme spazientito e divertito. «È quella che ha detto che sei bello. E ti ha anche regalato un fiore, se ricordo bene.»

«Può averlo detto» mormorò Loial sulla difensiva. «E forse ha fatto ciò che dici, non ricordo.» Una mano però era appoggiata su una delle tasche piena di libri, dove — Rand ci avrebbe scommesso qualunque cosa — quel fiore era conservato, pressato fra le pagine di un volume. L’Ogier si schiarì la gola, con un rombo profondo. «Erith è molto bella. Non ho mai visto nessuna tanto bella. E intelligente. Ascoltò con molta attenzione quando spiegai la teoria di Serden — Serden figlio di Kolom figlio di Raolin; l’ha scritta circa seicento anni fa — su come le Vie...» Si interruppe come se avesse notato solo in quel momento i loro sorrisi. «Be’, ascoltava. Con attenzione. Era molto interessata.»

«Sono certo che lo fosse» rispose Rand in tono distaccato. Sentir parlare delle Vie lo aveva fatto riflettere. La maggior parte delle Porte delle Vie erano vicine agli stedding e se la madre di Loial e l’Anziano Haman erano credibili, gli stedding erano ciò di cui aveva bisogno Loial. Lui avrebbe potuto portarlo solo ai limiti di uno; negli stedding non si poteva incanalare. «Ascolta, Loial. Vorrei mettere delle guardie su tutte le Porte delle Vie e ho bisogno di qualcuno che non solo le possa trovare, ma che possa parlare con gli Anziani e ottenere il loro permesso.»

«Luce!» gridò Perrin, disgustato. Svuotò la pipa e spense le braci sul lastricato del cortile con il tacco. «Luce! Hai spedito Mat ad affrontare le Aes Sedai, vuoi mollare me nel mezzo di una guerra contro Sammael, insieme a qualche centinaio di uomini dei Fiumi Gemelli tra cui alcuni che conosci bene, e adesso vuoi mandare via Loial anche se è appena arrivato. Che tu sia folgorato, Rand al’Thor, guardalo! Ha bisogno di riposo. Non c’è nessuno che non vuoi usare? Vuoi forse che Faile vada a caccia di Moghedien o Semirhage? Luce!»

Rand s’infuriò, una tempesta che lo fece tremare. Gli occhi gialli lo fissavano torvi, ma lui ricambiò lo sguardo con la forza del tuono. «Userò tutti quelli che devo. Lo hai detto anche tu; sono quel che sono. Mi sto usando da solo, Perrin, perché devo. Proprio come sto usando tutti gli altri. Non abbiamo più alcuna scelta. Tu, io, nessuno!»

«Rand, Perrin,» mormorò Loial preoccupato «state buoni, calmi. Non litigate, non voi.» Una mano grossa come un prosciutto diede delle pacche goffe sulle spalle dei due. «Dovreste riposare entrambi in uno stedding. Gli stedding sono molto sereni, calmanti.»

Rand e Perrin continuavano a fissarsi. Il Drago Rinato era ancora pieno di rabbia, simile a fulmini che dardeggiavano in una tempesta che non volesse sedarsi. Lews Therin borbottava in lontananza. «Mi dispiace» mormorò, riferendosi a entrambi.

Perrin fece un gesto noncurante con una mano, forse cercando di spiegare che non c’era nulla di cui scusarsi o forse per accettare le scuse, ma non offrì le proprie. Invece si voltò di nuovo verso le colonne, in direzione della soglia dalla quale era entrato Loial. Trascorse un altro istante prima che Rand sentisse il rumore di passi veloci.

Min apparve nel cortile correndo a perdifiato e, ignorando Loial e Perrin, afferrò Rand per le braccia. «Stanno arrivando» ansimò. «Sono in cammino proprio ora.»

«Calma, Min» le disse Rand. «Calmati. Stavo cominciando a pensare che se ne sarebbero rimaste a parlare per proprio conto... come hai detto che si chiamava? Demira?» Per la verità provava un discreto sollievo, anche se i lamenti e gli sbuffi di Lews Therin aumentavano di intensità ogni volta che nominava un’Aes Sedai. Per tre giorni Merana era apparsa ogni pomeriggio con due Sorelle, puntuali come il migliore degli orologi, ma le visite erano cessate improvvisamente cinque giorni addietro, senza la minima spiegazione. Min non aveva idea del motivo. Rand pensava che si fossero offese per tutte le regole che aveva imposto e fossero andate via.

Min lo guardò con il volto angosciato. Rand si accorse che la ragazza tremava. «Ascoltami! Sono in sette, non in tre, e non mi hanno detto di venire a chiederti il permesso o a fartelo sapere. Sono andata via di soppiatto per precederle e ho spronato Rosa selvatica al galoppo per tutto il tragitto. Intendono entrare a palazzo prima che tu sappia che sono arrivate. Ho sentito Merana parlare a Demira quando non sapevano che le ascoltavo. Vogliono raggiungere la Grande Sala prima di te, in modo che debba essere tu ad andare da loro.»

«Credi che questo sia il compimento della tua visione?» le chiese con calma. Donne che potevano incanalare e che potevano fargli del male, aveva detto Min, sette! Lews Therin sussurrò rauco, No! No! No! Rand lo ignorò; c’era poco altro che potesse fare.

«Non lo so» rispose Min con la voce spezzata dal terrore. Rand fu sorpreso nell’accorgersi che gli occhi le brillavano di lacrime trattenute.

«Pensi che non te lo direi se lo sapessi? La sola cosa che so è che stanno venendo e...»

«E non c’è nulla di cui essere spaventati» la interruppe con fermezza. Le Aes Sedai dovevano davvero averla terrorizzata se era sull’orlo delle lacrime. Sette, gemette Lews Therin. Non posso occuparmi di sette in una sola volta. Non sette. Rand pensò al piccolo uomo grasso, e la voce sfumò in un mormorio, anche se sembrava ancora a disagio. Se non altro Alanna non era una di loro; Rand sentiva che si trovava a una certa distanza da lui, non in movimento, sicuramente non nella sua direzione. Non era certo di avere il coraggio di affrontarla di nuovo. «Non c’è tempo da perdere. Jalani?»

La Fanciulla dalle guance paffute sbucò da dietro una colonna in maniera talmente improvvisa che le orecchie di Loial scattarono verso l’alto. Sembrò che Min notasse per la prima volta l’Ogier, e Perrin. Anche lei sobbalzò. «Jalani,» disse Rand «riferisci a Nandera che sto andando alla Grande Sala, dove tra breve incontrerò delle Aes Sedai.»

La Aiel cercò di mantenere il volto inespressivo, ma l’accenno di un sorriso fece sembrare le guance ancora più paffute. «Beralna è già andata a informare Nandera, Car’a’carn.» Le orecchie di Loial si agitarono per la sorpresa nel sentire quel titolo.

«Allora vorresti dire a Sulin di incontrarmi nello spogliatoio dietro la Grande Sala con la mia giubba? E lo scettro del Drago.»

Il sorriso di Jalani si allargò ulteriormente. «Sulin è già scattata nella sua divisa da abitante delle terre bagnate, veloce come una lepre dal naso grigio che si sia seduta sulle spine del segade.»

«In questo caso,» aggiunse Rand «puoi portare il mio cavallo nella Grande Sala.» La giovane Fanciulla rimase a bocca aperta, specialmente quando Perrin e Loial scoppiarono a ridere.

Il pugno che Rand ricevette fra le costole da Min lo fece sbuffare. «Non è una faccenda su cui scherzare, testa dura di un allevatore di pecore! Merana e le altre si stavano avvolgendo nei loro scialle come se fossero delle armature. Adesso ascoltami. Io resterò da un lato, dietro le colonne, in modo che tu possa vedermi e loro no, e se percepisco qualcosa, ti farò un segnale.»

«Tu resterai qui con Loial e Perrin» le rispose. «Non so quale tipo di segnale potresti scegliere per farti capire, e se per caso dovessero vederti, sapranno che mi hai avvisato.» Min assunse la posizione ‘mani sui fianchi’ guardandolo male, con espressione imbronciata e ostinata. «Min?»

Con sua sorpresa la ragazza sospirò e disse: «Sì, Rand», remissiva. Quel tipo di reazione da lei lo rendeva sospettoso come sarebbe accaduto se fosse provenuta da Elayne o Aviendha, ma adesso non aveva tempo per investigare, se voleva trovarsi nella Grande Sala prima di Merana. Annuendo, sperò di non sembrare incerto come si sentiva.

Si chiese se avrebbe dovuto domandare a Perrin e Loial di trattenerla — lei lo avrebbe gradito — e si diresse veloce verso lo spogliatoio dietro la Grande Sala, con Jalani alle calcagna, che si chiedeva se quella del cavallo fosse una battuta. Sulin era già lì con una giubba rossa ricamata in oro e lo scettro del Drago; il pezzo di lancia ottenne l’approvazione di Sulin, anche se l’avrebbe trovato più accettabile senza i tasselli verdi e bianchi, con il manico della lunghezza giusta e senza incisioni. Rand si accertò che l’angreal fosse nella tasca. C’era, e la cosa lo fece respirare con più facilità, anche se Lews Therin sembrava ancora ansimare per l’agitazione.

Quando Rand entrò da una delle porte decorate con i leoni che si aprivano nella Grande Sala, si accorse che tutti erano stati solerti come Sulin. Bael torreggiava da un lato del palco del trono a braccia conserte, mentre Melaine si trovava sul lato opposto e si aggiustava con calma lo scialle scuro. Quelle che a occhio sembravano un centinaio di Fanciulle erano disposte in file, posizionate in ginocchio, lungo il tragitto dalla porta al trono, sotto gli occhi attenti di Nandera, tutte con lo scudo e le lance, gli archi di corno dietro le spalle e le faretre piene appese ai fianchi. Erano visibili solo gli occhi sopra i veli neri. Jalani corse per unirsi alle altre. Altri Aiel erano affollati fra le colonne dietro di loro, uomini e Fanciulle, anche se nessuno sembrava armato a parte i soliti pugnali dalla lama spessa. C’era anche un discreto numero di volti ostili. Non gradivano il pensiero di un confronto con le Aes Sedai, e non per paura del Potere. Per quanto potessero parlarne male Melaine e le altre Sapienti, la maggior parte degli Aiel aveva un vivido ricordo dell’antico fallimento nei confronti delle Aes Sedai.

Bashere non c’era — lui e la moglie si erano recati in uno dei campi d’addestramento —, come del resto nessun nobile Andorano fra quelli che giravano a palazzo. Rand era certo che Naean, Elenia e Lir, con tutto il resto del gruppo, avrebbero scoperto di quell’incontro non appena fosse iniziato. Non perdevano mai un’udienza del trono, a meno che non li mandasse via lui. La loro assenza poteva solo significare che durante il percorso verso la Grande Sala ne avevano scoperto anche il motivo, il che significava che anche le Aes Sedai erano già a palazzo.

Rand si era appena seduto sul trono del Drago, con lo scettro appoggiato sulle gambe, quando comare Harfor entrò nella Grande Sala con un’espressione nervosa, insolita per lei. Fissò lui e tutti gli Aiel con la stessa sorpresa e disse: «Ho mandato i servitori a cercarti ovunque: ci sono delle Aes Sedai...» fu la sola cosa che riuscì a dire prima che sette donne apparissero sotto l’ampia soglia.

Rand sentì che Lews Therin si protendeva verso saidin, toccando l’angreal, ma lo anticipò, mantenendo la presa su quel torrente furioso di fuoco e ghiaccio, lerciume e dolcezza, con la stessa forza con cui stringeva il pezzo di lancia seanchan.

Sette, mormorò tetro Lews Therin. Avevo detto loro tre e sono venute in sette. Devo essere cauto. Sì, cauto.

Io ho detto tre, rispose Rand a quella voce. Io! Rand al’Thor! Lews Therin si zittì, poi quel brontolio distante ricominciò da capo.

Lanciando occhiate da Rand alle sette donne con lo scialle, comare Harfor decise che lo spazio fra loro non era davvero il posto migliore in cui trovarsi. Rivolse la prima riverenza alle Aes Sedai e la seconda a Rand, quindi se ne andò mostrando la massima calma, passando da un lato. Quando le Aes Sedai entrarono, formando una fila compatta, la donna accelerò un po’ troppo il passo.

In ognuna delle tre visite, Merana aveva portato con sé delle Aes Sedai diverse e Rand le riconobbe tutte tranne una, da Faeldrin Harella alla destra, i capelli neri acconciati in una moltitudine di trecce decorate con perline colorate, alla robusta Valinde Nathenos alla sinistra, con abito e scialle bianchi. Erano tutte vestite nei colori dell’Ajah di appartenenza. Sapeva chi doveva essere quella che non aveva riconosciuto. La pelle ramata rendeva riconoscibile quella bella e graziosa donna che aveva addosso un abito di seta color bronzo scuro, Demira Eriff, la Sorella Marrone che Min aveva riferito essere stata portata a letto di peso. Adesso stava in piedi al centro della fila, un passo avanti alle altre, mentre Merana si trovava fra Faeldrin e la paffuta Rafela Cindal dal volto rotondo, che oggi sembrava anche più seria di quando l’aveva vista con Merana sei giorni prima. Sembravano tutte molto serie.

Si presero una breve pausa, lo guardarono indifferenti, ignorando gli Aiel, quindi si fecero avanti, prima Demira, poi Seonid e Rafela, Merana e Masuri, formando la sagoma di una freccia che puntava dritta verso Rand, il quale non ebbe bisogno di percepire il leggero prurito sulla pelle per sapere che avevano abbracciato saidar. A ogni passo le donne sembravano diventare più alte.

Pensano di impressionarmi intessendo lo specchio delle nebbie? La risata incredula di Lews Therin sfumò in un verso folle. Rand non aveva bisogno delle spiegazioni dell’uomo; una volta aveva visto Moiraine fare qualcosa di simile. Anche Asmodean lo aveva chiamato ‘specchio delle nebbie’, e ‘illusione’.

Melaine aggiustò lo scialle irritata, tirando su con il naso, e sembrò che Bael sentisse di dover affrontare, da solo, un attacco di cento nemici. Avrebbe provato a tener loro testa, ma certo non si aspettava un esito positivo. Anche qualcuna delle Fanciulle si agitò, fino a quando Nandera le guardò male da sotto il velo, il che non impedì agli altri Aiel di cambiare posizione, nervosi.

Demira Eriff iniziò a parlare, e anche in quello fu chiaro che era coinvolto l’incanalare. Non gridava, ma la voce riempiva la Grande Sala e sembrava provenire da ovunque. «Date le circostanze, abbiamo deciso che sia io a parlare a nome di tutte. Oggi non abbiamo intenzione di farti del male, ma le restrizioni che abbiamo accettato in precedenza, per farti sentire al sicuro, adesso le dobbiamo rifiutare. Ovviamente non hai mai imparato a rispettare come si deve le Aes Sedai. Ora lo devi fare. Di conseguenza ci muoveremo a nostro piacimento e solo per nostra esclusiva scelta ti informeremo in anticipo su quando desideriamo parlarti. Le tue vedette aiel intorno alla nostra locanda devono essere richiamate e nessuno deve controllarci o seguirci. Qualsiasi futuro insulto alla nostra dignità verrà punito, anche se quelli che dobbiamo punire sono come bambini, e tu sarai responsabile per il loro dolore. Così devono essere le cose e così sarà. Sappi che siamo Aes Sedai.»

Quando la punta di freccia formata dalle donne si fermò davanti al trono, Rand notò che Melaine lo guardava con la fronte aggrottata, chiedendosi se fosse rimasto impressionato. Se non avesse già avuto un’idea di cosa stava accadendo, lo sarebbe stato, e non era certo di non esserlo comunque. Le sette Aes Sedai sembravano alte il doppio di Loial, le teste arrivavano quasi a metà strada dal soffitto a volta con le finestre di vetro colorato. Demira lo guardò, fredda e imparziale, come se stesse decidendo se sollevarlo sul palmo di una mano, e appariva abbastanza grande da poterlo fare.

Rand si accomodò spensierato, tendendo le labbra nell’accorgersi che gli era costato uno sforzo, anche se non grande. Lews Therin gridava e strillava, ma in lontananza, qualcosa sul fatto di non aspettare, di colpire adesso. La donna aveva posto una discreta enfasi su alcune parole, come se lui avesse dovuto coglierne il significato. Date le circostanze? Le donne avevano già accettato le sue restrizioni, perché adesso quell’improvvisa mancanza di rispetto? Perché tutto d’un tratto avevano deciso che invece di farlo sentire sicuro potevano addirittura minacciarlo? «Le emissarie a Cairhien hanno accettato le stesse restrizioni che vi ho imposto e non sembravano offese.» Be’, non molto. «Invece che vaghe minacce, hanno offerto dei doni.»

«Non sono noi. Non sono qui. Noi non ti compreremo.»

Il disprezzo nella voce di Demira era pungente, e a Rand facevano male le nocche dalla forza con cui stringeva lo scettro del Drago. La sua rabbia sembrava l’eco di quella di Lews Therin e di colpo si accorse che l’uomo stava lottando per raggiungere la Fonte.

Che tu sia folgorato! pensò Rand. Voleva schermarle, ma Lews Therin parlò, ansimando in preda al panico.

Non sei abbastanza forte, anche con l’angreal, forse non sei abbastanza forte, non per trattenerne sette. Sciocco! Hai aspettato troppo! Troppo pericoloso!

Schermare qualcuno richiedeva una discreta forza. Con l’angreal Rand era certo di poter creare sette schermi, anche sulle donne che già abbracciavano saldar, ma se una sola fosse riuscita a rompere lo schermo... o più di una. Voleva impressionarle con la sua forza, non dare loro la possibilità di sopraffarlo. Ma c’era un altro sistema. Intessendo Spirito, Fuoco e Terra le colpì con un attacco simile alla schermatura.

Il loro specchio delle nebbie cadde a pezzi. Improvvisamente furono visibili sette donne normali in piedi davanti a lui con i volti stupefatti. Lo stupore svanì in un istante dietro le espressioni serene da Aes Sedai.

«Hai sentito le nostre richieste» disse Demira con la sua voce normale ma in tono imperioso, come se non fosse accaduto nulla. «Ci aspettiamo che le onori.»

Rand le fissò pur non volendo. Cosa doveva fare per dimostrare loro che non si sarebbe lasciato intimidire? Saidin infuriava dentro di lui, un’ira ribollente, ma lui non osava rilasciarla. Lews Therin gridava in modo maniacale, cercando di afferrare la Fonte e togliergliela di mano. Tutto ciò che poteva fare era mantenere la presa. Con l’altezza aggiuntiva del palco torreggiava su di loro. Sette volti calmi di Aes Sedai lo osservavano. «Ho da aggiungere un’ulteriore richiesta da parte mia. D’ora in avanti mi aspetto di ricevere da voi il rispetto che mi è dovuto. Io sono il Drago Rinato. Adesso potete andare. L’udienza è conclusa.»

Per circa dieci secondi le donne non mossero un piede, senza nemmeno battere ciglio, come se volessero dimostrargli che non sarebbero andate via a un suo comando. Poi Demira si voltò senza neppure rivolgergli un cenno del capo. Quando oltrepassò Seonid e Rafela, queste la seguirono in fila una dopo l’altra, camminando leggiadre, senza fretta, sulle mattonelle rosse e bianche per uscire dalla Grande Sala.

Rand scese dal palco non appena scomparvero nel corridoio.

«Il Car’a’carn le ha gestite bene» osservò Melaine, a voce abbastanza alta da poter essere sentita in ogni angolo del corridoio. «Devono essere prese per la collottola e imparare l’onore fino a piangerne.» Bael non riusciva a nascondere il disagio nel sentir parlare in quel modo delle Aes Sedai.

«Forse è anche il modo di trattare le Sapienti?» chiese Rand riuscendo a sorriderle.

Melaine abbassò la voce, sistemandosi con enfasi lo scialle. «Non fare il cretino, Rand al’Thor.» Bael rise, anche se la moglie lo guardò male. Se non altro c’era stata una risata. Rand non trovò divertente quella risposta, e non a causa della protezione del vuoto. Avrebbe quasi voluto che Min fosse stata presente. C’erano troppe correnti sotterranee che non riusciva a capire e temeva che qualcuna non riuscisse neanche a vederla. Che cosa volevano veramente?

Chiudendo la porticina dello spogliatoio, Min si appoggiò contro uno dei pannelli che rivestivano le pareti, decorato con dei leoni intagliati nel legno scuro, e sospirò. Faile era venuta a prendere Perrin e, per quanto Loial avesse protestato sostenendo che Rand voleva che lei rimanesse con lui, era crollato davanti alla semplice verità che Rand non aveva il diritto di farla stare da nessuna parte. Certo, se Loial avesse avuto idea di ciò che voleva fare, forse l’avrebbe presa sottobraccio — con gentilezza ovviamente — e le avrebbe letto qualcosa in cortile.

Ma anche se Min aveva sentito tutto, non aveva visto molto, a parte le Aes Sedai che torreggiavano sul trono e sul palco. Dovevano aver incanalato, cosa che tendeva a oscurare le immagini e le aure, ma lei era rimasta talmente sorpresa che non le avrebbe notate neanche se le avesse viste. Quando si era ripresa le donne non erano più enormi e la voce di Demira non rimbombava più in ogni angolo.

Mordendosi il labbro inferiore pensò furiosamente. Adesso secondo lei c’erano due problemi. Primo: Rand e la sua richiesta di rispetto, qualunque cosa intendesse dire. Se si aspettava che Merana gli rivolgesse la riverenza chinando la testa fino al pavimento, allora avrebbe aspettato a lungo e, nel frattempo, le avrebbe di sicuro irritate. Doveva esserci un sistema per calmare le acque: bastava trovarlo. Il secondo problema erano le Aes Sedai. Rand pareva ritenere che il loro fosse stato un qualche capriccio al quale poteva porre fine puntando i piedi. Min non sapeva se le Aes Sedai fossero capricciose, ma era certa che quella fosse una faccenda ben più seria. Il solo posto dove avrebbe potuto scoprirlo era La corona di Rose.

Riprendendosi Rosa selvatica dalle stalle, fece trottare la giumenta baia verso la locanda e la consegnò a uno stalliere con le orecchie a sventola, con la richiesta che venisse ben strigliata e nutrita con avena. Dopo la galoppata al palazzo Rosa selvatica meritava una ricompensa per averla aiutata a rivelare lo schema di Merana e delle altre. A giudicare dalla fredda furia nella voce di Rand, non era certa di cosa sarebbe accaduto se avesse saputo di punto in bianco che sette Aes Sedai lo attendevano nella Grande Sala.

La sala comune de La corona di Rose sembrava quasi la stessa di quando era uscita dalle cucine prima della riunione. I Custodi erano seduti ai tavoli, alcuni giocavano a domino o dama, altri lanciavano i dadi. Avevano tutti sollevato lo sguardo quasi all’unisono quando era entrata e, dopo averla riconosciuta, erano tornati alle loro attività. Comare Cinchonine stava in piedi di fronte alla porta della cantina — nella sala comune de La corona di Rose non erano visibili barili o bottiglie — a braccia conserte e con l’espressione acida. I Custodi erano i soli seduti ai tavoli e, di regola, bevevano poco e raramente. Sui tavoli erano visibili diversi boccali di peltro, tazze e coppe, ma Min non notava nessuno che li toccasse. Vide però un uomo che forse le avrebbe detto qualcosa.

Mahiro Shukosa sedeva a un tavolo da solo: stava lavorando a uno dei rompicapo della taverna e le due spade che di solito portava dietro la schiena erano appoggiate contro il muro, a portata di mano. Con le tempie grigie e il naso nobile, Mahiro era in un certo qual modo attraente, anche se solo una donna innamorata lo avrebbe definito bello. Un tempo signore a Kandor, aveva visto le corti di quasi ogni terra viaggiando con una piccola biblioteca, e vinceva o perdeva le scommesse con lo stesso sorriso. Poteva declamare poesie e suonare l’arpa, o danzare magnificamente. In breve, oltre a essere il Custode di Rafela, era esattamente il tipo d’uomo che le piaceva prima che incontrasse Rand. Ancora li trovava interessanti, quando li guardava nella prospettiva che si stava occupando di Rand. Che fosse fortuna o meno, Mahiro la vedeva in un modo che Min sospettava potesse essere insolito a Kandor, come una specie di sorella minore che occasionalmente aveva bisogno di parlare con qualcuno o di ricevere consigli affinché non si spezzasse il collo mentre seminava avena selvatica. Le aveva detto che aveva delle belle gambe e che lui non le avrebbe mai toccate, ma avrebbe spezzato il collo di ogni uomo che avesse pensato di farlo senza il permesso di Min.

Dopo aver assemblato con destrezza i pezzi di ferro del rompicapo, lo sistemò nel gruppo di quelli che aveva già risolto e ne prese un altro dalla pila davanti a sé. «Allora, cavoletto,» le disse con un sorriso «sei tornata con il collo sano, senza essere stata sequestrata o sposata.» Un giorno gli avrebbe chiesto cosa volesse dire: glielo ripeteva sempre.

«È successo qualcosa da quando sono uscita, Mahiro?»

«Intendi dire a parte le Sorelle che sono ritornate da palazzo come un uragano delle montagne?» Come sempre, il rompicapo si separò fra le sue mani come se qualcuno vi avesse incanalato.

«Cosa le ha fatte arrabbiare?»

«Al’Thor, immagino.» Il rompicapo si ricompose con la stessa facilità e venne messo da parte; ne prese immediatamente uno dei nuovi. «L’ho risolto un anno fa» le confessò.

«Ma cosa è successo, Mahiro?»

L’uomo la fissò; gli occhi di un leopardo sarebbero somigliati a quelli di Mahiro, se fossero stati neri. «Min, un cucciolo che mette il naso nel pollaio sbagliato potrebbe perdere le orecchie a furia di morsi.»

Min sussultò. Tutto fin troppo vero. Quali sciocchezze faceva una donna solo perché era innamorata! «Esattamente ciò che vorrei evitare, Mahiro. Il solo motivo per cui sono qui è portare messaggi avanti e indietro fra Merana e il palazzo, ma vado là dentro senza avere idea di dove mi sto avviando. Non so perché le Sorelle abbiano smesso di incontrarlo ogni giorno, perché abbiano ripreso, o perché oggi siano andate in sette invece che solo in tre. E per il fatto di non sapere, potrei ritrovarmi con ben altro che qualche morso sulle orecchie. Merana non mi dirà nulla. Non mi dice mai nulla, tranne ‘vai lì e fai questo’. Puoi darmi almeno un suggerimento, Mahiro? Per favore?»

L’uomo cominciò a studiare il suo rompicapo, ma Min sapeva che stava pensando, perché i pezzi scivolavano fra le sue mani ma nessuno si liberava.

Un movimento nel retro della sala comune attirò l’attenzione di Min, che voltò quasi la testa prima di immobilizzarsi. Due Aes Sedai stavano ritornando dai bagni, a giudicare dall’aspetto fresco. L’ultima volta che aveva visto quella coppia era stato mesi addietro, prima che lasciassero Salidar perché Sheriam aveva avuto l’intuizione che Rand fosse da qualche parte nel deserto Aiel. Le donne, Bera Harkin e Kiruna Nachiman, avrebbero dovuto essere ancora nel deserto Aiel, non a Caemlyn.

A parte il volto senza i segni dell’età, Bera somigliava a una contadina, con i capelli castani tagliati corti attorno al viso quadrato, ma al momento esprimeva una torva determinazione. Kiruna, elegante e statuaria, sembrava ogni giorno esattamente ciò che era, la sorella del re di Arafel, una dama potente. Gli occhi larghi e scuri brillavano come se stesse per ordinare un’esecuzione, godendosela. Immagini e aure lampeggiarono su di loro come succedeva sempre intorno alle Aes Sedai e i Custodi. Una di esse colse l’attenzione di Min quando si accese su tutte e due le donne nello stesso momento, giallo, marrone e viola scuro. I colori non significavano nulla, ma quell’aura fece bloccare il respiro di Min.

Il tavolo non era lontano dalle scale, ma le due donne non la guardarono mentre si voltavano per salirle. Nessuna delle due le aveva rivolto più che un paio d’occhiate a Salidar, e adesso erano prese dalle proprie conversazioni.

«Alanna avrebbe dovuto mettergli giudizio da parecchio.» La voce di Kiruna era bassa ma vicina alla rabbia. «Io lo avrei fatto. Quando Alanna arriverà glielo dirò, e che il Tenebroso vada in malora.»

«Dovrebbe essere messo al guinzaglio» concordò atona Bera «prima che arrechi altro danno ad Andor.» Lei era Andorana. «Prima sarà, meglio sarà.»

Mentre le due salivano le scale, Min si accorse che Mahiro la guardava. «Come hanno fatto ad arrivare qui?» gli chiese, sorpresa che la sua voce suonasse perfettamente ordinaria. Kiruna e Bera portavano il numero di Aes Sedai a tredici. Tredici Aes Sedai. E c’era quell’aura.

«Hanno seguito le voci su al’Thor. Si trovavano a metà strada da Cairhien quando hanno saputo che era qui. Io mi terrei alla larga da loro, Min. I loro Gaidin mi hanno detto che nessuna delle due ha un buon carattere.» Kiruna aveva quattro Custodi e Bera tre.

Min riuscì a sorridere. Avrebbe voluto schizzare fuori dalla locanda, ma avrebbe fatto insospettire tutti, anche Mahiro. «Mi sembra un ottimo consiglio. Cosa mi dici di quel suggerimento?»

L’uomo esitò ancora un istante, quindi posò il rompicapo sul tavolo. «Non ti dirò cos’è e cosa non è, ma una parola detta all’orecchio giusto... Forse dovresti aspettarti di vedere al’Thor contrariato. Forse dovresti anche considerare di chiedere se qualcun altro possa consegnare messaggi, magari uno di noi.» Si riferiva ai Custodi. «Forse le Sorelle hanno deciso di impartire ad al’Thor una piccola lezione di umiltà e questo, cavoletto, forse è una parola in più di quanto avrei dovuto dire. Ci penserai?»

Min non sapeva se la piccola lezione avesse a che fare con quanto era appena accaduto a palazzo o con qualcosa ancora da venire, ma tutti i pezzi combaciavano. E quell’aura. «Anche questo sembra un buon consiglio, Mahiro. Se Merana mi venisse a cercare per consegnare un messaggio nei prossimi giorni, le dirai che sto visitando la Città Interna?»

«Una visita lunga» rise l’uomo, prendendola in giro con delicatezza. «Sequestrerai un marito, se non fai attenzione.»

Lo stalliere dalle grandi orecchie la fissò quando Min insisté che tirasse Rosa selvatica fuori dalla stalla e la sellasse di nuovo. Uscì al passo, ma non appena svoltò l’angolo fuori dalla visuale de La corona di Rose, Min affondò i talloni e fece schizzare via la gente di passaggio mentre galoppava verso il palazzo, alla massima velocità che la giumenta potesse sopportare.

«Tredici» ripeté atono Rand: solo dirlo era abbastanza per spingere Lews Therin a cercare di assumere il controllo su saidin. Era una lotta muta con una bestia ringhiante. Quando Min aveva detto per la prima volta che c’erano tredici Aes Sedai a Caemlyn, Rand era riuscito a stento ad afferrare il Potere prima di Lews Therin. Aveva il volto madido di sudore e anche della macchie scure sulla giubba. Poteva concentrarsi su una sola cosa per volta. Mantenere saidin lontano da Lews Therin. Un muscolo della guancia guizzò per lo sforzo. La mano destra tremava.

Min smise di passeggiare sul tappeto del soggiorno di Rand e prese a saltellare sulle punte dei piedi. «Non si tratta solo di questo, Rand» aggiunse in preda al panico. «L’aura. Sangue, morte, l’Unico Potere, quelle due donne e tu, tutto nello stesso posto, allo stesso istante.» Le brillavano di nuovo gli occhi, ma stavolta le lacrime scendevano silenziose sulle guance. «A Kiruna e Bera non piaci affatto! Ricordi ciò che ho visto attorno a te? Donne che possono incanalare e che ti faranno del male. Sono le aure, il numero tredici, tutto. Rand, è troppo.»

Min sosteneva che le visioni si avveravano sempre, sebbene non sapesse dire se sarebbe accaduto in un giorno, un anno o dieci, e se fosse rimasto a Caemlyn, Rand pensava che sarebbe stato più facile un giorno. Con quel ringhio permanente in testa, sapeva che Lews Therin voleva colpire Merana e le altre prima che loro potessero attaccarlo. Rand apprezzava l’idea, suo malgrado. Forse non era una coincidenza, forse l’influenza dei ta’veren sugli eventi aveva operato contro di lui, ma il fatto rimaneva. Merana aveva deciso di sfidarlo proprio il giorno che il numero delle Aes Sedai era salito a tredici.

Si alzò e si diresse verso la camera da letto per prendere la spada dal retro del guardaroba, quindi chiuse la fibbia a forma di drago. «Tu vieni con me, Min» le disse afferrando lo scettro del Drago e avviandosi verso la porta.

«Venire dove?» chiese Min, asciugandosi le guance con un fazzoletto, ma lo seguì, e Rand era già nel corridoio. Jalani scattò in piedi leggermente più in fretta di Beralna, una donna ossuta che aveva i capelli rossi, gli occhi azzurri e un sorriso ferale.

Quando in giro c’erano solo le Fanciulle, Beralna lo fissava come domandandosi se concedergli il favore di fare ciò che le chiedeva, ma Rand le rivolse uno dei suoi sguardi più duri. Il vuoto rese la sua voce fredda e distante. Lews Therin si era ridotto a un piagnucolio sommesso ma Rand non osava rilassarsi. Non a Caemlyn o in ogni altro posto nei paraggi. «Beralna, trova Nandera e dille di incontrarmi nelle stanze di Perrin, con tutte le Fanciulle che vuole.» Non poteva lasciarsi l’amico alle spalle, e non solo per le visioni di Min; una volta che Merana avesse scoperto che Rand era andato via, una di loro avrebbe potuto decidere di legare Perrin come aveva fatto Alanna con lui. «Potrei non ritornare più qui. Se qualcuno vede Perrin, Faile o Loial, ditegli di incontrarmi nelle stanze di Perrin. Jalani, trova comare Harfor. Dille che ho bisogno di penna, carta e inchiostro.» Doveva scrivere delle lettere prima di andare via. Le mani gli tremavano di nuovo e aggiunse: «Molta carta. Che aspetti? Vai! Vai!» Si scambiarono un’occhiata, poi la ragazza partì di corsa. Rand si incamminò nella direzione opposta, con Min che doveva quasi correre per mantenere il passo.

«Rand, dove stiamo andando?»

«Cairhien.» Avviluppato com’era nel vuoto, la risposta fu fredda come uno schiaffo in pieno viso. «Fidati, Min. Non ti farò del male. Mi taglierei un braccio, piuttosto.» Min rimase in silenzio e alla fine Rand guardò in terra accorgendosi che lo stava osservando con una strana espressione.

«È molto carino sentire una cosa simile, pastore.» La voce era strana come l’espressione. Il pensiero di tredici Aes Sedai che lo cercavano doveva averla davvero spaventata, ma non c’era da meravigliarsi.

«Min, se dovessi giungere al punto di doverle affrontare, ti prometto che in qualche modo ti spedirò lontana dal pericolo.» Come avrebbe potuto un qualsiasi uomo affrontare tredici Aes Sedai? Il pensiero fece risvegliare Lews Therin, che prese a urlare.

Con sorpresa di Rand Min fece apparire i pugnali dalla giubba e aprì la bocca, quindi fece rientrare le lame con la stessa facilità — doveva essersi esercitata — prima di parlare. «Puoi guidarmi per il naso a Cairhien o in qualsiasi altro luogo, pastore, ma farai bene a pensarci seriamente e provare con energia, se credi di potermi mandare via.» Per un motivo che non gli era chiaro, Rand era sicuro che non fosse quello che aveva voluto dirgli.

Quando raggiunsero le stanze di Perrin, Rand trovò un discreto gruppo di persone. Da un lato del soggiorno Perrin e Loial in camicia, seduti a gambe incrociate sul tappeto blu mentre fumavano la pipa insieme a Gaul, un Cane di Pietra che Rand ricordava dalla caduta della Pietra. Dall’altro lato Faile, anche lei in terra, con Bain e Chiad, anche loro conosciute alla Pietra. Dalla porta aperta che dava sull’altra stanza Rand poteva vedere Sulin che stava cambiando le lenzuola, sbattendole come se invece volesse strapparle. Tutti alzarono lo sguardo quando lui e Min entrarono e Sulin si fece avanti dalla camera da letto.

Vi fu una leggera confusione quando spiegò delle tredici Aes Sedai e di quanto Min aveva sentito. Non le visioni, però; alcuni nella stanza ne erano al corrente, altri forse no e lui non ne avrebbe fatto parola con nessuno a meno che non avesse iniziato Min. Cosa che lei non fece. Naturalmente non aveva nemmeno parlato di Lews Therin; non che avesse paura di quanto avrebbe potuto accadergli in una città con tredici Aes Sedai, anche se se ne stavano sedute con le mani in mano. Pensassero pure che lui era in preda al panico, se volevano; in fondo non era sicuro che non fosse così. Lews Therin adesso era silenzioso, ma Rand lo percepiva, provava la sensazione di occhi furiosi che l’osservavano nella notte. Rabbia, paura e forse anche panico emergevano dal vuoto come grossi ragni.

Perrin e Faile iniziarono a fare rapidamente i bagagli e Bain e Chiad fecero scattare le mani nel loro linguaggio prima di annunciare che intendevano accompagnare Faile, quindi Gaul dichiarò che avrebbe seguito Perrin. Rand non capiva cosa stesse succedendo, ma Gaul non guardava Bain o Chiad, che facevano lo stesso nei suoi confronti. Loial scattò borbottando qualcosa, secondo lui sottovoce, su Cairhien che era ben più lontana dai Fiumi Gemelli di Caemlyn, e sua madre che era una famosa camminatrice. Quando fece ritorno aveva un fagotto sottobraccio e grandi bisacce da sella dalle quali spuntavano delle camicie. Loial era pronto a partire in quel preciso istante. Sulin scomparve a sua volta, ritornando con un fagotto fra le braccia che sembrava includere solo abiti rossi e bianchi. Con il volto immobile su quella incongrua espressione mite, disse energica a Rand che le era stato ordinato di servire lui, Perrin e Faile, e solo una lucertola con un colpo di sole avrebbe potuto credere che riuscisse a farlo da Caemlyn quando loro si trovavano a Cairhien. Aggiunse anche un ‘mio signor Drago’ che sembrava più un’imprecazione, e una riverenza, sorprendentemente senza ondeggiare. Il fatto sembrò stupire anche lei.

Nandera giunse quasi nello stesso istante di comare Harfor, che aveva diversi pennini d’acciaio, carta, cera e inchiostro in quantità sufficiente per scrivere e sigillare cinquanta lettere. Cosa che si rivelò utile.

Perrin voleva inviare un messaggio a Dannil Lewin dicendogli di seguirlo con il resto degli uomini dei Fiumi Gemelli — non aveva intenzione di lasciare nessuno di loro nelle mani delle Aes Sedai — e si trattenne dal chiedergli di portare via anche Bode e le altre ragazze da Il segugio di Culain, solo perché sia Rand sia Faile fecero presente che le Aes Sedai non le avrebbero lasciate andare, e inoltre che forse le ragazze non avrebbero voluto partire. Faile e Perrin si erano recati alla locanda più di una volta e anche lui aveva dovuto ammettere che le ragazze sembravano impazienti di diventare Aes Sedai.

Anche Faile doveva scrivere due lettere, alla madre e al padre, perché non si preoccupassero, spiegò. Rand non sapeva quale fosse destinata a chi, ma erano scritte in due toni differenti: una iniziò a scriverla almeno dieci volte strappando altrettanti fogli, ogni parola tracciata con un cipiglio, l’altra la mise giù in fretta, con un sorriso e delle risate. Rand pensò che quella dovesse essere per la madre. Min scrisse a un amico di nome Mahiro a La corona di Rose e, per qualche motivo, ci tenne a sottolineare con Rand che si trattava di un uomo anziano, anche se arrossì nel dirlo. Anche Loial prese la penna dopo qualche esitazione. La sua penna; una di quelle degli umani fra le sue mani sarebbe svanita. Sigillando la lettera, la consegnò a comare Harfor con una richiesta diffidente, ovvero che la consegnasse di persona qualora ne avesse avuta la possibilità. Un pollice grosso più o meno quanto una salsiccia copriva per intero il nome del destinatario, scritto in grafia sia umana che ogier, ma con la vista acuita dall’Unico Potere Rand notò il nome di Erith. Loial non mostrò comunque alcun segno di voler aspettare e consegnarla di persona.

Le lettere di Rand furono difficili come quelle di Faile, ma per motivi diversi. Il sudore che gli gocciava dal viso cancellava l’inchiostro e la mano gli tremava al punto che ebbe bisogno di iniziare diverse volte per via delle macchie. Per Taim scrisse un avviso che c’erano in giro tredici Aes Sedai e ribadì i suoi ordini di tenersi alla larga da loro. A Merana rivolse un tipo diverso di avviso, una sorta di invito; nascondersi non sarebbe servito a nulla; Alanna avrebbe potuto trovarlo in qualsiasi parte del mondo. Ma doveva accadere tutto nei suoi termini, se vi fosse riuscito.

Quando alla fine le sigillò — la presenza di un sigillo di diorite verde con un Drago inciso valse uno sguardo a comare Harfor, che lei restituì con la massima calma — Rand si rivolse a Nandera. «Hai le tue venti Fanciulle là fuori?»

Nandera sollevò le sopracciglia. «Venti? Il tuo messaggio diceva tutte quelle che volevo, e che forse non saresti tornato. Ne ho cinquecento e sarebbero state di più se non avessi posto dei limiti.»

Rand si limitò ad annuire. Nella testa aveva solo silenzio a parte i propri pensieri, ma percepiva Lews Therin insieme a lui nel vuoto, che aspettava come una molla caricata. Solo quando lasciò uscire tutti attraverso il passaggio in una stanza a Cairhien e chiuse poi l’apertura, riducendo il contatto con Alanna a un vago sentore di lei a ovest, solo allora Lews Therin sembrò andare via. Era come se, stanco di combattere con lui, l’uomo fosse andato a dormire. Alla fine Rand mise da parte saidin e si accorse di quanto fosse anche lui spossato a seguito della contesa. Loial dovette portarlo di peso alle sue stanze nel palazzo del Sole.

Merana sedeva tranquilla davanti alla finestra del soggiorno, volgendo le spalle alla strada, e aveva la lettera di Rand al’Thor in grembo. Ne conosceva il contenuto a memoria.

Iniziava con Merana. Non Merana Aes Sedai, nemmeno Merana Sedai.

Merana,

un mio amico una volta mi ha detto che nella maggior parte dei giochi con i dadi il numero tredici è considerato di cattivo auspicio quasi quanto gli occhi del Tenebroso. Anche io credo che sia un numero sfortunato. Vado a Cairhien. Puoi seguirmi come meglio credi, ma con non più di cinque Sorelle. In quel modo sarete nello stesso numero delle emissarie della Torre Bianca. Sarei molto dispiaciuto se tu cercassi di portarne di più. Non farmi di nuovo pressione. Mi è rimasta poca fiducia.

Rand al’Thor

Il Drago Rinato

Alla fine della lettera la pressione della penna era tale che aveva quasi bucato la carta; le ultime due righe sembravano quasi scritte da una mano diversa.

Merana rimase a sedere in silenzio. Non era sola. Il resto dell’ambasciata, se ancora poteva essere definita tale, era disposto sulle sedie poggiate a ridosso del muro, in diversi stati. Berenicia era costernata come Merana e sedeva con le mani in grembo, il capo reclinato e gli occhi mesti; parlava solo se le rivolgevano la parola. Faeldrin appariva orgogliosa e parlava quando voleva, come anche Masuri e Rafela. Seonid pareva poco meno che impaziente, seduta sul bordo della sedia, e sorrideva spesso con fare determinato. Il resto si comportava più come Valinde, quasi placida. Erano tutte presenti tranne Verin e Alanna. Alcuni Gaidin erano stati inviati a cercarle. Kiruna e Bera, in piedi in mezzo alla sala, erano le più presenti.

«Che qualcuno si permetta di mandare una lettera simile a un’Aes Sedai mi disgusta.» Kiruna non gridò; la voce era fredda, calma e ricca di forza allo stesso tempo, ma gli occhi scuri lampeggiavano. «Demira, il tuo informatore è in grado di confermare che al’Thor è andato a Cairhien?»

«Viaggiando» mormorò Bera incredula. «Chi avrebbe mai detto che avrebbe riscoperto quel talento?»

Le perline colorate fra i capelli di Faeldrin ticchettarono mentre annuiva. «Non riusciamo a pensare a nessun’altra soluzione. Sarà bene tenere a mente che forse è anche più potente di Logain, o Mazrim Taim. Sì.»

«Non possiamo fare nulla per quanto concerne Taim?» Il volto rotondo di Rafela, di solito sereno e gradevole, era molto severo e la voce, solitamente dolce, era atona. «Ci sono almeno cento uomini che possono incanalare — cento! — a meno di trenta chilometri da qui.» Kairen annuì risoluta ma non parlò.

«Dovranno aspettare» rispose Kiruna con fermezza. «Luce e onore, non so quante Sorelle serviranno per controllarne così tanti. Adesso al’Thor è la questione più importante. Demira?»

Demira attese che le altre finissero, quindi chinò leggermente il capo e disse: «So solo che se n’è andato, a quanto pare con un gran numero di Aiel e forse con Perrin Aybara.»

Verin era entrata nella stanza quando Demira aveva iniziato a parlare e aggiunse: «Su Perrin non ci sono dubbi. Ho inviato Tomas a controllare il campo degli uomini dei Fiumi Gemelli e sembra che da lì due messi si siano recati a palazzo per recuperare il cavallo di Perrin e quello di sua moglie. Gli altri hanno lasciato carri e servitori e si stanno già dirigendo a est alla massima velocità. Sotto la bandiera di Perrin con la testa di lupo e quella dell’Aquila Rossa del Manetheren.» In volto le apparve un sorriso, come se trovasse il tutto divertente. Kairen ovviamente era di parere diverso. Si lasciò sfuggire un’esclamazione, quindi si mise le mani davanti alla bocca per tenerla chiusa.

Neanche Merana lo trovava divertente, ma in fondo era un fatto decisamente piccolo a confronto di tutto il resto. Avrebbe potuto paragonarlo a una folata da qualcosa andato a male quando ci si trovava già sedute su un cumulo di rifiuti; un cane che ringhia contro qualcuno che è stato già afferrato dai lupi. Pensare che si era tanto preoccupata di Verin, che aveva lottato con tanta veemenza. Verin non aveva nemmeno sfiorato i suoi piani, se non guidando Demira verso lo sfortunato incontro di quel giorno. Era stato organizzato con molta scaltrezza. Merana credeva che nessun’altra se non le Grigie lo avrebbe notato. Eppure anche lei aveva approvato. Mettere al’Thor alle strette — cercare di metterlo con le spalle al muro — era il minimo che potessero fare. Si era preoccupata di Verin e poi erano apparse Bera e Kiruna, entrambe svincolate dalla sua autorità, forti quanto Masuri, Faeldrin o Rafela.

«Adesso abbiamo gettato la rapa marcia nello stufato» mormorò Bera cupa. Kairen e qualche altra annuirono in accordo.

«Una rapa piccola» le rispose Kiruna con la voce asciutta. Annuirono quasi tutte, tranne Merana e Verin. Merana si limitò a sospirare; Verin fissò Kiruna con quello sguardo da uccello e il capo reclinato. «Cosa sta trattenendo Alanna?» chiese Kiruna senza rivolgersi a nessuna in particolare. «Non voglio ripetere tutto due volte.»

Merana supponeva di aver dato lei stessa il via a quella situazione quando aveva iniziato a essere riverente con Verin. Era ancora a capo della delegazione, tutte seguivano ancora i suoi ordini, anche Masuri, Rafela e Faeldrin, ma ne erano consapevoli. Non era ancora certa su chi tra Kiruna e Bera avesse assunto il comando — che una fosse nata in una fattoria e l’altra in un palazzo reale non contava affatto; non aveva nulla a che vedere con l’essere Aes Sedai — ma una cosa di cui Merana era sicura era che l’ambasciata le stava crollando fra le mani. Era il tipo di cosa che non sarebbe mai accaduta quando la Torre Bianca era integra, quando un’ambasciatrice aveva il pieno potere della Torre e l’Amyrlin Seat alle sue spalle, anche se ci avesse impiegato trent’anni a raggiungere lo scialle e avesse avuto appena il filo di forza sufficiente per non essere mandata via. Adesso erano solo un gruppo di Aes Sedai, che prendevano il loro posto di diritto, senza pensare.

Come se pronunciare il suo nome fosse stata una convocazione, Alanna apparve proprio mentre Bera stava aprendo bocca. Questa e Kiruna si voltarono verso di lei all’unisono. «Al’Thor sostiene di essere andato a Cairhien» disse Bera inacidita. «Sei in grado di aggiungere altro?»

Alanna sostenne il loro sguardo con orgoglio e con un bagliore pericoloso negli occhi scuri. Dopotutto stavano parlando del suo Custode. «Si trova da qualche parte a est. È la sola cosa che so. Potrebbe essere Cairhien.»

«Se hai voluto legare un uomo senza il suo consenso,» chiese Kiruna con tono di voce imperioso «perché, per la Luce più sacra, non hai usato il legame per piegarlo alla tua volontà? A confronto di quello che hai già fatto sarebbe solo uno schiaffo sulle mani.»

Alanna aveva ancora pochissimo controllo sulle sue emozioni. Le guance le divennero rosse, in parte per la rabbia, a giudicare da come le lampeggiavano gli occhi, e di sicuro per la vergogna. «Non te l’ha detto nessuna?» chiese, fin troppo spensierata. «Suppongo che nessuna voglia pensarci. Io di sicuro non lo desidero.»

Faeldrin e Seonid guardavano in terra, e non erano le sole. «Ho cercato di obbligarlo qualche momento dopo averlo legato» continuò Alanna come se niente fosse. «Hai mai cercato di sradicare una quercia a mani nude, Kiruna? È stato pressappoco lo stesso.»

La sola reazione dell’altra donna fu un lento sgranare degli occhi e un respiro profondo. Bera mormorò: «È impossibile. Impossibile.»

Alanna reclinò il capo all’indietro e rise. Le mani sui fianchi fecero sembrare la risata dispregiativa, cosa che indusse Bera a stringere le labbra e le guadagnò un’occhiata fredda da Kiruna. Verin le guardò e Merana ebbe la sgradevole immagine di un pettirosso che scrutava dei vermi. Sembrava che quella donna rispettasse senza essere rispettosa, anche se Merana non capiva come facesse.

«Prima d’ora mai nessuna aveva legato un uomo che potesse incanalare» osservò Alanna quando il divertimento sfumò. «Forse c’entra qualcosa.»

«Che sia possibile o meno, dovresti ancora essere in grado di localizzarlo.»

«Sì» aggiunse Kiruna. «Verrai con noi, Alanna.» Alanna batté le palpebre come se avesse appena ripreso i sensi, poi chinò il capo in segno di assenso.

Merana decise che era giunto il momento. Se doveva tenere insieme la delegazione, quella era la sua ultima possibilità. Si alzò in piedi, ripiegando la lettera di al’Thor per tenere impegnate le mani. «Quando ho portato quest’ambasciata a Caemlyn,» aveva cominciato rammentando a tutte che era lei a capo della spedizione; grazie alla Luce aveva la voce ferma «mi è stato dato ampio margine d’azione; ma ciò che andava fatto sembrava ovvio, e noi» per rammentare alle altre che erano una delegazione «ci siamo messe all’opera con delle discrete aspettative di successo. Al’Thor sarebbe stato attirato fuori da Caemlyn per dare modo a Elayne di fare ritorno ed essere incoronata, mettendo quindi Andor sotto il nostro controllo. Avremmo lentamente indotto al’Thor a fidarsi di noi, convincendolo che non gli avremmo fatto del male. E lo avremmo anche indotto a mostrarci il dovuto rispetto. Due o tre di noi, selezionate con cura, avrebbero preso il posto di Moiraine come consigliere e guide. Inclusa Alanna, ovviamente.»

«Come fai a sapere che non l’abbia uccisa lui, Moiraine?» la interruppe Bera. «In fondo si dice che ha ucciso Morgase.»

«Abbiamo sentito ogni tipo di voce sulla sua morte» aggiunse Kiruna. «Qualcuna sostiene che sia morta combattendo Lanfear. La maggior parte invece ritiene che fosse da sola con al’Thor quando è morta.»

Merana si trattenne dal rispondere con un sforzo. Se avesse dato via libera alle reazioni istintive, non avrebbe potuto più smettere. «Tutto era sotto controllo,» proseguì «quando siete arrivate voi due. Solo per caso, lo so, e solo seguendo le vostre istruzioni per trovarlo, eppure avete portato il nostro numero a tredici. Quale uomo con il temperamento di al’Thor non fuggirebbe il più veloce possibile, sentendo parlare di tredici Aes Sedai tutte insieme? Il semplice fatto è che qualsiasi danno sia stato apportato al nostro piano deve essere imputato a te, Kiruna, e a te, Bera.» Adesso doveva solo aspettare. Se fosse riuscita a ottenere un certo ascendente...

«Hai finito?» chiese Bera fredda.

Kiruna fu anche più dura. Si voltò verso le altre e iniziò a impartire ordini. «Faeldrin, tu verrai con noi a Cairhien, se vuoi. Anche voi, Masuri, Rafela.»

Merana tremò e strinse la lettera in pugno. «Ma non capite?» gridò. «Parlate come se potessimo continuare come prima, come se non fosse cambiato nulla. C’è un’ambasciata di Elaida a Cairhien, dalla Torre Bianca. È così che al’Thor deve vederla. Abbiamo bisogno di lui più di quanto lui ne abbia di noi, e temo lo sappia!»

Per un istante tutti i volti furono colmi di stupore a eccezione di quello di Verin, che si limitò ad annuire pensierosa, rivolgendo loro un sorriso furtivo. Per un istante in tutti volti si videro occhi sgranati, attoniti. Le parole di Merana sembravano risuonare in aria. Abbiamo bisogno di lui più di quanto lui ne abbia di noi. Non servivano i Tre Giuramenti per sapere che aveva detto la verità.

Quindi Bera disse con una certa fermezza: «Siediti, Merana, e calmati.» Merana stava obbedendo prima ancora di rendersene conto; ancora tremava e avrebbe voluto gridare, ma si era seduta comunque, con la lettera di Rand stretta in entrambe le mani.

Kiruna le voltò le spalle intenzionalmente. «Tu ovviamente verrai, Seonid. Un altro paio di Gaidin fanno sempre comodo. E Verin, suppongo.» Lei annuì come se quella fosse stata una richiesta. «Demira,» proseguì Kiruna «so che hai delle rimostranze contro di lui, ma non vogliamo che l’uomo cada di nuovo in preda al panico e qualcuno deve pur scortare a Salidar quella straordinaria collezione di ragazze dei Fiumi Gemelli. Tu, Valinde, Kairen e Berenicia dovrete assistere Merana nel farlo.»

Le altre quattro che vennero nominate mormorarono il loro consenso senza la minima esitazione, ma Merana sentì freddo. La delegazione non si stava sbriciolando, stava finendo in polvere.

«Io...» si interruppe quando lo sguardo di Bera si posò su di lei, insieme a quello di Kiruna, Masuri, Faeldrin e Rafela. Ridotto in polvere, con tutta la sua autorità. «Potreste avere bisogno di una Grigia» aggiunse sommessamente. «Ci saranno di sicuro delle negoziazioni e...» le parole l’abbandonarono di nuovo. Una cosa simile non sarebbe mai accaduta se la Torre fosse rimasta integra.

«Molto bene» disse alla fine Bera, con un tono tale che solo l’autocontrollo di Merana evitò che le guance le diventassero rosse per la vergogna.

«Demira, tu porterai le ragazze a Salidar» disse Kiruna.

Merana era immobile. Pregava che il Consiglio avesse ormai scelto un’Amyrlin, qualcuna molto forte con il Potere e con un carattere di ferro. Ci sarebbe voluta un’altra Deane, un’altra Rashima per farle ritornare agli antichi splendori. Pregava che Alanna le guidasse da al’Thor prima che questi decidesse di dare retta a Elaida. A quel punto, nemmeno un’altra Rashima le avrebbe salvate.

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