3 Gli occhi di una donna

Mentre cercava di calmare la propria irritazione — e quella di Lews Therin — Rand si protese verso saidin, lanciandosi nella familiare lotta per il controllo e la sopravvivenza nel mezzo del nulla. La contaminazione filtrava attraverso di lui mente incanalava; poteva percepirla anche nel vuoto mentre pareva volesse penetrare nelle ossa, forse addirittura nell’anima. Non sapeva descrivere ciò che aveva fatto se non come l’atto di creare una piegatura nel Disegno, un buco attraverso di esso. Lo aveva imparato da solo, e il suo maestro non era stato molto bravo nemmeno a spiegare ciò che si trovava dietro le cose che lui stesso gli aveva insegnato. Nell’aria apparve una linea luminosa verticale nell’aria che si trasformò rapidamente in un’apertura larga quanto una porta. Sembrava che girasse su se stessa e all’interno si vedeva una radura fra gli alberi inariditi, illuminata dal sole. Roteò, per poi fermarsi.

Enaila e altre due Fanciulle sollevarono i veli e vi balzarono attraverso quasi prima che si arrestasse; altre sei Fanciulle le seguirono con gli archi di corno pronti. Rand non si aspettava che vi fosse alcun pericolo. Aveva deciso di aprire l’altro lato — se esisteva un altro lato; Rand non capiva, ma a lui pareva ce ne fosse uno solo — nella radura, perché l’apertura di un passaggio poteva essere pericolosa per la gente. Ma dire alle Fanciulle, o a qualsiasi Aiel, che non c’era bisogno di stare all’erta era come dire a un pesce che non aveva bisogno di nuotare.

«Questo è un passaggio» spiegò a Taim. «Ti insegnerò come crearne uno, se non mi hai mai osservato.» L’uomo lo fissava. Se avesse guardato con attenzione avrebbe dovuto notare Rand che intesseva i flussi di saidin; ogni uomo capace di incanalare poteva farlo.

Taim si unì a lui e oltrepassò il passaggio per arrivare nella radura, seguito da Sulin e il resto delle Fanciulle. Mentre passava vicino alle Aiel, alcune rivolsero alla spada di Rand delle occhiate sdegnose, e fra loro vi fu uno scambio silenzioso d’opinioni nel linguaggio dei segni tipico delle Fanciulle. Senza dubbio erano disgustate. Enaila e l’avanguardia si erano già sparpagliate fra gli alberi rinsecchiti, le loro giubbe, le brache e i cadin’sor le facevano sembrare parte dell’ombra, che avessero o meno aggiunto del verde al grigio e al marrone. Saturo di Potere, Rand riusciva a vedere i singoli aghi di pino sugli alberi; la maggior parte secca. Poteva fiutare la linfa aspra delle eriche. L’aria stessa odorava di calore, era aspra e polverosa. In quel luogo per lui non vi era alcun pericolo.

«Aspetta, Rand al’Thor.» La voce impellente della donna proveniva dall’apertura. Era Aviendha.

Rand rilasciò immediatamente saidin, il passaggio si strinse e scomparve. C’erano pericoli e pericoli. Taim lo guardò incuriosito. La stessa cosa fecero le Fanciulle, velate e non, tutte con un’espressione e uno sguardo particolari. Disapprovazione. Le mani scattarono di nuovo nel linguaggio delle Fanciulle. Erano abbastanza sensate da non parlare ad alta voce; su quello Rand era stato chiaro.

Rand si incamminò verso gli alberi con Taim al suo fianco, ignorando ugualmente curiosità e disapprovazione. Le foglie morte e i ramoscelli secchi si spezzavano sotto i loro piedi. Le Fanciulle, disposte in un ampio cerchio attorno a loro, non facevano alcun rumore con i loro soffici stivali allacciati sotto al ginocchio. La vigilanza coprì il loro momento di disapprovazione. Qualcuna aveva già fatto quel viaggio con Rand prima di allora, sempre senza incidenti, ma nulla le avrebbe convinte che quella foresta non fosse un buon nascondiglio per un’imboscata. Prima dell’arrivo di Rand, la vita nel deserto era stata regolata quasi esclusivamente da tremila anni d’incursioni, schermaglie, antagonismi sanguinosi e guerre ininterrotte.

Di sicuro avrebbe potuto imparare qualcosa di nuovo da Taim — ma l’insegnamento sarebbe andato in entrambe le direzioni, ed era giunto il momento che iniziasse lui ad addestrare l’altro. «Prima o poi, rimanendo con me, incontrerai i Reietti. Forse prima dell’Ultima Battaglia. O forse prima ancora. Non mi sembri sorpreso.»

«Ho sentito delle voci. Prima o poi dovevano liberarsi.»

Quindi la notizia si stava diffondendo. Rand sorrise involontariamente. Alle Aes Sedai non sarebbe piaciuto. A parte tutto il resto, provava un certo piacere nel prenderle per il naso. «Devi aspettarti di tutto in ogni momento. Trolloc, Myrddraal, Draghkar, Uomini Grigi, Gholam...»

Rand esitò, il palmo con il marchio dell’airone carezzava la lunga elsa della spada. Non aveva idea di cosa fosse un Gholam. Lews Therin non si era mosso, ma sapeva che era lui la fonte di quel nome. Alcuni ricordi a volte venivano a galla superando qualsiasi barriera ci fosse fra lui e quella voce, divenendo parte della memoria di Rand, di solito senza spiegazione. Di recente succedeva sempre più spesso. Quelle memorie frammentarie non erano qualcosa che lui potesse combattere, come la voce dell’uomo. L’esitazione durò solo un istante.

«Non solo a nord, vicino alla Macchia. Può succedere anche qui, ovunque. Usano le Vie.» Quella era un’altra cosa che doveva risolvere. Ma come? Erano state create con la metà maschile del Potere e adesso le Vie erano un luogo oscuro, contaminato proprio come saidin. La progenie dell’Ombra non poteva evitare tutti i pericoli delle Vie, che uccidevano gli uomini o peggio, ma riusciva comunque a usarle, e anche se le Vie non erano un sistema rapido come i passaggi, il Viaggiare o il volo aleggiato, permettevano comunque di coprire centinaia di chilometri in un solo giorno. Sarebbe stato un problema da affrontare in un altro momento, ma ne stava rimandando troppi e troppi ne aveva da gestire subito. Colpì irritato un’erica con lo scettro del Drago; caddero grandi pezzi di foglie secche. «Se hai mai sentito una leggenda su quelle creature, aspettati di vederle. Anche i Segugi Neri, benché se questi compongono davvero la Caccia Furiosa, almeno il Tenebroso non è libero di cavalcare con loro. Sono comunque terribili. Alcuni puoi ucciderli, come raccontano le leggende, ma altri, per quanto ne sappia, non moriranno fino a quando non userai contro di loro il fuoco malefico. Sai creare il fuoco malefico? Se non lo sai fare, è una cosa che io non ti insegnerò. Se invece ne sei capace, usalo solo sulla progenie dell’Ombra. E non insegnarlo a nessuno.

«La fonte di alcune di quelle voci che hai sentito potrebbe essere... non saprei come altro definirle se non bolle di male. Immaginale come le bolle che a volte emergono dalle paludi, solo che quelle provengono dal Tenebroso perché i sigilli si sono indeboliti e, invece dei gas in putrefazione, sono piene di... be’, male. Vagano lungo il Disegno finché non esplodono, e quando lo fanno, può accadere di tutto. Qualsiasi cosa. Le tue immagini riflesse potrebbero uscire dallo specchio e tentare di ucciderti. Credimi.»

Se Taim era rimasto sgomento da quella litania, non lo mostrò. La sola cosa che disse fu: «Sono stato nella Macchia; ho già ucciso Trolloc e Myrddraal.» Abbassò un lungo ramo per oltrepassarlo e lo tenne giù per Rand. «Non ho mai sentito parlare di questo fuoco malefico, ma se un Segugio Nero dovesse attaccarmi, troverò il modo di farlo fuori.»

«Bene.» Il commento valeva sia per l’ignoranza di Taim che per la propria sicurezza. Il fuoco malefico era una conoscenza che a Rand non sarebbe dispiaciuto veder scomparire per sempre dal mondo. «Se sei fortunato non incontrerai nulla di tutto ciò, ma non puoi mai esserne sicuro.»

Il bosco si aprì improvvisamente sul cortile della fattoria, dove sorgeva una casa di due piani dal tetto di paglia sconnesso. Da uno dei camini saliva un filo di fumo ed era anche visibile un grande fienile decisamente inclinato. Il clima non era più fresco che nella città ad alcuni chilometri di distanza. Il sole non era meno cocente. Le galline raspavano fra la polvere, due mucche marroni ruminavano in un recinto di legno, un gregge di capre nere impastoiate strappava le foglie dai cespugli alla loro portata e un carro dalle ruote alte era sistemato all’ombra del fienile, ma quel posto non somigliava affatto a una fattoria. Non erano visibili campi coltivati; la foresta circondava il territorio, interrotta solo da percorsi di terra battuta che serpeggiavano verso nord e venivano usati per le rare escursioni in città. E c’erano troppe persone.

Quattro donne, tutte di mezza età tranne una, stavano stendendo il bucato, circondate da quasi una dozzina di bambini, nessuno che avesse più di nove o dieci anni, e tutti giocavano fra le galline. In giro c’erano anche degli uomini, che svolgevano diversi compiti. Ventisette, anche se in alcuni casi era un’esagerazione chiamarli uomini. Eben Hopwil, il tizio magro che stava issando un secchio d’acqua dal pozzo, sosteneva di avere vent’anni ma sicuramente ne aveva quattro o cinque di meno. Il naso e le orecchie sembrava fossero le parti più grandi del corpo. Fedwin Morr, uno dei tre uomini che sudavano sul tetto mentre rimpiazzavano la vecchia paglia, era molto rugoso e con la pelle decisamente macchiata, ma non era più vecchio di Eben. La maggior parte degli uomini avevano solo due o tre anni più di quei due. Rand avrebbe quasi rimandato a casa alcuni di loro, almeno Eben e Fedwin, se non fosse stato per il fatto che la Torre accoglieva novizie giovani come loro e a volte anche più piccole. Su qualche testa si vedevano delle tracce di grigio e Damer Flinn dal volto rugoso, in piedi davanti al fienile intento a usare dei rami spogli per mostrare ai giovani come maneggiare una spada, zoppicava e aveva solo un ciuffo di capelli bianchi. Damer aveva fatto parte della guardia della regina fino a quando non era stato ferito alla gamba da una lancia dell’esercito del Murandy. Non era uno spadaccino, ma pareva abbastanza competente da mostrare agli altri come non colpirsi i piedi da soli. Molti di loro erano Andorani, alcuni Cairhienesi. Nessuno era ancora giunto da Tear, benché l’amnistia fosse stata proclamata anche da quelle parti. Ci sarebbe voluto del tempo per recarsi tanto lontano.

Damer fu il primo a notare le Fanciulle, abbassò il ramo e diresse lo sguardo verso Rand. Poi Eben lasciò cadere il secchio gridando e versandosi l’acqua addosso mentre gli altri incominciavano ad agitarsi raccogliendosi alle spalle di Damer. Dalla casa vicino, altre due donne, con il grembiule e i volti arrossati per via dei fuochi da cucina, presero ad aiutare le altre a radunare i bambini.

«Eccoli» disse Rand a Taim. «Ti è rimasta circa mezza giornata. Quanti ne puoi esaminare? Voglio sapere al più presto quali possono essere addestrati.»

«Questi li hai dragati dal fondo del...» iniziò a dire Taim sdegnoso, quindi si fermò in mezzo al cortile per fissare Rand. Le galline raspavano il terreno attorno ai piedi di Taim. «Non li hai ancora esaminati? Perché, nel nome di... Non ne sei in grado, vero? Puoi Viaggiare, ma non sai come intercettare il talento.»

«Alcuni non vogliono incanalare sul serio.» Rand rilasciò la presa dall’elsa della spada. Non gli piaceva ammettere con quell’uomo di avere delle lacune. «Altri hanno pensato solo alla possibilità di gloria, benessere e potere, ma voglio tenere ogni uomo che può imparare, non mi interessano le motivazioni.»

I potenziali studenti osservavano quasi calmi lui e Taim disposti davanti al fienile. Dopotutto erano venuti a Caemlyn per imparare dal Drago Rinato, o pensando che lo avrebbero fatto. Erano le Fanciulle, che avevano formato un anello intorno alla fattoria e si aggiravano furtivamente in casa e nel fienile, ad aver attirato l’attenzione e scatenato apprensione, con sentimenti misti fra sospetto e fascino. Le donne si tenevano vicini i bambini, con gli occhi fissi su Rand e Taim, le espressioni che variavano da indifferenti ad ansiose.

«Avanti» disse Rand. «È ora che incontri i tuoi allievi.»

Taim lo trattenne. «È davvero tutto quello che vuoi da me? Tentare di insegnare qualcosa a quella feccia patetica? Sempre che sia possibile farlo. Quanti pensi di trovarne fra la manciata che è giunta fino a te?»

«È importante, Taim; lo farei io stesso se potessi, se avessi tempo.» Il tempo era sempre la chiave, ne aveva sempre così poco. E lo aveva ammesso, per quanto gli desse fastidio. Taim non gli piaceva, ma in fondo non doveva farselo andare a genio a tutti i costi. Rand non attese e, dopo un istante, l’altro uomo lo raggiunse. «Hai parlato di fiducia. Te la sto dimostrando con quest’offerta.» Non fidarti, ansimò Lews Therin nei profondi recessi della sua mente. Non fidarti mai! La fiducia porta alla morte! «Esaminali e inizia a insegnare non appena sai chi può imparare.»

«Come desidera il lord Drago» mormorò Taim asciutto mentre raggiungevano il gruppo in attesa. Inchini e riverenze, nessuno ben eseguito, diedero loro il benvenuto.

«Questo è Mazrim Taim» annunciò Rand, davanti a una serie di bocche aperte e occhi sgranati. Alcuni dei giovani lo fissavano come se credessero che Taim fosse venuto per combattere. Alcuni parevano impazienti di saper cosa ci facesse lì. «Presentatevi. Da oggi sarà il vostro insegnante.» Taim guardò Rand a labbra tese mentre gli studenti si riunivano lentamente davanti a lui e iniziavano a presentarsi.

Per la verità le reazioni degli uomini furono diverse. Fedwin si fece avanti ansioso, proprio accanto a Damer, con Eben alle spalle che invece era sbiancato. Gli altri erano a metà, tra esitazione e incertezza, ma alla fine parlarono. La dichiarazione di Rand voleva dire, per alcuni di loro, la fine dell’attesa, forse la fine di anni di sogni. La realtà cominciava quel giorno, e poteva significare incanalare, con tutto ciò che comportava.

Un uomo grosso dagli occhi scuri che aveva sei o sette anni più di Rand ignorò Taim e si allontanò dagli altri. Con addosso la giubba scura da contadino, Jur Grady saltava da un piede all’altro davanti a Rand e stringeva un cappello di panno fra le mani. Guardava il cappello o i piedi e, solo occasionalmente, Rand. «Uh... mio signore Drago, pensavo... be’, mio padre sta controllando il mio podere, un buon pezzo di terra se il ruscello non si prosciuga... forse potremmo avere un raccolto se piove, e... e...» Strinse il cappello, quindi lo lisciò con cura. «Pensavo di tornare a casa.»

Le donne non si avvicinarono a Taim. Una fila silenziosa di occhi preoccupati che controllavano i bambini. La più giovane, una ragazza rotonda dai capelli chiari con un bambino di quattro anni che giocava con le sue dita, era Sora Grady. Quelle donne avevano seguito i loro mariti, ma Rand sospettava che metà dei discorsi fra i coniugi vertessero sul fatto di andare via. Cinque lo avevano già fatto. Nessuno aveva detto che si trattava delle mogli, ma erano tutti sposati. Quale donna poteva sentirsi a suo agio vedendo il marito che imparava a incanalare? Doveva essere come guardarlo mentre si suicidava.

Alcuni sostenevano che quello non era il posto adatto per le famiglie, ma probabilmente quelle stesse persone avrebbero detto che nemmeno gli uomini dovevano trovarsi lì. Secondo il parere di Rand, le Aes Sedai avevano commesso un errore escludendosi dal mondo. Pochi entravano nella Torre, se non le Aes Sedai, le donne che volevano esserlo o i loro servitori; solo alcune persone alla ricerca di aiuto e solo quando subivano una gran pressione. Molte delle Aes Sedai che lasciavano la Torre mantenevano quel distacco e altre non la lasciavano mai. Per le Aes Sedai, le persone erano pedine di un gioco e il mondo la scacchiera, non un luogo dove vivere. Per loro era reale solo la Torre Bianca. Nessun uomo invece poteva dimenticare il mondo e la gente ordinaria quando aveva una famiglia davanti a sé.

Doveva solo durare fino a Tarmon Gai’don — quanto? Un anno? Due? — ma il problema era se fosse possibile. In qualche modo doveva esserlo. Lo avrebbe fatto durare. Le famiglie avrebbero ricordato agli uomini per cosa dovevano lottare.

Gli occhi di Sora erano fissi su Rand.

«Vai, se vuoi» rispose a Jur. «Puoi andare via in qualsiasi momento, prima che inizi a imparare a incanalare. Una volta fatto quel passo, diventi come un soldato. Sai che avremo bisogno di ogni soldato che riusciremo a reclutare prima dell’Ultima Battaglia, Jur. L’Ombra avrà a disposizione nuovi Signori del Terrore pronti a incanalare; puoi contarci. Ma si tratta di una tua scelta. Forse riuscirai a restarne fuori, nella tua fattoria. Devono esserci alcuni posti al mondo che riusciranno a sfuggire a ciò che sta arrivando. Lo spero. In ogni caso, il resto di noi farà del suo meglio per assicurarsi che la maggior parte di quei luoghi venga preservata. Se non altro, puoi presentarti a Taim. Sarebbe un peccato andar via prima di sapere se puoi imparare.» Voltando le spalle al viso confuso di Jur, Rand evitò lo sguardo di Sora. E tu condanni le Aes Sedai perché manipolano le persone, si disse amareggiato. Ma faceva quello che doveva.

Taim ascoltava ancora le presentazioni e lanciava a Rand occhiate poco sottomesse. Di colpo, la pazienza dell’uomo sembrò al limite. «Ne ho abbastanza; i nomi posso sentirli dopo, di quelli che saranno ancora qui domani. Chi è il primo che deve essere esaminato?» Gli uomini rimasero in silenzio. Alcuni non battevano nemmeno le palpebre mentre lo fissavano. Taim indicò Damer. «Tanto vale che ti tolga di mezzo per primo. Vieni qui.» Damer non si mosse fino a quando Taim non lo afferrò per un braccio trascinandolo di qualche passo lontano dagli altri.

Rand, che osservava, si avvicinò.

«Più Potere viene usato,» spiegò Taim a Damer «più è facile individuare la risonanza. D’altro canto, una risonanza troppo forte può creare effetti sgradevoli alla tua mente, forse ucciderti, quindi inizierò con una piccola dose.» Damer batté le palpebre; chiaramente non aveva capito una parola, se non forse la parte sulle cose sgradevoli e la morte. Rand invece sapeva che la spiegazione era rivolta a lui: Taim stava coprendo la sua ignoranza.

Di colpo apparve una piccola fiamma, alta due centimetri, sospesa a mezz’aria fra i tre uomini. Rand percepiva il Potere in Taim, anche se solo una piccola quantità, e vedeva il piccolo flusso di Fuoco che l’uomo stava usando. La fiamma fece inaspettatamente rilassare Rand, perché adesso sapeva che Taim poteva incanalare davvero. Forse lo avevano impressionato i primi dubbi di Bashere.

«Concentrati sulla fiamma» disse Taim. «Tu sei la fiamma, il mondo è la fiamma, non c’è altro se non la fiamma.»

«Sento solo male agli occhi» mormorò Damer, asciugandosi il sudore dalla fronte con il dorso della mano callosa.

«Concentrati!» scattò Taim. «Non parlare, non pensare, non muoverti. Concentrati.» Damer annuì, quindi batté le palpebre quando l’insegnante si scurì in volto e si immobilizzò, fissando in silenzio la piccola fiamma.

Taim pareva effettivamente concentrato, ma su cosa Rand non avrebbe saputo dirlo. Sembrava ascoltasse. Aveva parlato di risonanza. Rand si concentrò per percepire, per sentile... qualcosa.

I minuti trascorsero senza che nessuno di loro muovesse un muscolo. Cinque, sei, sette lenti minuti, con Damer che nemmeno batteva le palpebre. Il vecchio era affannato e sudava così tanto che pareva gli avessero tirato un secchio d’acqua addosso. Dieci minuti.

Di colpo Rand la sentì. La risonanza. Piccola, una minuscola eco del contenuto flusso di Potere che emanava da Taim, ma pareva provenire da Damer. Doveva essere a quello che Taim si era riferito, ma non si mosse. Forse c’era dell’altro, o forse non era quel che Rand pensava.

Trascorsero un altro minuto o due, e alla fine Taim annuì e rilasciò la fiamma e saidin. «Puoi imparare... Damer?» Pareva sorpreso, senza dubbio non aveva creduto che il primo uomo esaminato superasse la prova, per giunta un vecchio. Damer sorrise debolmente; pareva avesse voglia di dare di stomaco. «Immagino che non dovrei essere sorpreso se tutti questi sempliciotti supereranno la prova» mormorò l’uomo dal naso aquilino lanciando un’occhiata a Rand. «Sembri abbastanza fortunato, almeno quanto dieci uomini.»

Il resto di quei ‘sempliciotti’ si agitò. Alcuni speravano senza dubbio di fallire. Adesso non potevano tirarsi indietro, ma se avessero fallito avrebbero potuto andare a casa sapendo di aver tentato, senza dover affrontare le conseguenze del superare l’esame.

Rand non era molto sorpreso. Era stata solo un’eco e l’aveva sentita prima di Taim, che sapeva cosa cercava.

«Con il tempo scopriremo quanto può diventare forte» aggiunse Taim mentre Damer ritornava fra gli altri, che si allargarono senza guardarlo. «Forse diventerai forte come me, o come il lord Drago.» Lo spazio attorno a Damer aumentò. «Solo il tempo ce lo dirà. Fai attenzione mentre mi occupo degli altri. Dovresti essere in grado di imparare a farlo dopo che ne avrò esaminati cinque o sei.» Un’occhiata rapida a Rand confermò che lo aveva detto per lui. «Adesso, chi è il prossimo?» Nessuno si mosse. L’uomo della Saldea si grattò il mento. «Tu.» Indicò un tizio butterato di circa trent’anni, un uomo dai capelli scuri di nome Kely Huldin. Nella fila delle donne, la moglie di Kely gemette.

Altri ventisei esami avrebbero preso il resto della giornata, forse anche più. Caldo o no, le giornate erano corte come se l’inverno stesse davvero per giungere e le prove fallimentari avrebbero richiesto più tempo di quelle positive, se si voleva essere certi. Bashere aspettava, c’era Weiramon ancora da visitare e...

«Continua con le prove» disse Rand a Taim. «Tornerò domani per vedere come te la sei cavata. Ricordati della fiducia che sto riponendo in te.» Non fidarti di lui, gemette Lews Therin. La voce pareva provenire da una figura saltellante nell’ombra della mente di Rand. Non fidarti. La fiducia è morte. Uccidilo. Uccidili tutti. Oh, morire e farla finita, finirla con tutto, un sonno senza sogni, sogni di Ilyena, perdonami, Ilyena, nessun perdono, solo morte, merito di morire... Rand si voltò prima che la sua lotta interiore gli si vedesse sul volto. «Domani, se posso.»

Taim lo raggiunse prima che lui e le Fanciulle fossero a metà strada dagli alberi. «Se rimani un altro po’ potresti imparare come esaminarli.» La voce era sfiorata dall’esasperazione. «Se ne trovo altri cinque o forse più, cosa che non mi sorprenderebbe affatto. Sembra che tu abbia la fortuna del Tenebroso. Immagino che tu voglia imparare. A meno che non intenda scaricare tutto sulle mie spalle. Ti avviso, sarà un procedimento lento. Per quanto io possa fare pressione, a questo Damer serviranno giorni, settimane, prima di riuscire a percepire saidin, altre per riuscire ad afferrarlo. Solo prenderlo, senza incanalare una scintilla.»

«Ho già capito come fai la prova» rispose Rand. «Non era difficile. E sì, intendo lasciare tutto sulle tue spalle, fino a quando riuscirai a trovarne altri e insegnare loro abbastanza per farti aiutare nelle ricerche. Ricorda cosa ho detto, Taim. Insegna loro rapidamente.» C’erano dei pericoli in quell’attività. Imparare a incanalare la metà femminile della Vera Fonte era imparare ad abbracciare, così era stato spiegato a Rand, imparare a sottomettersi a qualcosa che avrebbe obbedito a sua volta quando la donna si fosse arresa al Potere. Era come guidare una forza immensa che non avrebbe fatto del male a nessuno a meno che non ne fosse stato fatto un uso sbagliato. Elayne ed Egwene lo ritenevano naturale; per Rand era quasi incredibile. Incanalare la metà maschile era una guerra costante per il controllo e la sopravvivenza. Balzando troppo lontano o troppo veloce, si diventava come bambini lanciati nudi in una battaglia contro soldati in armatura. E anche una volta appreso l’uso, saidin poteva distruggere, uccidere o annullare la mente, sempre che non si limitasse a bruciare la capacità di incanalare. Lo stesso prezzo che le Aes Sedai esigevano dagli uomini capaci d’incanalare che catturavano, era possibile pagarlo da soli in un unico momento di negligenza, un istante in cui fosse stata abbassata la guardia. Alcuni degli uomini davanti al fienile non erano pronti a pagare quel prezzo. La moglie dal viso rotondo di Kely Huldin stava cercando di attirare l’attenzione del marito, incerta, e gli alto uomini sposati guardavano dubbiosi verso le mogli, ma quella era una guerra e la guerra aveva le sue vittime, anche fra gli uomini sposati. Luce, stava diventando talmente duro da far sentire male una capra. Si voltò leggermente per non vedere gli occhi di Sora Grady. «Spingiti ai limiti massimi» disse a Taim. «Insegna loro tutto ciò che possono imparare e alla massima velocità.»

Taim tese le labbra alle prime parole di Rand. «Tutto ciò che possono imparare» ripeté atono. «Ma cosa? Arti da utilizzare come armi, immagino.»

«Armi» concordò Rand. «Tutti loro devono essere delle armi, incluso lui.» Le armi potevano avere famiglia? Un’arma avrebbe potuto amare? Da dove proveniva quella domanda? «Tutto ciò che possono imparare, ma quello sopra ogni altra cosa.» Erano così pochi. Ventisette e, se ce ne era anche uno solo più di Damer che poteva imparare, Rand avrebbe ringraziato il suo essere ta’veren per averlo attirato a sé. Le Aes Sedai prendevano e domavano tutti gli uomini che potevano incanalare, e lo avevano fatto molto bene negli ultimi tremila anni. Alcune di loro dovevano essere convinti di aver ottenuto involontariamente risultati positivi in qualcosa che non avevano avuto intenzione di fare: estinguere la capacità di incanalare tra l’umanità. La Torre Bianca era stata costruita per ospitare tremila Aes Sedai e anche di più, se necessario, con stanze per centinaia di ragazze in fase di addestramento, ma prima della divisione in tutta la Torre c’erano state solamente quaranta novizie e meno di cinquanta Ammesse. «Ho bisogno di altri elementi, Taim. Cerca di trovarli, in un modo o nell’altro. Prima di ogni altra cosa, insegna loro come esaminare gli altri.»

«Stai cercando di eguagliare le Aes Sedai?» Taim pareva imperturbato, anche se quello fosse stato davvero il piano di Rand. Gli scuri occhi a mandorla non si muovevano.

«Quante Aes Sedai ci sono in tutto? Mille?»

«Non credo siano così tante» osservò Taim con calma.

Selezionare la razza umana. Che fossero folgorate, anche se avevano i loro motivi per farlo. «Avremo comunque molti nemici.» Una cosa che non scarseggiava mai erano i nemici. Il Tenebroso e i Reietti, la progenie dell’Ombra e gli Amici delle Tenebre. I manti Bianchi e, molto probabilmente, le Aes Sedai, almeno qualcuna di loro, quelle che appartenevano all’Ajah Nera e quelle che volevano controllarlo. Queste ultime le considerava nemiche anche se loro non la vedevano allo stesso modo. Come aveva spiegato, ci sarebbero stati sicuramente anche i Signori del Terrore. E altri ancora. Abbastanza nemici da rovinargli i piani. Rand strinse la presa sulla parte intagliata dello scettro del Drago. Il tempo era il peggior nemico di tutti, quello che aveva minor possibilità di battere. «Li sconfiggerò, Taim. Fino all’ultimo. Credono di poter distruggere tutto. Sempre distruggere, mai costruire! Io invece costruirò, mi lascerò qualcosa alle spalle. Qualunque cosa accada, lo farò! Sconfiggerò il Tenebroso. Pulirò saidin, in modo che gli uomini non dovranno mai più temere di impazzire e il mondo non dovrà aver paura di loro. Io...»

Mosse nervoso la lancia dai tasselli verdi e bianchi. Era impossibile. Il caldo e la polvere si facevano beffe di lui. Alcune di quelle cose dovevano essere fatte, ma realizzarle tutte era impossibile. Il meglio che uno qualsiasi di loro potesse aspettarsi era vincere e morire prima di impazzire e lui non riusciva a vedere nemmeno come ottenere almeno quello. Tutto ciò che poteva fare era continuare a provare. Doveva pur esserci un sistema. Se esisteva qualcosa di simile alla giustizia, doveva anche esserci una via d’uscita.

«Pulire saidin» ripeté Taim. «Credo che richiederebbe più potere di quanto tu possa immaginare.» Socchiuse leggermente gli occhi. «Ho sentito parlare di oggetti chiamati sa’angreal. Ne hai uno che ritieni potrebbe...»

«Quel che ho o meno non ti riguarda» scattò Rand. «Tu limitati ad addestrare chiunque trovi, Taim. Esegui e addestrali. Il Tenebroso non aspetterà i nostri comodi. Luce! Non abbiamo abbastanza tempo, Taim, ma dovremo farcelo bastare. Dobbiamo!»

«Farò ciò che posso, ma non aspettarti che domani Damer sia capace di abbattere le mura di una città.»

Rand esitò. «Taim, tieni d’occhio ogni allievo che impara troppo in fretta. Fammelo sapere immediatamente. Fra gli studenti potrebbe nascondersi uno dei Reietti.»

«Uno dei Reietti!» Fu quasi un sospiro. Per la seconda volta Taim sembrò scosso, stavolta preso davvero alla sprovvista. «Perché dovrei...»

«Quanto sei forte?» lo interruppe Rand. «Afferra saidin. Fallo. Usa tutta la tua forza.»

Per un istante Taim si limitò a guardarlo, il volto privo di espressione, quindi il Potere fluì in lui. Non vi era un bagliore visibile come accadeva con le donne, solo una sensazione di forza e minaccia, ma Rand la percepiva con chiarezza e sapeva giudicarla. Taim aveva in pugno abbastanza saidin per devastare in pochi secondi la fattoria con tutti i presenti, abbastanza da distruggere tutto ciò che fosse visibile. Non era poi meno di quanto riuscisse a gestire Rand senza aiuto. Ma l’uomo forse si stava trattenendo. Non vi era alcuna sensazione di fatica e forse non voleva mostrare tutta la sua forza a Randper timore della sua reazione?

Saidin, la sensazione della sua presenza, svanì da Taim, e per la prima volta Rand si accorse di essere anch’egli saturo della metà maschile della Fonte, un fiume in piena, tutto quello che era riuscito ad attingere dall’angreal che aveva in tasca. Uccidilo, mormorò Lews Therin. Uccidilo adesso! Per un istante Rand fu scosso dallo stupore. Il vuoto che lo circondava vacillò, saidin infuriò e si sgonfiò, e Rand riuscì a rilasciare il Potere prima che schiacciasse lui e il vuoto. Era stato lui o Lews Therin ad afferrare saidin? Uccidilo! Uccidilo!

Rand gridò furioso dentro la propria testa, silenzio! Con sua sorpresa, l’altra voce svanì.

Aveva il viso imperlato di sudore e si deterse con mano quasi tremante. Aveva afferrato la Fonte da solo; doveva essere così. La voce di un uomo morto non avrebbe potuto farlo. Inconsciamente, non si era fidato a rimanere indifeso davanti a Taim con in pugno saidin. Ecco cos’era successo.

«Tieni d’occhio tutti quelli che imparano troppo in fretta» mormorò. Forse stava rivelando troppo a Taim, ma la gente aveva il diritto di sapere cosa avrebbe dovuto affrontare. Tutto ciò che aveva bisogno di sapere. Non osava lasciar scoprire a Taim o chiunque altro dove aveva appreso quasi tutto ciò che sapeva. Se avessero scoperto che aveva imparato da uno dei Reietti imprigionato e che gli aveva anche permesso di fuggire... Le voci si sarebbero sparse in fretta. I Manti Bianchi sostenevano che lui fosse un falso Drago, e anche un Amico delle Tenebre. Dicevano lo stesso di chiunque toccasse l’Unico Potere. Se il mondo fosse venuto a sapere di Asmodean, le persone avrebbero creduto anche a molto altro. Era irrilevante che Rand avesse avuto bisogno di un uomo per imparare a usare saidin. Nessuna donna avrebbe potuto insegnargli, non potevano vedere i flussi reciproci. Gli uomini credono facilmente al peggio e le donne credono che dietro quel peggio si celi qualcosa di ancor più tetro: era un vecchio detto dei Fiumi Gemelli. Se Asmodean fosse tornato, se la sarebbe vista con lui. «Tieni solo gli occhi aperti e resta tranquillo.»

«Come comanda il mio lord Drago.» L’uomo si inchinò leggermente prima di incamminarsi verso la fattoria.

Rand si accorse di essere osservato dalle Fanciulle. Enaila e Somara, Sulin, Jalani e tutte le altre, con gli occhi colmi di preoccupazione. Accettavano quasi tutto quello che faceva, tutte le cose che lo facevano sussultare mentre le eseguiva, tutte le cose che facevano sobbalzare chiunque tranne gli Aiel. A turbare gli Aiel di solito erano questioni che lui non capiva affatto. Accettavano tutto, ma si preoccupavano per lui.

«Non devi stancarti» disse con calma Somara. Rand la guardò e le guance della donna bionda arrossirono. Quello non poteva contare come un luogo pubblico — Taim era troppo lontano per sentire cosa stessero dicendosi — ma l’osservazione aveva comunque superato i limiti.

Enaila estrasse uno shoufa che aveva dietro la cintura e glielo porse. «Troppo sole non ti fa bene» mormorò.

Una delle altre sussurrò, «Ha bisogno di una moglie che lo controlli.» Rand non era in grado di dire chi fosse stata; perfino Enaila e Somara riservavano quel tipo di conversazione per quando lui era lontano, e sapeva a chi si riferivano. Aviendha. Chi sarebbe stata migliore per sposare il figlio di una Fanciulla, se non una Fanciulla che aveva rinunciato alla lancia per diventare Sapiente?

Reprimendo un lampo d’ira si avvolse lo shoufa attorno alla testa e ne fu subito grato. Il sole era davvero caldo e il panno grigio e marrone respingeva gran parte del calore. Il sudore diminuì immediatamente. Che Taim conoscesse un trucco simile a quello delle Aes Sedai per non farsi toccare dal caldo? La Saldea era lontana, a nord, eppure l’uomo non pareva sudare, come del resto gli Aiel. Malgrado la gratitudine, ciò che disse Rand fu: «Quello che davvero non dovrei fare è starmene qui impalato a perdere tempo.»

«Perdere tempo?» ripeté la giovane Jalani con un po’ troppa innocenza, aggiustandosi lo shoufa e mostrando momentaneamente i capelli corti, rossi quasi quanto quelli di Enaila. «Com’è possibile che il Car’a’carn sprechi tempo? L’ultima volta che ho sudato quanto lui, avevo corso dal tramonto all’alba.»

Fra le altre Fanciulle si scatenarono sorrisi e risate aperte. Maira dai capelli rossi, che aveva almeno dieci anni più di Rand, si dava delle gran manate sulla coscia e la bionda Desora come sempre nascondeva i sorrisi dietro una mano. Liah dal volto sfregiato saltellava mentre Sulin era quasi piegata in due dalle risate. L’umorismo Aiel, nel migliore dei casi, era strano. Gli eroi delle storie non venivano presi in giro da nessuno, e sicuramente nemmeno i re. Parte del problema era che un capo Aiel, anche il Car’a’carn, non era considerato un re. Per molti versi ne aveva l’autorità, ma un Aiel poteva sempre dirgli esattamente ciò che pensava, e spesso lo facevano. Comunque questa era solo una parte dei motivi per i quali si comportavano così con lui.

Anche se era stato cresciuto nei Fiumi Gemelli da Tarn al’Thor e da sua moglie Kari, morta quando lui aveva cinque anni, la vera madre di Rand era stata una Fanciulla della Lancia morta dandolo alla luce sulle pendici del Montedrago. Non una Aiel, anche se il padre lo era stato, ma comunque una Fanciulla. Adesso le usanze Aiel, più forti di tutte le leggi, l’avevano toccato. No, non lo avevano toccato; lo avevano avviluppato. Nessuna Fanciulla poteva sposarsi e continuare a impugnare la lancia e, a meno che la donna non avesse rinunciato alla lancia, qualsiasi bambino che avesse avuto in grembo sarebbe stato affidato a un’altra da una Sapiente, in modo tale che la Fanciulla non ne scoprisse mai la vera identità. Ogni figlio di una Fanciulla si riteneva fosse fortunato, per se stesso e chi lo avrebbe cresciuto, se solo la madre adottiva e il marito avessero saputo che quel bambino non era loro. Oltre a quello, le Profezie aiel del Rhuidean spiegavano che il Car’a’carn sarebbe stato uno di questi, cresciuto dagli abitanti delle terre bagnate. Agli occhi delle Fanciulle, Rand rappresentava tutti quei bambini, il primo figlio di una Fanciulla a essere noto a tutte loro.

La maggior parte di queste donne, che fossero vecchie come Sulin o giovani come Jalani, gli avevano dato il benvenuto come un fratello perduto da molto tempo. In pubblico gli riservavano il massimo rispetto, come facevano con qualsiasi capoma quando erano da sole con lui lo trattavano davvero come un fratello, maggiore o minore, indipendentemente dall’età delle donne. Rand era molto contento che solo una manciata avesse seguito l’esempio di Enaila e Somara; che fossero soli o meno, era irritante che una sua coetanea lo trattasse come un figlio.

«Allora dovremmo andare da qualche parte dove non sudo» rispose, riuscendo anche a sorridere. Glielo doveva. Qualcuna era già morta per lui e altre lo avrebbero fatto prima della fine. Le Fanciulle smorzarono subito il buonumore, pronte a recarsi dove avrebbe voluto il Car’a’carn, pronte a difenderlo.

Il punto era, dove andare? Bashere attendeva per la ‘visita casuale’, ma se Aviendha ne aveva sentito parlare forse adesso si trovava con lui. Rand aveva cercato di evitarla il più possibile, e soprattutto non voleva trovarsi da solo con lei. Perché essere solo con lei era ciò che desiderava. Fino a quel momento era riuscito a tenerlo nascosto alle Fanciulle; se solo lo avessero sospettato gli avrebbero reso la vita impossibile. E. fatto era che ‘doveva’ stare alla larga da quella donna. Rand era un portatore di morte, quasi una malattia contagiosa; era un bersaglio e le persone che gli stavano vicine correvano gli stessi rischi. Lui doveva essere duro e lasciare che le Fanciulle morissero — che la Luce lo folgorasse per sempre per quella promessa! — ma Aviendha aveva rinunciato alla lancia per studiare con le Sapienti. Non era certo di cosa provasse per lei, ma se fosse morta per lui, anche qualcosa in lui si sarebbe spenta. Era una fortuna che la donna non avesse legami sentimentali nei suoi confronti. Cercava di stargli vicino solo perché le Sapienti volevano che lo controllasse e perché voleva tenerlo d’occhio per Elayne. Nessuno di quei motivi, però, rendeva facile la situazione; era vero piuttosto il contrario.

La decisione fu facile. Bashere avrebbe dovuto aspettare per permettergli di evitare Aviendha, e la visita a Weiramon, che doveva iniziare nel palazzo a seguito di alcuni tentativi furtivi di coglierlo in fallo, l’avrebbe fatta adesso. Un motivo sciocco per prendere una decisione, ma cosa poteva fare un uomo con una donna che si rifiutava di capire? Forse stavolta sarebbe andata meglio. Quelli che in teoria sarebbero dovuti venire a sapere di quella visita lo avrebbero fatto comunque e forse avrebbero creduto ciò che dovevano con maggiore convinzione, perché lui aveva agito davvero in segreto. Forse anche la visita a Bashere e ai soldati della Saldea sarebbe sembrata maggiormente casuale se l’avesse fatta a fine giornata. Sì. Colpi di scena su colpi di scena, degni di un Cairhienese che facesse il Gioco delle Casate.

Afferrò saidin e aprì un passaggio, la lama di luce si allargò per mostrare l’interno di una vasta tenda a strisce verdi, vuota se non per una serie di tappeti colorati con dei motivi a mosaico tipici di Tairen. In quel luogo non era possibile organizzare un attentato, ancor meno che alla fattoria, ma Enaila e Marra con le altre si velarono comunque e sfrecciarono in avanti. Rand si fermò per guardarsi indietro.

Kely Huldin stava dirigendosi verso la fattoria a testa bassa, affiancato dalla moglie con i due bambini. La donna continuava a protendersi per dargli delle pacche di consolazione sulle spalle, ma anche dall’altro alto del villaggio si riusciva a vedere il volto raggiante di lei. Chiaramente Kely aveva fallito la prova. Adesso di fronte a Taim c’era Jur Grady, ed entrambi fissavano una fiammella sospesa fra loro. Sora Grady, con il figlio stretto al seno, non guardava il marito. Aveva ancora gli occhi fissi su Rand. ‘Lo sguardo di una donna taglia più a fondo di un pugnale’, un altro detto dei Fiumi Gemelli.

Attraversò il passaggio e attese che il resto delle Fanciulle lo seguisse, quindi rilasciò la Fonte. Aveva fatto ciò che doveva.

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