25 Come il fulmine e la pioggia

Quando Cowinde la svegliò in quel grigiore che precedeva l’alba, Egwene si sentì ristorata malgrado i sogni. Ristorata e pronta a vedere cosa avrebbe potuto scoprire in città. Un lungo sbadiglio, poi si stirò e fu in piedi, canticchiando mentre si lavava e vestiva di corsa, quasi senza perdere tempo a spazzolarsi i capelli. Sarebbe andata via senza attardarsi a fare colazione, ma Sorilea l’aveva vista e questo le tolse di testa l’idea. Decisione che si rivelò fatale.

«Non avresti dovuto lasciare la sauna tanto presto» le disse Amys, prendendo una ciotola di farinata d’avena e frutta secca che le stava porgendo Rodera. Circa venti Sapienti si erano riunite nella tenda di Amys, e Rodera, Cowinde e un uomo vestito di bianco di nome Dolan, un altro Shaido, correvano avanti e indietro per servirle tutte. «Rhuarc ci ha raccontato molte cose sulle tue Sorelle. Forse potresti aggiungere dell’altro.»

Dopo mesi di finzione, Egwene non ebbe bisogno di pensare per capire che si riferivano all’ambasciata della Torre. «Vi dirò quanto posso. Cosa avete saputo?»

La prima informazione era che di Sorelle Rosse ce n’erano due e non una — Egwene non riusciva a credere all’arroganza, o forse la stupidità, di Elaida nell’inviare Sorelle Rosse — ma al comando c’era una Grigia. Le Sapienti, sedute in circolo come i raggi di una ruota, qualcuna in piedi o in ginocchio fra uno spazio e l’altro, puntarono gli occhi su Egwene non appena l’elenco dei nomi fu completo.

«Temo di conoscerne solo due» rispose lei con attenzione. «Ci sono molte Aes Sedai e non sono stata eletta Sorella da così tanto da conoscerle tutte.» Le Sapienti annuirono; era accettabile. «Nesune Bihara ha le idee chiare — ascolta tutte le opinioni prima di giungere a una conclusione — ma riesce a identificare anche la minima pecca in ciò che sente. Vede tutto, ricorda tutto; può lanciare un’occhiata a una pagina e ripetere tutto il testo parola per parola, lo stesso per le conversazioni sentite un anno prima. A volte parla da sola, senza accorgersene.»

«Rhuarc ha detto che era interessata alla biblioteca reale.» Bair rimestò la farinata osservando Egwene. «Dice di averla sentita borbottare qualcosa sui sigilli.» Le altre donne mormorarono, subito zittite da Sorilea che si schiarì la voce.

Mentre rimestava la farinata con le prugne fresche e i lamponi, Egwene ragionò. Se Elaida avesse interrogato Siuan prima che fosse stata giustiziata, avrebbe saputo che tre sigilli erano già stati spezzati. Rand ne aveva due e li teneva nascosti — a Egwene sarebbe piaciuto sapere dove; lui di recente non sembrava fidarsi di nessuno. Nynaeve ed Elayne ne avevano trovato uno a Tanchico e lo avevano portato a Salidar, ma Elaida di quello non poteva essere al corrente. A meno che non avesse delle spie a Salidar. No, era una preoccupazione da riservare a un altro momento, adesso era inutile. Elaida doveva essere alla ricerca disperata degli altri. Inviare Nesune nella seconda biblioteca più grande del mondo dopo quella della Torre Bianca aveva senso e, inghiottendo qualche pezzo di prugna, lo disse alle Sapienti.

«L’ho detto anche io la notte scorsa» si lamentò Sorilea. «Aeron, Colinda, Edarra, voi tre andate alla biblioteca. Tre Sapienti dovrebbero riuscire a trovare ciò che può essere trovato prima di una sola Aes Sedai.» In risposta ottenne tre musi lunghi; la biblioteca reale era immensa. Ma Sorilea era Sorilea e, anche se sospirando e borbottando, lo donne che aveva menzionato lasciarono la farinata e andarono via subito. «Hai detto che ne conosci due» proseguì Sorilea prima che le tre donne fossero fuori dalla tenda. «Nesune Bihara e chi?»

«Sarene Nemdahl» rispose Egwene. «Dovete capire che non conosco bene nessuna delle due. Sarene è come la maggior parte delle Bianche: tutto passa attraverso la logica e a volte sembra sorpresa quando qualcuno agisce d’istinto, ma ha anche un brutto carattere. La maggior parte delle volte lo tiene sotto controllo, ma se qualcuno fa un passo sbagliato al momento sbagliato, lei può... staccargli il naso prima che riesca a battere le palpebre. Ascolta tutto e se ha torto lo riconosce, anche se solo dopo un accesso d’ira. Quando si calma.»

S’infilò in bocca un cucchiaio di farinata e studiò le Sapienti cercando di non farsi notare. Nessuna sembrava aver notato la lieve esitazione. Aveva quasi detto che Sarene avrebbe spedito chiunque a strofinare i pavimenti prima di battere ciglio. Conosceva le due donne solo per via delle lezioni da novizia. Nesune era una donna snella di Kandor, con gli occhi come quelli di un uccello, e riusciva a notare quando l’attenzione di qualcuna calava anche stando di spalle; aveva insegnato in diverse classi che aveva frequentato Egwene, che invece da Sarene aveva sentito solo due lezioni sulla natura della realtà, ma era difficile dimenticare una donna che aveva detto con assoluta serietà che bellezza e bruttezza erano illusioni, come indossare una maschera che avrebbe regalato a un uomo un aspetto duplice.

«Spero che riuscirai a ricordarti di più» disse Bair, protendendosi verso di lei, appoggiata su un gomito. «Pare che tu sia la nostra sola fonte di informazioni.»

L’ultima frase costò qualche minuto di riflessione a Egwene. Ma certo. Bair e Amys dovevano aver provato a scrutare nei sogni delle Aes Sedai la notte precedente, ma quelle probabilmente li avevano schermati. Era un trucco che rimpiangeva di non aver imparato prima di lasciare la Torre. «Se posso. Dove sono le loro stanze a palazzo?» Se doveva raggiungere Rand la prossima volta che fosse tornato le sarebbe stato utile saperlo, per non finire inavvertitamente nelle loro stanze nel tentativo di trovare là via giusta. In particolar modo, voleva evitare quella di Nesune. Sarene poteva non ricordare una certa novizia, ma Nesune lo avrebbe fatto di certo. Anche una delle Aes Sedai che non conosceva avrebbe potuto riconoscerla; si era parlato molto di Egwene al’Vere quando era alla Torre.

«Hanno declinato l’offerta di ospitalità di Berelain anche per una sola notte.» Amys aggrottò le sopracciglia. Fra gli Aiel veniva sempre accettata; rifiutare, anche fra nemici di sangue, era una vergogna. «Sono andate da una donna di nome Arilyn, una nobile fra gli assassini dell’albero. Rhuarc crede che Coiren Saeldain conosca quella donna da diverso tempo.»

«Una delle spie di Coiren» rispose Egwene con sicurezza. «O forse dell’Ajah Grigia.»

Alcune delle Sapienti mormorarono arrabbiate; Sorilea sbuffò sonoramente in segno di disgusto e Amys sospirò colma di delusione. Altre avevano punti di vista diversi. Corelna, una donna dagli occhi verdi con abbondanti dosi di grigio fra i capelli biondi, scosse il capo dubbiosa, mentre Tialin, magra, con i capelli rossi e il naso marcato, guardò Egwene incredula.

Spiare era una violazione del ji’e’toh, anche se Egwene non aveva ancora capito come facessero a conciliarlo con il camminare nel mondo dei sogni curiosando nelle menti altrui ogni volta che volevano. Non aveva senso fare presente che le Aes Sedai non seguivano il ji’e’toh. Lo sapevano bene, semplicemente trovavano difficile crederlo e capirlo; non solo con le Aes Sedai ma con chiunque.

Qualsiasi cosa pensassero, avrebbe giurato di avere ragione. Galldrian, l’ultimo re di Cairhien, aveva avuto un’Aes Sedai come consigliera prima di essere assassinato. Niande Moorwyn era sempre stata praticamente invisibile, ancor prima della sua scomparsa dopo la morte di Galldrian, ma Egwene aveva scoperto che aveva visitato occasionalmente la tenuta di campagna di lady Arilyn. Niande era una Grigia.

«Sembra che sotto quel tetto abbiano piazzato almeno cento guardie» intervenne Bair dopo un istante. La voce adesso era calma. «Dicono che la città non è ancora tranquilla, ma penso che temano gli Aiel.» Su diversi volti apparvero espressioni interessate.

«Cento!» esclamò Egwene. «Si sono portate cento uomini?»

Amys scosse il capo. «Più di cinquecento. Gli esploratori di Timolan hanno scoperto la maggioranza di quegli uomini accampati a meno di mezza giornata di cammino a nord della città. Rhuarc ne ha parlato e Coiren Saeldain ha risposto che quegli uomini sono una scorta d’onore, li hanno fatti rimanere fuori della città per non allarmarci.»

«Pensano di portare il Car’a’carn a Tar Valon.» Il tono di Sorilea avrebbe spezzato le pietre e l’espressione faceva sembrare tenera la voce. Egwene non aveva tenuto nascosto il contenuto della lettera di Elaida a Rand. Alle Sapienti piaceva sempre meno ogni volta che lo sentivano.

«Rand non è tanto sciocco da accettare una simile offerta» rispose Egwene, ma era distolta da un altro pensiero. Cinquecento uomini avrebbero potuto essere una scorta d’onore. Elaida poteva aver pensato che il Drago Rinato si aspettasse una cosa simile e ne fosse lusingato. Le vennero in mente diverse ipotesi, ma doveva essere cauta. Le parole sbagliate avrebbero potuto indurre Amys, Bair — o, peggio, Sorilea: raggirarla era come cercare di camminare sui rovi — a darle degli ordini ai quali non avrebbe potuto obbedire se davvero doveva fare ciò che solo lei poteva. O che, almeno, voleva. «Suppongo che i capi stiano tenendo d’occhio quei soldati fuori della città.» Mezza giornata a nord — più probabilmente un giorno, visto che non erano Aiel — era una distanza sufficiente per non essere pericolosa, ma un po’ di cautela non faceva mai male. Amys annuì; Sorilea guardò Egwene come se avesse chiesto se il sole era in cielo a mezzogiorno. Lei si schiarì la gola. «Sì.» I capi non facevano quel tipo di errori. «Bene. Ecco i miei suggerimenti. Se una qualsiasi di quelle Aes Sedai si recasse a palazzo, qualcuna di voi capace di incanalare dovrebbe seguirla e accertarsi che non lasci alcun tipo di trappola.» Annuirono tutte. Due terzi delle donne presenti potevano lavorare con saidar, qualcuna poco come Sorilea, altre a livello di Amys, che era forte come ogni Aes Sedai Egwene avesse incontrato; quella proporzione valeva per tutto il gruppo di Sapienti. Le loro conoscenze erano diverse da quelle delle Aes Sedai — a volte inferiori, a volte superiori, ma di solito diverse — ma pensava fossero capaci di scoprire ogni regalo indesiderato. «E dobbiamo assicurarci che siano solamente sei.»

A quel punto dovette dar loro qualche spiegazione. Le Aiel avevano letto i libri degli abitanti delle terre bagnate, ma anche quelle che potevano incanalare non conoscevano il rituale che si era diffuso fra le Aes Sedai per scoprire uomini in grado di usare saidin. Fra gli Aiel, un uomo che scopriva di poter incanalare riteneva di essere un prescelto e si recava a nord, nella Macchia, a caccia del Tenebroso. Nessuno di loro faceva mai ritorno. Nemmeno Egwene era stata al corrente del rituale prima di recarsi alla Torre; i racconti che aveva sentito in precedenza raramente assomigliavano alla verità.

«Rand può occuparsi di due donne per volta» concluse. Lo sapeva con certezza. «Forse anche sei, ma se sono più di quanto vogliono farci credere, allora avremo conferma che stanno mentendo, anche solo per omissione di informazioni.» Egwene sussultò quasi sotto i loro sguardi corrucciati. Mentire significava incappare in un toh nei confronti della persona alla quale avevi mentito. Ma nel suo caso era stato necessario.

Il resto della colazione fu impiegato fra le Sapienti per decidere chi avrebbe esplorato il palazzo quel giorno e di quale capo potessero fidarsi nello scegliere uomini e Fanciulle per cercare le altre Aes Sedai. Alcuni avrebbero potuto essere riluttanti nel muoversi contro delle Aes Sedai, in qualsiasi modo. Le Sapienti non l’avevano detto apertamente, ma era trasparito con chiarezza da quel che avevano accennato, spesso amareggiate. Altri potevano essere convinti che ogni minaccia al Car’a’carn, anche dalle Aes Sedai, potesse essere gestita meglio con la lancia. Anche qualcuna delle Sapienti sembrava di quel parere; Sorilea ignorò più di un suggerimento secondo il quale i problemi si sarebbero risolti con la scomparsa delle Aes Sedai. Alla fine, Rhuarc e Mandelain dei Daryne furono i soli sui quali raggiunsero un accordo.

«Assicuratevi che non scelgano nessun Siswai’aman» disse Egwene. Quelli sarebbero di sicuro ricorsi alle lance al minimo accenno di minaccia. Quell’osservazione le fece guadagnare diverse occhiate, da anonime a ironiche. Nessuna delle Sapienti era sciocca. Egwene era preoccupata di una cosa. Nessuna di loro aveva ricordato ciò che lei era abituata a sentire quasi ogni volta che parlavano di Aes Sedai. Che gli Aiel una volta avevano mancato di esaudire gli ordini delle Aes Sedai e sarebbero stati annientati se lo avessero fatto di nuovo.

A parte quel commento, Egwene si mantenne fuori dalla discussione, impegnata con una seconda scodella di farinata con pere secche e prugne, cosa che venne approvata da Sorilea. Lei non era alla ricerca dell’approvazione della donna. Aveva fame, ma soprattutto sperava si dimenticassero della sua presenza. Sembrò funzionare.

Finite colazione e discussioni, si incamminò verso la sua tenda, quindi si sedette subito all’entrata, osservando un gruppetto di Sapienti che si dirigevano in città, guidate da Amys. Quando scomparvero oltre la porta più vicina, Egwene uscì di nuovo. C’erano Aiel ovunque, gai’shain e altri, ma le Sapienti erano tutte nelle tende e nessuno la guardò mentre si incamminava verso le mura della città, a passo normale. Se qualcuno l’avesse notata avrebbe pensato che si trattava di esercizio. Il vento si era alzato e aveva sollevato nuvole di polvere e cenere dal Passaggio Anteriore, ma Egwene mantenne la sua andatura. Solo esercizio.

La prima persona alla quale si rivolse in città, una donna allampanata che vendeva a un prezzo esorbitante mele secche esposte su un calesse, non sapeva in che direzione fosse il palazzo di lady Arilyn; la stessa risposta fu data da una grassa sarta che sgranò gli occhi nel vedere una donna aiel entrare nel suo negozio, da un coltellaio calvo che pensava le sarebbero interessati maggiormente i pugnali. Alla fine un argentiere dagli occhi a mandorla, che la osservò con grande attenzione per tutto il tempo che Egwene si trattenne nel suo negozio, le disse quel che voleva. Allontanandosi fra la folla, Egwene scosse il capo. A volte dimenticava quanto fossero grandi le città come Cairhien, dove non tutti sapevano dove si trovasse ogni cosa.

Anche così si perse tre volte e dovette chiedere indicazioni prima di trovarsi vicino alla fiancata di una stalla, osservando da dietro l’angolo un edificio di pietre scure dall’altro lato della strada, tutto composto di finestre strette, balconi angolari e alte torri. Era piccolo per essere un palazzo, ma molto grande per essere una casa. Arilyn doveva essere di grado appena superiore alla nobiltà media di Cairhien, se Egwene ricordava tutto correttamente. Soldati con le giubbe verdi e i pettorali di metallo con tanto di elmetto erano di guardia davanti all’ampia scalinata frontale, davanti a ogni porta visibile e anche sui balconi. Stranamente parevano tutti giovani. Ma non era comunque ciò che la interessava. In quell’edificio c’erano delle donne che stavano incanalando e, per percepirlo fin dalla strada con tanta forza, non stavano usando piccole quantità di saidar, anche se l’intensità dei flussi si ridusse immediatamente, pur rimanendo significativa.

Egwene si morse il labbro. Non sapeva cosa stessero facendo, non senza vedere i flussi, ma, come lei, anche le altre dovevano vederli per poterli lavorare. Anche se si fossero trovate vicino a una finestra, qualunque flusso che lei non era in grado di vedere sarebbe stato diretto verso sud, lontano dal palazzo del Sole, lontano da tutto. Ma cosa stavano facendo?

Una delle porte si aprì, lasciando uscire un tiro di sei cavalli attaccati a una carrozza nera con un sigillo laccato sulla porta, due stelle d’argento in un campo a righe rosse e verdi. Si diresse a nord fra la folla: il conducente in livrea usava la frusta sia per far scansare la gente che per incoraggiare i cavalli. Lady Arilyn stava andando da qualche parte, o forse si trattava di qualcuna dell’ambasciata?

Be’, non era arrivata fin lì solo per guardare. Tirandosi indietro in modo da esporre una parte appena sufficiente per vedere la grande casa, estrasse una piccola pietra rossa dal sacchetto appeso alla cintura, inspirò profondamente e iniziò a incanalare. Se una di loro avesse guardato fuori, nella sua direzione, avrebbe visto i flussi ma non Egwene. Doveva correre quel rischio.

Il sasso era solo un sasso, lucidato dall’acqua di un torrente, ma Egwene aveva imparato il trucco da Moiraine e quest’ultima aveva sempre usato una pietra per concentrarsi — una gemma, per essere precisi, ma il materiale non importava — quindi lo fece anche lei. Il flusso che stava lavorando era composto prevalentemente da Aria con un tocco di Fuoco. Consentiva di origliare. Spiare, avrebbero detto le Sapienti. A Egwene non interessava come venisse chiamato, purché riuscisse a scoprire qualche indizio sulle intenzioni delle Aes Sedai della Torre.

Il flusso si accostò con cautela a una finestra aperta, con molta delicatezza, poi ne investigò un’altra, la seguente e quella dopo ancora. Silenzio. A un certo punto...

«...è quanto gli ho detto» era la voce di una donna. «Se vuoi che quei letti vengano rifatti, sarà meglio che smetti di solleticarmi il mento, Alwin Rael.»

Un’altra donna rise. «Oh, lo so che non l’hai fatto.»

Egwene fece una smorfia. Cameriere.

Una donna robusta con in mano un cestino di pane le passò alle spalle e la osservò incuriosita. Aveva ragione, riusciva a sentire le voci di due donne benché ci fosse solo Egwene e, per giunta, a bocca chiusa. Lei risolse il problema nel modo più veloce che conoscesse. Guardò con tale furia la donna che questa lanciò un gridolino e fece quasi cadere il cesto del pane per scappare fra la folla.

Egwene ridusse con riluttanza l’intensità del flusso. Forse non avrebbe sentito, ma era più ragionevole che attirare l’attenzione dei curiosi. Anche così, la stavano osservando in troppi, una donna aiel appiattita contro una parete, anche se tutti tiravano dritto. Nessuno voleva noie con gli Aiel. Egwene si tolse i curiosi di mente. Fece procedere il flusso finestra per finestra, sudando copiosamente e non solo per via del caldo. Solo un’Aes Sedai che avesse notato quel flusso, anche se non lo avesse riconosciuto, avrebbe capito che qualcuna stava incanalando su di loro. Ne avrebbero sospettato il motivo. Egwene si fece indietro lasciando solo mezzo occhio visibile.

Silenzio. Silenzio. Un fruscio. Qualcuno che si muoveva? Scarpe su un tappeto? Nessuna parola. Silenzio. Un uomo che borbottava, stava svuotando i vasi da notte e ovviamente non ne era contento. Con le orecchie roventi, Egwene proseguì nella sua ricerca. Silenzio. Silenzio. Silenzio.

«...credi davvero che sia necessario?» Anche ridotta a un sussurro, come le sembrava, la voce della donna pareva ricca e sicura.

«Dobbiamo essere pronte per ogni evenienza, Coiren» rispose un’altra donna con la voce ferrea. «Ho sentito una storia avvincente...» Una porta fu chiusa impedendole l’ascolto.

Egwene si accasciò contro la parete della stalla. Avrebbe voluto gridare per la frustrazione. Anche l’altra doveva essere Aes Sedai, altrimenti non si sarebbe mai rivolta in quel modo a Coiren, la Sorella Grigia a capo dell’ambasciata. Nessuna sarebbe stata più adatta per farle scoprire ciò che voleva sentire, e invece se ne erano andate via. Quale voce avvincente? Quali evenienze? Come intendevano prepararsi? L’incanalare che proveniva da dentro la residenza cambiò di nuovo, aumentando. Cosa stavano facendo? Inspirando profondamente, Egwene iniziò di nuovo a investigare con ostinazione. Mentre il sole saliva sentì molti suoni indefinibili e parecchi pettegolezzi dei servitori. Qualcuna di nome Ceri avrebbe avuto un altro bambino e le Aes Sedai avrebbero ricevuto del vino da Arindrim, ovunque fosse, con il pasto di metà giornata. La notizia più interessante era che Arilyn si era davvero trovata in quella carrozza per recarsi in campagna dal marito. Per quel che le serviva saperlo. Un’intera mattina sprecata.

La porta principale del palazzo si spalancò e i servitori in livrea s’inchinarono. I soldati invece non si mossero, ma sembrarono più attenti. Ne uscì Nesune Bihara, seguita da un giovane alto che sembrava scolpito nella roccia.

Egwene rilasciò rapidamente il flusso di saidar e respirò a fondo per calmarsi. Non era il momento giusto per un attacco di panico. Nesune e il suo Custode conferirono, quindi la Sorella Marrone dai capelli scuri guardò in strada prima da una parte e poi dall’altra. Stava cercando qualcosa.

Egwene decise che dopotutto era il momento giusto per farsi prendere dal panico. Alzandosi lentamente per non attirare l’attenzione di Nesune, svoltò l’angolo non appena la donna distolse lo sguardo, quindi sollevò la gonna e corse via spintonando tutti. Proseguì per tre passi, quindi andò a sbattere contro un muro di pietra, rimbalzò all’indietro e cadde seduta in strada con tale forza che rimbalzò sul selciato.

Sollevò il capo stordita, rimanendo ancora più confusa dal battito del proprio cuore. Il muro di pietra era Gawyn, che la fissava e sembrava intontito quanto lei. Gli occhi erano dell’azzurro più brillante che avesse mai visto. E quei ricci rosso oro. Avrebbe voluto di nuovo giocarci e sentì che stava arrossendo. Non lo hai mai fatto, si disse con fermezza, era solo un sogno!

«Ti ho fatto male?» le chiese ansioso il giovane, inginocchiandosi vicino a lei.

Egwene si alzò spazzolando via la polvere; se avesse potuto esprimere un desiderio proprio in quel momento, sarebbe stato quello di non arrossire mai più. Avevano già attirato una folla di curiosi. Lo prese sottobraccio e lo condusse via con sé, nella direzione che stava seguendo prima. Guardandosi alle spalle vide solo la folla che procedeva. Anche se Nesune si fosse affacciata da quell’angolo non avrebbe notato altro. In ogni caso Egwene non rallentò; la calca di persone si apriva per cedere il passo a una donna aiel e a un uomo abbastanza alto da essere Aiel, anche se aveva la spada. Da come si muoveva, si capiva che sapeva usarla. Aveva le movenze di un Custode.

Dopo una dozzina di passi, Egwene tolse con riluttanza il braccio da quello di Gawyn, ma lui le prese la mano prima che si allontanasse e lei lo lasciò fare. «Immagino» disse il ragazzo dopo un istante di riflessione «di dover ignorare il fatto che sei vestita come un’Aiel. L’ultima volta che ho avuto tue notizie ti trovavi a Illian. E immagino anche che non dovrei fare commenti sulla tua fuga da un palazzo dove risiedono sei Aes Sedai. Un comportamento insolito, per un’Ammessa.»

«Non sono mai stata a Illian» rispose Egwene, scrutandosi rapidamente attorno per controllare se ci fossero Aiel in grado di sentire. Alcuni la guardarono, ma nessuno era abbastanza vicino. Egwene finalmente si accorse della giubba verde, la stessa tonalità di quelle dei soldati. «Sei con loro. Le Aes Sedai della Torre.» Luce, che sciocca era stata a non accorgersene appena lo aveva visto.

Il volto di Gawyn si addolcì; per un istante era stato molto duro. «Sono al comando della scorta d’onore che le Aes Sedai hanno portato qui per accompagnare il Drago Rinato a Tar Valon.» La voce dell’uomo era un curioso miscuglio di sarcasmo, rabbia e stanchezza. «Se avesse scelto di seguirle. E se si fosse trovato qui. Mi sembra di capire che... appare e scompare. Coiren è contrariata.»

Egwene adesso aveva il cuore in gola. «Devo... devo chiederti un favore, Gawyn.»

«Tutto tranne le seguenti cose» rispose lui semplicemente. «Non farò del male a Elayne o Andor e non diventerò un fautore del Drago. Qualunque altra cosa sia in mio potere per soddisfarti, è tua.»

Alcune teste si voltarono verso di loro. Ogni volta che si parlava di fautori del Drago qualcuno sentiva. Quattro carrettieri con le fruste avvolte attorno a una spalla guardarono Gawyn torvi, facendo scrocchiare le nocche come facevano alcuni uomini prima di iniziare una rissa. Gawyn si limitò a fissarli. Non erano piccoli, ma la loro belligeranza svanì sotto il suo sguardo. Due lo salutarono addirittura con rispetto prima di rientrare a far parte del fiume umano. Ma erano ancora troppi quelli che li fissavano, troppi che facevano finta di non sentire ciò che si dicevano. Vestita in quel modo, Egwene attirava l’attenzione anche senza pronunciare una parola. Aggiungendo all’equazione un uomo con i capelli rossi decisamente alto che somigliava a un Custode, la combinazione non poteva fare altro che attirare l’attenzione.

«Ho bisogno di parlare con te in privato» disse Egwene. Se qualcuna ha legato Gawyn come Custode io la... in quel pensiero, stranamente, non c’era rabbia.

Senza dire una parola, Gawyn l’accompagnò in una locanda nei paraggi, L’uomo alto, dove grazie a una corona d’oro ottennero un inchino riverente e una piccola sala da pranzo privata, coperta da pannelli scuri con i tavoli e le sedie lucidati e fiori secchi in un vaso blu sopra la mensola del camino. Gawyn chiuse la porta e, una volta soli, un imbarazzo improvviso discese sui due. Luce, com’era bello, quasi quanto Galad, e il modo in cui i capelli si arricciavano attorno alle orecchie...

Gawyn si schiarì la gola. «Il caldo sembra peggiorare di giorno in giorno.» Prese di tasca un fazzoletto e si asciugò il viso, offrendolo poi a lei. Mentre faceva il gesto realizzò che il fazzoletto era usato e si schiarì di nuovo la gola. «Penso di averne un altro.»

Egwene prese il suo mentre Gawyn si frugava nelle tasche. «Gawyn, come puoi servire Elaida dopo tutto quello che ha fatto?»

«I Cuccioli servono la Torre» le rispose lui rigido, agitandosi a disagio. «Lo faremo fino a quando... Siuan Sanche...» Per un istante gli occhi divennero glaciali. Solo per un istante. «Egwene, mia madre diceva sempre che anche una regina deve obbedire alle proprie regole, altrimenti non c’è legge.» Scosse il capo furioso. «Non dovrei essere sorpreso di trovarti qui. Dovevo immaginare che ti saresti trovata nei paraggi di al’Thor.»

«Perché lo odi?» C’era stato odio nella voce di Gawyn, lo aveva riconosciuto bene. «Gawyn, lui è davvero il Drago Rinato. Devi aver sentito di quanto è accaduto a Tear. Lui...»

«Non mi importa, nemmeno se fosse il creatore in persona» rispose arrabbiato. «Al’Thor ha ucciso mia madre!»

Gli occhi di Egwene saltarono quasi fuori dalle orbite. «Gawyn, no! No. Non l’ha fatto!»

«Puoi giurarlo? Eri presente quand’è morta? È sulla bocca di tutti. Il Drago Rinato ha conquistato Caemlyn e ucciso Morgase. Probabilmente ha ucciso anche Elayne. Non riesco ad avere notizie di lei.» Adesso era svuotato dalla rabbia e si accasciò a terra, con la testa reclinata in avanti, i pugni serrati e gli occhi chiusi. «Non riesco a scoprire nulla» le disse.

«Elayne sta bene» rispose Egwene, sorpresa di trovarsi proprio di fronte a lui. Si alzò, sorprendendosi di nuovo quando si accorse di carezzargli i capelli ricci mentre lui sollevava il capo. La sensazione era quella che ricordava. Ritrasse le mani come se avesse toccato dei tizzoni ardenti. Era sicura che sarebbe diventata del rosso più acceso, invece... fu Gawyn ad arrossire. Ma certo. Anche lui ricordava, benché fosse solo il suo sogno. Quello avrebbe dovuto davvero incendiarle il viso, invece ottenne l’effetto opposto. Il rossore di Gawyn l’aveva calmata e le aveva fatto venire voglia di sorridere. «Elayne è al sicuro, Gawyn. Su questo posso giurare.»

«Dov’è?» La voce del ragazzo era angosciata. «Dov’è stata? Adesso il suo posto è a Caemlyn. Be’, non in città — non fino a quando al’Thor si trova sul posto — ma ad Andor. Dov’è, Egwene?»

«Non posso dirtelo. Non posso, Gawyn.»

Lui la studiò totalmente inespressivo, quindi sospirò. «Ogni volta che ti vedo sei sempre più Aes Sedai.» La risata sembrò forzata. «Sai che di tanto in tanto penso di essere il tuo Custode? Non è sciocco?»

«Sarai il mio Custode.» Egwene non si era accorta di aver pronunciato quelle parole fino a quando lo ebbe fatto, ma una volta dette si accorse anche che erano vere. Quel sogno. Gawyn inginocchiato per permetterle di stringergli il capo. Avrebbe potuto significare mille cose o nessuna, ma adesso sapeva.

Gawyn le sorrise. L’idiota pensava che fosse una battuta! «Non io. Galad suppongo, anche se dovrai tenere lontane le altre Aes Sedai con un bastone. Aes Sedai, cameriere, regine, inservienti, mercanti, contadine... tutte lo guardano. Non prenderti il disturbo di dire che non pensi sia...»

Il modo più facile di bloccare tutte quelle insensatezze fu di appoggiargli una mano sulla bocca. «Non amo Galad. Amo te.»

L’uomo stava ancora facendo finta che Egwene scherzasse e le sorrise. «Non posso essere un Custode. Devo essere il Primo Principe della Spada di Elayne.»

«Se la regina di Andor può essere Aes Sedai, un principe può essere Custode. E sarai mio. Ficcatelo bene in quella zuccaccia. Sono seria. E ti amo.» Gawyn la fissò. Se non altro adesso non sorrideva più, ma non disse nulla, la fissò e basta. Egwene ritrasse la mano. «Be’? Non dici nulla?»

«Quando desideri per tanto tempo di sentire qualcosa» rispose piano lui «e poi improvvisamente, senza preavviso, accade, è come un fulmine seguito dalla pioggia su un terreno arido. Sei stordito e non riesci a credere alle tue orecchie.»

«Ti amo, ti amo, ti amo» disse Egwene sorridendo. «Allora?»

In risposta Gawyn la strinse fra le braccia e la baciò. Era bello come nei sogni. Era meglio. Era... Quando alla fine la lasciò, Egwene rimase appoggiata alle sue braccia; sembrava che le ginocchia non la sostenessero. «Mia lady Aiel Egwene Aes Sedai,» le disse Gawyn «ti amo e non vedo l’ora che mi leghi a te.» Accantonando la formalità scherzosa le disse con un tono più dolce: «Ti amo, Egwene al’Vere. Hai detto che avevi bisogno di un favore? Cosa? La luna incastonata in un ciondolo? Troverò un orafo in un’ora. Stelle per i tuoi capelli? Io...»

«Non dire a Coiren e alle altre che sono qui. Non nominarmi affatto.»

Si era aspettata esitazione, ma Gawyn rispose semplicemente: «Non lo scopriranno da me. Da nessun altro, se riesco a impedirlo.» Fece una breve pausa e poi la afferrò per le spalle. «Egwene, non ti chiederò perché ti trovi qui. No, ascolta. So che Siuan ti ha inserita nei suoi complotti e capisco che ti senta leale nei confronti di un uomo del tuo villaggio. Ma non importa. Dovresti essere alla Torre Bianca per studiare; tutte dicevano che un giorno saresti diventata un’Aes Sedai potentissima, lo ricordo. Hai un piano per fare ritorno senza... punizioni?» Egwene scosse il capo in silenzio e Gawyn proseguì in fretta. «Forse riesco a escogitare qualcosa, se non lo fai tu per prima. So che non hai avuto scelta se non obbedire agli ordini di Siuan Sanche, ma dubito che Elaida darà importanza al fatto. Anche solo menzionare il nome di Siuan Sanche nelle sue vicinanze può costare la testa. Troverò un sistema. Lo giuro. Ma promettimi che fino ad allora tu non farai nulla di... sciocco.» La presa sulle spalle per un istante divenne ferrea. «Promettimi che farai attenzione.»

Luce, che bella situazione. Non poteva dirgli che non aveva alcuna intenzione di tornare alla Torre Bianca fino a quando Elaida fosse rimasta seduta sullo scanno dell’Amyrlin. E fare qualcosa di sciocco per lui voleva sicuramente dire qualcosa che avesse a che fare con Rand. Sembrava così preoccupato. Per lei. «Sarò cauta, Gawyn. Lo prometto.» Per quanto potrò, aggiunse mentalmente. Era solo un piccolo cambiamento, ma rendeva in qualche modo più facile quanto stava per dire. «Ho un secondo favore da chiederti. Rand non ha ucciso tua madre.» Come poteva dire ciò che voleva cercando di non aumentare la tensione? Ma, tensione o meno, doveva farlo. «Promettimi che non alzerai un dito contro Rand fino a quando potrò fornirti le prove che non è stato lui.»

«Lo giuro.» Ancora una volta senza esitazione, ma la voce era dura e la presa si rafforzò per qualche secondo, più energica di prima. Egwene non batté ciglio. Il dolore che provava le sembrò un’equa ricompensa per ciò che lei gli stava provocando.

«Dev’essere così, Gawyn. Non l’ha fatto, ma ci vorrà del tempo per provarlo.» Come avrebbe potuto farlo, per la Luce? La parola di Rand non sarebbe stata abbastanza. Era un tale groviglio. Ma doveva concentrarsi su una cosa per volta. Cosa stavano combinando quelle Aes Sedai?

Gawyn la stupì con un respiro tormentato. «Rinuncerei a tutto, tradirei chiunque per te. Vieni via con me, Egwene. Ci lasceremo tutto alle spalle. Ho una piccola tenuta a sud di Ponte Bianco, con un vigneto e un villaggio, talmente lontano che il sole sorge due giorni dopo. Il mondo non ci raggiungerà in quel luogo. Possiamo sposarci strada facendo. Non so quanto tempo ci rimane — al’Thor, Tarmon Gai’don — non lo so, ma lo trascorreremo assieme.»

Egwene lo fissò stupita. Poi si accorse che l’ultimo pensiero l’aveva espresso ad alta voce. Cosa stavano combinando le Aes Sedai? La parola chiave, tradimento, era venuta da sola. Gawyn credeva che lei gli avrebbe chiesto di spiarle. Ne era capace. Pur cercando disperatamente di non farlo, non avrebbe esitato, se lei glielo avesse chiesto. Aveva promesso che avrebbe fatto di tutto, a tutti i costi. Egwene si era a sua volta fatta una promessa. Riguardava più che altro lui, ma non era del tipo che si potesse pronunciare ad alta voce. Se Gawyn si fosse lasciato sfuggire qualcosa che lei avrebbe potuto usare, lo avrebbe fatto, doveva, ma non avrebbe indagato, nemmeno per dei piccoli indizi. Costasse quel che costasse. Sarene Nemdahl non avrebbe mai capito, ma era il solo modo in cui avrebbe potuto eguagliare quanto lui le aveva offerto.

«Non posso» rispose Egwene sommessa. «Non immagini quanto vorrei, ma non posso.» Egwene scoppiò a ridere, sentendo le lacrime che le scendevano sul viso. «E tu. Tradire? Gawyn Trakand, quella parola ti si addice come l’oscurità al sole.» Le promesse implicite erano belle, ma non poteva limitarsi a quello. Avrebbe usato quanto lui le offriva e per giunta contro le sue convinzioni. Avrebbe quindi dovuto offrire qualcosa in cambio. «Dormo nelle tende Aiel, ma ogni mattina cammino in città. Passo dalla Porta del Muro del Drago, poco dopo l’alba.»

Ovviamente Gawyn capì. La fiducia di Egwene sulla sua parola, la sua libertà nelle mani di lui. Le prese le mani fra le sue girandole, per poterne baciare i palmi. «Mi hai affidato un bene prezioso. Se mi recassi ogni mattina alla Porta del Muro del Drago, qualcuno lo noterebbe e forse non potrei nemmeno allontanarmi ogni mattina, ma non sorprenderti se dovessi apparirti al fianco non appena entri in città.»

Quando Egwene alla fine uscì, il sole si era spostato di parecchio in quel caldissimo pomeriggio e aveva ridotto leggermente la folla. I saluti avevano portato via più tempo di quel che avrebbe creduto possibile; baciare Gawyn non era forse il tipo di esercizio che le Sapienti avevano pensato per lei, ma il cuore le batteva come se avesse corso per chilometri.

Si tolse Gawyn di mente — lo spinse in fondo alla testa con grandi sforzi, eliminarlo totalmente le sembrava improponibile — e fece ritorno al suo punto d’osservazione accanto alla stalla. Qualcuna ancora incanalava dentro al palazzo, forse più d’una; a meno che quell’unica Aes Sedai non stesse intessendo qualcosa di grande; la sensazione era meno forte di prima, ma intensa. Una donna stava entrando nella casa, una che aveva i capelli scuri e che Egwene non riconobbe, anche se l’assenza dei segni dell’età era palese. Non cercò di origliare di nuovo e non si trattenne a lungo — se avessero continuato ad andare dentro e fuori sarebbe stato troppo facile essere scoperta e riconosciuta malgrado gli abiti — quindi andò via, ma la tormentava un pensiero: cosa stavano combinando?

«Vogliamo offrirgli una scorta a Tar Valon» disse Katerine Alruddin, cambiando posizione. Non aveva ancora capito se le sedie cairhienesi fossero scomode proprio come sembravano, o se lo si credeva solo perché lo sembravano. «Una volta che lascerà Cairhien alla volta di Tar Valon qui ci sarà... un vuoto.»

Sulla sedia di fronte a lei, lady Colavaere si protese leggermente in avanti senza sorridere. «Mi interessi, Katerine Sedai. Lasciateci» disse brusca agli inservienti.

Katerine sorrise.

«Vogliamo offrirgli una scorta a Tar Valon» disse Nesune, anche se era leggermente irritata. Benché inespressivo, il Tarenese di fronte a lei continuava a spostare i piedi, innervosito dalla presenza di un’Aes Sedai, forse per paura che incanalasse. Solo un uomo dell’Amadicia si sarebbe sentito peggio. «Una volta che partirà alla volta di Tar Valon, avremo bisogno di forza a Cairhien.»

Il sommo signore Meilan si umettò le labbra. «Perché lo dici a me?»

Il sorriso di Nesune avrebbe potuto significare qualunque cosa.

Quando Sarene entrò nel salotto, solo Coiren ed Erian erano presenti, e sorseggiavano il tè. Un servitore in attesa di versarne dell’altro era insieme a loro. Sarene gli fece cenno di lasciare la stanza. «Berelain potrebbe essere difficile» disse una volta che le porte furono chiuse. «Non so se con lei funzionerà meglio la carota o il bastone. Domani dovrei incontrare Aracome, ma credo che con Berelain avrò bisogno di più tempo.»

«Carota o bastone,» rispose Erian con la voce tesa «usa quella necessaria.» Il viso sembrava marmo bianco incorniciato da ali di corvo. La passione segreta di Sarene era la poesia, anche se non avrebbe permesso a nessuno di scoprire che le interessasse qualcosa di tanto... emotivo. Sarebbe morta di vergogna se Vitalien, il suo Custode, avesse scoperto uno dei suoi scritti dove lo paragonava a un leopardo, e ad altri animali aggraziati, forti e pericolosi.

«Riprenditi, Erian.» Come sempre sembrava che Coiren stesse per tenere un discorso. «Quello che la preoccupa, Sarene, è una voce che ha sentito Galina. Pare che una Sorella Verde fosse con il giovane Rand al’Thor a Tear e che adesso si trovi a Cairhien.» Lo chiamava sempre ‘giovane Rand al’Thor’, come se volesse ricordare alle sue ascoltatrici che era inesperto.

«Moiraine e una Verde» osservò Sarene. Avrebbe potuto davvero essere un problema. Elaida insisteva nel sostenere che Moiraine e Siuan avessero agito da sole nel lasciare al’Thor libero senza alcuna guida, ma se anche solo un’altra Aes Sedai era coinvolta, avrebbe potuto significare che ce n’erano altre nascoste, e quello era un filo che avrebbe potuto portare a qualcuna, forse parecchie, di quelle fuggite dalla Torre durante la deposizione di Siuan. «Ma si tratta comunque di una voce.»

«Forse no» intervenne Galina mentre entrava nella stanza. «Non avete sentito? Qualcuna ha incanalato su di noi stamattina. Non so con quale proposito, ma credo sia facilmente immaginabile.»

Le perline inserite nelle treccine scure di Sarene fecero un debole rumore quando scosse il capo. «Non prova che si tratti di una Verde, Galina. Non prova nemmeno che fosse un’Aes Sedai. Ho sentito dire che alcune delle donne Aiel possono incanalare, quelle Sapienti. Potrebbe anche trattarsi di una disgraziata cacciata dalla Torre dopo aver fallito l’esame da Ammessa.»

Galina sorrise, una fila di denti bianchi sotto degli occhi scuri come la notte. «Credo che provi la presenza di Moiraine. Ho sentito dire che aveva un trucchetto per origliare e non credo alla favola tanto conveniente della sua morte, senza un corpo o nessuno in grado di fornire dettagli.»

Era un fatto che disturbava anche Sarene. In parte perché Moiraine le piaceva — erano state amiche da novizie e da Ammesse, benché Moiraine fosse un anno avanti, e quell’amicizia era continuata anche durante i rari incontri nei periodi successivi —, in parte perché la morte di Moiraine era troppo vaga e troppo conveniente, scomparsa proprio quando era stato emesso un ordine d’arresto nei suoi confronti. Moiraine sarebbe stata capace di fingere di essere morta viste le circostanze. «Quindi tu credi che abbiamo trovato sia Moiraine che una Sorella Verde dal nome sconosciuto, e che dovremmo prenderci cura di loro? Sitratta pur sempre di supposizioni, Galina.»

Il sorriso di Galina non cambiò, ma gli occhi brillarono. Era troppo dura per usare la logica — credeva a ciò che credeva, quali che fossero le prove — ma Sarene aveva sempre pensato che in qualche luogo segreto dentro Galina ardessero grandi fuochi. «Quello che credo» fu la risposta «è che Moiraine sia la presunta Verde. Quale modo migliore di nascondersi all’arresto che morire e riapparire come qualcuna che appartiene a un’altra Ajah? Ho anche sentito dire che quella Verde è bassa e tutte noi sappiamo che Moiraine è tutt’altro che alta.» Erian si era drizzata, i grandi occhi marroni saturi d’oltraggio. «Quando metteremo le mani su quella Sorella Verde,» le disse Galina «propongo di lasciarla alle tue cure durante il viaggio di ritorno alla Torre.» Erian annuì, ma il fuoco di rabbia non le scomparve dagli occhi.

Sarene era stordita. Moiraine? Dichiarare appartenenza a un’altra Ajah? Non era possibile. Sarene non si era mai sposata — era illogico credere che due persone potessero rimanere compatibili per una vita — ma la sola cosa con cui poteva istituire un paragone era dormire con il marito di un’altra donna. Fu l’accusa a colpirla, non il fatto che potesse essere vero. Stava per far presente che al mondo c’erano molte donne basse e che in fondo la statura era un fatto relativo, quando Coiren parlò con quella sua voce modulata.

«Sarene, è di nuovo il tuo turno. Dobbiamo essere pronte per ogni evenienza.»

«Non mi piace» disse Erian con fermezza. «È come prepararsi per il fallimento.»

«È solo logico» rispose Sarene. «Se dividi il tempo in frazioni infinitesimali è impossibile dire con certezza cosa accade fra un istante e l’altro. Visto che andare alla ricerca di al’Thor a Caemlyn potrebbe significare scoprire che è tornato qui, è meglio rimanere sul posto con la discreta certezza che prima o poi ritornerà, anche se potrebbe succedere domani come fra un mese. Ogni singolo evento in qualsiasi fase di quest’attesa potrebbe lasciarci senza alternative. Quindi essere pronte è logico.»

«Ben spiegato» rispose asciutta Erian. Non le interessava la logica. A volte Sarene pensava che fosse un tratto comune tra le donne belle, benché anche in quell’idea non ci fosse connessione logica.

«Abbiamo tutto il tempo che vogliamo» esordì Coiren. Quando non teneva un discorso, dava annunci. «Beldeine è arrivata oggi e ha preso una stanza vicino al fiume, ma Mayam arriverà solo fra due giorni. Dobbiamo fare attenzione, e questo ci regala tempo.»

«Non mi piace comunque prepararmi per il fallimento» mormorò Erian.

«Non sarebbe male» rispose Galina «se riuscissimo a trovare il tempo di consegnare Moiraine alla giustizia. Abbiamo atteso fino a ora, e con al’Thor non c’è tutta questa fretta.»

Sarene sospirò. Tutto ciò che facevano lo facevano bene, ma non riusciva a capirlo; non era presente alcuna forma di logica in quelle donne.

Si ritirò nella sua stanza, si accomodò davanti al camino spento e iniziò a incanalare. Che quel Rand al’Thor avesse davvero riscoperto come viaggiare? Era incredibile, ma era anche la sola spiegazione. Che tipo d’uomo era? L’avrebbe scoperto quando l’avesse incontrato, non prima. Satura di saidar quasi al punto in cui la dolcezza si trasformava in dolore, iniziò a ripassare i vecchi esercizi da novizia. Andavano bene come ogni altra cosa. Essere pronte era l’unica cosa logica da fare.

Загрузка...